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A TU PER TU – Stefano Vitale

Delle risposte di Stefano Vitale all’intervista, mi ha colpito tra gli altri questo passaggio: “prendere posizione, attraverso la poesia e il disegno, sulle lacerazioni della contemporaneità, del presente. Non si tratta di un libro ‘ideologico’, perché l’intento principale è fare poesia ed arte. In questo caso misurandoci col presente, affrontando l’impoetico con mezzi poetici. E cercando di proporre una visione più universale dei temi che trattiamo. Lo spunto nasceva dall’indignazione per le politiche sull’immigrazione e l’accoglienza di tutti i migranti del mondo, dalla rabbia per la generale indifferenza, ma anche dall’esigenza di cogliere e rappresentare il sentire dell’uomo e della donna di oggi immersi in questa realtà”.
Ci sono in queste parole molti spunti, molti inviti, impliciti ma molto pressanti, alla riflessione, anzi alla necessità di chiamarsi in causa. “Affrontando l’impoetico con mezzi poetici”, scrive Vitale. E non è solo una frase bella esteticamente. Anche se la bellezza è forse, oggi più che mai, un’arma di difesa. L’impoetico lo sappiamo cos’è. Ognuno se lo trova davanti agli occhi, nei timpani e nel cervello ogni giorno. Ognuno ha il suo personale “rumore” da affrontare. E sappiamo anche che “rumore” in vari ambiti disciplinari, da quelli tecnici a quello filosofici, psicologici e linguistici, è molto più del semplice chiasso. È il frastuono della disarmonia. C’è da valutare allora le contromisure. Quali sono i mezzi poetici? Oltre alla parola, al verso, c’è ad esempio, la musica, e non è casuale in tale contesto il legame profondo di Vitale con la musica, soprattutto quella sinfonica, a cui accenna egli stesso nelle risposte.
Ma i mezzi poetici non sono solo strettamente artistici. Se l’indifferenza è il male per antonomasia di questi nostri tempi, bisognerà agire sul tasto opposto, creare un controcanto, un’azione uguale e contraria che eviti la caduta nel baratro. Sandro Luporini e Giorgio Gaber avrebbero scritto e cantato che “Libertà è partecipazione”. I confini, sia quelli reali fatti di mattoni e filo spinato, sia quelli mentali non meno solidi e laceranti, si abbattono nel momento esatto in cui si partecipa del dolore degli altri. Ritrovare un “sentire” autentico è la vera sfida. Ciò che ci restituirà la dimensione di uomini e donne. La nostra autentica umanità.
Coerentemente, Vitale ha una visione sobria e oggettiva. La speranza non è data “a priori”, va conquistata, va meritata.  Anche il suo sguardo sul mezzo tramite cui si esprime è schietto: “Ho sempre sostenuto che la poesia è una cosa fragile che però ha in questa fragilità la sua qualità, la sua forma di paradossale resilienza. […] La poesia dovrebbe, talvolta, obbligare il lettore a non distrarsi, a tendere lo sguardo verso l’inatteso, costringendolo anche a prendere coscienza di quel che si vorrebbe rimuovere. Così facendo la poesia prende sul serio i vuoti dell’esistenza, le fratture, le questioni irrisolte”.
Poesia quindi non come materia astratta ma come sollecitazione al gesto, alla presa di coscienza, alla rimozione delle mura e dei confini che non di rado lasciamo scavare nelle nostre menti.
IM
 
A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI

 

 

5 domande

 

a

 

Stefano Vitale

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Sono nato a Palermo, città-radice che sento nostalgicamente vicina, ma vivo a Torino, città che amo per la sua discrezione e vivibilità, per la sua bellezza elegante. Qui mi sono laureato in filosofia, qui ho costruito la mia vita personale e professionale. Qui ho fondato nel 1981 i Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva, una cooperativa sociale dove ancora oggi lavoro come formatore e responsabile di servizi educativi. A Torino coltivo le mie passioni che sono, a parte la poesia e la letteratura, l’impegno civile nel mondo dell’educazione, della cultura e della musica. Oggi sono Direttore Artistico dell’Ass. Amici Orchestra Sinfonica RAI.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Il mio ultimo libro è “Incerto confine” edito da “paolagribaudo editore” nella sua collana di libri artistici “disegnodiverso”. Il libro è stato scritto con Albertina Bollati che ha curato le immagini. Si tratta di un libro “unico”, nel senso che poesie e immagini sono un tutt’uno, sia pure in una prospettiva di dialogo. Insomma il libro è un insieme che non perde di vista la valorizzazione dei diversi strumenti espressivi. Così, nella coerenza del messaggio, vogliamo emerga la diversità dei percorsi, delle strategie comunicative. Si tratta di una plaquette, come si dice, che abbiamo voluto produrre sulla base di una esigenza etica ed estetica: prendere posizione, attraverso la poesia e il disegno, sulle lacerazioni della contemporaneità, del presente. Non si tratta di un libro “ideologico”, perché l’intento principale è fare poesia ed arte. In questo caso misurandoci col presente, affrontando l’impoetico con mezzi poetici.  E cercando di proporre una visione più universale dei temi che trattiamo. Lo spunto nasceva dall’indignazione per le politiche sull’immigrazione e l’accoglienza di tutti i migranti del mondo, dalla rabbia per la generale indifferenza, ma anche dall’esigenza di cogliere e rappresentare il “sentire” dell’uomo e della donna di oggi immersi in questa realtà. Il tema del “confine” rinvia ad una varietà di simboli, connotazioni, esperienze: si pensa ai muri, alle barriere, alla frontiere che dividono, opprimono, ma vogliamo che si pensi anche all’immagine della soglia intesa come passaggio verso nuove dimensioni dell’esperienza, e poi abbiamo anche bisogno di confini “buoni”, di spazi protetti, di limiti che ci aiutino a non frammentarci. Il libro è uscito a novembre del 2019 poco prima dell’emergenza Covid: per certi aspetti abbiamo anticipato alcune tematiche con cui poi abbiamo dovuto fare i conti. “Incerto confine” inoltre non perde di vista né la relazione con la memoria, né appunto con la ricerca di una pura espressione artistica. La memoria storica è indispensabile per costruire radici e identità così come la creatività è necessaria per aprire nuove strade, per dare voce e calore a pensieri diversi, inattesi.

Su questo libro hanno scritto diversi autorevoli critici e poeti come Alessandro Fo, Paolo Ruffilli, Ivano Mugnaini, Alfredo Rienzi, Dario Capello, Daniela Pericone, Alessandra Paganardi,  Carlo Prosperi, Lucia Triolo, Fabrizio Bregoli, Angelo Manitta, Pierangela Rossi, Marvi del Pozzo, Alberto Piazza, Giorgio Moio e tanti altri che devo ringraziare per la loro attenzione.

La cosa bella è che ciascuno di loro ha colto aspetti diversi, a testimonianza del fatto che questo libro non è un monolite, ma un “territorio” complesso in cui sono “tessute insieme” prospettive, risonanze, pensieri ed emozioni multiple. La poesia dovrebbe essere anche questo: una forma di espressione che si  fa forte della sua “ambiguità”, della sua “indefinitezza” e persino “imperfezione”.  Ho sempre sostenuto che la poesia è una cosa fragile che però ha in questa fragilità la sua qualità, la sua forma di paradossale resilienza. La poesia è prima di tutto sforzo del linguaggio di dire altrimenti ciò che è necessario dire. Per questo il poeta dovrebbe essere attento a quanto accade intorno e dentro di sé. La poesia dovrebbe, talvolta, obbligare il lettore a non distrarsi, a tendere lo sguardo verso l’inatteso, costringendolo anche a prendere coscienza di quel che si vorrebbe rimuovere.  Così facendo la poesia prende sul serio i vuoti dell’esistenza, le fratture, le questioni irrisolte.

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A TU PER TU – Susanna Barsotti

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

Susanna Barsotti è la destinataria della terza intervista della rubrica A TU PER TU – Una rete di voci.
Susanna è una dottoranda della Scuola Normale di Pisa. È anche un’artista, si occupa di illustrazioni, soprattutto di acquerelli, con l’evocativo nome d’arte Limoni Blu. È stata insegnante in un carcere e da questa sua esperienza è nato un libro che ho avuto l’opportunità di leggere e che considero di notevole rilievo, sia sul piano sociale e umano (e quindi umanistico) che dal punto di vista strettamente letterario.
Per conoscere questa autrice con ottime prospettive nei suoi ambiti di lavoro e di studio e nelle sue poliedriche espressioni artistiche, molto meglio di queste brevi note introduttive potrà fare la lettura dell’intervista.
Buona lettura, IM

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.

Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.

Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.

Saranno volta per volta le stesse domande.

Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

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5 domande

a

Susanna Barsotti

 

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Non so dare una definizione perentoria di cosa sono, né di chi sono. L’unica cosa che può forse definirmi è ciò che faccio, e l’essenza delle mie giornate è da sempre fatta di scrittura, lettura e fantasticherie che amo rappresentare sulla carta con gli acquerelli. Nella vita, sono una studiosa e un’illustratrice. Mi sono laureata in Filologia Moderna e sto facendo il dottorato alla Scuola Normale di Pisa, ma appena posso disegno, illustro, progetto. Il mio nome d’arte è Limoni blu e la mia essenza è l’acquerello. Da fruitrice e da studiosa di letteratura prediligo la poesia medioevale e in particolare la lirica trobadorica. Ho fatto tesoro di esperienze passate (lavorative e non solo) molto diverse dalla mia attuale vita; grazie a queste e ad alcuni incontri significativi trovo tutt’oggi le spinte profonde delle mie espressioni.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Il mio ultimo libro (e il primo, per il momento) si intitola A scuola dentro. È frutto di una scrittura terminata due anni fa e nasce da un’esperienza lavorativa in qualità di supplente di italiano, neolaureata, presso l’istituto di detenzione Due Palazzi di Padova.

L’opportunità che ho avuto è stata voluta puramente dal caso. Dovevo ancora compiere 26 anni, lavoravo al servizio clienti IKEA per guadagnarmi da vivere nell’attesa di capire cosa volessi fare nella vita e la supplenza su convocazione (ero inserita nelle graduatorie di terza fascia), favolosa quanto spaventosa, mescolava insieme una serie di “prime volte”: la prima volta da insegnante, la prima volta a contatto con le carceri, con un pubblico di adulti (l’istituto che mi convocava era il C.P.I.A. [= Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti] di Padova).

Il libro nasce dunque da questa esperienza, assurda quanto emozionante, terribile, irripetibile. Il C.P.I.A. era solo una delle venti scuole che avevo inserito mettendomi in graduatoria e la casualità, come dicevo, ha fatto tutto il resto.

Il libro è frutto di una riflessione-rielaborazione quotidiana, al rientro dall’istituto penitenziario. I protagonisti di questa narrazione sono uomini che scontano la propria pena, sia italiani che stranieri, che vengono a seguire quotidianamente le mie lezioni per otto mesi. Dalle mie ore passate con gli alunni nascono storie di qualsiasi genere, che spaziano dal grottesco al gioco, dall’amicizia all’innamoramento, dal senso di fallimento alla profonda fiducia nei confronti dell’attività didattica.

Alcune parole di recensione di Stefano Taccone al mio libro hanno secondo me sottolineato, meglio di quanto non avessi potuto fare io, la riflessione sulla scuola che avrei voluto fare emergere: «Il sodalizio [tra docente e alunno] risulta […], nel complesso, intenso e formativo per entrambe le parti. Susanna evita di seguire il consiglio di una sua collega di dipartimento di concentrarsi sulla grammatica. Punta invece sul dialogo e su tematiche sempre agganciabili all’attualità e quindi al dramma delle loro vite – un passato di omicidi, rapine, spaccio, ma anche talvolta in grado di sorprendere per qualità dei sentimenti ed arguzia. Spesso il dibattito è infuocato; le posizioni divergono; non mancano episodi più tristi, ove i limiti della convivenza civile vengono superati. Nell’insieme tuttavia la giovane docente toscana lascia negli abitanti del carcere pavano un’impronta forse ancora più profonda di quanto non mostri di rendersi conto, così come anche per lei la vicenda del carcere si rivela di una ricchezza esperienziale immensa, di quelle che segnano la vita – non passerà questa prova senza mettere in critica rigidità e certezze che le vengono dalla sua estrazione socio-culturale»

(fonte:http://www.rivistadiwali.it/sbarreegriglie/?fbclid=IwAR3RWjXLjNWxVR4Lg0rLdNaqQkI01vCihbKd0aMJlNTw21T6cBB9ZZutf8Y).

Insegnare in carcere è stato un viaggio all’interno della mia coscienza di persona libera, di donna e di insegnante. Mi ha fatto riflettere sui rapporti di potere, ma anche sull’opportunità di riscattarsi grazie alla curiosità e alla conoscenza. Il libro raccoglie sensazioni, aneddoti, narrazioni e riflessioni: dentro ho fissato i dialoghi e gli incontri, i non detti, le speranze e le paure di una popolazione che vive all’ombra dell’idea di ‘giusto’ e ‘sbagliato’; una popolazione i cui diritti sono troppo spesso dimenticati, e su cui prevale il senso della punizione anziché della rieducazione e del perdono.

 

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

 

Non posso dire di aver mai scritto poesia… anzi, per la precisione qualche verso l’ho scritto, ma non lo considero poetico. Scherzi a parte, preferisco il colore. Il poeta è un po’ come il pittore (e viceversa); entrambi devono attenersi a un codice espressivo, un armamentario di regole estetiche, ma al tempo stesso assecondare anche il profondo sentire che anima l’ispirazione. Amo pensare che il colore sia la trasposizione figurativa della poesia e che per qualche ragione la mia inclinazione naturale abbia prescelto una sola di queste due forme espressive, escludendo l’altra.

La mia produzione scritta, per il momento, è esclusivamente narrativa, autobiografica e saggistica. Se mi si chiede come interagiscono il versante letterario-accademico e quello artistico, posso dire – ai più sembrerà forse un’assurdità – che sono una cosa sola: l’arte è per me un mezzo conoscitivo e una diretta emanazione di ciò che leggo e introietto. Non tutto si può sedimentare per diventare arte e scrittura, ma ho la fortuna di fare un bellissimo lavoro e di farmi fruitrice di bellezza ogni giorno della mia vita. Questa è per me l’essenza dell’interazione tra realtà, lettura, scrittura e pittura.

 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

 

Per il momento ho seguito una via tutta personale alla lettura e alla produzione letteraria. Ciò non esclude che io non abbia dei modelli o degli ‘idoli’, ma sono troppo grandi per essere nominati parlando di me. Mi sento sotto questo aspetto ancora piccola. Ho in programma però un nuovo progetto, che richiederà molto lavoro, ma su cui ho già degli appunti; il mio modello in questa impresa, ne sono già sicura, sarà Pastorale americana di Philip Roth, uno dei libri che ha accompagnato la mia “reclusione” nel momento del lockdown.

 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

 

La pandemia mi ha aperto gli occhi su una serie di aspetti: a mio parere ha messo a nudo le contraddizioni del nostro vivere (sul fronte del lavoro, della vita di casa e degli spazi del quotidiano, della nostra idea di libertà personale). Le falle del sistema in cui viviamo (noi, letterati, cultori della sensibilità e promotori di espressioni artistiche e letterarie) sono adesso più che mai chiare; è vacuo, secondo la mentalità comune, il tempo non dedicato alla produzione di guadagno e le attività culturali sono viste come un’eccezione all’interno del tempo libero, qualcosa di ‘eccezionale’ all’interno delle priorità. La chiusura delle scuole, l’impossibilità di servirsi liberamente delle biblioteche, e, ancora, l’annullamento di mostre, spettacoli, concerti, mi hanno fatto molto riflettere (in negativo) sull’importanza – mai rimpiazzabile – della presenza fisica nella produzione e nell’espressione culturale. Non sono avversa alle attività che si svolgono in forma telematica; penso solo che questa (presentazione di libri comprese) debba poter essere una scelta e non l’unica via di sbocco.

In un momento, come questo, di necessaria convivenza con il Covid 19, auspico ancora in una migliore organizzazione dello spazio culturale. Di positivo c’è che, mettendo insieme le risorse, potremo raggiungere un maggior numero di utenti e di interlocutori: e se è vero che l’unione fa la forza, forse, riaperti gli spazi, saremo ancora più numerosi e, si spera, più entusiasti.