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inizio corso II livello di Scrittura Creativa Emozionale

Ricevo e volentieri condivido da Manuela Minelli e Vanna Alvaro la notizia riguardante questo corso di scrittura creativa emozionale. 
E l’aggettivo “emozionale” è sempre bello da leggere. Porta sempre buoni frutti.
Qui sotto la notizia che ho ricevuto da Manuela Minelli.
Chi fosse interessato a ricevere informazioni più dettagliate può contattare Manuela Minelli e Vanna Alvaro tramite Facebook oppure attraverso il sito Elisir Letterario:  https://elisirletterario.com/ oppure ai numeri riportati nella locandina qui sotto pubblicata.
Buone letture e buone scritture, IM

Locandina corso scrittura emozionale

Elisir di Parole - raccolta di racconti
Cari tutti/e condivido con voi la notizia dell’ inizio corso II livello di Scrittura Creativa Emozionale, delle cui classi precedenti io e l’ altra insegnante, Vanna Alvaro, andiamo super fiere ed orgogliose in quanto gli allievi hanno tirato fuori racconti appassionanti, fantasiosi e ben congegnati e ben 4 di loro hanno vinto premi letterari. Tanto che di tutto questo materiale letterario ne abbiamo fatto un libro di cui sono andare a ruba in un mese quasi 200 copie ( infatti il libro è in ristampa).
Chi volesse info su programmi, modalità di partecipazione, costi (irrisori, euro 400 pagabili in due tranche x circa 30 ore di lezioni totali) può telefonare ai numeri in locandina o scrivere alla mail che trovate sempre lì. 
 PS: lezioni vengono tutte registrate e inviate in automatico al gruppo Whatsapp-classe, per sopperire in caso di perdita lezione oppure per approfondire argomenti trattati.
 Abbiamo ancora 5 posti, le classi infatti sono a numero chiuso per permettere un più efficace svolgimento delle lezioni.

Manuela Minelli e Vanna Alvaro

Elisir Letterario

intervista a Dante Maffia

Cari amici, Ferragosto è davvero imminente e molti di voi saranno immersi (è il caso di dirlo) in tutt’altre acque e differenti atmosfere.
Qui sulle sponde del web la scrittura e la poesia non vanno del tutto in vacanza e rilevano eventi interessanti.
Tra i tanti segnalati e segnalabili, faccio riferimento all’iniziativa “Erato a Matera” prevista oggi, 13 agosto. Il programma prevede tra l’altro un intervento di Dante Maffia su “La poesia oggi in Italia”. L’argomento è di particolare interesse e il personaggio ha una notevole conoscenza dell’ambiente, una lunga e proficua produzione, e, non ultima, una personalità definita e autonoma. Maffia ha frequentato autori del calibro di Pasolini, Bassani, Carlo Bernari, Amelia Rosselli, Enzo Siciliano, Domenico Repaci, Elio Pagliarani, Attilio Bertolucci, Giacinto Spagnoletti, Sandro Penna, Maria Luisa Spaziani, Giorgio Caproni, Aldo Palazzeschi. È stato candidato al premio Nobel per la letteratura, è poeta, scrittore, critico letterario e orgoglioso testimone della sua terra, la Calabria.
Gli ho posto alcune domande sullo stato attuale della poesia a cui ha risposto con schiettezza e verve, esprimendo il suo personale punto di vista su vari temi e argomenti, sia di carattere specifico che di portata più generale e onnicomprensiva.
Tutto ciò si inquadra alla perfezione anche nello spirito della rubrica A TU PER TU, il cui intento è quello di generare un potenziale dibattito, uno scambio di pareri e opinioni, sottolineando l’importanza di una pluralità di approcci e prese di posizione.
Partendo da questa intervista si può parlare, per analogia o per contrasto, di tutto ciò che ruota attorno al variegato pianeta della scrittura, e, in termini più ampi, di questo nostro tempo.
Qualsiasi commento che arricchisca il dibattito su questi temi è ben accetto.

L’intervista completa si può leggere anche a questo link: https://ivanomugnainidedalus.wordpress.com/2015/08/13/rubrica-a-tu-per-tu-intervista-a-dante-maffia/

Buona lettura! IM

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Intervista aDante Maffia

Che giudizio dai dell’attuale stato della poesia? Come valuti i nuovi fermenti letterari in particolar modo la sperimentazione, anche “ludica” o dissacratoria?

C’è uno stato della poesia attuale? O è soltanto un farneticare approssimativo e superficiale di velleità che crea confusione e non si pone nessun problema e soprattutto non parte dalla conoscenza del passato remoto e prossimo per confrontarsi, colloquiare, disconoscere, ampliare, indignarsi, aderire. Non ci sono nuovi fermenti se non in qualche solitario e ciò che viene offerto e imposto “ufficialmente” è ragione che non ha attinenza con la poesia. E attenti a giocare con la lingua e non fare come quello scienziato che stava studiando le stelle e s’è innamorato del cannocchiale.

Il solo significante, non mi stancherò mai di ribadirlo, non porta da nessuna parte. I giochi di prestigio e i cruciverba fatti passare per poesia sono ridicolaggini da circo equestre, che non lasciano traccia. Tra l’altro non sono affatto una novità le composizioni del nonsenso, appaiono in Gran Bretagna già nel Settecento. Ciò non significa che bisogna muoversi nell’acqua stagnante o putrida, ma con atteggiamento giusto, consapevoli che la poesia non è solo vocabolario o trovata, ma qualcosa di più profondo, un’alchimia imponderabile fatta di vari elementi che per diventare poesia devono amalgamarsi perfettamente.

A me, quando si parla di avanguardie, mi viene da ridere, perché chi scrive è sempre nella postazione delle avanguardie. E poi, ci possono essere le avanguardie se non esistono le retroguardie? Perché in Italia siamo arrivati a questo, perfino ad affermare che i classici sono roba inutile, zavorra. Intanto hanno alimentato epoche intere e alimentano anche la nostra nei più intelligenti e più accorti, perché la poesia è diversa dalla scienza. Qualsiasi insegnante di matematica e fisica delle scuole medie è più bravo di Galilei ma nessun insegnante di lettere ha una briciola di Dante Alighieri. La poesia non è sviluppo costante, approdo e svolta di un qualcosa, ma realizzazione di un miracolo di emozioni e di pensiero che spalanca la nostra coscienza ad emozioni inusitate che ci permettono di avere consapevolezza della realtà e del mondo. Insomma, la poesia, se c’è, è senza tempo e senza aggettivi, ecco perché chi mescola e fa il funambolo non coagula che aria fritta.

Pensi che la poesia, nell’intento di aprirsi ad un pubblico più ampio, rischi in alcuni casi di snaturarsi oppure che tale ampliamento sia insito nel processo innovativo?

Non ho mai capito perché la poesia dovrebbe, per alcuni deve, abbassarsi a un ruolo che non le compete e perché dovrebbe, o deve, andare a caccia di pubblico. Sento spesso, anche giornalisti di rango che però di poesia non conoscono neppure l’odore o la puzza, citare cantautori o cantanti con sussiego e convinti di avere scoperto l’acqua calda. La poesia, quella vera, può arrivare ovunque per vie impensate, ma programmarla per il cabaret è una illusione che diventa beffa. Basta fare una riflessione: il cabaret è spettacolo, la poesia è la negazione dello spettacolo, ecco perché i vari Sanguineti, Cacciatore, Balestrini, Zanzotto, Majorino, Pagliarani e i tanti figlioletti e nipotini come Santagostini, Delia, De Angelis, Cucchi, De Signoribus, Marcoaldi, Buffoni, hanno scritto pagine insulse che sembrano aborti di non si sa che cosa. Di loro non resta traccia, di loro non si ricorda di un solo verso. Anche la distruzione dovrebbe essere fatta con criteri creativi, ma se non esistono…

A volte mi domando il motivo per cui alcuni hanno scritto e pubblicato versi. E’ probabile che glielo abbia ordinato il loro medico curante per una qualche ragione psicologica. Non hanno da dire nulla, non provano e non danno vita, non accendono verso nulla… non avrebbero potuto continuare a fare i funzionari delle case editrici lautamente pagati, i traduttori, i professori universitari, i giornalisti?

È possibile andare oltre la distinzione classica tra prosa e poesia? Hai qualche suggerimento in proposito?

Anche quando sembrava che la distinzione fosse categoricamente da rispettare, la barriera o il muro compatto non ha mai impedito né ai poeti, né ai critici, di andare oltre la distinzione. Chi non ricorda le osservazioni di Luigi Russo, di Braccesi, di De Robertis, di Ravegnani, di Titta Rosa, di Sapegno su alcuni brani de I promessi sposi? Chi non ricorda quel che si disse sui poemetti in prosa di Baudelaire o di Lautreamont?
A me è sempre parsa, questa, una questione di lana caprina. Ovviamente se si tratta di prosa che ha un suo ritmo, una tenuta, un timbro, un lievito che fa smuovere il significato nel ritmo vitale delle immagini e del pensiero. Altrimenti, se è prosa sciatta non riesce ad avvicinarsi alla poesia e segue la sua natura. Tutto sta, insomma, nella bravura di chi scrive, nelle sue qualità, nella sua tenuta.

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La scrittura a tuo avviso è più ispirazione o mestiere? Ovvero, parafrasando Rilke, come interpreti il concetto di “necessità di scrivere”?

Nella Lettera al giovane poeta Rilke ha sintetizzato il problema in maniera decisiva. Ultimamente ne hanno scritto comunque in tanti, da Borges a Kundera, da Vagas Llosa a Brodskij e ho notato che alla fine sono tutti concordi su un punto: il mestiere è necessario per avere una maggiore possibilità espressiva e una più precisa consapevolezza delle qualità, ma senza il famoso “quid” che dà alla parola le ali, non si va da nessuna parte. Si fanno resoconti più o meno piacevoli, si offrono spezzoni di non si sa che cosa, si scrivono pagine senza costrutto e via dicendo… e il bello è che critici o giornalisti stupidi o prezzolati “interpretano” lo sciocchezzaio e ne danno spiegazioni estrose con un abuso sperticato della parola semantica.

“Poeti si nasce, grandi si diventa”, detta un adagio goethiano, e la natura dovrebbe insegnarci qualcosa. Ci sono le querce e ci sono i pini e i lecci, per restare agli alberi, e per quanto si possano curare le querce, potarle al tempo giusto, corteggiarle e adorarle, non porteranno mai né fichi, né arance, neppure con gli innesti più fantasiosi.

Ogni uomo nasce con predilezioni (se volete, chiamatele vocazioni) che naturalmente bisogna coltivare e innaffiare per ottenere che diano frutti. Così è anche per la poesia. Non si spiega altrimenti la dedizione totale di alcuni fino all’immolazione.

Quale rapporto sussiste tra la “necessità di scrivere” e la sperimentazione, anche “estrema”, e con l’avanguardia di cui abbiamo accennato poco sopra?

La necessità ha una capienza, una misura… e dunque non si possono giustificare gli sproloqui di nessuno. L’ho già detto, la poesia è di volta in volta sperimentazione per vedere se la parola riesce a contenere percezioni ed emozioni, pensieri ed esperienze. Nessun poeta si sognerebbe mai di adagiarsi nel comodo alveo dell’insignificanza per navigare per mari ottusi o inerti. E chi sventola la parola avanguardia credendo di lasciare indietro gli altri è un illuso che fa la corsa senza veri avversari.

La poesia, essendo creazione, è di per sé un rischio continuo. Ma rischia chi “sente”, chi “vede” oltre, chi sa scavare nel proprio io e nelle ragioni dell’altro e del fluire incessante del tempo.

Ci sono troppi mestieranti che si dicono poeti e troppi dilettanti che fanno altrettanto. E’ una marea che ormai fa quasi paura, anche perché internet permette la visibilità, che è un bene e un male. Ma a questo punto la discussione si farebbe troppo vasta con implicazioni sociologiche e antropologiche di dimensioni planetarie. La poesia vive e si genera nella semplicità, nel germogliare di una luce che è calore e dimensione umana. Non riconosce la stupidità e l’alterigia, non lega con la banalità e con la confusione. Né tanto meno con le mascherate degli pseudo avanguardisti.

Secondo te le case editrici sono ancora in grado di fare “scouting” di nuovi talenti o si limitano a rincorrere i “fenomeni ” del momento?

Le case editrici hanno cambiato natura. Dopo aver letto un mio libro un editore mi ha detto, sorridendo: “Ma questa è letteratura, per carità, pubblicarlo sarebbe un suicidio”.

Scouting di nuovi talenti? Forse quando a dirigere le collane c’erano i Vittorini e i Pavese, i Bassani e gli Spagnoletti, i Ravegnani e i Titta Rosa, i Sereni e i Bazlen… Oggi ci sono direttori commerciali e se proprio devono scegliere allora è meglio fare favori a un amico, a un compare o a un politico, tanto, la poesia chi la legge più? E chi la capisce? Ed ecco il proliferare, nelle grandi case editrici, di pagine grufolanti, di versi la cui insipienza non ha nome. L’appiattimento è assicurato, la democrazia dell’oscuro dettato può trionfare.

Non c’è la rincorsa neppure ai fenomeni del momento, perché semmai i fenomeni sono creati dai favoritismi.

Non so se siamo vicini alla morte della poesia, diciamo semmai al suo tentativo di soffocamento. Anche se questi signori dell’editoria non hanno fatto i conti che i poeti veri, quelli che hanno da dire, che hanno “necessità” di scrivere, vivono nelle catacombe e tutti sanno che dalla catacombe prima o poi rinasce il pulsare del senso nuovo.

Come giudichi la critica letteraria attuale? Esempi come Primo Levi e Tomasi di Lampedusa, le cui opere furono inizialmente rifiutate da prestigiose case editrici, sono ancora oggi un memento dell’incapacità di alcuni critici di comprendere la portata e il valore di un’opera?

In qualche modo ho già risposto a questa domanda. Aggiungo soltanto una postilla. Può succedere che un’opera non piaccia, non convinca, non mi scandalizza il fatto. Una bellissima donna, anche riconoscendola tale, può non attirarci o interessarci. Ma oggi non si tratta di questo, oggi c’è un progetto organizzato che punta a portare avanti i “propri”, al di là delle qualità. Tanto c’è l’editing, il sondaggio, la pubblicità. E se non funziona pazienza. Ci sono autori totalmente e sempre invenduti ma che continuano ad essere pubblicati dalle sigle acclarate. Non parliamo della poesia.

Cosa ne pensi dei fenomeni come l’autopubblicazione e l’editoria a pagamento?

Sono fenomeni, come tu stesso dici, e se non prendono soldi dallo stato o dagli enti, non mi tocca. Comunque a volte si trova qualche bella sorpresa impossibile, quasi, da trovare nelle collane un tempo prestigiose. Ci sono riflessi sociali? C’è un inquinamento? Non so valutarlo appieno, e comunque questo fiume immenso di carta molto spesso è avallato dai così detti grandi nomi di critici e poeti.

Oggi 13 agosto a Matera si tiene il Festival dell’arte e della poesia “Erato a Matera”. Che ruolo hai in questa manifestazione?

Sono stato invitato da amici a cui voglio bene e che stimo e andrò a Matera con gioia perché la ritengo una delle più belle città italiane. Un ruolo? Credo quello di stare insieme con altri poeti e critici, discutere, confrontarmi, mettermi in discussione, come faccio sempre, per cercare di crescere. Conosco i miei molti limiti e ho sempre voglia di eliminarne qualcuno grazie alla disponibilità culturale e umana degli altri. Lo dico senza falsa modestia.

Le tue radici sono profondamente legate alla tua terra, la Calabria. Pensi che la poesia e la cultura trovino adeguato spazio nelle politiche di valorizzazione territoriale? Hai in mente progetti, iniziative, collaborazioni che vanno in questa direzione?

La Calabria è la mia culla e la mia identità. Ha troppi nodi intricati nel suo seno e qualcuno mi si è conficcato nel sangue. È una regione troppo frastagliata, composta da oltre quattrocento paesi uno diverso dall’altro per tradizione, storia e cultura. Non ha un unico volto, tuttavia ci sono delle zone di eccellenza grazie a uomini fattivi che credono nella forza delle idee e della poesia. Manca un coordinamento generale e quindi la valorizzazione è sporadica, spesso inefficace.No, nessun progetto e nessuna iniziativa. Vivo, sogno. Sono pazzamente innamorato, ma non domandarmi di che cosa o di chi. Vivo la Poesia intensamente, totalmente.

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