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Il diavolo veste Gaga

Chiara Zanetti, poliedrica autrice e redattrice, mi ha segnalato uno dei libri di cui cura la promozione tramite l’Agenzia Aletheia. Si tratta di Il diavolo veste Gaga di Andrea Biscaro. Chiara sintetizza l’essenza del volume osservando che l’autore ha colto “la sfrontata ambiguità di intenti dell’Arte di questa diva mondiale, vista nella sua infinita purezza come nella sua totale trasgressione”.
Sulla base di questa accattivante premessa, e conoscendo la passione autentica di Chiara per Lady Gaga di cui ha tradotto tra l’altro l’intera discografia, ho accettato volentieri di porre ad Andrea Biscaro alcune domande sul suo “innamoramento” per Lady Gaga e sul libro che è frutto dell’intenso “colpo di fulmine”.
IM

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5 domande a

 Andrea Biscaro:

autore del libro

Il diavolo veste Gaga.

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” ai lettori di Dedalus?

Un giornalista qualche anno fa mi ha definito “scrittore multitasking”. Credo sia vero. La scrittura è la mia vita e mi muovo su decine di binari paralleli: narrativa, canzoni, fumetti, libri per bambini, sceneggiature. Ma non solo. Sono anche un ghostwriter. Mi piace immedesimarmi nella vita degli altri.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo rapporto più intimo con questo tuo recente lavoro, indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

È stata la visione di “A star is born” a innescare in me il desiderio di approfondire la conoscenza di Gaga. Dopo il film mi sono inabissato nella sua opera. Un’opera, anche in questo caso, “multitasking”. Adoro chi sa muoversi su più piani. Gaga è un vulcano, un genio. Qualunque medium tocchi, questo diventa oro. Ho deciso di scrivere un libro su di lei, perché era l’unico modo per incanalare l’esplosione di sensazioni che mi scatenava la sua opera, per darle un ordine. Mi è sembrato assurdo, anzi, che non esistessero libri, saggi, studi su di lei. Manca un bibliografia su Gaga. Forse ho colmato una lacuna.

 

3 ) Il titolo del tuo libro richiama in modo immediato un noto film. Ma è anche una sintesi efficace dei contrasti e delle tensioni tra gli estremi opposti di cui si nutre (e ci nutre) l’artista di cui parli.

A tuo avviso quanto è concesso alla scrittura di esplorare la realtà e quanto invece si muove essa stessa nell’ambito dell’immaginazione? Per dirla con Amleto, in che misura siamo all’interno di un sogno e quanto invece ci è dato di cogliere della “verità”, fosse pure la verità della trasgressione?

Scrivere è un giano bifronte: da una parte dà forma e senso al reale, dall’altra quella stessa realtà la destruttura, fino a distruggerla, fino a trasformarla in un sogno, in una visione. D’altronde parliamo di arte. Nulla è più reale di ciò che è irreale. Scrivere di Gaga, poi, è un doppio sogno: onirica e psichedelica, pur con radici antichissime conficcate al suolo, Lady G. racconta di verità terrene e arcane. “Il Diavolo veste Gaga” cerca di far luce nel suo buio, e di far buio nella sua luce.

 

4 ) Hai rivelato in un’intervista che il libro nasce da un innamoramento, o meglio da un colpo di fulmine.

In che modo hai conciliato la passione irrazionale con il necessario rigore logico della scrittura?

La scrittura dà forma all’amore. Scrivo per dare ordine al caos dell’amore. E forse anche per allungarne l’effetto inebriante. Per capirlo, anche.

5 ) Quali sono stati i momenti più esaltanti durante la realizzazione del libro, e, qualora ci siano stati, quelli più frustranti e duri da affrontare?

Credo nel potere rivelatorio della scrittura. L’atto stesso dello scrivere fa affiorare verità nascoste. Gaga scrive e canta attraverso codici e simboli, soprattutto nei primi album e nei primi video. È stato esaltante capire i suoi messaggi in filigrana. Penso a “Paparazzi”, “Alejandro”, “Bad Romance”, “Telephone” in particolare.

Devo dire che non ci sono stati momenti frustranti da affrontare.

6 ) Dopo questo libro, dopo questa ampia e documentata dichiarazione d’amore, il tuo rapporto di passione e attrazione per Lady Gaga è rimasto lo stesso o si è in qualche misura modificato?

Scrivere un libro è come vivere intensamente un rapporto d’amore. Quando finisci di scriverlo, in qualche modo si esaurisce quella carica erotica iniziale. Si esaurisce perché tutta quella passione, tutto quel sentimento galvanizzante, l’hai travasato nel libro. Diciamo che adesso il mio “rapporto” con Gaga è più sereno, meno psichedelico. Più quieto e razionale, ecco.

7 ) Quali sono le vie, non solo artistiche ma anche esistenziali, che a tuo avviso Lady Gaga indica, senza volerlo magari, con il suo percorso biografico di persona, di essere umano dotato di grande fragilità e altrettanto grande forza, prima ancora che di cantante?

Rispondo a questa domanda citandoti un brano del mio libro:

Quante cicatrici ci stanno sulla superficie di un cuore?

Quanto ha sopportato per arrivare dov’è adesso?

Nel brano “Free Woman”, dall’ultimo splendido album “Chromatica”, canta:

Questo è il mio dancefloor

ho combattuto per conquistarlo

Su quante macerie di se stessi sorgono le fondamenta di un successo come il suo?

Quanta forza serve per conservare, vivere e sviluppare una fama come la sua?

Lady Gaga ha detto che la sua forza è la sua capacità di amare.

Crede che avere una voce forte sia essenziale per amare il mondo.

«Io amo tantissimo il mondo, ecco perché la mia voce è così forte» ha detto in un’intervista. Alla domanda: «Ti ricordi il momento in cui hai scoperto per la prima volta la tua voce?» ha risposto: «Credo che una persona scopra la sua voce quando scopre se stessa».

8 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra gli autori classici che tra i contemporanei?

Sono un lettore onnivoro, da sempre. E come tutti gli autori, ho avuto i miei maestri. Te ne cito alcuni, in ordine sparso: Bret Easton Ellis, Bukowski, Lovecraft, Poe, Tiziano Sclavi, Dino Buzzati, Pasolini, Thoreau, Cioran.

Non amo confrontarmi con i miei colleghi. Gli scrittori sono noiosi, parlano solo di se stessi. Gli autori contemporanei? In Italia l’unica vera grande scrittrice è Isabella Santacroce, una sublime outsider, un genio che ha scardinato le “buone” regole della narrazione. Adoro gli artisti fuori dal coro, quelli che sanno giocare e smontare i giochi.

9 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

Vivo su un’isola da 15 anni, in una sorta di lockdown volontario. Per me non è cambiato molto, devo dire. Artisticamente, forse, sono cambiate le richieste, i temi. Meno thriller, ad esempio. La gente ha meno voglia di brividi. Editori e committenti in questi ultimi anni hanno più voglia di storie d’amore. Meglio se vere, autentiche. Il mondo ha bisogno di conforto, anche dall’arte.

10 ) Concludo con un’ipotesi, uno scenario immaginario più che una domanda: se avessi modo di incontrare di persona Lady Gaga, quale sarebbe la prima cosa che le diresti, e, quale sarebbe invece, eventualmente, la frase che non le diresti mai, pur sentendola o pensandola?

Credo che non le direi niente, se non: “Grazie, Stefani!”.

Mi piacerebbe abbracciarla e basta.

E penserei per lei il migliore dei miei sorrisi.

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                    COMUNICATO STAMPA
 Il diavolo veste Gaga: l’ultima pubblicazione di Andrea Biscaro
 IL LIBRO
Proprio in concomitanza con l’uscita nelle sale cinematografiche di “House of Gucci”, Andrea Biscaro pubblica con Officina di Hank il libro “Il diavolo veste Gaga”, disponibile nei negozi e negli store online dal 13 dicembre 2021.
Lady Gaga è Arte in ogni sua manifestazione, questa la tesi dell’autore, il cui testo rappresenta un tentativo di afferrare, smembrare e analizzare il corpo dell'opera di una grande artista, dell'ultima grande diva mondiale, le cui canzoni non sono che la punta di un iceberg. Gaga, infatti, percorre a un tempo musica, moda, cinema, pubblicità, politica, ribaltando il concetto di PopArt. Non è più l'arte ad essere al servizio della cultura di massa, ma la cultura di massa a porsi a servizio dell'arte; ArtPop, quindi, come recita il titolo del terzo album della cantautrice statunitense, pubblicato a novembre 2013.
Ogni passo, ogni apparizione, ogni album di Lady Gaga è una rivoluzione culturale e di costume. Scandalosa, eccessiva, “Mother Monster” è diventata il simbolo di un’orgogliosa diversità, così come il suo brano “Born This Way”, cantato in occasione dell’Europride di Roma 2011.
Inafferrabile e iconica, Gaga gioca con la sua molteplice personalità, esibendo le mille facce del suo cuore messo a nudo, alla stregua di ciò che scriveva nel suo omonimo testo Charles Baudelaire:
“Si possono fondare imperi gloriosi sul delitto, e nobili religioni sull'impostura.”
Come un veggente travestito da esteta, l'autore-dandy svelava in questo modo al lettore la verità in tutta la sua nudità perturbante, la stessa operazione eseguita dalla diva analizzata da Andrea Biscaro.
Angelo e demone, Lady Gaga sa offrirsi come la ragazza acqua e sapone di “A star is born” e nello stesso tempo come la diabolica Contessa assetata di sangue di “American Horror Story”.
Un libro multiforme e camaleontico, proprio come il soggetto narrato e, in ultima analisi, come la verità dell’essere umano.
UN ESTRATTO DAL TESTO
“Quante cicatrici ci stanno sulla superficie di un cuore?
Quanto ha sopportato per arrivare dov'è adesso?
Nel brano “Free Woman”, dall'ultimo splendido album “Chromatica”, canta:
 Questo è il mio dancefloor
ho combattuto per conquistarlo
 Su quante macerie di se stessi sorgono le fondamenta di un successo come il suo?
Quanta forza serve per conservare, vivere e sviluppare una fama come la sua?
Lady Gaga ha detto che la sua forza è la sua capacità di amare.
Crede che avere una voce forte sia essenziale per amare il mondo.
«Io amo tantissimo il mondo, ecco perché la mia voce è così forte» ha detto in un'intervista. Alla domanda: «Ti ricordi il momento in cui hai scoperto per la prima volta la tua voce?» ha risposto: «Credo che una persona scopra la sua voce quando scopre se stessa».”
 NOTE D’AUTORE
Andrea Biscaro è nato a Ferrara nel 1979. Vive e lavora all'Isola del Giglio. Romanziere, cantautore, poeta e ghostwriter è considerato dalla critica una delle voci più interessanti e poliedriche del panorama letterario italiano.
Tra le numerose pubblicazioni ricordiamo: la biografia rock “Io sono il Nirvana – la storia di Kurt Cobain” (Caissa 2018), il libro-cd “Ballate della notte scura” scritto a quattro mani con il padre di Dylan Dog, Tiziano Sclavi (Squilibri 2013, Repubblica XL 2013), il graphic novel “Pornopoema” (Eretica 2020), “La foresteria delle tre sorelle” (Segreti in giallo 2020), “Un cuore pulsante di medusa su uno sfondo rosa” (Nulla Die 2021).
L’EDITORE
Officina di Hank è il marchio editoriale che dal giugno 2020 contraddistingue i prodotti di HC S.r.l., società attiva in campo editoriale dal 2006. La casa editrice ha da sempre come tratto fondamentale quello di raccontare storie dal mondo della musica, e il suo catalogo, in cui spicca quest’anno l’autobiografia di Mark Lanegan, ne è testimonianza diretta. Al di là della musica, il rock fra le righe dell’Officina di Hank si esprime con l’impegno in progetti come la collana “La Raccolta”, nata per diffondere il pensiero antiproibizionista e rinnovare la percezione del pubblico sul tema della cannabis e dintorni.
www.officinadihank.com

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Cucendo i fili della vita – rec. a “La sarta”, di Marilena La Rosa

La sarta, o meglio la sua ideatrice ed autrice, Marilena La Rosa, cuce con i fili della letteratura la vita. O forse la ricama e rammenda con la fantasia, nella terra di nessuno tra verità e immaginazione.
Ho letto con piacere questo libro e altrettanto volentieri ne ho scritto.
Ci conduce lungo un sentiero poco battuto, una favola per adulti disillusi ma non abbastanza da non sapere sorridere quando si ci immagina “con una M gigante sulla maglia” o con la voglia di ascoltare ancora, nei recessi della mente, “versi che si baciano”.
Buona lettura, IM

 

A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.Saranno volta per volta le stesse domande.Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

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5 domande

a

Marilena La Rosa

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Questa è senz’altro la domanda più difficile. Provo a rispondere.

Sono nata e vissuta ad Acireale, che non è un fatto da poco, perché la mia è una città colta, elegante, di una bellezza struggente ma è anche la patria del cavolo trunzo la cui caratteristica principale pare sia legata indissolubilmente al dna degli abitanti (e quindi anche al mio): è duro come è dura la loro e la mia testa. Quindi, sono testarda e ho modo frequentemente di mostrare questa “dote” – che misteriosamente non tutti sembrano apprezzare – , nelle scelte, nelle relazioni familiari e sociali, nel raggiungere gli obiettivi. Nel bene e nel male, insomma. Mi sono poi trasferita a Palermo e qui ho incontrato un altro tipo di bellezza, quella sfrontata, maestosa, abbagliante del barocco o cupa, possente e austera del gotico-normanno. E nelle contraddizioni di Palermo mi sono persa e poi ritrovata e Palermo è riuscita così a diventare metafora piena della mia vita. Posso giurare, quindi, che l’ambiente condiziona l’esistenza. Anche quello familiare, ovviamente. Sono cresciuta con una mamma che mi raccontava i miti e le tragedie greche, ho conosciuto Dafne, Polifemo e Medea prima di Cappuccetto Rosso o Cenerentola. E quindi ho sempre letto e sono cresciuta fra i libri e le conversazioni a tavola avevano il sentore di un’interrogazione agli Esami di Stato: “Chi ha scritto le poesie a Casarsa?”, chiedeva mia madre mentre faceva scivolare una cucchiaiata di purè nel piatto.

Credo che con questo imprinting, il mio futuro fosse irreparabilmente condizionato: mi sono laureata in Lettere e ho iniziato a insegnare all’età di ventitrè anni. In una scuola serale. In una scuola serale frequentata da adulti lavoratori a cui dovevo parlare di Dante e Petrarca. Ed è stato bellissimo.

Da lì è stato tutto un crescendo di attività, ricerche, scritture, viaggi, studi, successi, sconfitte, gioie e pianti.

Ho scritto e scrivo tanto e mi dedico a quello che amo: la mia famiglia, i miei alunni, i miei libri. E trovo il tempo per guardare il cielo stellato, il mare d’inverno, i cuccioli di gatto o le albe trasparenti. E per il cioccolato. Per quello trovo sempre tempo.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Si scrive per vivere e sopravvivere, per tendere all’infinito, per piacere, per presunzione, per romanticismo, per vanità, per lasciare o per centrare un segno. Si scrive perché grumi di idee, parole ed emozioni possano concretizzarsi e ordinarsi in segni striscianti sulla carta. Si scrive per dire “ci sono” e perché dicano “c’era”. Si scrive anche per gioco, per sfida, per evasione. E anche per divertimento.

Continua la lettura di Cucendo i fili della vita – rec. a “La sarta”, di Marilena La Rosa

Roma è davvero solo un fondale?

 

 

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La prima esplorazione sulla Roma di Moravia che ha inaugurato la rubrica “Viaggi al centro dell’autore” è risultata vincitrice del premio ‪#‎InWebWeTravel‬ 2015 sezione Lazio nell’ambito del Festival della Letteratura di viaggio.‪#‎LetteraturadiViaggio‬ .

 

Roma è davvero solo un fondale?

In occasione dell’anniversario della morte di Alberto Moravia, avvenuta il 26 settembre 1990, mi accingo a scrivere di Roma, di quella Roma vissuta ed interiorizzata dallo scrittore che ne fa non semplicemente lo sfondo dei suoi romanzi ma uno specchio della società e dei suoi profondi cambiamenti. Da via Sgambati dove Moravia ebbe i natali in zona Pinciana alla sua casa a Lungotevere Vittoria. Per Moravia Roma è un misto di vitalità e decadimento, un humus letterario nel quale immergere le sue storie, i suoi personaggi, le contraddizioni di una società che si va progressivamente disgregando e corrompendo.

Così ebbe a scrivere Moravia su Roma: “Sono nato e vissuto a Roma e ho avuto sempre gli stessi problemi insoluti e insolubili nel mio rapporto con la città”. «Una piccola città mediterranea, quasi più piena di monumenti che di case», una città che ha tentato sempre invano di trasformarsi in una vera capitale europea senza riuscirci poiché sempre un po’ provinciale.

Una città costretta dalla Storia ad assumere un ruolo internazionale senza essere mai in grado di staccarsi dalle radici antiche, fino a costituire un reticolo sconfinato di rioni e quartieri, quasi cittadine adiacenti, repliche infinite di un modello antico, un ibrido immenso.

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Ma forse proprio per questa natura ambigua, accattivante e straniante, gentile e spietata, rozza e raffinata, Moravia trova a Roma lo spazio ideale, lo specchio per la sua stessa indole, umana e letteraria. Lo scrittore Alberto Pincherle era allo stesso tempo aristocratico e immerso nella carnalità, o almeno nel desiderio della carnalità, come un gourmet cerebrale e combattuto che non tocca gli oggetti ma si inebria in segreto di odori e profumi, senza confessarlo neppure a se stesso. Pincherle, mezzo marchigiano e mezzo veneto, per metà nordico e per metà dell’Italia centrale, con una voglia di solarità contrastata da uno Stato Pontificio ancora presente a dispetto dei secoli, trova a Roma l’oggetto ideale per il suo amore e il suo odio. Perché si può odiare solo ciò che si ama profondamente, ciò che ci assomiglia, e quindi ci spaventa, nell’atto stesso di attrarci in modo irresistibile. Moravia, costretto a fare i conti con la sua origine borghese, vissuta come privilegio e colpa, messa a confronto in modo ineluttabile con la radice schiettamente popolare del suo amico-collega Pasolini, a Roma, negli ambienti della sinistra fedele ai dettami ideologici, vive da straniero, come il protagonista del romanzo di Camus, alla ricerca di una verità autentica che sfugge continuamente. Non gli resta allora che utilizzare le armi che ha a disposizione, la parola, la scrittura, la fuga e il ritorno.

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Moravia ridisegna la città nei suoi libri e nei suoi scritti. Non per trasformarla in un’improbabile Arcadia moderna. Per tramutarla, piuttosto, in un luogo vivibile, per lui e per tutti gli esseri complessi e multiformi, gli stranieri che necessitano radici e gli indifferenti che provano, a ben vedere e sentire, profonde passioni. Riscrive la toponomastica della città, ma in modo che ogni luogo reale sia riconoscibile. In pratica allontana la donna amata ma senza lasciarla uscire dal raggio del suo abbraccio e del suo sguardo.

Lo stesso avviene anche con le sue innumerevoli fughe, i viaggi all’estero, lunghi, infiniti, in luoghi esotici veri, difficili, non da cartolina illustrata. L’India, la Cina, l’Africa, luoghi fertili di umanità sofferente e vitalissima. Distanti, dal suo mondo, dal suo elegante Lungotevere Vittoria.

Eppure, l’eterno ritorno, una volta ritrovata la macchina da scrivere, è quello nei luoghi angusti della città eterna. Moravia rifugge i grandi spazi, ha bisogno di concepire storie che si svolgono tra le stanze di un appartamento, i corridoi, le stanze da letto. Si immerge nelle vastità del mondo per poi ritornare a pensare ai microappartamenti romani, là dove si svolgono guerre invisibili e micidiali, là dove l’umanità combatte le battaglie evolutive, quelle per la sopravvivenza, quelle della resistenza all’assurdo, alla pressione annichilente dei rapporti interpersonali, a quella noia invisibile e strisciante che avvelena la voglia di vivere.

La Roma di Moravia non è mai quella da dépliant turistico ma neppure quella dei quartieri degradati, con il cemento grigio e grezzo che divora prati periferici.

La sua Roma è allo stesso tempo un’idea e un ascensore reale, di metallo, che conduce ad una casa reale, borghese, con tutto il bene e tutto il male che può contenere, sia l’abitazione borghese che la parola che la definisce.

Per questa ragione Moravia e Roma sono un binomio così forte, perché è una simbiosi autentica, fatta di attrazione e paura. Roma è l’amante imperfetta da cui lo scrittore e l’uomo Moravia si staccano per poi ritornare, nel momento stesso in cui si accorge di non essersene mai allontanato veramente, neppure a migliaia di chilometri di distanza.

Roma è l’amante che cambia con gli anni, restando alla fine se stessa. Quella che si vorrebbe vedere mutare veramente, lasciando dietro di sé le meschinità, le minuscole e becere ruberie, le furbizie da poco e gli intrallazzi autolesionistici. L’amante che si spera possa cambiare dentro, e invece muta solo pelle, diventando solo ricoperta di plastica dai colori fosforescenti. Dentro, rimane la stessa. Ma tutto ciò non cambia l’amore nei suoi confronti. Non lo muta di segno né di intensità. Perché quella imperfezione, quel mutamento fittizio e sofferto, è lo specchio delle contraddizioni che Moravia sente e percepisce intensamente in ciò che vive e ciò che scrive.

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Per Alberto Moravia Roma è il luogo dove ritornare dai suoi continui viaggi che lo videro protagonista fino agli ultimissimi anni di vita.

I viaggi gli permisero di sperimentare il cosmopolitismo, di confrontarsi, di conoscere grandi personalità politiche quali Nehru, Tito, Arafat, Ceausescu e Castro e che egli seppe far rivivere in molti articoli e libri ad essi dedicati.

La vita romana di Moravia si muove per il centro tra le case di via Sgambati al quartiere Pinciano, via dell’Oca a Ripetta e quella ultima sul Lungotevere della Vittoria. Difficile da inquadrare tanto è distante la Roma dei salotti da quella delle vecchie borgate o delle attuali zone dormitorio. La città è un arcipelago e il punto di vista di Moravia è necessariamente parziale. Eppure, proprio per questa ambivalenza intrinseca, il suo modo di narrare, il suo approccio con la materia descritta nei suoi libri, forniscono una delle rare immagini in grado di riassumere in un’unica cornice i volti contrapposti, le diverse nature, gli errori e gli orrori, le debolezze e gli slanci, sia della sua specifica città di elezione sia, in un contesto più ampio, di tutti gli esseri che, tra città e borghi, mura soffocanti e progetti di orizzonti, provano a tramutare la noia in vita e il disprezzo in attenzione.

Roma, anche grazie a Moravia, rimane un sentimento che ti lega senza alcuna catena. Non una destinazione, un’icona, un topos, ma parte integrante di chi la vive e l’ha scelta, volente o nolente, come suo “fondale”.