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Il poliedrico e multiforme teatro della vita: un romanzo di mari, amori e misteri.

 

 

Una mia lettura del romanzo originale, lussureggiante e “debordante” di Guido Mina di Sospiro recentemente pubblicato da Ponte alle Grazie.
La recensione è uscita originariamente sul sito di Anita Likmeta, con cui collaboro per la sezione Letteratura e cultura, a questo link  https://anita.tv/2017/05/04/il-poliedrico-e-multiforme-teatro-della-vita-un-romanzo-di-mari-amori-e-misteri/ .
Buona lettura e buone avventure a tutti i naviganti. IM

 

 

 

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Mina di Sospiro gioca con le parole, con il loro mistero, con il senso e l’assenza di senso, con la vita, fatta di codici astratti e di carne palpabile e danzante, folle e assetata, a volte perfino saggiamente folle. È attratto da tutto ciò che porta e indossa la vita, sopra e sottovento, sopra e sotto i vestiti, i gesti, i sorrisi ammiccanti, l’invito a esplorare i confini e a fare un passo oltre. La vita lo incuriosisce, lo attira, gli pone di fronte uno spettacolo variegato fatto di contrasti e chiaroscuri, il sublime e il becero, il pensiero e il salto ad occhi chiusi in un vortice o in un baratro.

 

E allora lo scrittore la osserva, la corteggia, la fa bere e la fa parlare. Ha la conferma di quanto lieve e complessa sia, la vita, e che il suo significato è una sciarada con troppe soluzioni, o forse con nessuna, o entrambe le cose assieme. Non ha bisogno del re scozzese shakespeariano per confermare e confermarci quanto la vita sia “a tale told by an idiot”. Lo sa, ne ha preso atto da tempo, ma non si è fermato, non ha rinunciato a mettere le vele al vento. Anzi, si è ripetuto, come Hölderlin, che “l’uomo è un dio quando sogna, un mendicante quando riflette”. Ma non è sceso neppure a questo porto. Con la forza dell’istinto e di un possente vitalismo ha compreso che mischiando le due componenti in giuste dosi l’uomo può essere meno misero quando pensa e meno asceticamente incorporeo quando sogna. Basta rendere vivo il sogno, aggiungendo una porzione di follia, di avventura, di sudore, di adrenalina, di paura e attrazione: tramite un viaggio, un’esplorazione, una sfida, quindi, ancora, un gioco.

 

Sempre sapendo, con un sorriso, che non c’è niente di più intrigante e divertente del gioco, e, al tempo stesso, non c’è niente di più serio. E che il gioco non è mai gratuito, impone attenzione, coinvolgimento assoluto, per capirne le regole sancite e soprattutto quelle nascoste, le più importanti. Alla fine, bisogna essere anche disposti a perdere, a capire che non c’è niente da capire, come cantavamo negli Anni Settanta, oppure che tutto ciò che si deve comprendere è che non tutto può essere compreso, è questo è il più secco e il più dolce dei colpi di vento. La narrazione di Mina di Sospiro vive di accostamenti e contrasti. Unisce oggetti, azioni e idee come un artista materico, e non si lascia abbattere se non combaciano gli angoli, anzi, ne esulta. Sconfina con gusto, deborda e ci trascina con forza gioiosa ed esuberante a bordo di una fantasia onnivora, poliedrica, multiforme, un teatro nel teatro della vita. Il susseguirsi delle scene, delle azioni, degli spunti e degli stimoli è rapido, incalzante. L’autore mette in pratica ciò che ha scritto in suo fortunato libro sul ping pong e sulla metafisica che ne è alla base; o, meglio, applica alla scrittura anche di questa polimorfa creatura letteraria l’istinto e la ragione del gioco da lui preferito: la necessità di correre e pensare allo stesso tempo. Fino a far coincidere le due istanze, senza distinguerle, senza separarle dalla naturalezza del respiro. Perché quell’istante di riflessione fuori tempo e fuori luogo farebbe cadere a terra la pallina e con essa la magia folle della passione che tutto assorbe, dell’affabulazione che rende tutto credibile, irreale nella realtà a cui scegliamo di dare corpo.

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Racconto di pirati, a tratti di moderna cappa e spada, tra malviventi e personaggi ambigui, bizzarri e disperati, ma senza resa né tregua, il romanzo è mille cose insieme, mille generi, toni, rimandi e allusioni, senza compiacimento, senza ammiccamenti. Quindi, è soprattutto anzi unicamente se stesso, un pezzo unico, originale. Non da collocare in qualche museo o catalogo ma da porre costantemente in un flusso, sia esso quello della lettura che della fantasia. Romanzo on the road, sulla strada del mare, ha bisogno di moto costante, non può sostare. Racchiude posti e volti inventati e al contempo è un documento ricco di riferimenti a luoghi esistenti, il Jackson Memorial, Palm Beach, la Florida, le Antille, i Caraibi, Cuba e mille altri luoghi collocati a metà strada tra il mare e il mito. Tra le righe, ma anche dentro, nelle pieghe più sensibili, è il resoconto di un mondo che siede sulle sdraio a strisce multicolori in luoghi di lusso tra il sole e l’ombra densa di sotterfugi e intrighi, la zona morta, ma brulicante di umanità, tra legalità e crimine, disperazione, fantasia e il sogno costante di un altrove risolutivo, una mossa a sorpresa che cambia le carte e rovescia i tavoli. 

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Il destino, lo si sa, si nutre di logiche sbalestrate. Nella seconda parte del libro Mina di Sospiro lo fa condurre da una nave senza timone, ricca di assonanze e richiami fascinosi: “Durante questa unica e irripetibile settimana astrale, gli eventi di ogni giorno saranno influenzati e talvolta addirittura decretati dalle divinità pagane. Quali? Quelle della mitologia latina e sassone, le due culture che hanno colonizzato il nuovo mondo e che evidentemente presiedono alla pari sul mar dei Caraibi. Le stesse divinità, infine, che hanno ispirato il nome dei giorni della settimana, sia nelle lingue d’origine latina, fra le quali lo spagnolo, che in quelle d’origine sassone, fra le quali l’inglese”. Un escamotage accattivante, del tutto coerente con lo spirito e l’animo che orientano il romanzo: lo scambio costante di colpi d’approccio e di schiacciate fulminee e secche tra il caso e l’uomo, tra il rischio, la pena e il piacere di non sapere mai se saremo sopravvento o sottovento, con la sola certezza del mutare costante. Consapevoli solo che, per dirla con le parole di una delle epigrafi del libro: “Non ci sarà sortita. Tu sei dentro e la fortezza è pari all’universo dove non è diritto né rovescio né muro esterno né segreto centro”. (Jorge Luis Borges, Labirinto).

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Questo romanzo ci chiede una cosa difficile ed esaltante: lasciarsi andare alla corrente. Chiudere gli occhi e abbandonarsi alle onde, oppure spalancarli, ma lasciando spazio a ciò che non si vede immediatamente, a quel senso di mistero che è, la trama ce lo indicherà gradualmente, un oro che non si può afferrare con le dita, ma che non per questo è privo di peso, anzi, contiene in sé il peso del tempo e dello spazio di tutti i secoli e tutti i sogni che abbiamo fatto e che ancora saremo in grado di fare. La narrazione sui generis di Mina di Sospiro ha un potere straniante, ci porta in un luogo che non c’è ma che, improvvisamente, con un sorriso, riconosciamo come nostro: un posto dove siamo già stati, o, più esattamente, dove abbiamo immaginato di andare, e, quindi, dove siamo stati veramente. Il romanzo ci fa lo stesso effetto che Christopher Foley, uno dei personaggi del libro, esercita su Ruth, una delle partecipanti alla spedizione: “Era venuta a sapere di lui indirettamente, investigando la storia del Belize e della  barriera corallina che Chris aveva aiutato certi oceanografi a esplorare. Da quanto aveva sentito e in seguito letto su di lui, l’aveva colpita come un essere umano tanto illogico che, prima ancora d’averlo conosciuto, ne era già stranamente attratta. ≪Un tuffo nell’irrazionale≫  pensò mentre si convinceva della bontà della propria decisione, ≪ecco cosa fa per me. Ci sarà da divertirsi≫”.

 

Letture allo specchio (5):Roberta Pelachin, Francesca Piovesan,Vivetta Valacca

Il rischio dell’autoreferenzialità è grande, lo so, e me ne scuso. Ma più grande è la volontà di ringraziare alcuni lettori e lettrici (in questo caso lettrici che sono anche autrici) per la loro lettura appassionata e per il commento al mio libro. Quindi, al termine di una lunga ed animata riunione con la redazione del blog Dedalus (composta da me e da me) abbiamo deciso di pubblicare (in grato ordine alfabetico) i commenti.

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Nota di lettura di Roberta Pelachin su LO SPECCHIO DI LEONARDO

Mi avvicinai a lui a passi lenti, come un felino che avanza verso la preda facendo attenzione a non farla fuggire troppo presto.” Il predatore è l’insospettabile Leonardo, il genio nato a Vinci nel 1492 che fece conoscere al mondo innumerevoli prodigi di scienza, ingegneria, architettura, scultura, pittura. Alcune opere furono portate a termine, molte rimasero incompiute o in forma di progetto. Ma quali erano desideri e confini dell’uomo che disegnò macchine avveniristiche con una mente immaginifica che non conosceva limiti? Lo specchio di Leonardo (Eiffel Edizioni, 2016), romanzo scritto da Ivano Mugnaini, ci introduce in una vita parallela, quella che Leonardo da Vinci a un certo punto della sua vita decide di percorrere. Un incontro fortuito gli offre un’occasione che afferra al volo. Indurrà a seguirlo nel suo progetto una preda ingenua, un giovane scrivano, un semplice e rozzo campagnolo, che, tuttavia, ha una particolarità: è identico a lui. Manrico è il suo alter ego.

Ma quali ragioni spingono Leonardo verso una scelta così radicale e inconsueta? Un gioco ludico? Una piacevole esperienza trasgressiva? “Finalmente, privo di catene, avrei viaggiato nel mondo, nella memoria, e dentro me, applicandomi con cura alla dissezione della mia mente e dei miei desideri con i coltelli affilati del tempo e della sincerità.” L’opportunità inaspettata gli permette di scardinare “l’immagine che mi ero lasciato cucire addosso.”

Le pagine del romanzo fluiscono in un ritmo serrato di contraddizioni che si aggrovigliano in altre e in altre ancora. La forma linguistica cadenza le ambivalenze con abilità. Gli ossimori insistono di riga in riga, compressi dentro a una paratassi quasi ossessiva di congiunzioni che sembrano non unire alcunché, disperse nell’umore discontinuo di Leonardo. Allineano pensieri e sensazioni in una incessante rincorsa verso una linea orizzontale che pare senza fine. Il linguaggio di Mugnaini modella la figura dell’artista con pennellate impressionistiche e non si configura in una forma ben definita e compiuta, proprio come molte opere del Leonardo storico. E tutto questo attrae. È difficile sottrarsi alla curiosità che incalza e si colora, poco a poco, di emozioni variegate.

Da subito il monologo avvince. L’artista riflette: osservare il mondo attraverso “leggi fisiche, neutre, impersonali” è utile, certo, però tutto ciò disperde la cruda realtà della vita. Quella della guerra, per esempio, dove ogni uomo raggiunge l’apice dell’infamia. Morti “fatti a pezzi, squartati in un urlo che strappa la pelle”. Eppure, Leonardo li aveva guardati “senza orrore”. Esiste una logica nel caos?, si chiede. Che cosa giustifica il piacere e il dolore, e il tempo “che scava come un aratro rugginoso?” È possibile trovare la divina proportione nell’intimo sé? L’avventura di Leonardo che si snoda nel libro è racchiusa nella ricerca di qualcosa che dia senso all’esistenza. Un’esplorazione che, a tratti, ognuno di noi ha compiuto quando il peso delle incombenze quotidiane non è troppo greve e permette all’altra grevità, quella insoluta del nostro essere al mondo di mostrarsi, senza annegare in un’angoscia che assedia.

Le antinomie di Leonardo che Ivano ci mostra sono pressanti: rabbia e brama di rivalsa, godimento nel sentirsi invidiato e adulato e senso di vuoto. L’odio e l’amore sembrano segnarlo fin dalla nascita: abbandonato dalla madre e accettato di malavoglia dal padre, anche se il nonno è presenza affettuosa. “Sono un’opera incompiuta”, dice di sé con un tono che pare freddo e insieme profondamente afflitto. Una pena così intensa che strappa ogni radice. Leonardo si sente come “un quadro che non riesce a staccarsi dall’intonaco per prendere una forma concreta.” C’è un sogno ricorrente nelle notti inquiete: un nibbio penetra nella bocca turgida di una fanciulla. Leonardo riflette sull’orrido piacere che prova nel fantasticare sul gesto del rapace. È sempre “sospeso tra due estremi”, l’uomo Leonardo.”La vera scienza, non passa [che] per le matematiche dimostrazioni.” Ma non è sufficiente se “prima che in tali discorsi mentali non accade sperienza, senza la quale nulla dà di sé certezza.” L’esperienza, quella del vivere è inquieta, purtroppo. Non confuta solo falsi teoremi. Leonardo è costantemente dilaniato da una duplice natura, come quella dell’ermellino. L’animale, in un dipinto enigmatico, e per questo incredibilmente affascinante, è accovacciato tra le braccia della dama. Pare tenero e delicato, ma “nel suo intimo è feroce, predace.” In ugual modo pure la dama è ambigua, come molte delle femmine dipinte dall’artista. Forse, “come tutte le donne”, suggerisce Leonardo attraverso la voce dell’autore. A Manrico l’artista confessa che gli occhi dell’ermellino sono i suoi: spaventati, confusi. L’animale candido è accoccolato tra “braccia gentili e stritolanti”. Forse, la dama è “l’essenza di donna”, forse, “la realtà, la vita.” Continua la lettura di Letture allo specchio (5):Roberta Pelachin, Francesca Piovesan,Vivetta Valacca

THE MIRROR OF LEONARDO – A novel about the game of chance

America Oggi

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Su “America Oggi”, un articolo di Enzo Rega, che ringrazio, su Leonardo, La Gioconda e “il gioco della sorte” 

 

http://www.ivanomugnaini.it/leonardo-la-gioconda-e-il-gioco-della-sorte/

Il mio romanzo LO SPECCHIO DI LEONARDO, da OGGI è ordinabile nelle migliori LIBRERIE (e anche nelle altre!), e sul SITO DELLA CASA EDITRICE http://www.edizionieiffel.com .

Vi invito a scoprire come il genio di Leonardo portò a termine la sua più grande invenzione.

Qui di seguito le prime pagine della versione in inglese de LO SPECCHIO DI LEONARDO.

Here the first pages of the English version of LO SPECCHIO DI LEONARDO.

The novel in available, in e-book, also in English: http://www.edizionieiffel.com

Info: info@edizionieiffel.com  

Leonardo, La Gioconda e “il gioco della sorte”

dama-ermellinoLeonardo - Baccocop_leonardo3 DEFINITIVAThe mirror of Leonardo - image

         THE MIRROR OF LEONARDO

Novel

by

Ivano Mugnaini

***********************

It was not an invention to change my life, nor a discovery: it was a game of chance. One afternoon in March 1498, while travelling from Florence to Milan, to the castle of the Duke Sforza, my master, a powerful storm forced me to pause in the middle of nowhere in the mountains of Mugello. The struggle between the sky and the ground was fierce, the water penetrated the air like a blade opening wounds of mud that flowed in dense and swirling streams. The violence of nature appeared to me a blind force, and made me feel a sharp weakness and insecurity, but also a power even greater than that which tore the sky with fire and the chest of men and beasts with fear. “Here we have to stop, Master, or else we drown,” barked Uberto, my coachman. Fat and slow, laughing with big cheeks and dull eyes. Already he was looking forward to the wine and the buttocks of some generous landlady. I envied and hated him. He was a man like me, but he was different: simple, suitable to the vulgar misery and to the rocky reality of the world. Sitting at the table of the tavern in the village where we had taken refuge to escape the storm and to eat something, almost hidden by my own shoulders, suddenly I saw him. I looked at him for a long time, sideways. It was incredible, yet clear, completely real. In the opposite corner of the room, intent on drinking and peering into the window lashed by rain, there was a local man, a peasant, a mountaineer looking identical to me. Another me, same body, same face and expression, a perfect replica. I recalled in swift succession dozens of dreams of escape, and finally conceived, at that precise moment, a project, a plan, a mad flight. If it worked I would be free, I could finally give me to the debauchery, the bestiality, the taste of nonsense, and I could devote myself passionately to the really heretic studies I always dreamed of. Thanks to that man, the doors of real love and sex would have opened to me, in an honest, absolute way, and would tighten the walls of my wickedness, the sense of pleasure that catches me while I tear with knives and fingers still warm and alive bodies of toads and lizards, with an identical desire to do it with men and women. Meanwhile, as if by miracle, as I thought all this I finally conceived a kindness, or perhaps, a further insult, the greatest evil of my life: to give to a stranger, inadequate and perhaps happy in his wilderness, the chance to turn into Leonardo da Vinci, artist, man of science and of the world, considered a genius.

I approached him with slow steps, like a cat that moves towards the prey being careful not to let it get away too soon. I sat at his table, beside him. He looked at me scared, with my same ecstatic disbelief. We gave us strength with two glasses of wine drunk in unison, in silence. I explained him who I was, and I proposed him, as soon as I saw the features of his face relax and become placid, to replace me for a certain period of time, benefiting of all the advantages and all the honours that would be given to him.

With a smile that opened uncertain, but gradually more and more lively and penetrating, he accepted my offer. Certainly he presaged clear in his mind the leap into the void, the abyss that swallows. But he realized that that extraordinary occasion, the bright chariot in the rain, would never more cross the stony road of his life. He realized that, if he would step upon it, it would lead him away from the mud and squalor of his life, to the city, the real life, whatever it were.

***

My double agreed, and I already saw him as the puppet whom I would have provided the information and drawings for minimal routine administrative activities, things apt to a surveyor or an architect, to keep alive my name and my figure, and I, finally free from the chains, would have travelled around the world, in the memory, and in me, in the industrious application of the careful dissection of my mind and my wishes with the sharp knives of time and sincerity. And, for once, I could see myself living, or, even better, observe how others saw me or believed to see me: the lies, the poisonous comments, the stabs just as I turned my back. I finally would have gazed calmly and with ease to the faces and hearts of others. Thinking also, with huge application, a proper vengeance, before dying: a decisive invention, a deadly Trojan horse for this sick world.

Dissociazioni e quadrature del cerchio

La scrittura a volte dona interazioni, interscambi “rivelatori”.

Lo specchio di Leonardo è stato letto da Giulia Corsino, giovane poetessa e ricercatrice all’Università di Cambridge, la quale, con un ritardo molto mediterraneo (a riprova che non si è “britannizzata” del tutto) mi ha comunicato le sue impressioni, in modo succinto ma succoso, mi ha fatto alcune domande, ma soprattutto ha abbinato alle sue impressioni i versi della sua poesia “Dissociazione” che, oltre al valore intrinseco, sono perfettamente adeguati per indicare lo spirito del romanzo. Sono una delle possibili chiavi e una sorta di “epigrafe” potenziale.

Pubblico qui di seguito la lettera di Giulia, le mie risposte alle sue domande, e il valore aggiunto di questo post, vale a dire la poesia “Dissociazione”.

Grazie a Giulia da parte mia, di Leonardo, e di tutto coloro che non giunsero alla quadratura del cerchio. IM

* * * * * * *

Caro Ivano,

con estremo ritardo ho letto il tuo romanzo, in un giorno di pioggia fitta, qui a Cambridge. Hai saputo unire la densità della poesia e la fluidità della prosa in una maniera personale e partecipata. Raramente, al giorno d’oggi, si trovano pagine così dense e parole così vezzeggiate e nutrite dal tempo per il pensiero e dallo spirito. Visto che ho il privilegio di un filo diretto con uno scrittore, vorrei chiederti quanto il tuo Leonardo è storico e quanto autobiografico, da dov’è scaturita l’idea del libro e in che circostanze e in che tempi l’hai composto.

Un passo del romanzo mi ha richiamato questi versi che ho scritto qualche tempo fa. Te li dono, per quanto possano valere.

I miei più cari auguri,

Giulia

Dissociazione

Ho praticato la dissociazione:

ero io e il giudice di me stesso,

l’attore e il voyeur compiaciuto,

il ladro e la mano che lo trattenne,

il penitente e l’Eterno Padre,

la menade e il re in incognito,

la bracciata e l’onda,

i denti e la carne,

il fianco e la frusta.

Non giunsi mai alla quadratura del cerchio,

ma mi diede grande soddisfazione

vincere a turno

su una parte di me stesso.

* * * * * * *

Corsino

Cara Giulia,

ho immaginato Leonardo alle prese con gli specchi da lui studiati a lungo per scopi scientifici e militari. Mi sono interrogato, in quell’istante, sul rapporto del genio con la sua immagine. Ho provato ad immaginare il divario tra ciò che appariva al mondo, la sua scintillante fama, e ciò che di intimo sentiva dentro di sé. Ho pensato al contrasto tra i suoi veri desideri e ciò che era costretto a realizzare in qualità di persona soggetta alle ambizioni dei potenti del suo tempo, signori, notabili, politicanti e ricchi mecenati. Non ultimo, ho pensato al contrasto tra il bianco e il nero, il buio e la luce, il bene e la malvagità che anche Leonardo, come ogni altro uomo, ospitava dentro di sé: il lato in ombra, i chiaroscuri e i contrasti forzatamente nascosti per motivi di opportunità e per mantenere vivo il suo prestigio.

Ho pensato cosa avrebbe fatto Leonardo se si fosse trovato, per qualche accadimento favorevole, ad essere finalmente libero di agire secondo le sue più profonde e sincere inclinazioni. Come si sarebbe comportato, quali rivalse avrebbe cercato, quali piaceri e quali verità.

A fianco di ogni suo passo, ogni svolta del sentiero, ho immaginato la lotta per la comprensione di ciò che davvero conta: la bellezza, la dignità umana, il mistero del tempo, della bontà, dell’amore. Lo scontro vitale più aspro è quello tra la complessità e la linearità, i dettagli e la prospettiva, gli incontri e le memorie essenziali: uomini e donne conosciuti per caso e traditi per una vita intera, o il ricordo della madre, fonte per lui di un conflitto mai risolto.

Alla fine il nodo da sciogliere, il vero resoconto, è quello con se stesso e con il proprio alter ego: nell’istante in cui, il suo doppio, Manrico, lo tradisce, facendolo accusare di un grave crimine, Leonardo acquisisce paradossalmente la forza e la chiarezza della visione d’insieme, e riesce finalmente a trovare la chiave che risolve il mistero, tramutandolo in un’immagine speculare che si moltiplica generando nuove forme, nuova vita.

Il libro è stato scritto in tempi relativamente brevi. Ritengo che l’idea avesse già avuto una fase di incubazione, per così dire, piuttosto lunga e progressiva. Ne ho avuto la riprova recentemente, preparando alcune note per una presentazione che farò a breve sul tema del “doppio” in letteratura all’Accademia di Rapallo assieme a Vivetta Valacca. Prima del romanzo avevo scritto vari racconti e articoli sul tema, tra cui in particolare uno dedicato al Visconte dimezzato, http://cartescoperterecensionietesti.blogspot.it/2007/08/ivano-mugnaini-verso-il-castello-del.html . Un’analisi più dettagliata di alcuni risvolti del tema in questione nel mio romanzo, ma a livello molto più ampio nella letteratura di varie epoche e nazioni è stata scritta da Marco Righetti https://poetarumsilva.com/2016/07/19/lo-specchio-il-doppio-le-maschere-di-marco-righetti/ .

Grazie ancora per la tua lettura, e per la poesia.

Ivano

il Sud On Line: intervista di Nadia Pedicino

presentazione de “Lo specchio di Leonardo” a Caserta

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Nella Città della Reggia, sabato 8 ottobre alle ore 17, all’interno della Libreria Giunti al Punto di piazza Matteotti angolo via Patturelli, che ringrazio per l’ospitalità, avrò il piacere di ascoltare gli interventi critici di Enzo Rega e Paolo Farina e dell’editore Liguori sul mio romanzo LO SPECCHIO DI LEONARDO.

 Alla fine risponderò (mi dovrò anche pettinare) alle domande della giornalista televisiva Antonella Bianco.

E soprattutto sarò lieto di incontrare gli amici della Campania (e chi si trovasse da quelle parti).

Se potete e volete, vi aspetto per un ottimo caffè casertano a due passi dalla Reggia, e per dialogare di Leonardo, del libro, e del mondo letterario, scientifico ed umano da lui creato ed evocato.  

A presto, Ivano Mugnaini

 

Letture allo specchio 4: “La colpa del genio”, nota di F. Cannavò

La colpa del genio è la negazione del genio stesso alla propria essenza umana.”
È bello vedere come la lettura di un libro possa generare a volte un’alchimia libera, quasi del tutto autonoma, di sicuro in grado di generare forme ulteriori, altre creazioni.
Grazie a Leonardo, per questo suo ennesimo meccanismo messo in moto in modo mirabile, e grazie a Francesca Cannavò per questo originalissimo e vivido brano di “lettura poetica”. IM

Due volti di donna

“La colpa del genio”, nota di Francesca Cannavò

Con il suo sguardo, l’altro conosce me più di quanto io possa conoscere me stesso,perché io non posso mai oggettivarmi, distanziarmi come un oggetto da me stesso.
Io sono quel me che un altro conosce e mi sento trasformato in un oggetto inerme e nudo davanti all’altro.
J.P.Sartre

L’occhio fuori dal finestrino, il paesaggio conosciuto che scorre scandito dai cigolii dei cardini; i lampi, gli scrosci violenti, bombarde di tuoni, dita di fango che arraffano i raggi… il carro rallenta, ansima: deve fermarsi.
Il pensiero invece corre già troppo velocemente a raccattare tasselli di memoria che spianeranno le visioni : il Carro mi viene incontro con i suoi significati simbolici, è il settimo degli Arcani; il sette è l’indicatore, il settimo dito della mano: indica ed accusa. E lo si ritrova, questo dito, ben in vista nei disegni in sanguigno, nei dipinti di quell’epoca che si volle impregnare di ri-nascimento, nel dipinto forse più caro a Leonardo, “quel dito che promette il paradiso”, la rinascita finale a se stesso e che in un vortice estatico riporta al Satiro Danzante, ebbro dell’attimo d’infinito in cui viene colto da mano d’artista sconosciuto.

Indica ed accusa . Espiazione e Colpa.

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Che colpa potrà mai essere addossata ad un genio? Al genio?
La colpa del genio è la negazione del genio stesso alla propria essenza umana.
Sul genio non piove grazia divina, il suo capo è eretto e fiero, si rivolge all’universo sfidandolo all’ultimo dubbio, alla prossima certezza; l’incedere manifesta sconfinate prospettive, lo sguardo a carpire la meccanica del volo, mai sospeso nel contemplarne il mistero.

La negazione delle mani che accarezzano la testa, il viso di un bimbo forse divengono ali sfrenate all’interno di quella testa, attorno a quel viso.
Il Genio che si nega all’umanità, un assassino, un essere abbietto, uno di cui diffidare e da tener lontano.

La colpa è piena e grave.

L’espiazione è dovuta: lo svuotamento e la leggerezza.

Il Processo lo istruisce il Caso: immenso Fattore.

È il gioco della sorte stavolta a mettere il genio in competizione con se stesso e non più con Dio.

La sosta forzata, il caso magnanimo che prudentemente la vita riserva a ciascuno dei propri adepti, diviene foriero di una visione inimmaginabile, uscita dallo specchio, l’immagine del proprio sembiante si ridesta in sguardo carnale e univoco.

È nell’osservare il vero più vero che si perde se stessi.

È nel transito dei vuoti di senso che si scopre il senso, la verità.
Nel vuoto di quell’attimo senza senso offerto dal caso Leonardo, il Genio, finalmente, sa.

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Leggo Lo Specchio di Leonardo nei primi giorni di giugno, quando tutto pare fluire gioioso verso l’esplosione dei sensi, e mi avvolge il ritmo delle visioni e dei suoni, quasi volesse, lo spirito del genio, condurmi dentro le volute e i riccioli studiati e trattati come solo gli uomini di scienza e di arte riescono a fare: entrandoci dentro a confondersi, infimi e grandissimi.

Offre parecchi spunti il libro: si legge in sanguigno, si avverte forte l’odore delle città, del fango e della pioggia; e i colori appena accennati delle campagne, il fruscio delle vesti pesanti ed eleganti, lo sguardo inquieto di Leonardo e la sua voce: pacata e superba ; il sommesso diniego dei prelati e l’inchino da incorniciare nelle chiese.

Scorre la scrittura, come un ruscello di montagna intorno ai sassi, ritornando appena su se stesso per poi andar via lesto e sornione; la montagna, rifugio dei grandi, lo inizia ai suoni del ritmo naturale delle sensazioni, ed ai vuoti di suono, acutissimi e sordi, dell’intelletto che vuole l’analisi asettica delle cose, la ricerca insinuante della verità più dolente, la beatitudine della ferita, dei suoi lembi, accarezzati dall’interesse e dalla necessità di esserne parte: sollevante e dolente allo stesso modo dei fratelli gemelli che si curano della loro morte esattamente come i quattro incolpevoli ceri posti a guardia di un inganno condiviso, esattamente come lo scrivano che finalmente legge ciò che altri scrivono sulla sua carne.

Leonardo e il suo destino: guardare allo specchio le sue paure.

Imparare a vivere la perfezione della morte, per irriderla durante la vita. Regno di imperfezione, in cui annaspa e vi permane straniero, imparare a riconoscere quell’umano in forma d’infinito che è la morte che per non far paura si è creduta donna materna di cure custode, ed invece è maschio la morte è da pari a pari il genio dovrà guardarlo per poterne domare la potenza e donarsi alla vita, unicamente lei femmina universale.

Leonardo e la sua vita: quel palpito d’ali che crescono dentro.
Scevra di emozioni, qualche guizzo amaro, la rivalsa malcelata dell’abbandono che lo vuole a tutti i costi presente, nel male e nel bene finto, la vita del genio viene ad esporsi platealmente attorno alla sua più grande prova: la mancanza. L’indisponibilità emotiva di Leonardo spiattellata senza pudore né remora alcuna, come gli indispensabili cadaveri da sezionare sul tavolo di laboratorio.

Leonardo -Belle-Ferronniere-

Indisponibilità che diventa ostacolo all’arte vera che di essa si nutre. Leonardo è genio per pratica disciplina ed applicazione ma manca della genialità propria dell’arte, che è fatta di tumulti immobili, ritmi forsennati e pensieri evacuati. Manca a Leonardo ciò che commuove, quella forza che fa muovere insieme, la forza della relazione.

La relazione con l’altro gli viene assolutamente negata, l’altro viene semplicemente usato, necessariamente utilizzato come una protesi per renderlo capace di stare al mondo, e da questo suggere linfa di conoscenza.
Molteplici surrogati di madre non riusciranno però a suscitare in lui quella sommossa interiore che sviluppa la luce nel buio, non ci saranno che sentimenti di rivalsa nella vita del genio e la mancanza colmata alla fine dalla morte della madre sarà quieto sopore.

L’arte, la potenza creatrice, l’invisibile che manifesta se stesso viene trovato nello specchio “Manrico”, il copiatore , il ripetitore , cui il destino offre a sua volta una occasione di rivalsa, non cercata.

Inconsapevole custode della creazione, nella cui rivelazione egli annette il se stesso sconosciuto e negato, Manrico sperimenta la meraviglia; abbaglio fatale che gli farà toccare il fondo dell’abiezione , spingendolo al tradimento pur di affermare la propria potenza creativa.

Quella forza incontenibile cui la vita a testa china non aveva permesso la fuoriuscita, diviene, adesso, il tumulto che lo innalza.

Leon libertà

In Manrico Leonardo si accosta al bambino, all’essere che sgambetta, dapprima, incerto e fiducioso, poi, del sostegno della terra, felice dello spazio conquistato.
Leonardo ha rinunciato al bambino con spietatezza: l’uomo saggio sa.
E sa che quel bambino ha da proporgli la sua arte e Leonardo rinuncia all’arte, al moto creativo che pure arriva sopra le proprie gambe non richiesta, gli volta le spalle; non può guardarsi l’anima, può solo subirne gli effetti , i morsi; le sue vedute scientifiche non gli permetteranno di vedere oltre, di immaginare che attraverso gli effetti manifesti si possa scoprire il progetto dell’essere; egli va in cerca delle malattie che degenerano gli organi, si avvicina alla vita attraverso la morte , ma mai potrebbe immaginare che la morte è solo vita consumata , usata, donata.

Tutto torna, però, e nulla è uguale a come dovrebbe essere. E la morte, compagna dei vivi, non potrà essere sbeffeggiata oltre.

Il Genio impari a vivere per riuscire a morire da uomo vero imbalsamato nella propria fedele menzogna.

Una straordinaria avventura su un libro che mescola le pagine col tempo e con le storie della storia.

Francesca Cannavò

v sgn 7

Letture allo specchio 3 – Di Monaco, Gaddo Zanovello, Giudice

PURELY COINCIDENTAL
Ho ricevuto varie “impressioni di lettura” su Lo specchio di Leonardo: positive, meno positive, positive nord-nord-ovest, per dirla con Amleto, con distinguo e chiaroscuri.
Vorrei pubblicarle tutte, perché ogni commentatrice e commentatore ha dedicato tempo e attenzione al libro. Lo farò, in varie fasi. Comincio pubblicandone alcune tra quelle che mi hanno maggiormente colpito. Il fatto che siano positive è, come dicono nei film, “purely coincidental”, puramente causale.
Battute a parte, tutti i commenti sul romanzo, di qualunque tipo, sono bene accolti, e, chi volesse, può scrivermi in proposito a: ivanomugnaini@gmail.com.

foto libro 1

GIOVANNI GUIDICE

Ho terminato oggi di leggere il romanzo Lo specchio di Leonardo.
L’ho letto attentamente, e devo dirLe che una delle cose che mi hanno più colpito (o meglio quella che mi ha più colpito in assoluto) è la Sua capacità di analisi introspettiva, che mi ha ricordato Dostoevskij. Il libro, inoltre, per la sua trama e il suo
‘taglio’, mi è parso originale. È stata una lettura davvero istruttiva per me, che ho apprezzato molto. Credo che si possa parlare veramente di un’opera pienamente riuscita e che si distingue tra le recenti uscite di narrativa.
E, aggiungo, anche il tema su cui s’incentra il libro, e i ‘sottotemi’, se così posso definirli, tutto spicca per originalità…

Con i più cordiali saluti e sincera stima,
Giovanni Giudice

Promo Leonardo con frase A

LUCIA GADDO ZANOVELLO

Gentile Ivano Mugnaini,
ho terminato proprio ora di leggere “Lo specchio di Leonardo” e desidero inviarle i miei complimenti più sentiti per il suo libro, che mi è piaciuto moltissimo e che rileggerò a lungo.
Questo mio vivo apprezzamento è dovuto non solo alla qualità della sua scrittura, ma anche al racconto che, assumendo i toni intimistici dell’autobiografia, psicologicamente avvicina le inquietudini del lettore a quelle profonde e profondamente motivate di Leonardo.
Tormenti che riguardano l’arte e le opere fondamentali che si incontrano e delle quali vengono date avvincenti angolazioni di lettura, ma che si riferiscono anche all’umanità del personaggio, la condotta del quale suscita quella pietà umana che ce lo avvicina e affratella.
L’interesse e la partecipazione al racconto proseguono poi in un crescendo, dal riferimento all’aneddoto dell’asino e la sua ombra, al fatto che, nel monumento, il cavallo sia indubbiamente più interessante del cavaliere, fino all’appassionante sdoppiamento con Manrico, nel tentativo, da parte di Leonardo, di trovare l’identificazione propria; impossibile, dato che si tratta del vano ‘tentativo di fuggire allo specchio con un altro specchio’.
Ho trovato particolarmente appassionanti le suggestioni, variamente diffuse nel romanzo, che riguardano le problematiche della sempre sfuggente identità, ma è avvicinandosi all’ultima parte del libro, dove si incontra la rivelazione che ‘la più autentica forma di rivolta è la bontà’, a p. 58, dove la bontà sembra quasi ‘chiedere scusa di esistere’ e ‘si identifica con la poesia’ come ‘la sola trasgressione possibile’, che si susseguono pagine, per me, anche filosoficamente, bellissime.
Ove si dice, ad esempio, che ‘la fine non è epilogo ma trasformazione’, che ‘la morte è vita’, che ‘la follia più autentica è la verità’ e mentre perdura ‘il mistero della sorte,’ perdura tuttavia anche il caparbio sforzo di ‘cercare di conciliare la nascita con l’epilogo’.
Imprevedibile e spiazzante risulta la scelta di Manrico, che tornato alle sue vesti semplici originarie, si scopre ormai irrimediabilmente insoddisfatto di sé e vuole diventare (artista) come Leonardo, tornare ad ‘essere’ Leonardo, nel momento stesso in cui Leonardo non è più quello di prima, ma è proprio qui che si comprende che ‘il cambiamento è tutto’ che ‘tutto torna e nulla è uguale a come dovrebbe essere’.
Infine Leonardo accetta la ‘compresenza’ di Manrico ed avviene il miracolo: ‘la morte ottiene di avere la similitudine del perfetto vivo’, perché in effetti è così per tutte le opere di Leonardo, come avviene in modo eccelso per la Gioconda, che è stata resa davvero dall’irriducibilità di Leonardo perfettamente ed eternamente viva.
Sono pienamente convinta della validità del suo romanzo, al quale auguro tutta la fortuna che merita.
Un carissimo saluto,
Lucia Gaddo Zanovello

Letture allo specchio 3
BARTOLOMEO DI MONACO

Il nucleo del suo libro è il percorso pieno di sofferenza che Leonardo fa alla ricerca di se stesso, ossia di ciò che nemmeno le sue opere riescono a rivelare; una ricerca affannosa e traumatica che lo porta perfino a desiderare di rifiutarsi. In realtà il suo specchio è il risultato di tanti specchi, ossia di tanti avvenimenti materiali che hanno costellato dolorosamente la sua vita: non solo il suo sosia Manrico, quindi, ma anche la madre che lo ha trascurato, la violenza sul giovane Jacopo Saltarelli, Cecco il beccaio, che è l’uomo che aspetta la morte, persino “la similitudine del perfetto vivo”, a cui si deve somigliare dopo la morte.
Vi è nella storia l’amara inquietudine che trovo nel “Ritratto di Dorian Gray”, di Oscar Wilde.
Il percorso interiore si intreccia con quello reale, ossia della vita vera vissuta dall’artista, un percorso che anima il racconto di personaggi storici e di opere d’arte che assumono nuova luce nel momento in cui li riguardiamo sollevando il velo del Leonardo insicuro ed inquieto, direi addirittura tragico, che la tua ipotesi mette a nudo.
Bella ed elegante la scrittura.
Un caro saluto,
Bartolomeo Di Monaco

Letture allo specchio (2): Maria Zimotti

Due volti di donna Dama ermellino

In questo romanzo agile e corposo l’autore ci porta nel passato alternativo di un Leonardo da Vinci in crisi di identità. Nel 1498 Leonardo da Vinci è una star acclamata. Nel corso di un viaggio tempestoso, descritto con tratti che evocano fin dall’incipit l’angoscia esistenziale che lo accompagnerà per tutto il testo, incontra un suo sosia.

Il gioco del doppio è presto fatto. Grazie a questo stratagemma Leonardo entrerà in profondità dentro se stesso utilizzando il sosia come camera di compensazione delle sue confessioni più recondite coltivando l’illusione di poter essere finalmente libero dall’immagine di sé che il mondo conosce.

Come in uno specchio, i ruoli si confonderanno alimentando i dubbi, piuttosto che risolverli.

Il lettore si trova di fronte ad un testo colto ma scorrevole che può tendere all’universalità dello stile e del contenuto per l’utilizzo di un linguaggio moderno ma non anacronistico rispetto alle vicende narrate.

Tra i diversi aspetti da sottolineare rispetto ai molteplici spunti di riflessione offerti al lettore, una in particolare secondo me vale la pena evidenziare.

In un passaggio fondamentale del testo nel quale Leonardo da Vinci fa partecipe il suo sosia, Manrico, della sua impasse rispetto al perfezionamento di uno dei dipinti che diverrà poi il simbolo stesso della sua opera, ovvero La Gioconda, è descritto mirabilmente il processo della creazione artistica dal quale si evince come ciò che fa di un’opera d’arte un capolavoro, un “quadro che parla”, è l’espressione della sua carnalità che sovrasta i secoli intatta.

Perché leggere questo libro?

Viviamo in un’epoca di surplus di produzione di testi nella sola scelta dei quali le sinapsi vanno in tilt. Anche all’interno della pubblicazione di narrativa, a livello autoriale, molto probabilmente non solo per volontà degli autori, la letteratura è diventata autoreferenziale, persa più in discussioni sterili dell’ambiente letterario che nella vera connessione con il desiderio di dire, di dire parole nuove.

In questo testo, come anche in altri di Ivano Mugnaini, ci sono parole nuove perché antiche, perché di sempre, e vi è una stretta connessione con la poesia (non a caso un’altra pietra miliare del libro è una definizione della poesia che si può tranquillamente mettere tra i preferiti delle citazioni in tema) che inserisce, come del resto detto da altri, il brivido della poesia nella narrativa, che è una caratteristica della prosa di Mugnaini.

Scegliere testi come questo è addentrarsi nelle “vie traverse” della letteratura, la letteratura “che conta”, fatta di uomini e donne la cui scrittura è libera di esercitare la vera tensione emotiva, cercando di realizzare l’alchimia tra il contenuto e la forma offrendo al lettore prima di qualsiasi altra cosa uno stile che non è maniera ma genuina espressione e sperimentazione, aldilà delle mode.