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A TU PER TU – Stefano Vitale

Delle risposte di Stefano Vitale all’intervista, mi ha colpito tra gli altri questo passaggio: “prendere posizione, attraverso la poesia e il disegno, sulle lacerazioni della contemporaneità, del presente. Non si tratta di un libro ‘ideologico’, perché l’intento principale è fare poesia ed arte. In questo caso misurandoci col presente, affrontando l’impoetico con mezzi poetici. E cercando di proporre una visione più universale dei temi che trattiamo. Lo spunto nasceva dall’indignazione per le politiche sull’immigrazione e l’accoglienza di tutti i migranti del mondo, dalla rabbia per la generale indifferenza, ma anche dall’esigenza di cogliere e rappresentare il sentire dell’uomo e della donna di oggi immersi in questa realtà”.
Ci sono in queste parole molti spunti, molti inviti, impliciti ma molto pressanti, alla riflessione, anzi alla necessità di chiamarsi in causa. “Affrontando l’impoetico con mezzi poetici”, scrive Vitale. E non è solo una frase bella esteticamente. Anche se la bellezza è forse, oggi più che mai, un’arma di difesa. L’impoetico lo sappiamo cos’è. Ognuno se lo trova davanti agli occhi, nei timpani e nel cervello ogni giorno. Ognuno ha il suo personale “rumore” da affrontare. E sappiamo anche che “rumore” in vari ambiti disciplinari, da quelli tecnici a quello filosofici, psicologici e linguistici, è molto più del semplice chiasso. È il frastuono della disarmonia. C’è da valutare allora le contromisure. Quali sono i mezzi poetici? Oltre alla parola, al verso, c’è ad esempio, la musica, e non è casuale in tale contesto il legame profondo di Vitale con la musica, soprattutto quella sinfonica, a cui accenna egli stesso nelle risposte.
Ma i mezzi poetici non sono solo strettamente artistici. Se l’indifferenza è il male per antonomasia di questi nostri tempi, bisognerà agire sul tasto opposto, creare un controcanto, un’azione uguale e contraria che eviti la caduta nel baratro. Sandro Luporini e Giorgio Gaber avrebbero scritto e cantato che “Libertà è partecipazione”. I confini, sia quelli reali fatti di mattoni e filo spinato, sia quelli mentali non meno solidi e laceranti, si abbattono nel momento esatto in cui si partecipa del dolore degli altri. Ritrovare un “sentire” autentico è la vera sfida. Ciò che ci restituirà la dimensione di uomini e donne. La nostra autentica umanità.
Coerentemente, Vitale ha una visione sobria e oggettiva. La speranza non è data “a priori”, va conquistata, va meritata.  Anche il suo sguardo sul mezzo tramite cui si esprime è schietto: “Ho sempre sostenuto che la poesia è una cosa fragile che però ha in questa fragilità la sua qualità, la sua forma di paradossale resilienza. […] La poesia dovrebbe, talvolta, obbligare il lettore a non distrarsi, a tendere lo sguardo verso l’inatteso, costringendolo anche a prendere coscienza di quel che si vorrebbe rimuovere. Così facendo la poesia prende sul serio i vuoti dell’esistenza, le fratture, le questioni irrisolte”.
Poesia quindi non come materia astratta ma come sollecitazione al gesto, alla presa di coscienza, alla rimozione delle mura e dei confini che non di rado lasciamo scavare nelle nostre menti.
IM
 
A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI

 

 

5 domande

 

a

 

Stefano Vitale

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Sono nato a Palermo, città-radice che sento nostalgicamente vicina, ma vivo a Torino, città che amo per la sua discrezione e vivibilità, per la sua bellezza elegante. Qui mi sono laureato in filosofia, qui ho costruito la mia vita personale e professionale. Qui ho fondato nel 1981 i Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva, una cooperativa sociale dove ancora oggi lavoro come formatore e responsabile di servizi educativi. A Torino coltivo le mie passioni che sono, a parte la poesia e la letteratura, l’impegno civile nel mondo dell’educazione, della cultura e della musica. Oggi sono Direttore Artistico dell’Ass. Amici Orchestra Sinfonica RAI.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Il mio ultimo libro è “Incerto confine” edito da “paolagribaudo editore” nella sua collana di libri artistici “disegnodiverso”. Il libro è stato scritto con Albertina Bollati che ha curato le immagini. Si tratta di un libro “unico”, nel senso che poesie e immagini sono un tutt’uno, sia pure in una prospettiva di dialogo. Insomma il libro è un insieme che non perde di vista la valorizzazione dei diversi strumenti espressivi. Così, nella coerenza del messaggio, vogliamo emerga la diversità dei percorsi, delle strategie comunicative. Si tratta di una plaquette, come si dice, che abbiamo voluto produrre sulla base di una esigenza etica ed estetica: prendere posizione, attraverso la poesia e il disegno, sulle lacerazioni della contemporaneità, del presente. Non si tratta di un libro “ideologico”, perché l’intento principale è fare poesia ed arte. In questo caso misurandoci col presente, affrontando l’impoetico con mezzi poetici.  E cercando di proporre una visione più universale dei temi che trattiamo. Lo spunto nasceva dall’indignazione per le politiche sull’immigrazione e l’accoglienza di tutti i migranti del mondo, dalla rabbia per la generale indifferenza, ma anche dall’esigenza di cogliere e rappresentare il “sentire” dell’uomo e della donna di oggi immersi in questa realtà. Il tema del “confine” rinvia ad una varietà di simboli, connotazioni, esperienze: si pensa ai muri, alle barriere, alla frontiere che dividono, opprimono, ma vogliamo che si pensi anche all’immagine della soglia intesa come passaggio verso nuove dimensioni dell’esperienza, e poi abbiamo anche bisogno di confini “buoni”, di spazi protetti, di limiti che ci aiutino a non frammentarci. Il libro è uscito a novembre del 2019 poco prima dell’emergenza Covid: per certi aspetti abbiamo anticipato alcune tematiche con cui poi abbiamo dovuto fare i conti. “Incerto confine” inoltre non perde di vista né la relazione con la memoria, né appunto con la ricerca di una pura espressione artistica. La memoria storica è indispensabile per costruire radici e identità così come la creatività è necessaria per aprire nuove strade, per dare voce e calore a pensieri diversi, inattesi.

Su questo libro hanno scritto diversi autorevoli critici e poeti come Alessandro Fo, Paolo Ruffilli, Ivano Mugnaini, Alfredo Rienzi, Dario Capello, Daniela Pericone, Alessandra Paganardi,  Carlo Prosperi, Lucia Triolo, Fabrizio Bregoli, Angelo Manitta, Pierangela Rossi, Marvi del Pozzo, Alberto Piazza, Giorgio Moio e tanti altri che devo ringraziare per la loro attenzione.

La cosa bella è che ciascuno di loro ha colto aspetti diversi, a testimonianza del fatto che questo libro non è un monolite, ma un “territorio” complesso in cui sono “tessute insieme” prospettive, risonanze, pensieri ed emozioni multiple. La poesia dovrebbe essere anche questo: una forma di espressione che si  fa forte della sua “ambiguità”, della sua “indefinitezza” e persino “imperfezione”.  Ho sempre sostenuto che la poesia è una cosa fragile che però ha in questa fragilità la sua qualità, la sua forma di paradossale resilienza. La poesia è prima di tutto sforzo del linguaggio di dire altrimenti ciò che è necessario dire. Per questo il poeta dovrebbe essere attento a quanto accade intorno e dentro di sé. La poesia dovrebbe, talvolta, obbligare il lettore a non distrarsi, a tendere lo sguardo verso l’inatteso, costringendolo anche a prendere coscienza di quel che si vorrebbe rimuovere.  Così facendo la poesia prende sul serio i vuoti dell’esistenza, le fratture, le questioni irrisolte.

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A TU PER TU – Brina Maurer

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

A TU PER TU ospita oggi Claudia Manuela Turco alias Brina Maurer, poeta, romanziere e diarista, biografa e critico letterario.
Al di là delle qualifiche, sarà interessante, anche in questo caso, cogliere le peculiarità, le specifiche caratteristiche, le passioni, le lotte, le battaglie, le prese di posizioni, coraggiose, sincere, non solo in ambito letterario.
Quindi anche stavolta invito volentieri i “dedalonauti” alla lettura integrale dell’intervista da cui, in modo esplicito e tra le righe, emergono alcuni tratti intensamente rivelatori degli autori e delle loro opere, che poi sono un tutt’uno.
Buona lettura, IM

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio. Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

VOCABOLARI E ALTRI VOCABOLARI_COP

5 domande

a

Brina Maurer

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

  • Ti ringrazio per l’invito e per l’ospitalità.

Mi chiamo Claudia Manuela Turco, ma da diversi anni ormai mi sono impossessata del nome di un personaggio da me inventato per un romanzo – Brina Maurer  -, dopo aver riflettuto a lungo su nomi di poeti, scrittori, attori, artisti e protagonisti di libri o film che mi piacevano. Adottando un nome d’arte, volevo prendere distacco dalla mia vita reale, o meglio, crearmi una seconda vita. C’erano pure problemi di omonimia, tra l’altro.

Il nome “Manuela” (senza la E iniziale) mi piaceva, ma non ero certa che fosse davvero mio. Infatti, da un certo momento in avanti sembrò che mio padre se ne fosse scordato al momento dell’iscrizione all’anagrafe. Il mio secondo nome ricomparve soltanto quando mi trasferii nel 2000 a Torino. “Claudia”, invece, non mi piaceva. Forse perché era stato scelto il nome “Claudio” nel caso fossi stata un maschio, e “Manuela”, se femmina. Alla fine, però, fu deciso che fossi “Manuela” ma soprattutto “Claudia”: nomen omen. Un nome importante nella nostra tradizione, penso alla gens Claudia, ma soprattutto alla parola “claudicante”. Scherzando, amo dire di essere “un autore Rizzoli”… essendo ortopedia una delle mie “passioni”!

La scelta del nome “Brina” è stata del tutto istintiva, soprattutto mi pareva sposarsi bene con

“Maurer”, un cognome abbastanza famigliare nella mia terra, il Friuli, e avendo sempre gradito come suona il cognome “Marler”, a un certo punto per me fu naturale ideare questo personaggio e, in un secondo momento, adottare questo pseudonimo. Inoltre, adoro la lettera erre (morde, mi ricorda il vetro che si infrange e taglia, è una lettera particolare, penso al rotacismo, alla sua importanza, per esempio, nella lingua latina… e un altro cerchio si chiude con Appio Claudio Cieco…) e “Brina Maurer” ne contiene ben tre.

Solo di recente ho scoperto che “Maurer” significa “muratore” in tedesco (proprio grazie a un tuo articolo, pubblicato sulla rivista “Il sarto di Ulm”). L’avevo sostituito al cognome “Turco” anche a causa del rapporto piuttosto conflittuale con mio padre. Ma alla fine mi sono ritrovata con un “cognome d’arte” che significa proprio quello che mio padre faceva per vivere!

Ho cercato a lungo di tenere separata la sfera creativa da quella privata e dal mio essere donna. Volevo scrivere opere che potessero far pensare a una voce maschile, come nel caso di Architetture Poesie Tridimensionali. E volevo una parola pura, pulita, che mi proteggesse dalla realtà. Per un certo periodo provai a destinare la poesia alla “bella parola” e la prosa allo squallore del mondo. Ma non funzionò a lungo.

Tra me e gli altri ho sempre avvertito la presenza di uno iato, come di una invisibile e sottile lastra di vetro. Per descrivermi brevemente, potrei usare parole di Luce d’Eramo: Io sono un’aliena.

Soltanto quando arrivò Glenn nella mia vita (un cane molto speciale), smisi di sentirmi incompresa e incompleta. Eravamo uguali e una cosa sola. Siamo la stessa anima.

Lo adottai perché aveva problemi alle anche come me. Proprio vedendo come la gente trattava lui, iniziai a sentire il dovere di espormi in prima persona. Le cattiverie che la gente diceva su di lui e davanti a lui, erano le stesse che altri avevano rivolto a me, quando ero bambina e poi ragazza e giovane donna.

Cambiai profondamente, superando almeno in parte la mia timidezza e le mie fobie e la mia naturale riservatezza, per poterlo proteggere e cercare di fare qualcosa anche per altri cani anziani e malati, per altre creature che, come lui, erano state maltrattate e abbandonate.

Non potevo più tenere separate arte e vita.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

  • L’ultimo libro che ho pubblicato – Vocabolari e altri vocabolari (Macabor, giugno 2020) – è di poesia ed è stato protagonista del primo blog tour dell’editore. Inoltre, l’opera ha avuto la fortuna di venire subito letta dal noto poeta e critico letterario Bonifacio Vincenzi e da Lucia Gaddo Zanovello, raffinata poetessa che ne ha curato la prefazione.

Ho scritto Vocabolari e altri vocabolari (Colori e altri colori di Fabrizio Dall’Aglio, Passigli 2014, è all’origine del titolo) in aprile, una poesia al giorno, sotto la pressione dell’emergenza Covid. In realtà, provavo un profondo malessere da tempo, anche se non riuscivo a metterlo a fuoco. Solo appena finito il libro, me ne sono resa conto, perché sono stata colpita da un grave lutto. Una violenta scarica elettrica del tutto inattesa, proprio come scritto nella prima poesia.

A posteriori ho compreso di essermi aggrappata alla scrittura, per continuare a strappare alla vita tutto quello che potevo. I Vocabolari sono una specie di eredità che mi è stata lasciata. Non ho voluto vedere la vita che si stava spegnendo gradatamente, sperando ci fosse ancora tempo. Anche dieci anni fa fu la scrittura ad aiutarmi a superare le fasi più critiche di un lutto. Allora fu il romanzo contaminato con la diaristica a indicarmi la strada per ritrovare quanto perduto, seppur in una nuova dimensione. Quando sento dire “finché morte non vi separi”, mi sanguinano le orecchie… Io scrivo soprattutto “perché morte non ci separi”. Ma ovviamente l’opera poi vive di vita propria.

Vocabolari e altri vocabolari è scaturito dalla convergenza di un’infinità di elementi sedimentatisi nel tempo. I diari di Glenn e Mughetto (i cani Lord Glenn e Mr. Mughy, protagonisti di molte mie opere), tenuti dal 2007 al 2020, e quanto vissuto con loro, sono stati fondamentali.

Nelle mie opere spesso il cane è centrale, però il discorso riguarda tutti gli esseri viventi; individuo costantemente corrispondenze tra ciò che fa l’uomo e ciò che fanno gli animali. L’umanità degli animali e l’animalità dell’uomo sono due facce della stessa medaglia, per me. I Vocabolari appartengono alla medesima temperie che mi ha portato a concepire Neraneve e i sette cani (Italic, 2018, prefazione di Luigi Fontanella) – poema che, in un certo senso, riassume tutto quello che ho scritto e tutto quello che potrei scrivere – e L’innocenza usurpata, libro di cui è prevista l’uscita nel 2021, ma che è stato scritto dopo Neraneve e prima dei Vocabolari. Almeno nella mia mente, queste tre opere compongono una specie di Trilogia. Per i Vocabolari ho lavorato molto sulla lingua e sulle fiabe: Il soldatino di stagno, Cenerentola, Il gatto con gli stivali, Scarpette rosse, La bella addormentata nel bosco, La piccola fiammiferaia, La Sirenetta… E ci sono tanti riferimenti a poeti e artisti come Leopardi, Pascoli, Shakespeare, l’architetto Adolf Loos, Luce d’Eramo, Magritte…

Il taglio dato al discorso complessivo ha richiesto brevità (c’è tanta “filosofia” e comunque le singole liriche non sono corte): se avessi aggiunto altre poesie, tale discorso sarebbe divenuto troppo intenso e “doloroso”.

Le pagine di Vocabolari e altri vocabolari invitano a un’accurata riflessione sul linguaggio, in difesa dei più deboli e contro ogni forma di violenza. L’attenzione viene focalizzata costantemente sulle vittime.

Emergono da un lato i meriti delle creature più generose e sensibili, dall’altro le pesanti responsabilità dell’essere umano, mentre brandelli di realtà e di notizie di cronaca si mescolano ad atmosfere fiabesche.

Diversi critici e giornalisti si sono validamente occupati di questa silloge quasi poema, anche in forma di intervista. Tra gli altri, Emanuele Bellato, Alessandro Fo, Alessia Mocci, Paolo Ruffilli, Antonio Spagnuolo, Ilaria Mattiussi.

Sicuramente il tuo articolo “Il cane, l’essere più poetico di questo mondo” contiene lo studio più approfondito, poiché hai avuto modo di porre in relazione i Vocabolari con altri miei libri, sia di narrativa che di poesia. Se ne ricava un’impressione di una conoscenza diretta e profonda dell’autore, il che mi ha molto sorpreso, perché noi non ci siamo mai incontrati e parlati di persona (nemmeno al telefono), ci siamo soltanto intravisti una volta da lontano in occasione di una premiazione.

Alessandro Fo, con il quale non avevo mai avuto contatti prima di avergli inviato i Vocabolari, accostando il mio vivere appartato a parole di Seneca, ha pure colto nel segno: “in hoc me recondidi et fores clusi, ut prodesse pluribus possem: posterorum negotium ago” (“per questo mi sono rifugiato in me stesso e ho chiuso ogni porta: per poter essere di giovamento a molti; è del bene dei posteri che mi occupo”).

Emanuele Bellato ha definito “civile” la mia poesia e, accennando a Pasolini, mi ha fatto ricordare come a volte sia possibile raggiungere certi traguardi percorrendo vie ben diverse. Infatti, ho cercato a lungo una poesia estetizzante e non “civile”, per difendermi dai traumi (per es. non posso guardare le opere cinematografiche di Pasolini, perché mi risvegliano ricordi difficilmente sopportabili), ma poi, grazie ai cani e per loro, sono riuscita a conciliare le due componenti, l’estetizzante e la “civile”.

Lavoro molto sui “luoghi comuni”, non sopporto le generalizzazioni. Di recente Cristiana Vettori ha scritto una nota davvero efficace su Neraneve e i sette cani, riassumendo bene la mia poetica, accennando al superamento degli stereotipi di genere.

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

  • Sono (un) poeta (non amo definirmi “poetessa”, né “una poeta”), biografa, critico letterario, romanziere, diarista. Tutto quello che scrivo sfuma nella poesia.

Non sento molto mia la dimensione del racconto; infatti, le Architetture in origine erano racconti, poi sono divenute un poema. Comunque, “Bambini di serie B”, posto come introduzione al romanzo Glenn amatissimo, si presenta come un racconto.

La scelta tra prosa e poesia avviene in modo piuttosto istintivo, è la materia stessa che richiede una certa forma e di solito è un azzardo, perché ho in mente soltanto un titolo e un’infinità di dettagli e argomenti che non so se riusciranno a stare davvero insieme. Il rischio è che o tutto si incastri bene con il resto o che sia tutto da buttare.

La dimensione del poema ora mi pare quella a me più congeniale (e per motivi non soltanto letterari), una buona soluzione tra prosa (o romanzo breve) e poesia.

Concepisco la musicalità come ritmo derivante da un equilibrio geometrico, architettonico, non da processi auditivi. L’aspetto visivo e visionario è, per me, prioritario.

Non amo ingabbiare in una tessitura metrica (sebbene gli insegnamenti di Raffaele Spongano mi abbiano a lungo fatto riflettere) i miei versi, anche se non escludo la possibilità di infrangere non solo le regole della tradizione, ma anche quelle che mi sono data personalmente (per es., per le Architetture la struttura portante è composta da tre distici per frammento, per sottolineare la tridimensionalità costruttiva).

Ai tempi dell’università riuscii a imparare la lettura metrica della poesia latina soltanto dopo averla ricondotta al mio modo di ragionare “per immagini” e calcoli. Invece gli altri compagni di studi tranquillamente procedevano “a orecchio”, senza chiedersi il perché. Sono stonata e probabilmente l’udito è il mio senso più scarso, anche se ho gusti precisi, che mi inducono a scegliere con decisione possibili abbinamenti sonori o meno.

Comunque, non seguo una teoria consolidata. È vero che preferisco i colori e le forme ai suoni e agli odori, tuttavia credo che, per un poeta o per uno scrittore, uno degli strumenti più affascinanti a disposizione siano le sinestesie. E allora mi ritorna in mente Pascoli, attraverso gli studi di Clemente Mazzotta, il quale mi ha trasmesso anche la passione per Alfieri.

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

  • Alle elementari, quando mi fu assegnato il primo libro da leggere, non ci potevo credere che si dovesse frammentare la lettura nell’arco di giorni, settimane o addirittura mesi: avrei voluto poter leggere qualsiasi libro in una sola giornata! Alle medie e alle superiori mi sentivo molto vicina a Leopardi, perché detestavo il mio “natio borgo selvaggio”. Quando poi scoprii Alfieri, ai tempi dell’università grazie al filologo Clemente Mazzotta, mi si spalancò un mondo del tutto inatteso e in sintonia con i miei ideali. Avevo incontrato finalmente un poeta in grado di farmi sognare! Non a caso Domenico Cara, accennando agli influssi di Alfieri nella mia opera, ha scritto di una fascinazione probabilmente non soltanto letteraria. A lungo ho scritto combattuta tra due fuochi: Alfieri (“il mio Vittorio ha le labbra verdi”) e Lord Byron (divenuto importantissimo con l’arrivo di Glenn nella mia vita).

Se scrivere è parlare, leggere è ascoltare. Di persona raramente incontro qualche altro scrittore. Amo inserire citazioni nei miei libri, rendere omaggio ad altri autori, ma di solito le scelgo a posteriori, non sono fonte di ispirazione, bensì punto di convergenza. Spesso preferisco poeti e scrittori di cui mi colpisce qualche aspetto del loro carattere o della loro biografia, anche se non va confusa l’opera con il vissuto di chi l’ha concepita.

Sento Byron con la sua zoppia (nel mio lavoro ho spesso sovrapposto la sua immagine a quella di Lord Glenn) e Luce d’Eramo con le sue vicende biografiche (anche lei fu ricoverata all’Istituto Rizzoli), e autrice di Partiranno, a me particolarmente vicini.

Degli autori che non ci sono più (ma, in realtà, in una certa misura il discorso vale pure per i viventi), preferisco non cercare di leggere (quasi) tutto, perché così ho la possibilità, nel tempo, di scoprire ancora qualcosa di nuovo.

Le voci care sono davvero tante. Leggo opere di classici e contemporanei, italiani e stranieri, capolavori famosi e scritti minori o di autori quasi sconosciuti, opere pubblicate da “grandi editori” come dall’editoria superficialmente definita “a pagamento”. Soprattutto sono vittima di Internet e divoro brandelli di tutto quello che mi capita. E rileggo a volte ossessivamente.

Per nutrire la mia anima, per trovare ispirazione, serve altrettanto il contributo di pittori, scultori, architetti ecc. Le mie letture via via sono diventate sempre più imprevedibili, legate alle occasioni più diverse, avendo, tra l’altro, collaborato, nell’arco di circa quindici anni, con una casa editrice.

Grazie a Margherita Azzi Visentini, a suo tempo, imparai ad apprezzare Alexander Pope, importante per la Storia dei Giardini, e, grazie a Guido Zucconi, Adolf Loos (a proposito di “Maurer”… “L’architetto è un muratore che ha studiato il latino”, sua celebre affermazione, e Parole nel vuoto e Ornamento e delitto vengono da me citati non di rado).

Per quanto concerne i poeti e scrittori del nostro tempo con i quali ho avuto modo di entrare in contatto, prima è venuto l’interesse per l’opera – mia o loro – e poi la conoscenza diretta o indiretta della persona. Così ho conosciuto anche mio marito. Di solito si tratta di poeti o scrittori particolarmente amanti degli animali, ovvero di tutti gli esseri viventi, e capaci di costante autocritica. Ancora mi emoziono ed entusiasmo, incredula, come un’adolescente con i suoi idoli, ricevendo quotidianamente e-mail, lettere cartacee, libri, riviste, telefonate da alcune tra le voci più significative del mio tempo!

Da alcuni anni ho trovato il coraggio di interrompere la lettura per non riprenderla più, se l’autore non riesce a farmi “divertire”, allontanare da un solco precostituito. Mi annoiano sia il cerebralismo che il sentimentalismo variamente ostentati. Ritengo che nella vita nulla sia banale, tuttavia come si guarda è determinante.

Alcuni poeti non lo sanno, ma hanno contribuito in modo significativo a non farmi abbandonare definitivamente la scrittura (scrivere, in me, ha sempre generato amore-odio, perché non mi ha consentito l’indipendenza economica).

Rappresentano un grande sogno divenuto realtà, la mia opera Architectures Three-dimensional Poems accolta nella Collana diretta da Luigi Fontanella, dopo essere rimasta per molti anni nel cassetto, e l’Introduzione a Neraneve e i sette cani, che lo stesso Luigi Fontanella ha curato. Mi cattura, una dolce malinconia, ripensando ad alcuni suoi libri. Il suo Monte Stella (Passigli, 2020) mi rammenta “Le cinque punte”, la montagna a me più cara. E grazie a Luigi Fontanella e al suo libro Il dio di New York (Passigli, 2017), ho potuto scoprire la poesia e l’infelice biografia di Pascal D’Angelo.

Un altro sogno realizzato è la nota di lettura che Alessandro Fo ha dedicato a Vocabolari e altri vocabolari. Egli è uno dei pochi poeti capaci di farmi ridere o sorridere anche mentre sento ancora l’amaro in bocca o una fitta in pieno petto. Grazie a lui ora compare Pierluigi Cappello tra le mie prossime letture. L’aver letto poesie in friulano di Cappello molti anni fa, mi aveva un po’ tolto la curiosità di avvicinarmi ad altre sue opere, perché mi ricordava troppo un mondo dal quale ho spesso cercato di allontanarmi.

In particolare, a essere del tutto sincera, mi sento piuttosto distante dalla maggior parte degli altri poeti, perché non concepisco l’infanzia come una “età dell’oro” individuale, anche se a volte è capitato che vi abbia fatto riferimento.

Non potrei scrivere se non introducessi anche elementi a me estranei nelle mie opere. La fantasia deve fondersi con il vissuto, eppure le biografie rimangono la mia passione.

La vita di ogni essere vivente è una miniera incredibile e può risultare interessantissima, se solo vengono poste le domande giuste.

Mi interessano molto le opere altrui, ma anche le vite dei loro autori.

Mi fanno sentire meno sola.

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

  • Anche se non ci fosse stata l’epidemia di Covid-19, credo che i tempi per la stesura (definitiva) di Vocabolari e altri vocabolari fossero ormai maturi. Di certo, invece, è stato decisivo, per riuscire a trovare una tale concentrazione, l’aver dovuto rimandare la pubblicazione de L’innocenza usurpata.

Conduco da sempre vita appartata, quindi non è cambiato molto nella mia quotidianità, e ho sempre avuto molte fobie. Mi mancano terribilmente, però, le mie montagne e il mio mare, e l’illusione di avere un po’ di libertà. Inoltre, io che amavo pianificare e ripianificare qualunque cosa in continuazione, ora più che mai mi trovo costretta ad affrontare un giorno alla volta.

Percepisco qualunque tragedia collettiva come una somma di tragedie individuali.

Non credo si possa veramente affermare che non si dovrebbero più scrivere poesie dopo certe sconfitte dell’umanità.

Proprio quando i tempi sono più bui, dovremmo cercare di costruire qualcosa di bello da mettere sull’altro piatto della bilancia.

Grazie infinite a te, per l’occasione di riflessione e condivisione, e ai lettori di Dedalus!

poesia e prefazione

da

Vocabolari e altri vocabolari

 

Ogni parola, un cassetto nel ventre,

un piano di grattacielo,

una grotta nascosta,

un brillare di stelle al centro dell’inferno.

Una popolazione di lettere e sillabe democratiche,

una raccolta differenziata di pesi netti e tare.

Tu chiami amore qualcosa

che non ammette inclusione impura

nel cristallo del dire,

né il peso lordo nel gioco combinatorio.

Nel mio mondo, invece, la tua è indifferenza,

e l’odio non è nuocere, bensì non collaborare

e non aiutare a fare del male

a chi non ha spine per potersi difendere.

La sofferenza è uguale per tutti,

ma c’è chi è più uguale di altri.

Hanno strappato l’anima alla parola animale,

coloro che non amano nemmeno l’uomo.

Il bambino istintivamente adora gli animali

e, per essere rispettato,

esige che loro vengano protetti.

Qui me amat, amet et canem meum.

Parole nel vuoto:

Ornamento del dire diventa delitto,

nel vuoto di-s-senso.

Virgolette e corsivi,

per battute di dialogo e pensieri del cane protagonista,

non vengono accettati dall’editore,

poco avvezzo allo studio delle lingue straniere.

Ma l’autore sa se l’espressione sul viso di pelo

significa “mi sento così e lo tengo per me”

oppure “mi sento così e te lo dico!”!

Dubbi assalgono anche i controllori della lingua,

che devono spesso arrendersi al furor di popolo

e ai numeri dei motori di ricerca:

occorrenze di forme più o meno (s)corrette

(repetita iuvant…),

per portare nuova linfa nelle pagine

di enciclopedie e Vocabolari,

insicuri nel vestito del proprio scrivere,

dubitando addirittura dell’ausiliare giusto,

insidiati dall’ipercorrettismo.

Esistono corrispondenze

l’equivalente della parola,

l’equivalente dell’uomo –

ma il linguaggio equivalente non viene ap-prezzato:

non è farmaco di marca,

non è cane o gatto di razza.

Il lignaggio del linguaggio,

contrapposto alla ricchezza del meticciato.

E le inversioni inattese:

la religione come scienza,

la scienza come religione,

la preghiera che offende come bestemmia,

la bestemmia che vuol essere preghiera,

la folle o profetica allucinazione.

Voglio una parola

che sia violenta scarica elettrica,

pensiero per immagini,

taglio che chiude la pagina.

Non il sottovoce che non ha funzionato.

Voglio un intonaco arrotolabile,

spolverato di cipria di marmo di Carrara

e travertino romano,

per coprire queste pareti di un nuovo inizio,

perché l’errore non ricompaia.

PREFAZIONE DI LUCIA GADDO ZANOVELLO

“Voglio una parola / che sia violenta scarica elettrica, / pensiero per immagini, / taglio che chiude la pagina. / Non il sottovoce che non ha funzionato.”

Brina Maurer, qui autrice di un libro scritto nella lingua di cui si avvale chi parola non ha, denuncia con la forza aggiuntiva e unica della poesia l’inganno secondo il quale fin da piccoli ci viene fatto credere che gli animali delle altre specie sono esseri inferiori, che non meritano o non necessitano di molta considerazione, dimenticando la loro provata straordinaria sensibilità, il dolore e le emozioni che essi pure sperimentano.

Gli umani si comportano in modi diversi con gli animali, ma alcuni di loro non li rispettano e molti ancora purtroppo non si preoccupano minimamente di come vengano trattati, nemmeno quando vengono torturati. Sebbene sia considerato lodevole prestare aiuto agli umani bisognosi, quando un essere non umano avrebbe bisogno di essere soccorso viene spesso abbandonato al suo destino, e anche questa è una forma di discriminazione specista, dato che tutti gli animali hanno necessità e diritto a non essere penalizzati, sfruttati od offesi.

Negli ultimi decenni, fortunatamente, evento rivoluzionario quanto tardivo, nell’umanità va facendosi strada la consapevolezza, per qualcuno incresciosa, di essere parte non soltanto della natura, quanto soprattutto della compagine degli organismi animali, a volte persino senza variazioni di grado e di valore, comprendendo finalmente che siamo interconnessi nel profondo con la natura e con gli altri esseri viventi, che dobbiamo custodire la complessità della vita per salvare la nostra stessa esistenza sul pianeta.

Non più dunque la morale dell’uomo sovrano del mondo, ma una legge universale che ci veda parti integrate in un tutto, senza limiti di spazio e di tempo.

Vi è poi la necessità urgente, e questo ‘Vocabolario’ diviene raro e prezioso strumento a tal fine, di coltivare nell’uomo la propensione all’empatia fin dalla più tenera età, solo così si potrà aprire la strada alla giustizia, capacità di chi, sospeso il giudizio negativo della diversità, sentendosi in armonia con l’intero universo, sarà in grado di abbracciarlo totalmente, specchiandosi in esso, allora il paradiso da cui l’uomo si è dolorosamente allontanato potrà tornare sulla terra.

Verità e certezze che chiaramente legge e impara chi ha guardato a lungo negli occhi di un cane, comprendendo e assimilandone la lingua purissima, tenera e innocente.

Lucia Gaddo Zanovello

brina maurer « DEDALUS: corsi, testi e contesti di volo letterario

Brina Maurer è nata a Codroipo (Udine) il 15 dicembre 1970. Laureata in Lettere e Filosofia (Conservazione dei Beni Culturali) con lode, è stata pubblicista ed è poeta, romanziere, diarista, biografa e critico letterario. Presente nell’antologia on line Italian Poetry, ha scritto 25 libri e più di 200 articoli. Con il “Ciclo di Glenn” (oltre 1600 pagine di narrativa dedicate alla disabilità nel mondo animale) ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti nell’ambito del Premio “Franz Kafka Italia®”. Ha dedicato una Collezione di oltre quaranta diari al cagnolino Mughetto (più di 4500 pagine manoscritte). Sue poesie sono state tradotte in inglese americano e greco moderno. Ha ricevuto circa un centinaio di riconoscimenti nell’ambito dei premi letterari.