Archivi categoria: romanzo

Editi ed inediti

Se avete scritto delle poesie, oppure un romanzo, o dei racconti, inviatemi i file in lettura a:
ivanomugnaini@gmail.com.
Sarò lieto di leggerli per un’eventuale pubblicazione, se si tratta di inediti, o per una recensione nel caso di volumi già pubblicati.
Oppure per la traduzione in inglese di brani di prosa o poesie,  sillogi o interi libri o manoscritti. 

IM

inizio corso II livello di Scrittura Creativa Emozionale

Ricevo e volentieri condivido da Manuela Minelli e Vanna Alvaro la notizia riguardante questo corso di scrittura creativa emozionale. 
E l’aggettivo “emozionale” è sempre bello da leggere. Porta sempre buoni frutti.
Qui sotto la notizia che ho ricevuto da Manuela Minelli.
Chi fosse interessato a ricevere informazioni più dettagliate può contattare Manuela Minelli e Vanna Alvaro tramite Facebook oppure attraverso il sito Elisir Letterario:  https://elisirletterario.com/ oppure ai numeri riportati nella locandina qui sotto pubblicata.
Buone letture e buone scritture, IM

Locandina corso scrittura emozionale

Elisir di Parole - raccolta di racconti
Cari tutti/e condivido con voi la notizia dell’ inizio corso II livello di Scrittura Creativa Emozionale, delle cui classi precedenti io e l’ altra insegnante, Vanna Alvaro, andiamo super fiere ed orgogliose in quanto gli allievi hanno tirato fuori racconti appassionanti, fantasiosi e ben congegnati e ben 4 di loro hanno vinto premi letterari. Tanto che di tutto questo materiale letterario ne abbiamo fatto un libro di cui sono andare a ruba in un mese quasi 200 copie ( infatti il libro è in ristampa).
Chi volesse info su programmi, modalità di partecipazione, costi (irrisori, euro 400 pagabili in due tranche x circa 30 ore di lezioni totali) può telefonare ai numeri in locandina o scrivere alla mail che trovate sempre lì. 
 PS: lezioni vengono tutte registrate e inviate in automatico al gruppo Whatsapp-classe, per sopperire in caso di perdita lezione oppure per approfondire argomenti trattati.
 Abbiamo ancora 5 posti, le classi infatti sono a numero chiuso per permettere un più efficace svolgimento delle lezioni.

Manuela Minelli e Vanna Alvaro

Elisir Letterario

“La creta indocile” e “Limbo minore” – letture e commenti

copertina
Ringrazio Giulia Sonnante, scrittrice e traduttrice, per la lettura attenta e per il commento, anche in questo caso assolutamente empatico e originale, sia di alcune poesie tratte da “La creta indocile” sia del romanzo “Limbo minore”.
Riporto qui di seguito le note critiche e le “variazioni sul tema” di Giulia, con un nuovo grazie. IM
lungarno-pisa
L’Aria del Lungarno e Altre Liriche: tra vita e poesia  
Non è una madeleine, inzuppata nel tè, a riportare alla memoria un ricordo e non siamo a Combray ma, a Pisa. Al centro della lirica: “L’aria del Lungarno”, di Ivano Mugnaini, in “La creta indocile” (Oèdipus, Salerno, 2018) è l’Arno, placido, forse ignaro di quella vitalità un po’ insensata che si respira tutt’intorno. Anzi, è, esso stesso, parte integrante della Poesia, la determina, e ad essa dà nome.
Uno sciame di ragazzi sgorga dalle stanze di studio come un ampio delta: è il tramonto che strizza l’occhio all’ora violetta di eliotiana memoria: “At the violet hour, when the eyes and back Turn upward from the desk, when the human engine waits Like a taxi throbbing waiting”. (Eliot, The Waste Land, 1922) Gli occhi e le schiene si levano dagli scrittoi e, come taxi, frementi, aspettano. Ed è proprio il palpitare, il pulsare della vita che “L’Aria di Lungarno” riesce efficacemente a cogliere. Così, l’autore, studente d’un tempo, s’incammina lungo la strada che costeggia il fiume; il passo, svelto, da principio, rallenta per divenire nostalgico man mano che il ricordo prende la mano. Non si lascia soffocare, l’aria del Lungarno, il traffico non la sfiora, da essa è fagocitato: “L’aria del Lungarno scorre tra tempo e memoria. / Il traffico non la soffoca, è un cappio di lamiere / che scorre e non la sfiora.”
Scorre, sornione, l’Arno, e quasi percepiamo le urla allegre dei ragazzi che finiscono in piccoli mulinelli d’acqua. Scorre l’Arno, quasi superando gli argini, i limiti stessi del verso. Sì, perché l’Aria del Lungarno è lirica che si fa racconto. L’urgenza dell’autore è quella di cogliere la realtà e poco importa se la poesia, poi, s’incarni in un verso o in una frase.
Non è soltanto il carattere narrativo ad impressionare, ma anche l’ironia che arriccia il verso, lo increspa ed è certamente anomala, se ravvisata in un cielo poetico. E così, punteremo il dito verso l’alto: “unidentified flying object!”, quando, sorridendo, leggeremo: “Si cammina, sul Lungarno, / soldati in libera uscita, studenti tra riso e terrore /in un fiume che appare anche lui fuori / corso”. Stile e forma qui stupiscono non poco: la parola poetica sgambetta, recalcitra: il verso sembra non compiere il suo senso, spezzandosi come pane tra le dita. Tuttavia, esso, tutto può ed è lo stesso autore ad affermarlo: “Lasciamo che il verso trovi / per sé e per noi la sua strada, il suo senso. / Tutto, perfino il nulla, ha corpo nella parola, / e la sua assenza di sostanza è pietà, / misericordia nella tortura che ci consuma, / il “foco che ci affina”. ( dalla lirica Con sollievo in La creta indocile)
L’autore spinge verso la vita nella sua essenza più pura: “nel sacco entrambe / le mani, in piena flagranza di reato, nell’atto doloso, / e recidivo, di essere ancora vivi, / ancora umani. (Quale amnistia) e pone una sola condizione al nostro esistere: l’umanità. Nulla, neppure la sofferenza può privarci del diritto ad una vita piena ed autentica. “Almeno allora uno sconto di pena alla pena  / dell’essere, una via di fuga, d’ingresso, d’uscita, / il lusso di un carcere aperto alla speranza” (Quale amnistia).  Ed ancora: Non c’è bellezza nel dolore, […] La sola vera morte / è il soffrire. Ed è già putrefatto, dentro, / chi lo loda, da qualunque pulpito,  /con qualsivoglia intenzione. ( da Il tempo salvato in La tempesta e La tregua e Altre Poesie, La Recherche, 2010) Corrono lungo una strada a strapiombo sul mare, questi versi, tragici, nel dolore che manifestano, ma illuminati nella loro parte più intima.
Ci chiediamo se la Poesia abbia un senso, se possa essere al cospetto della sofferenza. Come può la Poesia giocare alla pari col dolore? Dovrebbero depositare la penna, raccogliere tutti i fogli, i poeti? Con Auden diremmo: “The stars are not wanted now: put out every one; /Pack up the moon and dismantle the sun; /Pour away the ocean and sweep up the wood; /For nothing now can ever come to any good.” (Funeral Blues, 1938)
Ha polsi abbastanza forti per sollevarci, la Poesia? Ha spalle abbastanza ampie da sorreggere la sofferenza, come Anchise sulle spalle di Enea? Ne ha il diritto? In “Una danza di cose”, tratta da “La creta indocile”, una figura femminile si staglia altissima nel cielo poetico. Il corpo di Carmela è avvinto dal boia ma ella ride: “Ma Carmela Ride. / Piega occhi e bocca / come un fabbro rende docile l’acciaio, / e il lucernaio diventa guardabile, / percepibile senza vomitare […] porge fogli densi / di parole strappate al boia, ad ogni /giorno di gelo penetrato nelle fessure / e nel ferro delle chiavi. (Una danza di cose) I fogli densi di parole diventano l’appiglio, lo sperone di roccia a cui aggrapparsi, perché la parola non può restare in silenzio, essa le appartiene, è il suo sorriso, la speranza.
E la speranza è il dono in “La speranza di settembre”, lirica opaca, sospesa sul filo del tempo,  “fragile, imperfetto, / regolato da cronografi tarati male, ancora / soggetti a salti e arresti, orgogli e terrori “.  il poeta è alla ricerca di “una voce, una chiave / nelle ossa spezzate dei cani” (La speranza di settembre)”, come colui che si chiede quali siano le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono da macerie di pietra: “what are the roots that clutch, what branches grow / Out of this stony rubbish?” (T. S. Eliot, The Waste Land, 1922)” e, infine, trova soltanto un mucchio di immagini spezzate, “a heap of broken images”. Settembre, tuttavia, accende una luce, perché ogni fine racchiude in sé un nuovo inizio: “In my beginning is my end. In my end is my beginning” (T. S. Eliot, Four Quartets, 1943)
Riempiamo il vuoto che ci annienta, dunque, attraversiamo il dolore: “Sweat is dry and feet are in the sand”, non scorre, lieve, l’Arno, qui: “If there were water / And no rock / If there were rock/ And also water”. Facciamo ritorno alla vita, a Pisa, “sulla strada circolare che costeggia / il fiume, ciò che conta è ritrovare il respiro” E poi, “verso lo sbocco, le labbra rosa della Marina, laggiù, verso / Sud. (L’aria del Lungarno). Perché non c’è una risposta univoca, ognuno cerca il proprio senso, il risvolto chiaro, il suo passo, forse incerto. “Forse solo il gabbiano forestiero possiede / la risposta. Sorvola le pietre /della piazza e si nutre di istanti. Sorride, /con garbo, vira e si getta ad occhi chiusi / nella corrente d’aria che solo lui percepisce.” ( da “La certezza del mare” in La creta indocile)
Giulia Sonnante
Limbo minore
 “Limbo minore”: la coscienza d’un servo nel vivere quotidiano
 Profumo di letteratura promana dalle pagine di “Limbo minore” (Manni Ed. Lecce, 2000), romanzo di Ivano Mugnaini, come dal bocciolo d’una rosa selvatica.
Numerose sono le citazioni letterarie che si rincorrono libere come ragazzi dalla frangia lunga e ginocchia al vento: da Leopardi a Mallarmé, passando per Allen Ginsberg fino a Conrad. Ma qui, il narratore non è il marinaio Marlow, come in “Cuore di tenebra”, ma un personaggio altrettanto minore, un servo, tuttofare, una figura priva di ruolo definito, d’una vera identità. Così, egli si confessa: Io sono il servo. Io non ho un nome.
Riflettendo ancora sulla propria condizione di subalterno, dichiara: “Io sono un rebus privo di chiave. Una freddura cifrata in cui non sempre a numero uguale corrisponde lettera uguale. O forse sono solo un ombrello di tela scura. Uno di quelli che si finisce sempre per dimenticare, con intimo sollievo, dentro il vaso di terracotta di un bar o di una casa qualsiasi, dando poi, ipocritamente, la colpa alla memoria. Non me ne dispiace però.” Si commisera, forse, sembra giocare il ruolo della vittima tra le righe di una struggente malinconia, tuttavia, non tenta di mutare la propria condizione, la accetta, rivelandone i benefici.
Interessante è anche il passaggio in cui confessa d’essere stato sempre attratto dalla Barbie di turno, dalla “bambolina biondina di plastica ed aria compressa” a discapito della bruttina, ignorata da tutti al pari “d’una scatola anonima, un pacco postale privo di interesse posato in un angolo e lasciato lì, settimana dopo settimana.” Ed in seguito, quando, “per distrazione o per noia, per compensare la momentanea assenza della pupazza patinata, o magari per pura vanità e buffoneria, sono entrato nel suo raggio d’azione con apparente interesse, lei, appena superato lo sbalordimento, si è sempre dimostrata pronta ad aprirsi, disposta a tentare, nonostante tutto, dimenticando ere geologiche di rocciosa indifferenza. Il gioco si è concluso, puntualmente, al primo riapparire sulla scena della bella e impossibile corteggiata da mezzo mondo.” E qui, noi, lettrici, non possiamo che allontanarci per un attimo dal narratore per raggiungere la bruttina poiché siamo tutte dalla sua parte! Tuttavia, il servo riconosce subito d’aver sbagliato, cosicché, torniamo, con piacere, al suo fianco.
Non si tratta di un racconto ricco d’avventure, fitti intrecci o colpi di scena, ma d’un romanzo del quotidiano; il servo getta lo sguardo sulla realtà che lo circonda, disegnandola ora con sfrenata ironia, ora con intensa malinconia, quella “saudade”, capace di unire, in un fragile equilibrio, il dolore al desiderio, il cielo alla terra, la materia allo spirito.
Come nodi d’un cingolo francescano, si susseguono scene di vita quotidiana: la messa dominicale, una giornata al mare, il viaggetto a Roma in cui una saggia guida mescola fiato ad accenti romaneschi di belliana memoria, la festa di paese o il racconto di Ottavio, il fattore, che sopravvive al campo di concentramento, strappando misere radici alla fame.
Le parole si predispongono all’ascolto spingendosi come ignari soffioni nell’aria chiara dell’Estate.” Un silenzio che sfiata dalla calce, avanza a bocca spalancata e ingurgita sé stesso (…) Non è la pioggia ma ha un battito vivo e leggero. È il tocco ripetuto di una mano sul legno della porta di camera mia.” Risuonano, qui, echi poetici che troveranno vibrante pienezza nella poesia: “Grado zero”, in “La creta indocile”, dello stesso autore, (Oèdipus, Salerno, 2018) “Ma più colpevole e più tenace è / l’udito, fisso sul legno della porta, / inchiodato, crocifisso, appeso /ad un battito, un tocco ansioso, / incerto, furtivo: forse il tonfo, / l’incedere cieco del destino; / forse il calore, sincero di una mano.”
 Particolarmente toccanti, le pagine dedicate alla malattia del conte, accompagnato sino alla fine dal suo fedele servo; qui, mentre la morte ha già disteso una densa ombra sul corpo del malato, giunge una donna, l’unica che il conte abbia mai amato. Al suo capezzale si uniscono, in un disperato abbraccio, amore e morte a rappresentare uno straordinario topos letterario, perché l’amore è l’unico che valga ricordare, l’unico che risarcisca della morte. “Smette di parlare il conte, e abbandona le spalle alla soffice morsa del lenzuolo. Appare provato, ma gli occhi sono spalancati e lucenti. Fissi su di me. Cerca di captare in ogni gesto, in ogni minima contrazione muscolare, una reazione ed un verdetto.”
 Un romanzo che è una lunga confessione, sincero scandaglio dei sentimenti più celati, un racconto che sa di intimità e famiglia. E, di certo, qualcosa rimanda a Zeno per lo svelamento autentico della coscienza e per l’incedere brioso della scrittura.
Sereno, il narratore si congeda così: “All’esterno il panorama non è mutato. Il calderone della piazza è ancora pieno di aria bollente che trema, inorridita da impenetrabili trasparenze. Cammino a testa bassa nascondendo alle strie bianche del cielo un illogico sorriso. È giusto accontentarsi di uno sguardo condiviso, forse, per un breve istante? È logico sentirsi quasi felice per una parola affidata ad una carezza al pelo di un cane? È normale sentirsi bene con il dolore di un attimo che è già ricordo, e rimpianto, ombra trapassata ancora prima di prendere vita? ”In fondo, è la stessa luce che rischiara le pagine finali di Svevo:posso mettere un impiastro qui o là, ma il resto ha da moversi e battersi e mai indugiarsi nell’immobilità come gl’incancreniti. Dolore e amore, poi, la vita insomma, non può essere considerata quale una malattia perché duole.”.
 Giulia Sonnante

L’Indice dei Libri del Mese – N.6 – 2021

Sul numero di giugno de L’Indice dei Libri del Mese una mia recensione a ‘La Cosa’ di Gianluca Garrapa.

Nello stesso numero, tra l’altro, anche una recensione di Enzo Rega a Luigi Fontanella e tante altre belle cose, ossia bei libri.

recensione Garrapa
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Cucendo i fili della vita – rec. a “La sarta”, di Marilena La Rosa

La sarta, o meglio la sua ideatrice ed autrice, Marilena La Rosa, cuce con i fili della letteratura la vita. O forse la ricama e rammenda con la fantasia, nella terra di nessuno tra verità e immaginazione.
Ho letto con piacere questo libro e altrettanto volentieri ne ho scritto.
Ci conduce lungo un sentiero poco battuto, una favola per adulti disillusi ma non abbastanza da non sapere sorridere quando si ci immagina “con una M gigante sulla maglia” o con la voglia di ascoltare ancora, nei recessi della mente, “versi che si baciano”.
Buona lettura, IM

 

A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.Saranno volta per volta le stesse domande.Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

immagine copertina

5 domande

a

Marilena La Rosa

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Questa è senz’altro la domanda più difficile. Provo a rispondere.

Sono nata e vissuta ad Acireale, che non è un fatto da poco, perché la mia è una città colta, elegante, di una bellezza struggente ma è anche la patria del cavolo trunzo la cui caratteristica principale pare sia legata indissolubilmente al dna degli abitanti (e quindi anche al mio): è duro come è dura la loro e la mia testa. Quindi, sono testarda e ho modo frequentemente di mostrare questa “dote” – che misteriosamente non tutti sembrano apprezzare – , nelle scelte, nelle relazioni familiari e sociali, nel raggiungere gli obiettivi. Nel bene e nel male, insomma. Mi sono poi trasferita a Palermo e qui ho incontrato un altro tipo di bellezza, quella sfrontata, maestosa, abbagliante del barocco o cupa, possente e austera del gotico-normanno. E nelle contraddizioni di Palermo mi sono persa e poi ritrovata e Palermo è riuscita così a diventare metafora piena della mia vita. Posso giurare, quindi, che l’ambiente condiziona l’esistenza. Anche quello familiare, ovviamente. Sono cresciuta con una mamma che mi raccontava i miti e le tragedie greche, ho conosciuto Dafne, Polifemo e Medea prima di Cappuccetto Rosso o Cenerentola. E quindi ho sempre letto e sono cresciuta fra i libri e le conversazioni a tavola avevano il sentore di un’interrogazione agli Esami di Stato: “Chi ha scritto le poesie a Casarsa?”, chiedeva mia madre mentre faceva scivolare una cucchiaiata di purè nel piatto.

Credo che con questo imprinting, il mio futuro fosse irreparabilmente condizionato: mi sono laureata in Lettere e ho iniziato a insegnare all’età di ventitrè anni. In una scuola serale. In una scuola serale frequentata da adulti lavoratori a cui dovevo parlare di Dante e Petrarca. Ed è stato bellissimo.

Da lì è stato tutto un crescendo di attività, ricerche, scritture, viaggi, studi, successi, sconfitte, gioie e pianti.

Ho scritto e scrivo tanto e mi dedico a quello che amo: la mia famiglia, i miei alunni, i miei libri. E trovo il tempo per guardare il cielo stellato, il mare d’inverno, i cuccioli di gatto o le albe trasparenti. E per il cioccolato. Per quello trovo sempre tempo.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Si scrive per vivere e sopravvivere, per tendere all’infinito, per piacere, per presunzione, per romanticismo, per vanità, per lasciare o per centrare un segno. Si scrive perché grumi di idee, parole ed emozioni possano concretizzarsi e ordinarsi in segni striscianti sulla carta. Si scrive per dire “ci sono” e perché dicano “c’era”. Si scrive anche per gioco, per sfida, per evasione. E anche per divertimento.

Continua la lettura di Cucendo i fili della vita – rec. a “La sarta”, di Marilena La Rosa

Sito e blog Dedalus – rubrica A TU PER TU

Nel 2020 le visualizzazioni sia del blog Dedalus che del mio sito sono molto cresciute.

(Almeno una cosa buona gliela devo riconoscere a quell’anno tanto “amato”)

Molto bene è andata anche la rubrica A TU PER TU. Ringrazio gli autori intervistati.

Se qualche altra autrice o qualche altro autore volesse parlare della sua attività o di un suo libro in particolare, mi contatti a questo indirizzo: ivanomugnaini@gmail.com

Screenshot_2021-01-04 Presentazione rubrica A TU PER TU - Ivano Mugnaini

A TU PER TU – Michela Farabella

Il libro di cui parla Michela Farabella in questa intervista è incentrato su una tematica dolorosa e purtroppo sempre attuale, la malattia, nello specifico l’Alzheimer.
Il titolo del libro è Italo con te partirò ed è di impronta autobiografica.
“Ho scritto questo libro perché la storia di Italo, mio padre, appartiene un po’ a tutti. Il mio è stato vero amore incondizionato. Al di là del coinvolgimento emotivo, posso dire che sono stati per me quattro lunghi anni difficili, di grandi battaglie. Mio padre era condannato a morire, non per la sua malattia neuro degenerativa, ma perché il sistema aveva deciso così. Gli anziani malati rappresentano un costo elevato per la Sanità. Lo so, la mia è una denuncia forte. Il libro si presta a due livelli di lettura diversi. Da un lato la mia denuncia cruda di una situazione gravissima che ci viene raccontata spesso dai giornali e il secondo livello di lettura è quello di una malattia sconvolgente, l’Alzheimer, che solo chi la vive può realmente capire cos’è”.
Cito testualmente le parole di Michela perché evidenziano bene il suo stato d’animo e il suo atteggiamento. La tematica è scottante, come lei stessa evidenzia. Lo spazio del blog è aperto a questa sua testimonianza e anche, eventualmente, alle repliche, a pareri contrari, a testimonianze divergenti.
Possiamo fare da cassa di risonanza per tutte le voci espresse con partecipazione e civiltà.
Si può inoltre esprimere un parere personale sul libro, sulle caratteristiche letterarie del testo, che, come possiamo intuire, non sono separabili dal contenuto, dalla vicenda da cui traggono origine.
Il libro è scritto conservando, pur nel dolore, nella pena, nella rabbia, una lucidità che consente chiarezza e fluidità, seguendo passo passo l’evolversi della trama, con nitidezza descrittiva. L’approccio è variegato e multiforme: accanto alla ricchezza di particolari quasi giornalistica o documentaristica si colloca la dimensione emotiva, psicologica, espressa sempre con forza. Il libro parla di una vicenda individuale, di un percorso del destino, ma, tra le righe, in modo spontaneo, ne emergono i valori simbolici, perfino allegorici, tra i contorni dell’eterno conflitto tra il destino e le aspirazioni, i progetti e gli affetti umani.
La storia che Michela narra con passione e dignità, riguarda, in qualche misura, tutti noi.
Spero che questa sua intervista, questa suo accorato invito all’ascolto, possa contribuire a generare un civile dibattito e a far conoscere meglio a tutti noi una malattia particolarmente invasiva per chi la vive in prima persona e per le persone coinvolte per legami familiari o affettivi con i pazienti.
Soltanto attraverso la conoscenza si può tentare di contenere il male, generando, ovunque sia possibile, spazi di maggiore vivibilità.
IM

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

Italo, con te partirò». La storia shock di un anziano malato di Alzheimer:  Amazon.it: Farabella, Michela: Libri

5 domande

a

Michela Farabella

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Grazie! Buongiorno a tutti.  Sono nata a Torino nel 1973, e ho iniziato la mia carriera come assistente di volo per la compagnia di bandiera “Alitalia”, professione che mi ha permesso di visitare molti paesi del mondo e vivere in un contesto multiculturale.

Dal 2002, al 2006 ho lavorato presso  il Comitato Olimpico Invernale Organizzazione dei XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006, e  mi sono  di progetti speciali a valore sociale in collaborazione con istituzioni internazionali.

Mi sono avvicinata al mondo dell’editoria grazie alla tipografia dei miei genitori; da sempre appassionata di scrittura, sono autotrice e blogger, e collaboro dal 2010 con il quotidiano  Cinquew News, diretto da Giuseppe Rapuano, si occupa di attualità, cultura e società.

Attiva in ambito sociale, sostengo numerose associazioni di volontariato, a persone e famiglia, mettendo a servizio  delle strutture la mia esperienza sul territorio  e assistendo e sostenendo i pazienti con malattie neurodegenerative e le loro famiglie,

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

“Italo con te partirò” il primo romanzo autobiografico che ho scritto sull’Alzheimer. Un libro autobiografico ,crudo, drammatico, una storia shock,  l’Alzheimer che non è mai stato raccontato! il

Ho scritto questo libro perché la storia di Italo, mio padre appartiene un pò a tutti. Il mio è stato vero amore incondizionato. Al di là del coinvolgimento emotivo, posso dire che sono stati per me quattro lunghi anni difficili, di grandi battaglie. Mio padre era condannato a morire, non per la sua malattia neuro degenerativa, ma perché il “sistema” aveva deciso così. Gli anziani malati rappresentano un costo elevato per la Sanità. Lo so, la mia è una denuncia forte. Il libro Si presta a due livelli di lettura diversi. Da un lato la mia denuncia cruda di una situazione gravissima che ci viene raccontata spesso dai giornali e il secondo livello di lettura è quello di una malattia sconvolgente, l’Alzheimer, che solo chi la vive può realmente capire cos’è. Vorrei collaborare con voi; sarebbe bellissimo poterne parlare; il tema degli anziani nelle Rsa, soprattutto in questo periodo legato al Covid è un tema davvero importante e spesso le maggiori testate e le trasmissioni televisive o non ne parlano o ne parlano poco.

  Continua la lettura di A TU PER TU – Michela Farabella

A TU PER TU – Lucia Gaddo Zanovello

“Ha avuto un’impennata o è una buona penna, ha la penna facile, o della nomea del corvo, di quella del tordo, del merlo, del pappagallo, del pavone.
Ma in fondo la verità è che siamo tutti creature, se pure di diversa specie, da penna, da pelo o da pelle. Secondo me ogni creatura è in qualche modo persona, perché ciascun individuo manifesta un suo proprio carattere originario, mite e benigno o scontroso e perfino dispettoso; chiunque abbia percorso parte della sua vita in compagnia di un cane, di un gatto, ma anche con un uccellino, sa bene di cosa parlo. Delle persone che non amano gli altri esseri viventi diffido, esattamente come diffido delle persone che non amano e non rispettano le persone”.
Molto originale, schietta, diretta e nitidamente simbolica, è questa dichiarazione di Lucia Gaddo Zanovello.
È una specie di autoritratto fatto con uno specchio, con il vetro fragile e prezioso delle esistenze altrui, nello specifico con la vita degli animali.
“Secondo me ogni creatura è in qualche modo persona”, osserva. Non è una frase ad effetto, un mero orpello estetizzante. Il contesto e il modo con cui è scritta ne confermano l’autenticità. A qualcuno potrà sembrare fuori luogo, esagerata, eccessiva. Ma è proprio questo il bello: è un modo per generare un nitido posizionamento, una sorta di documento di identità che manifesti l’essenza reale, inequivocabile, di ciascuno.
Nella zona di confine che separa e unisce ipotesi e verità, si colloca il libro che l’autrice presenta nell’ambito di questa intervista, dedicato alla figura di Attilio Mlatsch. Scrive Lucia Gaddo: “Ho dovuto studiare e ristudiare i contesti storici delle notizie che avevo e degli eventi attraversati e in ultima analisi, ritrovando infine la figura di questo mio nonno”. Il valore aggiunto che si affianca all’attenta opera di ricostruzione è la conquista di una consapevolezza che deriva dalla conoscenza unita all’affetto, dalla “cognizione del dolore” e dalla vera condivisione. In questo contesto, il dialogo supera le barriere della Storia, del tempo e dello spazio.
“Devo riconoscere di avere fatto maggior luce in me stessa”, ci rivela l’autrice. Questa frase in apparenza lineare racchiude vasti orizzonti di senso, il valore della ricerca della verità e quell’istante di visione ulteriore in cui l’oggettività dei fatti viene sublimata dalla partecipazione emotiva. L’attimo in cui si smette di guardare e si inizia a vedere, ossia a percepire non solo con i sensi ma con qualcosa di indefinito, misterioso e salvifico che rappresenta il nucleo della verità e della natura umana in se stessa.
“L’analogia delle vicissitudini storiche forgia in qualche modo le personalità, restituendo alcune similitudini empatiche”, annota Lucia Gaddo Zanovello. Questa considerazione si adatta bene al suo romanzo, alla ricerca di una figura familiare che il tempo e la violenza non hanno cancellato dalla memoria. Si adatta tuttavia anche al contesto più ampio di quell’insieme di “persone” (includendo nella definizione tutti gli esseri viventi) che indagano con partecipazione e affetto sul senso del loro passaggio su questo esile e mirabile pianeta sospeso nel mistero delle galassie.
IM

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

La vicenda umana di Attilio Mlatsch

5 domande

a

Lucia Gaddo Zanovello

 

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie mille a te per il gentile invito!

Sono contenta e ti sono grata di questa occasione di fermarmi un poco a riflettere sul mio più recente lavoro, sono opportunità che finiscono sempre per rimettere a fuoco un qualcosa di mai veramente compiuto.

Beh, per quanto riguarda il mio autoritratto, esso si fonda necessariamente sul mio vissuto in campagna per molta parte della primissima infanzia. In quel luogo ho sperimentato la solitudine più assoluta, essendo l’unica piccola in mezzo a tanti adulti, tutti costantemente indaffarati in diverse occupazioni, avevano difficoltà a trascorrere del tempo con una bambina.

Spesso in lacrime osservavo intorno a me e, incantandomi, smettevo di piangere. Devo riconoscere che la natura mi è stata Madre nel senso più vero del termine.

Sono cresciuta forse in un quadro di povertà affettiva, ma mescolando tuttavia a fragilità e sfiducia, caparbietà e tenacia, innamorata della terra, delle piante e degli animali. Osservavo l’attività dei topolini nel granaio, stupivo all’uscita dei pulcini dall’uovo, ma se dovessi specchiarmi in un autoritratto, vedrei un uccellino, forse un pettirosso.

Il volo, il nido, la muta (tutto ciò che si trasforma mi attrae, forse frutto anche questo delle mie osservazioni infantili pure sulle rane e sul baco da seta), il mondo dell’aria mi ispira da sempre, perché vedere le cose dall’alto aiuta a ridimensionarle, a farle rientrare nella loro misura reale, invogliano a credere in Dio e anche se le cadute, l’essere predati e le gabbie misurano le sventure, rigenerazioni e rinascite permangono fidenti dietro l’angolo.

La varietà delle specie alate, dei loro linguaggi, del loro affaccendarsi intorno ai nidi, alle migrazioni, seguendo l’istinto, e senza lasciare tracce, la loro filosofia di vita insomma è gaia e promettente. Anche per questa specie, nella quale si va dall’aquila al colibrì, è un po’ come per i cani, per i quali si va dal molosso al chiwawa. Straordinario. Come sono unici la potenza del cigno, la leggerezza della rondine, la domesticità della gallina e la fedeltà dei piccioni.

Per non parlare delle espressioni idiomatiche legate ai pennuti, si dice spesso ha avuto un’impennata o è una buona penna, ha la penna facile, o della nomea del corvo, di quella del tordo, del merlo, del pappagallo, del pavone.

Ma in fondo la verità è che siamo tutti creature, se pure di diversa specie, da penna, da pelo o da pelle. Secondo me ogni creatura è in qualche modo persona, perché ciascun individuo manifesta un suo proprio carattere originario, mite e benigno o scontroso e perfino dispettoso; chiunque abbia percorso parte della sua vita in compagnia di un cane, di un gatto, ma anche con un uccellino, sa bene di cosa parlo.

Delle persone che non amano gli altri esseri viventi diffido, esattamente come diffido delle persone che non amano e non rispettano le persone.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

La vicenda umana di Attilio Mlatsch. Una ricostruzione possibile fra ipotesi e verità, Nuova luce, 6, Macabor, 2018, è la mia ultima pubblicazione. Mi ero dedicata alla stesura di molti appunti su questo argomento nel corso di un paio di anni, a cominciare dal 2016, per fare luce su di una persona a me tanto vicina, ma fino ad allora troppo e troppo a lungo rimasta misteriosa, mio nonno materno. Adoperandomi per fare luce, ho dovuto studiare e ristudiare i contesti storici delle notizie che avevo e degli eventi attraversati e in ultima analisi, ritrovando infine la figura di questo mio nonno, devo riconoscere di avere fatto maggior luce in me stessa. Continua la lettura di A TU PER TU – Lucia Gaddo Zanovello

A TU PER TU – Gabriella La Rovere

«Forse hai sbagliato – mi disse mia madre poco prima di morire – la medicina non era la tua strada, tu dovevi fare la scrittrice. Ho sempre scritto e, soprattutto, ho sempre letto. Tanto. Quando lavoravo in ospedale, mi facevano raccogliere e scrivere l’anamnesi proprio perché ero affascinata dalle storie, dalla situazione che aveva determinato la malattia e da tutto il corollario emotivo che vi ruotava attorno”. Il percorso individuale di Gabriella La Rovere interseca la sua vicenda personale ai fatti e agli eventi che stiamo vivendo, e, su un piano più ampio, conferma il legame tra la scrittura e la vita, l’immaginazione e la realtà.
“Da un paio di settimane è uscito il mio ultimo libro Francisco. La vita del matto buono dei frati, Augh Edizioni. Per la prima volta mi sono cimentata in un romanzo storico andando a recuperare la storia di Francisco Pascal, frate carmelitano converso, vissuto alla fine del Cinquecento, presumibilmente autistico. È il libro a cui sono più legata emotivamente perché ha avuto una gestazione lunga, di ben nove anni!”, scrive Gabriella in una delle risposte.
Leggendo le altre risposte si mettono insieme le tessere di un mosaico che compone una figura all’interno di un quadro, un romanzo che ha per trama, sviluppo e meta, la scrittura del romanzo stesso.
“Sono riuscita a trovare questo libro antico… a soli 30 km da casa mia. Un caso? Forse no! Comunque, il problema rimaneva per il francese. Anche qui una strana coincidenza che mi fa imbattere in una traduzione di un classico francese ad opera di suore di clausura del Monastero Benedettino dell’Isola di San Giulio. Il libro viene tradotto e la vita di Francisco irrompe e sconvolge chi ne viene a contatto, prima tra tutte la monaca traduttrice che ne ignorava l’esistenza”.
Il caso è una delle manifestazioni del destino? Forse sì o forse no. Comunque leggendo questo racconto nel racconto, viene fatto di ripensare alle parole della madre di Gabriella e darle ragione: l’inclinazione naturale dell’autrice è verso la scrittura, l’occhio coglie le sfumature e la concatenazione che è sia origine dei fatti stessi sia conseguenza.
Poiché la spiegazione è più complessa del fenomeno, è bene limitarci a sottolineare sia l’inclinazione naturale verso la scrittura sia il connubio a lei caro, quello tra la parola e la medicina. In fondo sono ambiti affini: la parola può essere cura, sollievo, e la medicina necessita la parola, la comunicazione di qualcosa che va al di là del livello concreto, fisico, coinvolgendo la sfera psicologica ed emotiva, cioè che costituisce l’essenza stessa di ogni essere umano.
La scrittura di Gabriella La Rovere si schiera dalla parte dei diversi, dei fragili, di coloro che si trovano in una condizione particolare e necessitano riguardo e attenzione. L’atteggiamento dell’autrice non è mai cupo e patetico. Nelle sue parole, e nei gesti, concreti, fattivi, c’è la determinazione di un sorriso. Quello di chi conosce alla perfezione, per averla vista, vissuta e valorizzata, la bellezza e la forza, anche creativa, della diversità.
Buona lettura, IM

Gabriella La Rovere "Francisco" | il posto delle parole

 

5 domande

a

Gabriella La Rovere

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

«Forse hai sbagliato – mi disse mia madre poco prima di morire – La medicina non era la tua strada, tu dovevi fare la scrittrice». Ho sempre scritto e, soprattutto, ho sempre letto. Tanto. Quando lavoravo in ospedale, mi facevano raccogliere e scrivere l’anamnesi proprio perché ero affascinata dalle storie, dalla situazione che aveva determinato la malattia e da tutto il corollario emotivo che vi ruotava attorno. Tanti anni fa mi proposi ad una casa editrice che pubblicava una rivista che andava a tutti i medici di famiglia; mi sarebbe piaciuto scrivere di medicina invece, senza neanche sapere chi fossi, mi chiesero di scrivere dei racconti perché c’era una rubrica letteraria che stentava a decollare. E così tutto iniziò.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Da un paio di settimane è uscito il mio ultimo libro “Francisco. La vita del matto buono dei frati” Augh edizioni. Per la prima volta mi sono cimentata in un romanzo storico andando a recuperare la storia di Francisco Pascal, frate carmelitano converso, vissuto alla fine del Cinquecento, presumibilmente autistico. È il libro a cui sono più legata emotivamente perché ha avuto una gestazione lunga, di ben nove anni!
Soffro d’insonnia e in una delle mie notti a leggere e studiare, mi sono imbattuta in un libro della fine dell’Ottocento, scritto da un abate anonimo, che raccontava del “Venerabile Francisco del Bambino Gesù”. Era scritto in francese, che non conosco, ma fortunatamente la sinossi era in inglese. Si parlava di un ragazzo che aveva commesso un omicidio, senza esserne minimamente turbato. Questa cosa mi aveva incuriosita e ho cercato di capirne di più. Sono riuscita a trovare questo libro antico… a soli 30 km da casa mia. Un caso? Forse no! Comunque, il problema rimaneva per il francese. Anche qui una strana coincidenza che mi fa imbattere in una traduzione di un classico francese ad opera di “suore di clausura” del Monastero Benedettino dell’Isola di San Giulio. Il libro viene tradotto e la vita di Francisco irrompe e sconvolge chi ne viene a contatto, prima tra tutte la monaca traduttrice che ne ignorava la esistenza.

La traduzione mi arriva come un bene prezioso, con questa storia che deve essere condivisa, ma occorre modificarla, renderla fruibile da tutti, in altre parole, romanzarla. Ci sono voluti nove anni e altri libri da me scritti e pubblicati. E nel frattempo quaderni e quaderni pieni di ricerche storiche, di una prima parziale stesura, di riscritture, di note a margine e poi sui post-it, sui fogli volanti. Non ero mai pronta finché ho deciso di affrontare la sfida.

 

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

Credo che un bravo scrittore debba necessariamente passare per la poesia, sia letta che scritta. È la forma che permette il racconto di emozioni, di percezioni, di vissuto, con il massimo della sintesi. Nella poesia la parola è importante, quella e non altra, e in quella parola è racchiuso tutto un mondo.
Ho cominciato con lo scrivere poesie perché era l’unico mezzo che avevo per esprimere le mie emozioni. Uscivano come un fiume in piena, dopo che per giorni una parola mi martellava il cervello. Bussava, chiedeva che le venisse aperto, e molto spesso l’ingresso trascinava tanta sofferenza.

 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra gli autori classici che tra quelli contemporanei?

Essendo principalmente una grande lettrice, ho conosciuto Simona Baldelli e Antonella Ossorio come semplice fan e con loro ho un rapporto di affetto e tenerezza.
Adoro Mario Tobino, Luigi Malerba, Ignazio Silone, Clara Sereni tra i classici italiani; George Simenon, Doris Lessing, Abraham Yehoshua, William Faulkner, François Mauriac, per quelli stranieri.

Voglio aggiungere la saggistica per celebrare Oliver Sacks, che è stato uno straordinario divulgatore

 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

La pandemia ha stimolato la mia curiosità e quindi sono andata a leggere romanzi nei quali si parlava dell’epidemia di spagnola: “Bianco cavallo, bianco cavaliere” di Katherine Ann Porter, considerata una delle migliori opere di narrativa medica; “Angelo, guarda il passato” di Thomas Wolfe.

In libreria il libro di Gabriella La Rovere sul beato Francisco | Umbria e  Cultura

 

Gabriella La Rovere, scrittrice, giornalista, medico. Collabora con il sito “Per noi autistici” diretto da Gianluca Nicoletti.
Ha pubblicato: “L’orologio di Benedetta” ed. Mursia (2014); “Hello Harry! Hi Benny!” ed. Mursia (2016); “Pedagogia della lettura ad alta voce” ed. Armando (2018); “Alice e altre storie” ed. Augh! (2018); "Mi dispiace, suo figlio è autistico" ed. Gruppo Abele (2019)

 

A TU PER TU: Sabrina Tanfi

Nel cerchio rotto è il primo romanzo di Sabrina Tanfi. “Ambientato tra Argentina e Italia, nasce in seguito ad un viaggio fatto in Argentina anni fa, dal quale sono tornata perdutamente innamorata del Sud America. Il contesto storico è in parte quello dell’Argentina dei desaparecidos, tema che ho avuto modo di approfondire dopo aver partecipato ad una conferenza indetta dal console Enrico Calamai, considerato lo Schindler di Buenos Aires. Mi piaceva l’idea di raccontare una storia con una forte connotazione storica e geografica, benché frutto della mia fantasia”, ci indica l’autrice. Come risulta anche dalle altre risposte all’intervista, la collocazione esatta della vicenda sul piano geografico e cronologico si interseca alla dimensione creativa individuale. Ciò le consente di evitare riferimenti troppo precisi ma le permette comunque di chiamare in causa ricordi, sensazioni ed emozioni intense, generando una trama adeguatamente compatta e credibile e permettendo altresì di manifestare, seppure con i necessari filtri narrativi, le idee, i principi, la reazione emotiva e morale di fronte alle violenze e alle ferite del tempo e della Storia.
Marquez, Allende, Sepulveda, sono alcuni dei punti di riferimento citati nelle risposte. “Con stili e prospettive diverse sanno tratteggiare la magia senza uguali di una terra ricca di contrasti. Sepulveda ha avuto il pregio di farlo con una semplicità disarmante. Mi ha insegnato che si può essere un grande scrittore senza roboanti frasi ad effetto. Lo adoro. Sono affascinata anche dal genio di Saramago, col suo stile sopra le righe pronto a sovvertire ogni canone letterario. La passione per la psicologia mi porta a leggere anche autori come Sacks. Le sue digressioni cliniche mi affascinano molto”, dichiara l’autrice, rivelando dettagli significativi: la magia della fantasia che concilia e racchiude in sé aspetti contrastanti, la descrizione e lo scavo psicologico, la complessità e la semplicità. E, come punto di partenza e meta, la volontà di parlare di una vicenda di pura fantasia che tuttavia richiama la realtà della Storia, la verità della violenza ma anche il tenace desiderio di bellezza e di riscatto.
IM
 

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

Nel cerchio rotto – ArtEventBook Edizioni

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Sabrina, 45 anni, mi occupo di logistica in una multinazionale per necessità, ma la scrittura è la mia fissazione fin dalle elementari! Scrivo nei ritagli di tempo, quel poco che rimane da un lavoro full time e una famiglia con un figlio piccolo. Lettura, psicologia, viaggi e scrittura sono le mie passioni, ben correlate le une alle altre.

 

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Nel cerchio rotto è il mio primo romanzo. Ambientato tra Argentina e Italia, nasce in seguito ad un viaggio fatto in Argentina anni fa, dal quale sono tornata perdutamente innamorata del Sud America. Il contesto storico è in parte quello dell’Argentina dei desaparecidos, tema che ho avuto modo di approfondire dopo aver partecipato ad una conferenza indetta dal console Enrico Calamai, considerato lo Schindler di Buenos Aires. Mi piaceva l’idea di raccontare una storia con una forte connotazione storica e geografica, benché frutto della mia fantasia. Riporto dalle recensioni: “… Nel cerchio rotto trascina il lettore attraverso un mistero che è allo stesso tempo una storia personale, un viaggio, una scoperta e un pugno allo stomaco”; “non sembra un romanzo di esordio. Scrittura certa, robusta e matura…”; “… un romanzo che merita lettura e diffusione… ogni personaggio e ogni momento del personaggio hanno il registro di scrittura che necessitano, senza che questo diventi mai un gioco barocco stucchevole o sovraesponga l’autrice. Quel modo di scrivere che ti coinvolge in tante storie, in tante vite, e solo dopo aver chiuso il libro ti spieghi perché. Brava.”

Una mia nota personale? In tutte le presentazioni che ho fatto per promuovere il libro ho sempre avvertito una reticenza viscerale a parlarne con lucidità, quasi dovessi mettere a nudo una parte troppo intima della mia vita. Mi piace siano gli altri a parlare del mio scritto. Quello che posso dire in maniera oggettiva è che ogni dettaglio del contesto è frutto di ricerca e studio. La storia delle protagoniste è invece storia di emozione e crescita personale, con l’intento di non creare cliché ma personaggi verosimili, non personaggi in verità ma “persone”. E il rapporto con queste “persone” ha la vividezza di un ricordo neanche troppo remoto, albergano nella mia testa anche dopo la trasposizione scritta. Non potrei concepire altrimenti la scrittura, è una parte imprescindibile di me.

 

 

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

 

Scrivo soltanto prosa non per presa di posizione ma perché completamente incapace di pensare in poesia. Pur amando molti poeti è una forma espressiva in cui non mi riconosco, mi è sempre parsa fuori dalla mia portata. Tutta la mia ammirazione per chi invece riesce a cimentarvisi!

 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

 

Non ho contatti diretti con qualche autore in particolare, ma se ho occasione trovo utile leggere brani di sconosciuti come me, devo dire che navigando in vari gruppi di lettura su Facebook mi sono imbattuta talvolta in piccole perle! Gli spunti sono sempre ben accetti.

I punti di riferimento sono molteplici sia tra gli autori classici che tra quelli contemporanei. Amo moltissimo Pirandello, Svevo, Orwell, Camus, Calvino, Wilde e molti altri. La passione per i viaggi e per l’America Latina mi porta comunque sempre verso Marquez, Allende, Sepulveda… con stili e prospettive diverse sanno tratteggiare la magia senza uguali di una terra ricca di contrasti. Sepulveda ha avuto il pregio di farlo con una semplicità disarmante. Mi ha insegnato che si può essere un grande scrittore senza roboanti frasi ad effetto. Lo adoro. Sono affascinata anche dal genio di Saramago, col suo stile sopra le righe pronto a sovvertire ogni canone letterario. La passione per la psicologia mi porta a leggere anche autori come Sacks. Le sue digressioni cliniche mi affascinano molto.

 

 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

 

La situazione nella quale ci troviamo ha reso ancora più marcate le mie passioni. Non potendo viaggiare lettura e scrittura sono il mio rifugio. Emotivamente la situazione di precarietà nella quale ci troviamo non può non avere effetti sulla produzione letteraria. Anche se una parte di me rifugge dalla tentazione di inserire un capitolo “pandemia” nel prossimo romanzo, non posso fare a meno di pensare (e di sottoscrivere) che il senso di smarrimento salterà fuori dalle righe contro la mia volontà. Scrivere è parlare di sé, sempre e comunque. Che lo si voglia o no.

UN LIBRO CON TE con SABRINA TANFI - YouTube

 

Sabrina Tanfi è nata a Livorno nel 1975, dove vive con il marito e il figlio. Laureata in Scienze Politiche, appassionata di viaggi (America Latina in primis), appassionata di psicologia e lettura, lavora in una multinazionale nel settore della logistica, ma scrivere è il suo vero interesse. Nel cerchio rotto è il suo primo romanzo.