Responsum – recensione del libro

Rosaria Mariagrazia Fiorentino, Responsum, Ladolfi editore, 2022
Recensione di Ivano Mugnaini

“Non porgere orecchio / a chi ti descriverà / come qualcosa di strano.” Questi versi perentori, accorati, si trovano all’inizio di una delle poesie più significative di Responsum, il libro di poesie di Rosaria Mariagrazia Fiorentino.
Si tratta di un’esortazione di notevole rilievo e sostanza, in quanto vale sia nel contesto specifico del dialogo in forma di versi tra i due innamorati che costituisce la struttura portante della raccolta, sia, a più ampio raggio, per il valore metaforico che spontaneamente assume.
Qualcosa di “strano” è, in primis, a ben riflettere, l’amore. Lo è sempre e comunque, in qualità di partita di poker a occhi chiusi, giocata senza neppure conoscere le proprie carte, non solo quelle dell’avversario. Una corsa controvento, e, non di rado, contro il mondo, contro la folla che avanza compatta come un muro in senso opposto alla marcia dei piani, dei sogni, delle necessità, dei desideri.
Qualcosa di strano è, in modo altrettanto evidente, la poesia. Lo è nella forma e nella natura profonda, nella capacità, anzi, nella necessità di sconvolgere e ribaltare le regole della sintassi, della logica, del modo ortodosso di vedere e di pensare.
La posta in palio, per chi si schiera dalla parte dell’amore e della poesia, è, in ogni caso, estremamente preziosa; seppure anch’essa complessa, multiforme. Il premio è la libertà di essere se stessi, di vivere emozioni autentiche, forti, non fittizie o di maniera.
Ho avuto il compito e il piacere di scrivere la prefazione di Responsum. In quell’occasione ho avuto modo di ribadire alcune delle caratteristiche della raccolta che mi avevano colpito in particolare sia sul piano dei contenuti che a livello di linguaggio; e le due dimensioni risultano nelle liriche della Fiorentino adeguatamente correlate.
I versi sono brevi, limati all’estremo, alla ricerca di una sintesi che generi solennità senza minare le basi dialogiche della raccolta, ossia l’alternarsi di cui si è detto tra le voci di due persone innamorate. Vengono tolti tutti i fronzoli e gli orpelli, di modo che resti l’urgenza del dire e del provare emozioni.
“Sacrifico / vita / salute / beni / felicità / posizione. / Io non voglio amare. / L’idea originale permane. / Lo considererai un malsano pensiero. / Ho conosciuto me in te. / Tu conoscesti te stesso / attraverso me / In realtà non ci conoscevamo. / Ma io non voglio riconoscermi così. / Gelosa / Invadente / Appassionata. / Sono una anima randagia / che fugge alle catene”.
Questa esternazione, affidata alla voce femminile, alla “Lei” che parla in prima persona, ci consente di rilevare ulteriormente ciò a cui si è fatto cenno: l’amore di cui parla il libro è “controcorrente”, avulso ai contesti ritenuti accettabili dalle convenzioni sociali. La voce femminile, tramite cui l’autrice esprime se stessa, si rende conto del peso del rapporto e lo manifesta con chiarezza e genuinità all’amato.
È interessante a mio avviso osservare come la Fiorentino non cerchi in alcun modo la “complicità” del lettore. Non vuole convincerlo di avere ragione, non vuole comprensione né sconti di pena, non cerca consensi e non teme condanne. La natura propria di questo libro è quella di un giornale di bordo in forma di versi, o meglio quella di un diario condiviso tra due amanti in cui ognuno vede il giorno, il mese, l’anno, il tempo, con occhi diversi, a seconda dei battiti dei cuori, dell’alternanza di desideri, necessità, rimpianti, paure.
Il contrappunto delle due voci, spesso come detto composto da versi brevi o brevissimi che a volte esondano come fiumi in frasi ampie, giunge progressivamente a quella che è una sorta di coincidenza degli opposti. Ossia, seppure da due fronti ormai necessariamente contrapposti, entrambi riconoscono all’Amore (quasi personificato, giudice che salva e condanna se stesso) il potere di dire sì o no, di avere la parola definitiva.
Ma, paradossalmente, la parola definitiva dell’amore è una sola: amore. Sì, ancora una volta lui, lui soltanto. Non si tratta di un gioco di parole ad effetto né di una tautologia. L’amore sa che, pur nel buio delle stanze, pur nella clandestinità imposta da regole che prescindono da lui, esiste, vive, sussurra, urla, tocca, divora, divora noi e se stesso.
I due amanti, nell’atto di affermare due istanze opposte, il desiderio di proseguire il rapporto da parte di lui e la necessità di concluderlo da parte di lei, in realtà affermano un’identica cosa. Dimostrano, non con teorie astratte, ma con la realtà dei loro abbracci e dei loro tormenti interiori, che il loro tempo insieme è stato (ed è) amore vero.
“Parlami, / portami / nel mondo dei tuoi sogni. / Il mondo / dove non c’è nessuno / tranne me e te / e il peccato”. Questi versi, affidati alla voce maschile, al “Lui” che interloquisce con la sua amata, contengono, forse, alcune delle chiavi della raccolta. La richiesta è quella di essere nuovamente accolto nel mondo dei sogni di lei. Tuttavia, nei versi successivi, tale mondo viene definito privo di gente esterna, e, a dispetto di ciò, dominato dal “peccato”.
La raccolta, pur essendo come detto, espressione diretta e in apparenza non filtrata di un dialogo quasi registrato “in presa diretta”, senza interventi autorali, in realtà, in modo indiretto e implicito (e proprio in virtù di questo credibile e coinvolgente), pone e propone alcune riflessioni fondamentali sui limiti e sui confini della libertà individuale, sulla linea di demarcazione tra dimensione onirica e dimensione fattuale e sulla distinzione fondamentale tra diritto alla libertà e possibilità di scavalcare le barriere e le demarcazioni sociali e morali.
Accade così che nelle poesie di questo libro, al di là di un linguaggio volutamente lineare, niente sia “a cuor leggero”. Di ogni espressione, di ciascun vocabolo, cogliamo sia la parte assolata sia il lato in ombra, il volto oscuro della luna.
Lui implora, grida di volerla ancora, di volere ancora i loro abbracci in stanze chiuse e protette da sguardi esterni. E mentre lo urla sa che otterrà un “no”. Così come sa che non si deve e non si può. Non più. Lei segue la ragione. Accoglie la riflessione matura che la porta a rifiutare un rapporto che la sta corrodendo dentro e fuori. Ma mentre cede il passo alla ragione, dentro di sé, nel profondo, percepisce ancora fortissimo il desiderio di lui e del loro amore.
“Il battito del mio cuore / sul tuo / lì in penombra. / Sentirsi noi. / Lì in penombra. / Incoercibile serenità / dell’attimo. / Attimo / lieve / gaio / dirompente / che ha portato via / l’infantile. / Attimo / di un gesto / di una risata / di un gemito / di una occhiata / lì in penombra”. Sulla base di quanto esposto qui in questa disamina, la logica vorrebbe che questa espressione di desiderio ancora vivissimo, di trasgressione che urla, fossero gridati a voce ancora più alta da lui. Scopriamo invece che è il contrario. È lei che li pronuncia, nitidi, nella parte conclusiva del libro, dopo avere detto e argomentato mille “No”, con la n maiuscola, motivati, spiegati nei dettagli, con la chiarezza sofferta di chi valuta il bene e il male di tutto e di ciascuno.
Responsum è un libro molto particolare, nutrito da mille ossimori, alcuni voluti e creati ad hoc dall’autrice, altri nati dalla sincerità con cui i dialoghi dei due amanti sono stati riportati, quasi avessimo di fronte la trascrizione puntuale da parte del dibattito in un’aula di tribunale o di un registratore acceso tra le mura di un’alcova.
È un libro lineare e complesso, tenero e aspro, agro come frutto acerbo e tagliente come spina di rosa. È un libro che appare come espressione di una vicenda assolutamente individuale. E tuttavia ognuno, ciascuna lettrice ciascun lettore, alla fine vi può ritrovare qualcosa di suo, un pensiero, uno stato d’animo, un’incoercibile contraddizione esistenziale.
È un libro in cui l’amore, ammettendo le sue colpe, manifestando la propria imperfezione e fragilità, in realtà conferma, sornione, con occhio da angelo e da diavolo, la propria incontrastabile predominanza, la consapevolezza di possedere e di dare il solo bene e il solo male del mondo. Tutto il bene e tutto il male che gli esseri umani possono vivere, sentire, soffrire, desiderare, divorando ed essendo divorati.
Questo libro è un diario, ma anche un Bildungsroman, un romanzo di formazione scritto in versi, e un saggio filosofico travestito da frasi in apparenza semplici che parlano di abbracci nel buio, nella penombra sospesa tra la necessità umana di dare se stessi a chi veramente si ama e la consapevolezza altrettanto possente dell’autodistruzione.
In amore ci si annienta, sembra dirci l’autrice. Ma con altrettanta vividezza ci conferma che senza amore si è già morti molto prima di essere effettivamente defunti. Responsum è un processo all’amore, che, di riflesso, diventa un dibattimento sul confine tra libertà e regole, sul discrimine tra bene e male, tra osservanza del giusto e abbandono cerebrale e sensuale al peccato.
Alla fine di tutto però, in virtù del coraggio della sincerità che Rosaria Mariagrazia Fiorentino ha saputo mettere nero su bianco, viene fuori dalla lettura un verdetto, uno solo, incurante della ragione e della canonica coercizione: per un essere umano degno di tale nome, il solo autentico “peccato” è non avere amato e non amare.

Ivano Mugnaini

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