Propongo qui una mia nota di lettura al recente libro di Daniela Pericone.
Chi fosse interessato a inviarmi suoi testi, editi o inediti, per letture editoriali o recensioni, mi contatti a questo recapito : ivanomugnaini@gmail.com
Daniela Pericone, L’inciampo, L’Arcolaio edizioni, Forlì, 2015, pagg. 90, € 11
Nota di lettura di Ivano Mugnaini
Inutilmente la vita mi rincorre
la gara è breve ma la fatica è doppia
a ogni tappa è mia la vittoria
il passo sempre di uno sbaglio avanti.
Questi riportati qui sopra sono alcuni versi che ho scelto tra i più significativi, a mio avviso, della raccolta L’inciampo di Daniela Pericone. A dire il vero avrei dovuto citarne molti, alcuni sparsi e racchiusi in contesti apparentemente e forse volutamente transitori, come tappe di un percorso che conduce a bagliori di visioni tanto brevi quanto intensi.
Ci sono molte parole chiave, nei versi riportati: “vita, gara, fatica, passo, sbaglio”. Sembra fuori dei confini semantici, e per questo spicca, il termine “vittoria”.
L’esplorazione del terreno esistenziale è condotta con sguardo attento e acuto, disincantato, sapendo che ogni sorriso comporta la conquista non di rado penosa dei domini del tempo e dello spazio. Con la consapevolezza che ogni passo è, insieme, gioia e dolore, volo e inciampo.
Sapendo che forse il solo volo possibile è quello brevissimo, tragico, ironico, salvifico a suo modo, che separa e unisce il desiderio dell’aria e l’asprezza del terreno.
“Uno sbaglio avanti” è uno dei molti ed efficaci casi in cui il linguaggio viene plasmato per esigenze di sintesi e per creare un ponte tra la sintassi e il sentire più profondo, per andare oltre il senso immediato, esprimendo in una manciata di sillabe un mondo, un microcosmo, individualità tanto assoluta da diventare paradossalmente universale.
Senza più ossa e nodi su nodi
alle dita e quegli occhi allacciati
allo specchio infestati di sonno
in abito di gala la menzogna.
La poetica della negazione si può percepire e rilevare nei versi sopra riportati, o meglio la poetica della sottrazione, una consistentissima assenza, una mancanza prepotente per urgenza e preponderanza. La montaliana consapevolezza del non possedere e del non poter dire appieno si innesta qui su un’ironia amara, rafforzata ancora una volta da adeguati spostamenti dell’asse semantica: quegli occhi che non sono soltanto colmi di sonno ma sono “infestati”, quasi a trasporre il tutto in un ambito patologico, un’infezione, un morbo. E, come eco distante ma in qualche modo percepibile, quel “è forse il sonno della morte men duro” riecheggia. Così come il topos di sempre, la maschera, la finzione, il niente, la menzogna rivestita con abiti di gala.
Continuando nella scia del parallelismo foscoliano dei Sepolcri, c’è anche qui un “pur”, un momento di svolta brusca, una sterzata energica che non nega quanto si è detto del dolore e dell’assurdo, della cadute costanti, della pena del corpo lacerato, ma, nella coerenza, mostra un sentiero di passi ulteriori:
tuttavia sempre alla superficie del gorgo
grazie all’impagabile restare assorti
e distanti a seguire indicibili traiettorie.
Conforto a questa riva che su tutto resiste.
Questa superficie essenziale e vitale che è reale profondità, fatta di distanze ossimoriche, nella pienezza di un conforto che non guarisce, non cura, ma, a dispetto di tutto, resiste e consente in qualche modo di resistere. Con le traiettorie indicibili, aree e terrene, che sono fatte di ricerca, di pensiero e di poesia.
Ivano Mugnaini
Qui sotto una selezione delle liriche:
Daniela Pericone
L’INCIAMPO
Poesie 2010-2015
L’arcolaio
Stratagemmi di danza
intorno ai fuochi
Tuttavia
rimango qui, qui
ritorno ripiegata come un foglio
su cui non cresce il tuo nome
ma flagra nell’aria in attesa
che qualcuno lo afferri per le ali
e lo inchiodi al muro come
un piccolo insetto crocifisso
dalle tue paure
e nel cuore della lotta
da tasche e tagli rotolano
ancora altri chiodi e altri sbagli
finché rimango qui
in assurda difesa
dietro questi occhiali
che mi fissano dallo specchio
ma non mi vedono.
2.
Inutilmente la vita mi rincorre
la gara è breve ma la fatica è doppia
a ogni tappa è mia la vittoria
il passo sempre di uno sbaglio avanti.
3.
Non chiedermi nulla, nulla
ho da dire, né altro m’attende se non
con poco sguardo
sentire quest’ora – ogni ora –
scorrere a balzi sui fianchi senza
sapere se sia polvere d’ossa
o tritume di stelle quel che
resta sospeso confuso al rosso
del fiato alla volpe dei capelli.
III
Di varchi e di bufere
1.
Io non ho soluzioni da dare
dovrei dire che quelle rimaste
siano solo risposte sbagliate
e tanto sapevo e sentivo
se annodavo un capestro ai capelli.
Eccomi ancora così
scolpita nel tempo a un’assenza
d’accordi, esiliata alla fonda
con un piede nell’acqua di mota
a parlarmi da sola, a ripetere
che va bene così, che pure una storia
maestosa sarebbe finita
ch’ogni cosa è in scadenza
– si perde la nota perfetta nell’aria insonora.
E seppure la ignori non posso evitare
una fitta infedele
– le risposte diventano schiuma
evanescenza di ipotesi, sentieri
che ridono ma non portano a niente
perché qui e ora e ancora
è un’altra la vita, un indizio
di luce inesplosa.
2.
Ora che tutto è chiaro
in questa selva di forme
se il vento distoglie
i corpi alle orme e le ombre
si accalcano in seno ai compagni
sotto le pietre affocate della rocca
e le sue caverne deliranti
s’intrama un rodio
di deserto che a folate assale
la sola strada tracciata
di sale che abrade i confini
al lentissimo cuore
alla sua linea stracciata.
3.
Lo scirocco è una guerra
d’aria che mastica sabbia in rivolta
si oppone alla fretta al moto apparente
della calca a quel correre sopra sotto
o solo in tondo senza arrivare mai a niente
casomai finendo in un tonfo
ma non al fondo soltanto intorno
in un giro inconcludente.
È allora che il vento interviene
strappa le redini all’auriga terrestre
e s’inturbina attorno a un groviglio
di sassi vuoti e di spini a quei sacchi
pieni d’ossa cavi di suono
privi di senno colmi di sonno.
4.
Alfine esultiamo
all’opera compiuta
dopo tarli di costante lavorio
è annullato ogni dolore
– l’abitudine distoglie anche il disprezzo
né distanza né ansia di rigetto
perfetta anestesia la monotonia
da non sentire amaro
persino l’abbandono quasi un refolo
breve scuotesse appena l’onda
– solo un conto che non torna
lento effetto secondario
se non schiuda più all’attesa
d’altro luogo d’altro ardore
divisa la memoria
irrisoria ogni traccia d’amore.
5.
Tutto quello che vale
resta dentro e ha mutato
fiumi interni e vie
dell’essere e ricordi.
Forse pure i versi
non hanno altre ambizioni
che innescare intermittenze
d’emersioni se anche tentino
arginare la cordata dei naufragi
confidando che
un mai più valga quanto
un chissà dove ancora quando.
6.
In guerra di lume e ombra
staglia dal fondo cupo la figura
verso l’occhio di chi la spoglia
si orienta d’obliquo il raggio
in modo che allo sguardo
splenda soltanto un volto
al centro del paesaggio
da rovine di tenebra
le parti lasciate in fosco.
Così si vive trascurando il buio
in un inganno di luce.
7.
Ancora intrusioni di malessenza
in queste case colate di negrezza
risvegli diroccati scalinate senza più appigli
balaustre divelte ballatoi su precipizi
ramaglie invelenite occhieggiano dalle rovine
sole insegne in rigoglio pentacoli maligni.
11.
Brindo alla fine del giorno
all’orlo del calendario
al crepuscolo che inganna
– non sai mai s’è d’alba o tramonto
brindo allo sguardo lungo
e alla vista corta
agli amori scartati
per difetto di fiato
all’impazienza dei vivi
al corteo di presunte ragioni
ai pretesti bugiardi
brindo alla luna di traverso
che fa urlare il semplice vero
pur se nessuno vuole sentire
e tacere nell’unico punto
in cui serve parola
alle virgole scambiate
di posto a stravolgere i piani
brindo alle vite mai avute
alle svolte mancate alle scelte
precise con gambe malcerte
alle mie forme plurali
furiose filanti inconcluse.
12.
Tenevo una quiete di temporali
in una buca scavata nelle tasche
ora mi gocciano dentro
mi prendono per mano
sono la gioia delle pietre.
Daniela Pericone è nata nel 1961 a Reggio Calabria, dove vive. Scrive poesie, prose brevi, testi di critica letteraria. È autrice e interprete di letture sceniche e recital (Orfeo ed Euridice, Caravaggio). Collabora con enti e associazioni alla realizzazione di eventi culturali e reading. Ha pubblicato i libri di poesia: Passo di giaguaro (Ed. Il Gabbiano, 2000); Aria di ventura (Book Editore, 2005); Il caso e la ragione (Book Editore, 2010); L’inciampo (L’Arcolaio, 2015). Tra i premi ricevuti per la poesia edita e inedita, Città di Corciano, S. Domenichino, Lorenzo Montano, Antica Badia di S. Savino, Tra Secchia e Panaro, Francesco Graziano. È presente con poesie e recensioni in volumi antologici (tra gli ultimi, Pane Poesia, a cura di V. Guarracino, New Press Ed., 2015), riviste culturali (Poesia, L’immaginazione, Capoverso, ecc.), siti e blog letterari. È tra i redattori della rivista on line Carteggi Letterari – critica e dintorni.
Grazie a te,Ivano.Ti rinnovo Il mio grande apprezzamento per il tuo inimitabile stile.Quando sarà pronta la mia nuova raccolta di versi,se vorrai,mi piacerebbe molto avere una tua recensione.
Buon lavoro e in bocca al lupo per il tuo libro, Carla.
Quando uscirà sarò lieto di leggerlo.
Ringrazio molto Ivano Mugnaini per l’ospitalità e l’acutezza e profondità della sua lettura. Grazie anche a Carla Piccolo per le parole di apprezzamento.
Ho apprezzato molto questi versi,i cui temi mi sono piuttosto affini.Il fine lavoro di cesellatura delle frasi,la scelta degli aggettivi, senza autocompiacimento, la non costruzione ma chiarificazione dei moti interiori, mi hanno piacevolmente intrigata e condotta alla fine, con un netto senso di nostalgia.Grazie
Grazie a te, Carla, per la lettura, il commento e l’interazione