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A TU PER TU – Brina Maurer

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

A TU PER TU ospita oggi Claudia Manuela Turco alias Brina Maurer, poeta, romanziere e diarista, biografa e critico letterario.
Al di là delle qualifiche, sarà interessante, anche in questo caso, cogliere le peculiarità, le specifiche caratteristiche, le passioni, le lotte, le battaglie, le prese di posizioni, coraggiose, sincere, non solo in ambito letterario.
Quindi anche stavolta invito volentieri i “dedalonauti” alla lettura integrale dell’intervista da cui, in modo esplicito e tra le righe, emergono alcuni tratti intensamente rivelatori degli autori e delle loro opere, che poi sono un tutt’uno.
Buona lettura, IM

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio. Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

VOCABOLARI E ALTRI VOCABOLARI_COP

5 domande

a

Brina Maurer

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

  • Ti ringrazio per l’invito e per l’ospitalità.

Mi chiamo Claudia Manuela Turco, ma da diversi anni ormai mi sono impossessata del nome di un personaggio da me inventato per un romanzo – Brina Maurer  -, dopo aver riflettuto a lungo su nomi di poeti, scrittori, attori, artisti e protagonisti di libri o film che mi piacevano. Adottando un nome d’arte, volevo prendere distacco dalla mia vita reale, o meglio, crearmi una seconda vita. C’erano pure problemi di omonimia, tra l’altro.

Il nome “Manuela” (senza la E iniziale) mi piaceva, ma non ero certa che fosse davvero mio. Infatti, da un certo momento in avanti sembrò che mio padre se ne fosse scordato al momento dell’iscrizione all’anagrafe. Il mio secondo nome ricomparve soltanto quando mi trasferii nel 2000 a Torino. “Claudia”, invece, non mi piaceva. Forse perché era stato scelto il nome “Claudio” nel caso fossi stata un maschio, e “Manuela”, se femmina. Alla fine, però, fu deciso che fossi “Manuela” ma soprattutto “Claudia”: nomen omen. Un nome importante nella nostra tradizione, penso alla gens Claudia, ma soprattutto alla parola “claudicante”. Scherzando, amo dire di essere “un autore Rizzoli”… essendo ortopedia una delle mie “passioni”!

La scelta del nome “Brina” è stata del tutto istintiva, soprattutto mi pareva sposarsi bene con

“Maurer”, un cognome abbastanza famigliare nella mia terra, il Friuli, e avendo sempre gradito come suona il cognome “Marler”, a un certo punto per me fu naturale ideare questo personaggio e, in un secondo momento, adottare questo pseudonimo. Inoltre, adoro la lettera erre (morde, mi ricorda il vetro che si infrange e taglia, è una lettera particolare, penso al rotacismo, alla sua importanza, per esempio, nella lingua latina… e un altro cerchio si chiude con Appio Claudio Cieco…) e “Brina Maurer” ne contiene ben tre.

Solo di recente ho scoperto che “Maurer” significa “muratore” in tedesco (proprio grazie a un tuo articolo, pubblicato sulla rivista “Il sarto di Ulm”). L’avevo sostituito al cognome “Turco” anche a causa del rapporto piuttosto conflittuale con mio padre. Ma alla fine mi sono ritrovata con un “cognome d’arte” che significa proprio quello che mio padre faceva per vivere!

Ho cercato a lungo di tenere separata la sfera creativa da quella privata e dal mio essere donna. Volevo scrivere opere che potessero far pensare a una voce maschile, come nel caso di Architetture Poesie Tridimensionali. E volevo una parola pura, pulita, che mi proteggesse dalla realtà. Per un certo periodo provai a destinare la poesia alla “bella parola” e la prosa allo squallore del mondo. Ma non funzionò a lungo.

Tra me e gli altri ho sempre avvertito la presenza di uno iato, come di una invisibile e sottile lastra di vetro. Per descrivermi brevemente, potrei usare parole di Luce d’Eramo: Io sono un’aliena.

Soltanto quando arrivò Glenn nella mia vita (un cane molto speciale), smisi di sentirmi incompresa e incompleta. Eravamo uguali e una cosa sola. Siamo la stessa anima.

Lo adottai perché aveva problemi alle anche come me. Proprio vedendo come la gente trattava lui, iniziai a sentire il dovere di espormi in prima persona. Le cattiverie che la gente diceva su di lui e davanti a lui, erano le stesse che altri avevano rivolto a me, quando ero bambina e poi ragazza e giovane donna.

Cambiai profondamente, superando almeno in parte la mia timidezza e le mie fobie e la mia naturale riservatezza, per poterlo proteggere e cercare di fare qualcosa anche per altri cani anziani e malati, per altre creature che, come lui, erano state maltrattate e abbandonate.

Non potevo più tenere separate arte e vita.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

  • L’ultimo libro che ho pubblicato – Vocabolari e altri vocabolari (Macabor, giugno 2020) – è di poesia ed è stato protagonista del primo blog tour dell’editore. Inoltre, l’opera ha avuto la fortuna di venire subito letta dal noto poeta e critico letterario Bonifacio Vincenzi e da Lucia Gaddo Zanovello, raffinata poetessa che ne ha curato la prefazione.

Ho scritto Vocabolari e altri vocabolari (Colori e altri colori di Fabrizio Dall’Aglio, Passigli 2014, è all’origine del titolo) in aprile, una poesia al giorno, sotto la pressione dell’emergenza Covid. In realtà, provavo un profondo malessere da tempo, anche se non riuscivo a metterlo a fuoco. Solo appena finito il libro, me ne sono resa conto, perché sono stata colpita da un grave lutto. Una violenta scarica elettrica del tutto inattesa, proprio come scritto nella prima poesia.

A posteriori ho compreso di essermi aggrappata alla scrittura, per continuare a strappare alla vita tutto quello che potevo. I Vocabolari sono una specie di eredità che mi è stata lasciata. Non ho voluto vedere la vita che si stava spegnendo gradatamente, sperando ci fosse ancora tempo. Anche dieci anni fa fu la scrittura ad aiutarmi a superare le fasi più critiche di un lutto. Allora fu il romanzo contaminato con la diaristica a indicarmi la strada per ritrovare quanto perduto, seppur in una nuova dimensione. Quando sento dire “finché morte non vi separi”, mi sanguinano le orecchie… Io scrivo soprattutto “perché morte non ci separi”. Ma ovviamente l’opera poi vive di vita propria.

Vocabolari e altri vocabolari è scaturito dalla convergenza di un’infinità di elementi sedimentatisi nel tempo. I diari di Glenn e Mughetto (i cani Lord Glenn e Mr. Mughy, protagonisti di molte mie opere), tenuti dal 2007 al 2020, e quanto vissuto con loro, sono stati fondamentali.

Nelle mie opere spesso il cane è centrale, però il discorso riguarda tutti gli esseri viventi; individuo costantemente corrispondenze tra ciò che fa l’uomo e ciò che fanno gli animali. L’umanità degli animali e l’animalità dell’uomo sono due facce della stessa medaglia, per me. I Vocabolari appartengono alla medesima temperie che mi ha portato a concepire Neraneve e i sette cani (Italic, 2018, prefazione di Luigi Fontanella) – poema che, in un certo senso, riassume tutto quello che ho scritto e tutto quello che potrei scrivere – e L’innocenza usurpata, libro di cui è prevista l’uscita nel 2021, ma che è stato scritto dopo Neraneve e prima dei Vocabolari. Almeno nella mia mente, queste tre opere compongono una specie di Trilogia. Per i Vocabolari ho lavorato molto sulla lingua e sulle fiabe: Il soldatino di stagno, Cenerentola, Il gatto con gli stivali, Scarpette rosse, La bella addormentata nel bosco, La piccola fiammiferaia, La Sirenetta… E ci sono tanti riferimenti a poeti e artisti come Leopardi, Pascoli, Shakespeare, l’architetto Adolf Loos, Luce d’Eramo, Magritte…

Il taglio dato al discorso complessivo ha richiesto brevità (c’è tanta “filosofia” e comunque le singole liriche non sono corte): se avessi aggiunto altre poesie, tale discorso sarebbe divenuto troppo intenso e “doloroso”.

Le pagine di Vocabolari e altri vocabolari invitano a un’accurata riflessione sul linguaggio, in difesa dei più deboli e contro ogni forma di violenza. L’attenzione viene focalizzata costantemente sulle vittime.

Emergono da un lato i meriti delle creature più generose e sensibili, dall’altro le pesanti responsabilità dell’essere umano, mentre brandelli di realtà e di notizie di cronaca si mescolano ad atmosfere fiabesche.

Diversi critici e giornalisti si sono validamente occupati di questa silloge quasi poema, anche in forma di intervista. Tra gli altri, Emanuele Bellato, Alessandro Fo, Alessia Mocci, Paolo Ruffilli, Antonio Spagnuolo, Ilaria Mattiussi.

Sicuramente il tuo articolo “Il cane, l’essere più poetico di questo mondo” contiene lo studio più approfondito, poiché hai avuto modo di porre in relazione i Vocabolari con altri miei libri, sia di narrativa che di poesia. Se ne ricava un’impressione di una conoscenza diretta e profonda dell’autore, il che mi ha molto sorpreso, perché noi non ci siamo mai incontrati e parlati di persona (nemmeno al telefono), ci siamo soltanto intravisti una volta da lontano in occasione di una premiazione.

Alessandro Fo, con il quale non avevo mai avuto contatti prima di avergli inviato i Vocabolari, accostando il mio vivere appartato a parole di Seneca, ha pure colto nel segno: “in hoc me recondidi et fores clusi, ut prodesse pluribus possem: posterorum negotium ago” (“per questo mi sono rifugiato in me stesso e ho chiuso ogni porta: per poter essere di giovamento a molti; è del bene dei posteri che mi occupo”).

Emanuele Bellato ha definito “civile” la mia poesia e, accennando a Pasolini, mi ha fatto ricordare come a volte sia possibile raggiungere certi traguardi percorrendo vie ben diverse. Infatti, ho cercato a lungo una poesia estetizzante e non “civile”, per difendermi dai traumi (per es. non posso guardare le opere cinematografiche di Pasolini, perché mi risvegliano ricordi difficilmente sopportabili), ma poi, grazie ai cani e per loro, sono riuscita a conciliare le due componenti, l’estetizzante e la “civile”.

Lavoro molto sui “luoghi comuni”, non sopporto le generalizzazioni. Di recente Cristiana Vettori ha scritto una nota davvero efficace su Neraneve e i sette cani, riassumendo bene la mia poetica, accennando al superamento degli stereotipi di genere.

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

  • Sono (un) poeta (non amo definirmi “poetessa”, né “una poeta”), biografa, critico letterario, romanziere, diarista. Tutto quello che scrivo sfuma nella poesia.

Non sento molto mia la dimensione del racconto; infatti, le Architetture in origine erano racconti, poi sono divenute un poema. Comunque, “Bambini di serie B”, posto come introduzione al romanzo Glenn amatissimo, si presenta come un racconto.

La scelta tra prosa e poesia avviene in modo piuttosto istintivo, è la materia stessa che richiede una certa forma e di solito è un azzardo, perché ho in mente soltanto un titolo e un’infinità di dettagli e argomenti che non so se riusciranno a stare davvero insieme. Il rischio è che o tutto si incastri bene con il resto o che sia tutto da buttare.

La dimensione del poema ora mi pare quella a me più congeniale (e per motivi non soltanto letterari), una buona soluzione tra prosa (o romanzo breve) e poesia.

Concepisco la musicalità come ritmo derivante da un equilibrio geometrico, architettonico, non da processi auditivi. L’aspetto visivo e visionario è, per me, prioritario.

Non amo ingabbiare in una tessitura metrica (sebbene gli insegnamenti di Raffaele Spongano mi abbiano a lungo fatto riflettere) i miei versi, anche se non escludo la possibilità di infrangere non solo le regole della tradizione, ma anche quelle che mi sono data personalmente (per es., per le Architetture la struttura portante è composta da tre distici per frammento, per sottolineare la tridimensionalità costruttiva).

Ai tempi dell’università riuscii a imparare la lettura metrica della poesia latina soltanto dopo averla ricondotta al mio modo di ragionare “per immagini” e calcoli. Invece gli altri compagni di studi tranquillamente procedevano “a orecchio”, senza chiedersi il perché. Sono stonata e probabilmente l’udito è il mio senso più scarso, anche se ho gusti precisi, che mi inducono a scegliere con decisione possibili abbinamenti sonori o meno.

Comunque, non seguo una teoria consolidata. È vero che preferisco i colori e le forme ai suoni e agli odori, tuttavia credo che, per un poeta o per uno scrittore, uno degli strumenti più affascinanti a disposizione siano le sinestesie. E allora mi ritorna in mente Pascoli, attraverso gli studi di Clemente Mazzotta, il quale mi ha trasmesso anche la passione per Alfieri.

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

  • Alle elementari, quando mi fu assegnato il primo libro da leggere, non ci potevo credere che si dovesse frammentare la lettura nell’arco di giorni, settimane o addirittura mesi: avrei voluto poter leggere qualsiasi libro in una sola giornata! Alle medie e alle superiori mi sentivo molto vicina a Leopardi, perché detestavo il mio “natio borgo selvaggio”. Quando poi scoprii Alfieri, ai tempi dell’università grazie al filologo Clemente Mazzotta, mi si spalancò un mondo del tutto inatteso e in sintonia con i miei ideali. Avevo incontrato finalmente un poeta in grado di farmi sognare! Non a caso Domenico Cara, accennando agli influssi di Alfieri nella mia opera, ha scritto di una fascinazione probabilmente non soltanto letteraria. A lungo ho scritto combattuta tra due fuochi: Alfieri (“il mio Vittorio ha le labbra verdi”) e Lord Byron (divenuto importantissimo con l’arrivo di Glenn nella mia vita).

Se scrivere è parlare, leggere è ascoltare. Di persona raramente incontro qualche altro scrittore. Amo inserire citazioni nei miei libri, rendere omaggio ad altri autori, ma di solito le scelgo a posteriori, non sono fonte di ispirazione, bensì punto di convergenza. Spesso preferisco poeti e scrittori di cui mi colpisce qualche aspetto del loro carattere o della loro biografia, anche se non va confusa l’opera con il vissuto di chi l’ha concepita.

Sento Byron con la sua zoppia (nel mio lavoro ho spesso sovrapposto la sua immagine a quella di Lord Glenn) e Luce d’Eramo con le sue vicende biografiche (anche lei fu ricoverata all’Istituto Rizzoli), e autrice di Partiranno, a me particolarmente vicini.

Degli autori che non ci sono più (ma, in realtà, in una certa misura il discorso vale pure per i viventi), preferisco non cercare di leggere (quasi) tutto, perché così ho la possibilità, nel tempo, di scoprire ancora qualcosa di nuovo.

Le voci care sono davvero tante. Leggo opere di classici e contemporanei, italiani e stranieri, capolavori famosi e scritti minori o di autori quasi sconosciuti, opere pubblicate da “grandi editori” come dall’editoria superficialmente definita “a pagamento”. Soprattutto sono vittima di Internet e divoro brandelli di tutto quello che mi capita. E rileggo a volte ossessivamente.

Per nutrire la mia anima, per trovare ispirazione, serve altrettanto il contributo di pittori, scultori, architetti ecc. Le mie letture via via sono diventate sempre più imprevedibili, legate alle occasioni più diverse, avendo, tra l’altro, collaborato, nell’arco di circa quindici anni, con una casa editrice.

Grazie a Margherita Azzi Visentini, a suo tempo, imparai ad apprezzare Alexander Pope, importante per la Storia dei Giardini, e, grazie a Guido Zucconi, Adolf Loos (a proposito di “Maurer”… “L’architetto è un muratore che ha studiato il latino”, sua celebre affermazione, e Parole nel vuoto e Ornamento e delitto vengono da me citati non di rado).

Per quanto concerne i poeti e scrittori del nostro tempo con i quali ho avuto modo di entrare in contatto, prima è venuto l’interesse per l’opera – mia o loro – e poi la conoscenza diretta o indiretta della persona. Così ho conosciuto anche mio marito. Di solito si tratta di poeti o scrittori particolarmente amanti degli animali, ovvero di tutti gli esseri viventi, e capaci di costante autocritica. Ancora mi emoziono ed entusiasmo, incredula, come un’adolescente con i suoi idoli, ricevendo quotidianamente e-mail, lettere cartacee, libri, riviste, telefonate da alcune tra le voci più significative del mio tempo!

Da alcuni anni ho trovato il coraggio di interrompere la lettura per non riprenderla più, se l’autore non riesce a farmi “divertire”, allontanare da un solco precostituito. Mi annoiano sia il cerebralismo che il sentimentalismo variamente ostentati. Ritengo che nella vita nulla sia banale, tuttavia come si guarda è determinante.

Alcuni poeti non lo sanno, ma hanno contribuito in modo significativo a non farmi abbandonare definitivamente la scrittura (scrivere, in me, ha sempre generato amore-odio, perché non mi ha consentito l’indipendenza economica).

Rappresentano un grande sogno divenuto realtà, la mia opera Architectures Three-dimensional Poems accolta nella Collana diretta da Luigi Fontanella, dopo essere rimasta per molti anni nel cassetto, e l’Introduzione a Neraneve e i sette cani, che lo stesso Luigi Fontanella ha curato. Mi cattura, una dolce malinconia, ripensando ad alcuni suoi libri. Il suo Monte Stella (Passigli, 2020) mi rammenta “Le cinque punte”, la montagna a me più cara. E grazie a Luigi Fontanella e al suo libro Il dio di New York (Passigli, 2017), ho potuto scoprire la poesia e l’infelice biografia di Pascal D’Angelo.

Un altro sogno realizzato è la nota di lettura che Alessandro Fo ha dedicato a Vocabolari e altri vocabolari. Egli è uno dei pochi poeti capaci di farmi ridere o sorridere anche mentre sento ancora l’amaro in bocca o una fitta in pieno petto. Grazie a lui ora compare Pierluigi Cappello tra le mie prossime letture. L’aver letto poesie in friulano di Cappello molti anni fa, mi aveva un po’ tolto la curiosità di avvicinarmi ad altre sue opere, perché mi ricordava troppo un mondo dal quale ho spesso cercato di allontanarmi.

In particolare, a essere del tutto sincera, mi sento piuttosto distante dalla maggior parte degli altri poeti, perché non concepisco l’infanzia come una “età dell’oro” individuale, anche se a volte è capitato che vi abbia fatto riferimento.

Non potrei scrivere se non introducessi anche elementi a me estranei nelle mie opere. La fantasia deve fondersi con il vissuto, eppure le biografie rimangono la mia passione.

La vita di ogni essere vivente è una miniera incredibile e può risultare interessantissima, se solo vengono poste le domande giuste.

Mi interessano molto le opere altrui, ma anche le vite dei loro autori.

Mi fanno sentire meno sola.

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

  • Anche se non ci fosse stata l’epidemia di Covid-19, credo che i tempi per la stesura (definitiva) di Vocabolari e altri vocabolari fossero ormai maturi. Di certo, invece, è stato decisivo, per riuscire a trovare una tale concentrazione, l’aver dovuto rimandare la pubblicazione de L’innocenza usurpata.

Conduco da sempre vita appartata, quindi non è cambiato molto nella mia quotidianità, e ho sempre avuto molte fobie. Mi mancano terribilmente, però, le mie montagne e il mio mare, e l’illusione di avere un po’ di libertà. Inoltre, io che amavo pianificare e ripianificare qualunque cosa in continuazione, ora più che mai mi trovo costretta ad affrontare un giorno alla volta.

Percepisco qualunque tragedia collettiva come una somma di tragedie individuali.

Non credo si possa veramente affermare che non si dovrebbero più scrivere poesie dopo certe sconfitte dell’umanità.

Proprio quando i tempi sono più bui, dovremmo cercare di costruire qualcosa di bello da mettere sull’altro piatto della bilancia.

Grazie infinite a te, per l’occasione di riflessione e condivisione, e ai lettori di Dedalus!

poesia e prefazione

da

Vocabolari e altri vocabolari

 

Ogni parola, un cassetto nel ventre,

un piano di grattacielo,

una grotta nascosta,

un brillare di stelle al centro dell’inferno.

Una popolazione di lettere e sillabe democratiche,

una raccolta differenziata di pesi netti e tare.

Tu chiami amore qualcosa

che non ammette inclusione impura

nel cristallo del dire,

né il peso lordo nel gioco combinatorio.

Nel mio mondo, invece, la tua è indifferenza,

e l’odio non è nuocere, bensì non collaborare

e non aiutare a fare del male

a chi non ha spine per potersi difendere.

La sofferenza è uguale per tutti,

ma c’è chi è più uguale di altri.

Hanno strappato l’anima alla parola animale,

coloro che non amano nemmeno l’uomo.

Il bambino istintivamente adora gli animali

e, per essere rispettato,

esige che loro vengano protetti.

Qui me amat, amet et canem meum.

Parole nel vuoto:

Ornamento del dire diventa delitto,

nel vuoto di-s-senso.

Virgolette e corsivi,

per battute di dialogo e pensieri del cane protagonista,

non vengono accettati dall’editore,

poco avvezzo allo studio delle lingue straniere.

Ma l’autore sa se l’espressione sul viso di pelo

significa “mi sento così e lo tengo per me”

oppure “mi sento così e te lo dico!”!

Dubbi assalgono anche i controllori della lingua,

che devono spesso arrendersi al furor di popolo

e ai numeri dei motori di ricerca:

occorrenze di forme più o meno (s)corrette

(repetita iuvant…),

per portare nuova linfa nelle pagine

di enciclopedie e Vocabolari,

insicuri nel vestito del proprio scrivere,

dubitando addirittura dell’ausiliare giusto,

insidiati dall’ipercorrettismo.

Esistono corrispondenze

l’equivalente della parola,

l’equivalente dell’uomo –

ma il linguaggio equivalente non viene ap-prezzato:

non è farmaco di marca,

non è cane o gatto di razza.

Il lignaggio del linguaggio,

contrapposto alla ricchezza del meticciato.

E le inversioni inattese:

la religione come scienza,

la scienza come religione,

la preghiera che offende come bestemmia,

la bestemmia che vuol essere preghiera,

la folle o profetica allucinazione.

Voglio una parola

che sia violenta scarica elettrica,

pensiero per immagini,

taglio che chiude la pagina.

Non il sottovoce che non ha funzionato.

Voglio un intonaco arrotolabile,

spolverato di cipria di marmo di Carrara

e travertino romano,

per coprire queste pareti di un nuovo inizio,

perché l’errore non ricompaia.

PREFAZIONE DI LUCIA GADDO ZANOVELLO

“Voglio una parola / che sia violenta scarica elettrica, / pensiero per immagini, / taglio che chiude la pagina. / Non il sottovoce che non ha funzionato.”

Brina Maurer, qui autrice di un libro scritto nella lingua di cui si avvale chi parola non ha, denuncia con la forza aggiuntiva e unica della poesia l’inganno secondo il quale fin da piccoli ci viene fatto credere che gli animali delle altre specie sono esseri inferiori, che non meritano o non necessitano di molta considerazione, dimenticando la loro provata straordinaria sensibilità, il dolore e le emozioni che essi pure sperimentano.

Gli umani si comportano in modi diversi con gli animali, ma alcuni di loro non li rispettano e molti ancora purtroppo non si preoccupano minimamente di come vengano trattati, nemmeno quando vengono torturati. Sebbene sia considerato lodevole prestare aiuto agli umani bisognosi, quando un essere non umano avrebbe bisogno di essere soccorso viene spesso abbandonato al suo destino, e anche questa è una forma di discriminazione specista, dato che tutti gli animali hanno necessità e diritto a non essere penalizzati, sfruttati od offesi.

Negli ultimi decenni, fortunatamente, evento rivoluzionario quanto tardivo, nell’umanità va facendosi strada la consapevolezza, per qualcuno incresciosa, di essere parte non soltanto della natura, quanto soprattutto della compagine degli organismi animali, a volte persino senza variazioni di grado e di valore, comprendendo finalmente che siamo interconnessi nel profondo con la natura e con gli altri esseri viventi, che dobbiamo custodire la complessità della vita per salvare la nostra stessa esistenza sul pianeta.

Non più dunque la morale dell’uomo sovrano del mondo, ma una legge universale che ci veda parti integrate in un tutto, senza limiti di spazio e di tempo.

Vi è poi la necessità urgente, e questo ‘Vocabolario’ diviene raro e prezioso strumento a tal fine, di coltivare nell’uomo la propensione all’empatia fin dalla più tenera età, solo così si potrà aprire la strada alla giustizia, capacità di chi, sospeso il giudizio negativo della diversità, sentendosi in armonia con l’intero universo, sarà in grado di abbracciarlo totalmente, specchiandosi in esso, allora il paradiso da cui l’uomo si è dolorosamente allontanato potrà tornare sulla terra.

Verità e certezze che chiaramente legge e impara chi ha guardato a lungo negli occhi di un cane, comprendendo e assimilandone la lingua purissima, tenera e innocente.

Lucia Gaddo Zanovello

brina maurer « DEDALUS: corsi, testi e contesti di volo letterario

Brina Maurer è nata a Codroipo (Udine) il 15 dicembre 1970. Laureata in Lettere e Filosofia (Conservazione dei Beni Culturali) con lode, è stata pubblicista ed è poeta, romanziere, diarista, biografa e critico letterario. Presente nell’antologia on line Italian Poetry, ha scritto 25 libri e più di 200 articoli. Con il “Ciclo di Glenn” (oltre 1600 pagine di narrativa dedicate alla disabilità nel mondo animale) ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti nell’ambito del Premio “Franz Kafka Italia®”. Ha dedicato una Collezione di oltre quaranta diari al cagnolino Mughetto (più di 4500 pagine manoscritte). Sue poesie sono state tradotte in inglese americano e greco moderno. Ha ricevuto circa un centinaio di riconoscimenti nell’ambito dei premi letterari.

A TU PER TU – Susanna Barsotti

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

Susanna Barsotti è la destinataria della terza intervista della rubrica A TU PER TU – Una rete di voci.
Susanna è una dottoranda della Scuola Normale di Pisa. È anche un’artista, si occupa di illustrazioni, soprattutto di acquerelli, con l’evocativo nome d’arte Limoni Blu. È stata insegnante in un carcere e da questa sua esperienza è nato un libro che ho avuto l’opportunità di leggere e che considero di notevole rilievo, sia sul piano sociale e umano (e quindi umanistico) che dal punto di vista strettamente letterario.
Per conoscere questa autrice con ottime prospettive nei suoi ambiti di lavoro e di studio e nelle sue poliedriche espressioni artistiche, molto meglio di queste brevi note introduttive potrà fare la lettura dell’intervista.
Buona lettura, IM

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.

Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.

Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.

Saranno volta per volta le stesse domande.

Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

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5 domande

a

Susanna Barsotti

 

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Non so dare una definizione perentoria di cosa sono, né di chi sono. L’unica cosa che può forse definirmi è ciò che faccio, e l’essenza delle mie giornate è da sempre fatta di scrittura, lettura e fantasticherie che amo rappresentare sulla carta con gli acquerelli. Nella vita, sono una studiosa e un’illustratrice. Mi sono laureata in Filologia Moderna e sto facendo il dottorato alla Scuola Normale di Pisa, ma appena posso disegno, illustro, progetto. Il mio nome d’arte è Limoni blu e la mia essenza è l’acquerello. Da fruitrice e da studiosa di letteratura prediligo la poesia medioevale e in particolare la lirica trobadorica. Ho fatto tesoro di esperienze passate (lavorative e non solo) molto diverse dalla mia attuale vita; grazie a queste e ad alcuni incontri significativi trovo tutt’oggi le spinte profonde delle mie espressioni.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Il mio ultimo libro (e il primo, per il momento) si intitola A scuola dentro. È frutto di una scrittura terminata due anni fa e nasce da un’esperienza lavorativa in qualità di supplente di italiano, neolaureata, presso l’istituto di detenzione Due Palazzi di Padova.

L’opportunità che ho avuto è stata voluta puramente dal caso. Dovevo ancora compiere 26 anni, lavoravo al servizio clienti IKEA per guadagnarmi da vivere nell’attesa di capire cosa volessi fare nella vita e la supplenza su convocazione (ero inserita nelle graduatorie di terza fascia), favolosa quanto spaventosa, mescolava insieme una serie di “prime volte”: la prima volta da insegnante, la prima volta a contatto con le carceri, con un pubblico di adulti (l’istituto che mi convocava era il C.P.I.A. [= Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti] di Padova).

Il libro nasce dunque da questa esperienza, assurda quanto emozionante, terribile, irripetibile. Il C.P.I.A. era solo una delle venti scuole che avevo inserito mettendomi in graduatoria e la casualità, come dicevo, ha fatto tutto il resto.

Il libro è frutto di una riflessione-rielaborazione quotidiana, al rientro dall’istituto penitenziario. I protagonisti di questa narrazione sono uomini che scontano la propria pena, sia italiani che stranieri, che vengono a seguire quotidianamente le mie lezioni per otto mesi. Dalle mie ore passate con gli alunni nascono storie di qualsiasi genere, che spaziano dal grottesco al gioco, dall’amicizia all’innamoramento, dal senso di fallimento alla profonda fiducia nei confronti dell’attività didattica.

Alcune parole di recensione di Stefano Taccone al mio libro hanno secondo me sottolineato, meglio di quanto non avessi potuto fare io, la riflessione sulla scuola che avrei voluto fare emergere: «Il sodalizio [tra docente e alunno] risulta […], nel complesso, intenso e formativo per entrambe le parti. Susanna evita di seguire il consiglio di una sua collega di dipartimento di concentrarsi sulla grammatica. Punta invece sul dialogo e su tematiche sempre agganciabili all’attualità e quindi al dramma delle loro vite – un passato di omicidi, rapine, spaccio, ma anche talvolta in grado di sorprendere per qualità dei sentimenti ed arguzia. Spesso il dibattito è infuocato; le posizioni divergono; non mancano episodi più tristi, ove i limiti della convivenza civile vengono superati. Nell’insieme tuttavia la giovane docente toscana lascia negli abitanti del carcere pavano un’impronta forse ancora più profonda di quanto non mostri di rendersi conto, così come anche per lei la vicenda del carcere si rivela di una ricchezza esperienziale immensa, di quelle che segnano la vita – non passerà questa prova senza mettere in critica rigidità e certezze che le vengono dalla sua estrazione socio-culturale»

(fonte:http://www.rivistadiwali.it/sbarreegriglie/?fbclid=IwAR3RWjXLjNWxVR4Lg0rLdNaqQkI01vCihbKd0aMJlNTw21T6cBB9ZZutf8Y).

Insegnare in carcere è stato un viaggio all’interno della mia coscienza di persona libera, di donna e di insegnante. Mi ha fatto riflettere sui rapporti di potere, ma anche sull’opportunità di riscattarsi grazie alla curiosità e alla conoscenza. Il libro raccoglie sensazioni, aneddoti, narrazioni e riflessioni: dentro ho fissato i dialoghi e gli incontri, i non detti, le speranze e le paure di una popolazione che vive all’ombra dell’idea di ‘giusto’ e ‘sbagliato’; una popolazione i cui diritti sono troppo spesso dimenticati, e su cui prevale il senso della punizione anziché della rieducazione e del perdono.

 

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

 

Non posso dire di aver mai scritto poesia… anzi, per la precisione qualche verso l’ho scritto, ma non lo considero poetico. Scherzi a parte, preferisco il colore. Il poeta è un po’ come il pittore (e viceversa); entrambi devono attenersi a un codice espressivo, un armamentario di regole estetiche, ma al tempo stesso assecondare anche il profondo sentire che anima l’ispirazione. Amo pensare che il colore sia la trasposizione figurativa della poesia e che per qualche ragione la mia inclinazione naturale abbia prescelto una sola di queste due forme espressive, escludendo l’altra.

La mia produzione scritta, per il momento, è esclusivamente narrativa, autobiografica e saggistica. Se mi si chiede come interagiscono il versante letterario-accademico e quello artistico, posso dire – ai più sembrerà forse un’assurdità – che sono una cosa sola: l’arte è per me un mezzo conoscitivo e una diretta emanazione di ciò che leggo e introietto. Non tutto si può sedimentare per diventare arte e scrittura, ma ho la fortuna di fare un bellissimo lavoro e di farmi fruitrice di bellezza ogni giorno della mia vita. Questa è per me l’essenza dell’interazione tra realtà, lettura, scrittura e pittura.

 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

 

Per il momento ho seguito una via tutta personale alla lettura e alla produzione letteraria. Ciò non esclude che io non abbia dei modelli o degli ‘idoli’, ma sono troppo grandi per essere nominati parlando di me. Mi sento sotto questo aspetto ancora piccola. Ho in programma però un nuovo progetto, che richiederà molto lavoro, ma su cui ho già degli appunti; il mio modello in questa impresa, ne sono già sicura, sarà Pastorale americana di Philip Roth, uno dei libri che ha accompagnato la mia “reclusione” nel momento del lockdown.

 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

 

La pandemia mi ha aperto gli occhi su una serie di aspetti: a mio parere ha messo a nudo le contraddizioni del nostro vivere (sul fronte del lavoro, della vita di casa e degli spazi del quotidiano, della nostra idea di libertà personale). Le falle del sistema in cui viviamo (noi, letterati, cultori della sensibilità e promotori di espressioni artistiche e letterarie) sono adesso più che mai chiare; è vacuo, secondo la mentalità comune, il tempo non dedicato alla produzione di guadagno e le attività culturali sono viste come un’eccezione all’interno del tempo libero, qualcosa di ‘eccezionale’ all’interno delle priorità. La chiusura delle scuole, l’impossibilità di servirsi liberamente delle biblioteche, e, ancora, l’annullamento di mostre, spettacoli, concerti, mi hanno fatto molto riflettere (in negativo) sull’importanza – mai rimpiazzabile – della presenza fisica nella produzione e nell’espressione culturale. Non sono avversa alle attività che si svolgono in forma telematica; penso solo che questa (presentazione di libri comprese) debba poter essere una scelta e non l’unica via di sbocco.

In un momento, come questo, di necessaria convivenza con il Covid 19, auspico ancora in una migliore organizzazione dello spazio culturale. Di positivo c’è che, mettendo insieme le risorse, potremo raggiungere un maggior numero di utenti e di interlocutori: e se è vero che l’unione fa la forza, forse, riaperti gli spazi, saremo ancora più numerosi e, si spera, più entusiasti.

Ipotesi

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Ils m’ont alors ôté les menottes. Ils ont ouvert la porte et m’ont fait entrer dans le box des accusés. La salle était pleine à craquer. Malgré les stores, le soleil s’infiltrait par endroits et l’air était déjà étouffant. On avait laissé les vitres closes. C’est à ce moment que j’ai aperçu une rangée de visages devant moi. Tous me regardaient : j’ai compris que c’étaient les jurés. Mais je ne peux pas dire ce qui les distinguait les uns des autres. Je n’ai eu qu’une impression : j’étais devant une banquette de tramway et tous ces voyageurs anonymes épiaient le nouvel arrivant pour en apercevoir les ridicules. Je sais bien que c’était une idée niaise puisque ici ce n’était pas le ridicule qu’ils cherchaient, mais le crime. Cependant la différence n’est pas grande et c’est en tout cas l’idée qui m’est venue.

 

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Poi mi hanno tolto le manette. Hanno aperto la porta e mi ha fatto entrare nella gabbia
dell’accusato. La stanza era piena. Nonostante le serrande, il sole filtrava in alcuni punti e l’aria era già soffocante. Avevamo lasciato le finestre chiuse. Fu allora che vidi una schiera di facce di fronte a me. Tutti mi guardavano: l’ho capito, erano i giurati. Ma non posso dire cosa li distingua l’uno dall’altro. Ho avuto solo un’impressione: ero di fronte alla panchina di un tram e tutti questi viaggiatori anonimi stavano spiando il nuovo arrivato per coglierne il ridicolo. So che era un’idea stupida dato che qui non era il ridicolo che stavano cercando, ma il crimine. Tuttavia la differenza non è eccezionale ed è in tutto e per tutto l’idea che mi è venuta in mente.

Albert Camus, L’Étranger, 1942