Il bestiario delle bestiacce

Il titolo del recente libro di Annalisa Macchia è attraente. Incuriosisce. Invita a scrutare all’interno per vedere cosa spunta, cosa compare. Magari ci troveremo di fronte un animale tra il mitico e il reale, tra verità e invenzione fantastica.
Coerentemente con lo stile di Annalisa, il libro è serio e giocoso allo stesso tempo. Ma in maniera sincera e profonda, non di maniera. Annalisa gioca sempre con grande attenzione al senso, soprattutto a quello ulteriore, a ciò che non si vede ma c’è, e magari ci fa pensare, mentre sorridiamo.
La leggerezza di questo libro è consistente. Calvino approverebbe. Le Cosmicomiche qui diventano Le Bestiacomiche. Ma l’impressione è che ciascun animale sia, a bene vedere, al di là della pelle e delle squame, al di là dei colori camaleontici e cangianti, un’immagine della bestia per eccellenza, l’animale selvatico e sospettoso, che siamo, a tratti, noi tutti.
C’è molto metodo nell’apparente lievità del libro, come direbbe Amleto. Si percepisce un’accurata preparazione “a monte”, si nota un’accurata suddivisione speculare delle varie sezioni, saltano all’occhio analogie e contrapposizioni per niente casuali. Vengono in mente Esopo, Alice, i suoi specchi e i suoi animali parlanti e pensanti, si rammentano Trilussa e Rodari, ma soprattutto si beneficia di un libro che si legge volentieri, che fa tornare bambini senza scordarci il gusto agrodolce, ma necessario, di guardare il nostro volto riflesso nello specchio di bestiacce che, non di rado, sono molto meno bestiacce di noi.
IM

Annalisa Macchia, Il bestiario delle bestiacce, Pagine, Roma 2020
                          A TU PER TU
                       UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.
Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.Saranno volta per volta le stesse domande.Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.IM

 

5 domande

a

Annalisa Macchia

 
1 )Il mio benvenuto, innanzitutto.
Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?
 
     Certamente e grazie per questo invito. Mi chiamo Annalisa Macchia, abito a Firenze, dove vivo da tanti anni, ma sono nata a Lucca; ho studiato a Pisa (Lingue e Letterature straniere) e frequento da sempre l’area livornese, luogo d’origine della mia famiglia. Dunque sono d’identità toscana, seppure variegata, dettaglio non trascurabile, perché credo che la mia scrittura sia rimasta “contaminata” da tutte quante queste frequentazioni. Sono un’autrice tardiva, se mi passate il termine. Dopo gli studi universitari e una prima pubblicazione (Pinocchio in Francia, edito dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi di Pescia), ho dedicato molti anni alla cura della mia numerosa e onerosa famiglia, scoprendo solo alla fine quanto avessero reso preziosa la mia formazione di persona, anche se mi avevano apparentemente allontanato dalla scrittura. Prepotente è però tornata la voglia insopprimibile di comunicare con la parola scritta. Sono nati così i primi lavori, storie in rima per l’infanzia (con l’assurda speranza che le parole scritte fossero più efficaci di quelle dette a voce…). Da allora, però, lettori o non lettori, non ho più smesso, cercando di conciliare i miei impegni familiari e di insegnante  – ho insegnato lingua e letteratura francese in vari istituti fiorentini – con la mia nuova attività. Sono seguite raccolte poetiche e narrative, frequentemente dedicate all’infanzia, all’avviamento della parola poetica anche tra i più piccoli (un mondo a me familiare, dal momento che ho avuto quattro figli ed ora ho quattro nipotini), ma anche qualche testimonianza critica e traduzione. Attualmente collaboro con qualche racconto e soprattutto con recensioni, con la rivista “Erba d’Arno” e sono redattrice della rivista Gradiva, ammirevole ponte di poesia e letteratura tra l’Italia e gli Stati Uniti. Ho anche diretto una collana di poesia per l’infanzia con la casa editrice Poiein, occupazione purtroppo di breve durata per la prematura scomparsa del suo direttore Gianmario Lucini, un carissimo amico, a cui devo molto e che ancora oggi rimpiango. Nella città in cui vivo, compatibilmente con il mio tempo libero, ho cercato di seguire i movimenti letterari che l’hanno animata in questi ultimi anni. Con presentazioni di autori e varie attività collaboro strettamente con l’Associazione Pianeta Poesia (www.pianetapoesia.it ), a cura di Franco Manescalchi. Un’attività che ha contribuito non poco alla mia formazione, aprendomi a mondi poetici altri, talvolta d’insospettabile interesse e bellezza.
 

2 )Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?
Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.
Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).
Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.
 
     Si tratta del recentissimo Bestiario delle bestiacce, edito lo scorso dicembre, un lavoro che ho “covato” lungamente prima di decidermi a pubblicarlo. Pubblicazione avvenuta poi, su incoraggiamento del caro amico Plinio Perilli, nella collana Monadi, da lui diretta, della casa editrice Pagine, di Roma. Il libro, arricchito da 5 tavole in bianco e nero rappresentanti 5 bestiacce scelte tra le mie dalla bravissima artista fiorentina Giovanna Ugolini, è preceduto da un’affettuosa prefazione di Franco Manescalchi, che considero il mio maestro in poesia e di cui ho un’immensa stima. Poeta e critico di vastissima cultura, di talento incredibile e di rettitudine rara nel mondo della letteratura, si è sempre dedicato alla poesia degli altri, accogliendo e aiutando chiunque.  Forse non conosciuto e apprezzato per quanto merita. Sono onorata che mi abbia dedicato questa prefazione. Conclude la raccolta un’ampia postfazione a cura di Plinio Perilli, sensibilissimo poeta e saggista, a cui sono legata da una lunga amicizia e da un’ammirazione profonda per il suo incredibile lavoro da sempre svolto per la critica e la poesia.
     Tornando alla mia raccolta, posso dire che strutturalmente consiste in trentaquattro (sarebbe più esatto dire trentatre + una, l’ultimo testo è stato aggiunto tardivamente) composizioni in versi liberi su animali comunemente definiti da noi umani “bestiacce”, seguite da una doppia quartina in rima e metrica varia, una sorta di botta e risposta tra Umano e Bestia, dove si evidenzia in modo ironico il punto di vista del povero animale rispetto all’umana considerazione.
     Devo dire che  l’ispirazione mi è venuta ripensando al Bestiaire o Cortège d’Orphée, di Guillaume Apollinaire, pubblicato a Parigi nel 1911 in pieno clima simbolista e modernista. L’autore, influenzato culturalmente da tutti i movimenti artistici  e d’avanguardia scatenatisi in Francia, è un riferimento ineludibile nella storia della poesia del Novecento. Il suo Bestiaire è un’opera bizzarra, geniale (come lo era il suo autore), dove ogni quartina in versi dedicata all’animale era accompagnata da un’icastica e altrettanto bizzarra illustrazione di Raoul Dufy (incarico precedentemente rifiutato da Picasso). Sono molti, moltissimi gli autori, i poeti che nel tempo si sono dedicati alla produzione di un Bestiare o di un’opera dedicata agli animali, ognuno con la propria inimitabile impronta. Il mio lavoro s’inserisce giocosamente in questa scia, e altrettanto giocosamente diverge.
     Perché dare voce proprio alle bestiacce? A quelle creature generalmente considerate con ripugnanza o indifferenza? Tutta questione di ottica… Se ci pensiamo bene per tante bestiacce gli esseri ripugnanti siamo noi, gli esseri umani. E come dar loro torto? Cambiare ottica ogni tanto non fa male.
     Forse anche questa mia raccolta è un po’ bizzarra, senz’altro diversa dalla corrente produzione poetica. Scrivendo non mi sono chiesta se questo mio lavoro fosse idealmente rivolto a un lettore adulto oppure bambino o ragazzo. Del resto in letteratura e in poesia queste distinzioni non hanno molto senso… Semplicemente ho seguito la mia ispirazione. Deciderà l’eventuale lettore. Quello che mi sta a cuore è che, però, trovi l’approccio ai testi il meno noioso possibile. Ma qui il discorso si farebbe lungo e arduo.
 
Dalla prefazione di Franco Manescalchi:
“L’arguzia, simile a una lente d’ingrandimento, fa vedere le cose come realmente sono e non come vorrebbero apparire, ed è, come si è detto, una caratteristica tutta Toscana, non ad personam come la satira, ma all’opposto, stimolo alla vita di relazione. In questo senso Annalisa è una Maestra che ha connaturato l’uso di questo grimaldello per entrare all’interno dei luoghi comuni che imperano nella comunicazione […] E ciò, sappiamo bene, in sintonia anche con i rivolgimenti storici che in questi giorni coinvolgono l’umanità dove i diversi sono criminalizzati.”
 
Dalla Postfazione di Plinio Perilli:
 
“Ad Annalisa Macchia
e al suo bestiario buffo
che poi è vademecum
sapienziale per ominidi.
[…]
Ci voleva dopo tanta poesia o imbolsita romantica o inacidita di sperimentalismi stilistici, spesso avanguardismo d’accatto, un sano e affilato ritorno a quella satira con cui ho esordito, e che ci sembra spesso il vaccino essenziale, l’anticorpo connaturato e sperimentato di ogni vasto, roccioso abisso o ben più minuscolo, mellifluo pertugio Umano, troppo umano.”
 
3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?
In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?
     No, assolutamente no, non sono una “purista”. Alterno, secondo l’estro del momento, narrativa e versi (mi sento a disagio a chiamare i miei testi “poesie”, ho un concetto alto della poesia), recensioni, testimonianze critiche e, più raramente, traduzioni. Mi hanno chiesto in tanti se mi piacesse di più dedicarmi alla narrativa o alla poesia (non solo di mia produzione), ma davvero non so rispondere.  Forse scrivere versi mi procura maggior soggezione,  mi viene spontaneo pensare ai grandi poeti e alle loro splendide opere. Ogni confronto non è sostenibile…  e se continuo è perché mi sembra giusto portare avanti anche la mia voce, non lasciare spazio solo alle altre che attualmente circolano (spesso non condivisibili). D’altronde ritengo la poesia la manifestazione più alta e nobile del nostro linguaggio e non può non affascinarmi.
 
4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?
Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?
     Per me, scambi e rapporti con altri autori arricchiscono, sono un nutrimento indispensabile alla crescita interiore. Alla lunga un percorso cosiddetto “individuale” ho l’impressione si esaurisca ripiegandosi entro i confini di se stesso, confini difficilmente percepiti e superati se non si volge lo sguardo anche altrove. Leggere, presentare autori contemporanei tra i più vari (non necessariamente nomi altisonanti, però sempre autentici e con molto da dire), poco alla volta ha affinato il mio approccio alla poesia, mi ha reso cosciente delle sue infinite sfumature, mi ha reso più aperta alle novità linguistiche e meno rigida nel considerarle.
     La mia formazione letteraria e linguistica, prevalentemente avvenuta in ambito francese, ha probabilmente influito su certe mie scelte (vedi Apollinaire con questa ultima raccolta… ma amo anche Baudelaire e infiniti altri autori non necessariamente francesi).
     L’influenza maggiore, però, penso di doverla attribuire al nostro grande padre Dante e alla sua Commedia, genio nato e vissuto tra l’altro nella terra dove anch’io vivo. E questo accresce la mia emozione quando penso a lui. Il ritmo, la musicalità, la potenza, l’emozione che scaturivano dai suoi versi, mi hanno sempre affascinato. Spesso, per allontanare momenti di paura, mi sono ritrovata a chiudere gli occhi e recitare mentalmente le terzine imparate a memoria (più bella l’espressione francese par coeur…). Funzionava. Della sua poesia mi deve essere rimasta nell’orecchio la misura e la grazia -per me perfetta- dell’endecasillabo, lo stupore delle rime che s’intrecciavano senza mai, dico mai, interferire sul significato del dettato, e quello per l’immensa cultura, per la completa padronanza in ogni scibile dell’epoca. Chissà, forse noi toscani abbiamo nel nostro sangue qualche, seppur minima, traccia del suo DNA… o, almeno, mi consola pensarlo.  Ne sarebbe conferma la ricchezza e la precisione di vocabolario della nostra popolazione, anche di umile estrazione, la naturale inclinazione a parlarsi rispondendosi “per le rime”, come avveniva fino a poco tempo fa con gli stornelli. Naturalmente il condizionale è d’obbligo…
     Tra i poeti a me più vicini per epoca storica e cultura ho amato Montale, Saba, Ungaretti, Caproni… ma la lista non si esaurisce certamente qui. 
     Ultimamente ho avuto occasione di approfondire la poesia di Margherita Guidacci (1921-1992), poetessa di grande rilievo e spessore, ma schiva di ogni pubblicità, “inattaccabile” da qualsiasi corrente sperimentale e d’avanguardia dilagante in quegli anni. Forse per questa sua estrema e rigorosa chiarezza non sufficientemente riconosciuta e, in seguito, spesso frettolosamente relegata tra vecchi scaffali di poesia religiosa. Rileggendola mi sono trovata completamente rapita dalla sua intensa poesia, altamente drammatica nello sfiorare il Trascendente, nel coglierne la luce. E mi sono sentita in piena sintonia con il suo pensiero. Tre costanti hanno sempre caratterizzato la sua scrittura poetica: 1) considerarla come uno strumento conoscitivo, un impulso di conoscenza che, al pari della scienza, esige rigore e umiltà, solo così permettendo meravigliose esplorazioni. 2) La volontà di comunicazione. Seppur disposti a scrivere “nel deserto e per il deserto”, sia mai che un eventuale lettore possa non riceverla. 3) Ne consegue un linguaggio semplice e concreto, lontano da ogni possibile ambiguità.  
     Quando mi abbandono a scrivere versi, credo di aspirare anch’io a qualcosa di simile.
     Per quanto riguarda la narrativa ho invece sempre fatto riferimento al grande, profetico Italo Calvino. In particolare alle sue illuminanti lezioni americane, lettura che consiglio sempre caldamente a chi voglia dedicarsi alla scrittura. Fare riferimento a qualcuno è utile e talvolta decisivo per un buon esito delle nostre produzioni, tuttavia non significa rinunciare ad essere se stessi. Qualunque tipo di scrittura, se non profuma di autenticità, decade miseramente.
 
5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.
Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?
Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?
     Purtroppo questa epidemia ha steso un pesante velo su tutto. Ci ha obbligato a forzati isolamenti e ha drasticamente limitato tutto quanto era “contatto umano”. Economia disastrosa ed emergenza sanitaria ovunque. Impossibile non essere rimasti contagiati dal generale smarrimento, dalla depressione e, per quanto mi riguarda, anche da un certo torpore. Ogni mia attività di tipo letterario, soprattutto quella con Pianeta Poesia, come è accaduto a tanti altri, è rimasta sospesa, ogni programma rinviato. Ho sperato all’inizio di poter riprendere presto il normale ritmo di vita, ma non è stato così. Non sono riuscita a utilizzare in maniera positiva questo lungo isolamento esteriore e interiore, almeno non quanto avrei voluto. Inoltre percepire tanta sofferenza intorno (a livello addirittura mondiale nel caso specifico), mi ha fatto provare non solo un senso di impotenza, ma anche uno strisciante senso di colpa. Si è appannata la voglia di tradurre in parole scritte quanto sentivo. Quello che sarebbe servito davvero, era altro. Fortunatamente, in questi frangenti, a non perdere la speranza ci aiutano le piccole cose (apparentemente piccole), le quotidiane meraviglie, gli affetti più cari che, quando si sta bene, nemmeno ci accorgiamo che esistono. E ci salvano. Speriamo di non dimenticarlo quando questa malefica ondata sarà passata.
 vivere è raccontare - Puntata n. 29 - Annalisa MACCHIA - YouTube
 Annalisa Macchia, nata a Lucca, vive da molti anni a Firenze. Laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Pisa, ha insegnato la lingua francese presso alcuni istituti fiorentini. Tra le sue pubblicazioni: il saggio Pinocchio in Francia, Quaderni della Fondazione Nazionale “Carlo Collodi”, 1978; alcuni libri per l’infanzia tra cui Mondopiccino, piccole storie in rima, Florence Art Edizioni, Firenze 2004; A scuola di poesia, per capirla, per spiegarla, per scriverla, per amarla, nella collana “Saggi e ricerche”, Florence Art Edizioni, Firenze 2009; alcune raccolte in prosa e poesia tra cui la più recente è: Interporto Est, Moretti & Vitali editori, Milano 2014. Collabora con l’associazione culturale fiorentina Pianeta Poesia; con recensioni e racconti alla rivista Erba d’Arno; è nella redazione fiorentina della rivista internazionale Gradiva; cura inoltre la collana per l’infanzia della casa editrice CFR Poiein.
 

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