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A TU PER TU – Gabriella La Rovere

«Forse hai sbagliato – mi disse mia madre poco prima di morire – la medicina non era la tua strada, tu dovevi fare la scrittrice. Ho sempre scritto e, soprattutto, ho sempre letto. Tanto. Quando lavoravo in ospedale, mi facevano raccogliere e scrivere l’anamnesi proprio perché ero affascinata dalle storie, dalla situazione che aveva determinato la malattia e da tutto il corollario emotivo che vi ruotava attorno”. Il percorso individuale di Gabriella La Rovere interseca la sua vicenda personale ai fatti e agli eventi che stiamo vivendo, e, su un piano più ampio, conferma il legame tra la scrittura e la vita, l’immaginazione e la realtà.
“Da un paio di settimane è uscito il mio ultimo libro Francisco. La vita del matto buono dei frati, Augh Edizioni. Per la prima volta mi sono cimentata in un romanzo storico andando a recuperare la storia di Francisco Pascal, frate carmelitano converso, vissuto alla fine del Cinquecento, presumibilmente autistico. È il libro a cui sono più legata emotivamente perché ha avuto una gestazione lunga, di ben nove anni!”, scrive Gabriella in una delle risposte.
Leggendo le altre risposte si mettono insieme le tessere di un mosaico che compone una figura all’interno di un quadro, un romanzo che ha per trama, sviluppo e meta, la scrittura del romanzo stesso.
“Sono riuscita a trovare questo libro antico… a soli 30 km da casa mia. Un caso? Forse no! Comunque, il problema rimaneva per il francese. Anche qui una strana coincidenza che mi fa imbattere in una traduzione di un classico francese ad opera di suore di clausura del Monastero Benedettino dell’Isola di San Giulio. Il libro viene tradotto e la vita di Francisco irrompe e sconvolge chi ne viene a contatto, prima tra tutte la monaca traduttrice che ne ignorava l’esistenza”.
Il caso è una delle manifestazioni del destino? Forse sì o forse no. Comunque leggendo questo racconto nel racconto, viene fatto di ripensare alle parole della madre di Gabriella e darle ragione: l’inclinazione naturale dell’autrice è verso la scrittura, l’occhio coglie le sfumature e la concatenazione che è sia origine dei fatti stessi sia conseguenza.
Poiché la spiegazione è più complessa del fenomeno, è bene limitarci a sottolineare sia l’inclinazione naturale verso la scrittura sia il connubio a lei caro, quello tra la parola e la medicina. In fondo sono ambiti affini: la parola può essere cura, sollievo, e la medicina necessita la parola, la comunicazione di qualcosa che va al di là del livello concreto, fisico, coinvolgendo la sfera psicologica ed emotiva, cioè che costituisce l’essenza stessa di ogni essere umano.
La scrittura di Gabriella La Rovere si schiera dalla parte dei diversi, dei fragili, di coloro che si trovano in una condizione particolare e necessitano riguardo e attenzione. L’atteggiamento dell’autrice non è mai cupo e patetico. Nelle sue parole, e nei gesti, concreti, fattivi, c’è la determinazione di un sorriso. Quello di chi conosce alla perfezione, per averla vista, vissuta e valorizzata, la bellezza e la forza, anche creativa, della diversità.
Buona lettura, IM

Gabriella La Rovere "Francisco" | il posto delle parole

 

5 domande

a

Gabriella La Rovere

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

«Forse hai sbagliato – mi disse mia madre poco prima di morire – La medicina non era la tua strada, tu dovevi fare la scrittrice». Ho sempre scritto e, soprattutto, ho sempre letto. Tanto. Quando lavoravo in ospedale, mi facevano raccogliere e scrivere l’anamnesi proprio perché ero affascinata dalle storie, dalla situazione che aveva determinato la malattia e da tutto il corollario emotivo che vi ruotava attorno. Tanti anni fa mi proposi ad una casa editrice che pubblicava una rivista che andava a tutti i medici di famiglia; mi sarebbe piaciuto scrivere di medicina invece, senza neanche sapere chi fossi, mi chiesero di scrivere dei racconti perché c’era una rubrica letteraria che stentava a decollare. E così tutto iniziò.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Da un paio di settimane è uscito il mio ultimo libro “Francisco. La vita del matto buono dei frati” Augh edizioni. Per la prima volta mi sono cimentata in un romanzo storico andando a recuperare la storia di Francisco Pascal, frate carmelitano converso, vissuto alla fine del Cinquecento, presumibilmente autistico. È il libro a cui sono più legata emotivamente perché ha avuto una gestazione lunga, di ben nove anni!
Soffro d’insonnia e in una delle mie notti a leggere e studiare, mi sono imbattuta in un libro della fine dell’Ottocento, scritto da un abate anonimo, che raccontava del “Venerabile Francisco del Bambino Gesù”. Era scritto in francese, che non conosco, ma fortunatamente la sinossi era in inglese. Si parlava di un ragazzo che aveva commesso un omicidio, senza esserne minimamente turbato. Questa cosa mi aveva incuriosita e ho cercato di capirne di più. Sono riuscita a trovare questo libro antico… a soli 30 km da casa mia. Un caso? Forse no! Comunque, il problema rimaneva per il francese. Anche qui una strana coincidenza che mi fa imbattere in una traduzione di un classico francese ad opera di “suore di clausura” del Monastero Benedettino dell’Isola di San Giulio. Il libro viene tradotto e la vita di Francisco irrompe e sconvolge chi ne viene a contatto, prima tra tutte la monaca traduttrice che ne ignorava la esistenza.

La traduzione mi arriva come un bene prezioso, con questa storia che deve essere condivisa, ma occorre modificarla, renderla fruibile da tutti, in altre parole, romanzarla. Ci sono voluti nove anni e altri libri da me scritti e pubblicati. E nel frattempo quaderni e quaderni pieni di ricerche storiche, di una prima parziale stesura, di riscritture, di note a margine e poi sui post-it, sui fogli volanti. Non ero mai pronta finché ho deciso di affrontare la sfida.

 

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

Credo che un bravo scrittore debba necessariamente passare per la poesia, sia letta che scritta. È la forma che permette il racconto di emozioni, di percezioni, di vissuto, con il massimo della sintesi. Nella poesia la parola è importante, quella e non altra, e in quella parola è racchiuso tutto un mondo.
Ho cominciato con lo scrivere poesie perché era l’unico mezzo che avevo per esprimere le mie emozioni. Uscivano come un fiume in piena, dopo che per giorni una parola mi martellava il cervello. Bussava, chiedeva che le venisse aperto, e molto spesso l’ingresso trascinava tanta sofferenza.

 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra gli autori classici che tra quelli contemporanei?

Essendo principalmente una grande lettrice, ho conosciuto Simona Baldelli e Antonella Ossorio come semplice fan e con loro ho un rapporto di affetto e tenerezza.
Adoro Mario Tobino, Luigi Malerba, Ignazio Silone, Clara Sereni tra i classici italiani; George Simenon, Doris Lessing, Abraham Yehoshua, William Faulkner, François Mauriac, per quelli stranieri.

Voglio aggiungere la saggistica per celebrare Oliver Sacks, che è stato uno straordinario divulgatore

 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

La pandemia ha stimolato la mia curiosità e quindi sono andata a leggere romanzi nei quali si parlava dell’epidemia di spagnola: “Bianco cavallo, bianco cavaliere” di Katherine Ann Porter, considerata una delle migliori opere di narrativa medica; “Angelo, guarda il passato” di Thomas Wolfe.

In libreria il libro di Gabriella La Rovere sul beato Francisco | Umbria e  Cultura

 

Gabriella La Rovere, scrittrice, giornalista, medico. Collabora con il sito “Per noi autistici” diretto da Gianluca Nicoletti.
Ha pubblicato: “L’orologio di Benedetta” ed. Mursia (2014); “Hello Harry! Hi Benny!” ed. Mursia (2016); “Pedagogia della lettura ad alta voce” ed. Armando (2018); “Alice e altre storie” ed. Augh! (2018); "Mi dispiace, suo figlio è autistico" ed. Gruppo Abele (2019)

 

ADDIO AL POETA DELLA MEDICINA: OLIVER SACKS

Sacks 1
La scienza perde il suo miglior poeta … O viceversa !

Forse aveva capito che la vita non è un copione già scritto e che la malattia non ha niente di sacro e di immutabile. Di sicuro ha provato a dare all'uomo il coraggio di rialzarsi dalle cadute ogni volta che è possibile risvegliandosi anche dal sonno più cupo e annichilente. Sasks è stato una mente brillante, un uomo dai molteplici interessi e talenti. Un neorologo-psichiatra-scrittore e tanto altro. Fin qui un dono prezioso ma condiviso con molti altri. Il valore aggiunto è consistito nella sua abilità di divulgare le sue idee, condividendole con tutti, facendo sì che ognuno potesse appropriarsene e sentirle sue, come propri figli, come frutti del proprio albero. Ha avuto la capacità, Sacks, di far capire che non è necessario essere superuomini per dare agli uomini la volontà di cercare una condizione più degna e profonda, perfino nel dolore. Lui stesso è stato un uomo con un vissuto personale segnato da traumi infantili, malattie mentali, uso di droghe e altre avventure e disavventure. Ma ha sempre conservato viva la passione per la musica, lo sport, la motocicletta e mille altre attività creativamente utili ed inutili, e quindi belle, per definizione. È  stato capace di pensare oltre gli steccati, di osare e sperimentare sulla propria pelle l’intera gamma delle percezioni umane arricchendo di nuovi significati il termine “empatia”. La fama arrivò prima come scrittore che come scienziato, con il libro del 1985 “L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello” (genialmente surreale, e realistico allo stesso tempo, fin dal titolo) che venne rappresentato a teatro a Londra nel 1986. Fu poi la volta nel 1990 della pellicola “Awakenings - Risvegli” tratto dal suo omonimo libro, portato al successo da Robin Williams e Robert De Niro. 
Ebbene, dove finisce lo scienziato e inizia lo scrittore non è dato saperlo, e, forse, poco importa. Ci rimane in dote un patrimonio di conoscenze basate sull’osservazione clinica, il suo lavoro pionieristico con i malati di mente e l’idea che sia possibile coltivare un approccio olistico alla vita capace di coniugare scienza, arte e umanità,  mente e spirito, sorriso e poesia. Perché in fondo tutti noi a volte scambiamo nostra moglie o ciò che amiamo per un cappello. Ma, guardandoci negli occhi e dentro, tra noi stessi e con gli altri, può voler dire, anche grazie alle parole di questo scienziato-artista così autentico e atipico, ritrovarlo, e ritrovarci. I have been able to see my life as from a great altitude, as a sort of landscape, and with a deepening sense of the connection of all its parts”.
                1. Ivano Mugnaini