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A TU PER TU – Giancarlo Baroni

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

L’ospite di oggi della rubrica A TU PER TU è Giancarlo Baroni.
Poeta (e anche valido fotografo) scrive, con intensità mai scevra da un filo di ironia, narrativa e poesia.
È stato per anni collaboratore delle pagine culturali della “Gazzetta di Parma”. Oggi registra le cose, gli eventi e i mutamenti, tramite i versi delle sue poesie e gli scatti fotografici. Con uno sguardo mai banale, mai scontato, ispirato dalla ricerca di bellezza e della residua umanità che è ancora possibile scorgere, a tratti, nelle nebbie di questo nostro tempo.

Due annotazioni:

queste mie note sono volutamente brevi perché il vero nucleo di interesse sono le risposte delle autrici e degli autori. La mia breve introduzione ha solo la funzione di incuriosire invitando ad approfondire, scoprendo di più dei vari scrittori, poeti ed artisti, del loro pensiero e dei loro lavori letterari ed artistici.
La seconda annotazione riguarda l’ottimo riscontro che sta avendo questo ciclo di interviste in termini di letture, visualizzazioni e più in generale a livello di interesse, curiosità, dialogo tra autori e lettori.
Se l’interesse si confermerà costante potrebbe nascere un’iniziativa editoriale legata a questa iniziativa. Se son rose…
Qui ed ora, buona lettura dell’intervista di Giancarlo Baroni e a presto, IM   

baroni cover

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio. Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.
 

5 domande

a

Giancarlo Baroni

 
  • Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?
Credo di essere una persona sobria, riservata, più inquieta di come appare. Preferisco stare sulla soglia anziché sotto i riflettori, ma non mi piace risultare invisibile.
  • Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore) indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni? Cita eventualmente qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale. Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica). Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.
La mia ultima raccolta di versi si intitola I nomi delle cose (puntoacapo edizioni, 2020). Parla dei nomi e delle cose della vita: la guerra, la violenza, la sopraffazione, la pietà e la sua assenza, la speranza, la bellezza, la morte. Un’ampia sezione è dedicata all’arte: pittori, scultori, quadri, statue…
Vorrei che nomi e parole si mettessero in ascolto delle cose e non le ingabbiassero, tentassero di comprenderle cogliendone segrete vibrazioni. Il libro ha avuto diverse e positive recensioni, superiori alle mie aspettative. A cosa servono segnalazioni e  recensioni? Certamente a gratificare chi li riceve, ma soprattutto ad ampliare e a dilatare gli orizzonti del libro che scopre, attraverso gli occhi di appassionati ed esperti lettori, significati nuovi e inattesi. Moltiplicando gli sguardi si moltiplicano le prospettive e le interpretazioni. Difficile privilegiare perciò una recensione anziché un’altra: tutte insieme formano una specie di mosaico interpretativo di cui ognuna è una tessera.
  • Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi ad entrambe? In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?
Ho pubblicato il mio primo libro nel 1990, una plaquette di versi dallo strano titolo: Enciclopatia. Nel 1992 e nel 1996 sono usciti due miei romanzi brevi: Irene, Irene e Gli amici di Magnus. Del 2004 è il volume di riflessioni letterarie che riunisce brevi saggi e recensioni apparse sulla “Gazzetta di Parma” alla cui pagina culturale ho collaborato per quasi vent’anni. Questo libro si intitola Una incerta beatitudine, che è poi il sentimento     che provo quando scrivo.
Dopo quei due romanzi non ho più scritto narrativa (la mia attenzione alle parole mi distraeva dalla trama) e ho continuato però a scrivere prosa: recensioni, brevi saggi…
Il linguaggio in cui mi sento comodamente a casa mia è senza dubbio la poesia: sette le raccolte fino ad ora stampate.
Tento di fare una poesia che sia allo stesso tempo comunicativa ed allusiva, comprensibile ed elegante; ci provo.
  • Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili come stimolo per la tua attività artistica personale? Hai dei punti di riferimento, sia tra gli autori classici che tra quelli contemporanei?
Leggo pochissimi romanzi, parecchia poesia e molta saggistica. Trovo nei libri  che leggo stimoli, suggerimenti, riflessioni, emozioni che alimentano la mia creatività. Il confronto con altri scrittori è per me fondamentale; i libri creano una specie di rete che li tiene uniti e li mette in costante relazione.
 
  • L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale? Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare? Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?
La pandemia ha generato e tuttora continua a generare angosce, ansie, preoccupazioni. La paura non ossessiva va rivalutata, è un sentimento e una condizione psicologica che spingono ad essere più prudenti e responsabili verso se stessi e nei confronti degli altri, più consapevoli dei pericoli oggettivi e dei propri limiti. La prudenza va elogiata: la mia prudenza è la tua salvezza e viceversa.
A causa del virus il mio modo di vivere è peggiorato (penso sia così per tutti), trovo però nella lettura, nella scrittura poetica e nella fotografia (sono un poeta per passione e un fotografo per diletto) conforto, aiuto e sollievo. In questi ultimi mesi ho scritto parecchio e sono soddisfatto di alcuni risultati. Sto scrivendo anche poesie dedicate ai nipoti e ai bambini.
Durante la clausura e anche successivamente, lo sguardo e la mente pare abbiano intuitivamente imparato a concentrarsi sui particolari, sui dettagli; il cuore, nonostante errori, tensioni e fibrillazioni, sembra prestare più attenzione ai sentimenti e alle questioni che contano.

baroni biogr

Giancarlo Baroni, poeta per passione e fotografo per diletto, è nato a Parma, dove abita, nel 1953. Ha pubblicato due romanzi brevi, qualche racconto, un testo di riflessioni letterarie, otto libri di poesia e, fuori commercio, tre piccoli libri fotografici. Le due ultime raccolte di versi si intitolano I nomi delle cose (puntoacapo editrice, 2020) e Il colore del tempo (Quaderni della Fondazione Daniele Ponchiroli). Ha coordinato, assieme a Luca Ariano, l’antologia Testimonianze di voci poetiche. 22 poeti a Parma (puntoacapo editrice, 2018). Nel 2009, 2010 e 2011 ha letto a “Fahrenheit” (Rai Radio 3) diverse sue liriche, alcune in occasione del Festival della Filosofia di Modena. Per quasi vent’anni ha collaborato alla pagina culturale della “Gazzetta di Parma”. Sue poesie sono presenti in siti, blog, riviste cartacee e on line, antologie. Un’ampia, recente e significativa scelta dei suoi versi è presente in “Ossigeno Nascente. Atlante dei poeti contemporanei”.   Sulla rivista on line “Pioggia Obliqua. Scritture d’arte” cura una pagina intitolata “Viaggiando in Italia”; collabora a “Margutte. Non-rivista on line di letteratura e altro”.

A TU PER TU – Milica Lilic

La quarta intervista di A TU PER TU mette in pratica l’intento di estendere anche oltreconfine la rete delle voci e dei dialoghi.
La destinataria delle domande è Milica Lilic, poetessa e scrittrice serba che nel corso della sua vita e della sua carriera letteraria ha intessuto rapporti di collaborazione e amicizia con persone e con artisti di diverse nazioni e latitudini. Un dialogo privilegiato è quello con l’Italia. Ne forniscono la prova sia le testimonianze di stima che anche da noi ha ricevuto da parte di critici, letterati e lettori, e lo confermano anche le interessanti risposte a questa intervista che Milica ha fornito direttamente in italiano.
Come ho già detto in altre occasioni (sta diventando un “mantra”, mi rendo conto, ma è ciò che penso), molto meglio di queste mie note introduttive potrà essere utile a chi vuole approfondire la conoscenza con Milica Lilic la lettura delle sue risposte e dei suoi scritti, sia lirici che narrativi.
Buona lettura, IM

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.

Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.

Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.

Saranno volta per volta le stesse domande.

Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

 

il fuoco e il verbo

 

5 domande

a

Milica Lilic

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Grazie per l’invito a presentarmi ai tuoi lettori. Il mio nome è Milica Jeftimijevic Lilic. Sono una scrittrice serba. Sono madre di due figlie e una persona che ama tutte le persone del mondo. Credo che la vita possa essere bella e significativa se facciamo il lavoro che amiamo. La letteratura è stata il mio amore fin dall’infanzia.

Ho letto molto e ho assorbito contenuti artistici prima ancora di rendermi conto di avere un dono per la creazione artistica. La mia vita è stata completamente orientata e ispirata da quell’inclinazione. Ho studiato letteratura e per un po’ ho lavorato come professore all’Università di Pristina, poi sono passata alla Televisione di Pristina con il ruolo di editore e critico televisivo. Ho un master in filologia. Tuttavia, al di là di questi impegni lavorativi, la scrittura, soprattutto di poesie, era, come lo è tuttora, il mio richiamo più forte, il bisogno dominante. Da questa possente attrazione sono nati i miei libri. Mi sono dedicata anche alla critica letteraria e alla narrazione. Ho trascorso tanto tempo in campagna e all’estero quando il mio lavoro me lo consentiva. Dopo aver terminato il mio tirocinio ho avuto più tempo a disposizione e ho potuto viaggiare più spesso. I frutti migliori di questa possibilità di viaggiare sono stati i numerosi contatti con persone di tutto il mondo e lo sviluppo della mia carriera internazionale con premi e riconoscimenti, nonché traduzioni delle mie poesie. Ho pubblicato 26 libri di poesia, prosa e critica.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Continua la lettura di A TU PER TU – Milica Lilic

A TU PER TU – Sebastiano Aglieco

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

 

Pubblico oggi la seconda intervista della rubrica A TU PER TU – Una rete di voci.

L’obiettivo della rubrica è espresso qui sotto.

Vi propongo oggi le risposte di Sebastiano Aglieco, di cui riporto in calce all’intervista anche cinque poesie.

Sebastiano Aglieco è nato a Sortino, in provincia di Siracusa, ma vive e lavora in Lombardia. Si esprime sia in lingua che in dialetto siciliano ed è autore di interessanti raccolte poetiche e testi narrativi. Si occupa anche di poesia e letteratura online, tramite il blog COMPITU RE VIVI e un blog di riserva, DA UNO SPAZIO BIANCO, che nel tempo sostituirà il precedente.  In riferimento al nome che ha scelto per il suo nuovo blog, lo stesso Aglieco osserva che “Il nome dice tutto”.

Buona lettura, IM

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.

Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.

Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.

Saranno volta per volta le stesse domande.

Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

infanzia resa

5 domande

a

Sebastiano Aglieco

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie a te per l’attenzione. Ecco un mio breve profilo: sono nato a Sortino, in Sicilia, il paese dei muli della Cavalleria Rusticana. Scrivo da sempre. Ho pubblicato libri di poesia, saggistica, narrativa. Sono un maestro di scuola elementare impegnato nella formazione delle persone attraverso gli strumenti della scrittura e del  laboratorio teatrale.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Il mio ultimo libro di poesia si chiama INFANZIA RESA, uscito due anni fa per IL LEGGIO, nella collana Sguardi diretta da Gabriela Fantato.

E’ un libro diario, resoconto conclusivo, riflessione filosofica, testimonianza umana, sul difficile e delicato mestiere del maestro di scuola primaria. Il libro è stato scritto nella mia attuale scuola, L’Istituto Casa del Sole, ubicato dentro i confini del parco Trotter di Milano; è una scuola storica, con una sua storia bellissima.

Il libro contiene un’introduzione di Massimiliano Magnano, poeta e insegnante della mia isola, e quattro domande di Vincenzo Di Maro, poeta e insegnante anche lui. Ho scelto di accompagnare il libro con le parole di queste persone che, oltre ad essere amici e poeti valenti, in quanto insegnanti sono in grado di cogliere il messaggio contenuto nel mio lavoro.

INFANZIA RESA è forse il mio lavoro più “pericoloso”, basato su una lingua che riflette e si riflette con estrema generosità e innocenza, mai discostandosi dal tema dell’insegnamento e dell’abitare la scuola a contatto stretto con i bambini.

E’ anche un resoconto sulla didattica costruita in questi anni, sul desiderio di accompagnare ed essere accompagnato –  una scelta è stata quella di pubblicare insieme ai miei testi quelli dei miei alunni/poeti.

 Riporto qui alcuni stralci critici degli amici che ne hanno voluto parlare:

*

Poesia intenzionalmente (e dolorosamente) etica, quella di Aglieco, in cui l’incontro con l’autentica realtà – la realtà dell’essere, non dell’avere; la realtà del donare e dell’abbandonarsi, non del possedere – è possibile soltanto nei disarmati e limpidi confini dell’auto-cancellazione e, dunque, nel recupero dell’infanzia, del suo stupore sorgivo.

(Mario Fresa su POESIA)

*

Che significa essere un “poeta civile”?

Significa, essenzialmente, sentire la propria parola come uno strumento educativo al “servizio” degli altri (“educare” va qui inteso esattamente nel suo etimo), al servizio, cioè, di quanti ci ascoltano. La sua area di azione oscilla fra la dimensione personale di chi esercita la propria funzione di poeta, e quella pedagogica a cui essa viene indirizzata. Da qui la tensione etica e sociale sottesa alla poesia civile.

(Luigi Fontanella su GRADIVA)

*

Insomma un progetto di civiltà si nasconde dietro questa entusiasmante raccolta, l’idea di aiutare le future generazioni a dare vita ad un percorso evolutivo che abbia come punto di partenza l’affrancamento del singolo bambino.

(Marco Tabellione su IL SEGNALE)

* Continua la lettura di A TU PER TU – Sebastiano Aglieco

A TU PER TU con Chiara Rossi

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

Inauguro oggi la rubrica A TU PER TU – Una rete di voci.
L’obiettivo della rubrica è riportato qui sotto.
L’intento è quello di porre cinque domande fisse ad artisti e letterati provenienti da ambiti, nazionalità ed esperienze diverse ma accumunati dalla capacità di dialogo, dalla tendenza a “fare rete” creando connessioni e interazioni, quanto mai preziose nel tempo che stiamo vivendo.
Inauguro la rubrica con Chiara Rossi, di cui riporto in calce all’intervista anche un racconto e alcune note biografiche che ho ricavato dalla sua pagina di LinkedIn.
Chiara è giornalista, lavora nell’ambito dei progetti editoriali e di comunicazione, e scrive, tra l’altro, ottimi lavori teatrali. La lettura dell’intervista, del racconto e della nota biografica, forniranno un quadro più completo delle sue attività professionali e creative che, chi vorrà, potrà approfondire tramite i link riportati nell’intervista.
Presto pubblicherò le risposte di altri autori ed autrici.
Buona lettura, IM

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.

Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.

Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.

Saranno volta per volta le stesse domande.

Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

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5 DOMANDE A

Chiara Rossi

1) Il mio benvenuto, innanzitutto. Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie per l’ospitalità squisita e pregiata, prima di tutto. Sono molto onorata di stare in compagnia di tanti Autori importanti e stimolanti.

Di me. ‘Longobarda’ di nascita, ligure di adozione: vivo a Santa Margherita Ligure, elegante borgo lambito dai lampi blu e dalle lingue verdi del mare, che ho il privilegio di ammirare dalle finestre di casa.

Sono giornalista pubblicista dal 1992, laureata in Esperto nei processi formativi e in Scienze dell’Educazione degli Adulti e della Formazione continua. Le mie esperienze professionali sono legate a progetti editoriali e di comunicazione, oltre che di consulenza e coaching nell’ambito della redazione di tesi di laurea in Scienze umane e psico-sociali e di writing coaching. Curriculum professionale e artistico completo su LinkedIn, www.imaginabunda.it

Appassionata di scrittura (in tutte le sue declinazioni, ghostwriting compreso) & musica, viaggi & fotografia (adoro incrociare gli sguardi di persone che vivono in paesi lontani), sociologia delle religioni & cultura del mondo islamico, nonché di molte altre cose… credo fermamente nel LifeLong Learning e nell’utilità dell’Inutile, ossia dei saperi (meglio se contaminati e connessi) che, pur non producendo guadagno, migliorano l’Uomo. Nella mia ottica, sono più importanti le domande che le risposte e imparare che sapere; lo stupor è la molla di ogni conoscenza. È questo, che spesso mi fa trovare ciò che non sto cercando, facendomi sentire viva.

Soprattutto scrivo. Ritengo che scrivere storie – che a mio parere affondano sempre le loro radici nella Mitologia, in quanto rivelatrice di senso – sia un complesso progetto di ingegneria & architettura narrativa, in cui l’accuratezza intellettuale debba fondersi in curiosità, entusiasmo e competenze necessariamente trasversali: per concepire narrazioni occorre essere immaginatori di professione.

Della mia scrittura. L’aura sacrale della Scrittura discende dalla consolidata convinzione che sia dono degli dèi. Non a caso il profilo di Thot, nume tutelare degli scribi dell’Antico Egitto, in quanto divulgatore della Scrittura (inventata però dalla sua controparte femminile: Seshat, la ‘Signora della Casa dei Libri’), caratterizza il mio logo.

Da sempre mi affascina la potenzialità di un foglio vergine, che m’invita, seduttivo come la duna intatta di un deserto, pronta ad accogliere le mie orme: la pagina bianca è una possibilità.

Fin da giovane, mi appartiene un atteggiamento riflessivo, sostenuto dall’idea che i pensieri che penso mi possiedono, e così mi sono sempre data la forza di sottrarmi alle versioni già dette del mondo, ai territori rassicuranti dei paradigmi predefiniti, azzardando la ricerca di altre partiture della mia essenza pensosa. Da questo, il vezzo di annotare frasi e citazioni su taccuini, che custodisco con affetto: quelle scritte, tracciate con inchiostri colorati, sono ‘segni’ del mio modo di attraversare l’orizzonte del mondo.

Ho una certezza: le parole si toccano, si scelgono. Le parole si guardano. Si ascoltano. Prima di leggere quelle scritte, infatti, le osservo: le assaporo visivamente, tentando di intuirne il significato; deformazione professionale – l’editing e le impaginazioni editoriali – ma anche conseguenza dell’attrazione che esercitano su di me Arte, Estetica e Calligrafia. La Scrittura ha molto a che fare con le immagini, nel suo organizzare le parole nella complessità spaziale della pagina, in fondo, proprio come fa la Vita, che si costruisce sulle intersezioni della memoria, della visione e dell’attesa: uva acerba, uva matura, uva passa. Tutto è trasformazione, non verso il non essere, ma verso ciò che non è ancora. Marco Aurelio ne era convinto.

Iscritta al Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea (CENDIC), Roma; alla Societá Italiana Autori Drammatici (SIAD), Roma; alla Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS), Roma, alla Federazione Italiana dei Cineclub (FEDIC) e alla SIAE, sezione DOR (opere drammatiche e radiotelevisive). Faccio anche parte della comunità di autori di www.dramma.it (N.d.R. curriculum artistico completo), www.autoriexpo.it e di SCRIBIOMEMO (gli Scribi di Memoria) e sono membro del comitato scientifico di CROMOSOMA T(eatro) – Teatro & Drammaturgia tra evoluzione e tradizione, collana di teatro e spettacolo edita da Pro(getto)scena edition, Milano, di cui sono anche vice-presidente. http://www.progettoscena.it/progettoscenaedition/

2) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni? Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale. Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica). Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Tra i miei lavori più recenti, scelgo di parlare di UNA LUNGA NUOTATA, testo teatrale in corso di pubblicazione, avendo vinto la terza edizione (2019) del Premio letterario nazionale Macabor, e già finalista alla quarta edizione (2018) del Premio CENDIC Segesta alla drammaturgia italiana contemporanea, Roma.

Un anno prima della sua morte nel 1986, l’Ente israeliano per la Memoria della Shoah insignì del riconoscimento di Giusto tra le nazioni Chiune Sugihara, unico giapponese ad avere il suo nome inciso nel Giardino dei Giusti del museo Yad Vashem di Gerusalemme, per aver rilasciato (nel 1940, disobbedendo agli ordini di Tōkyō) visti di transito per migliaia di Ebrei Lituani in fuga dalla Polonia e da altri paesi dell’Europa orientale durante l’occupazione nazista.
Da questo spunto, che crea lo sfondo, nasce la pièce teatrale, in cui, a partire dalla figura di Lucio, mai presente in scena, si intrecciano le storie di Dalya, Lucilla e Metella, tre donne inconsapevolmente legate da un destino comune, che inciderà per sempre sui loro reciproci rapporti. Dalla lunga nuotata – quale è stata la vita della protagonista – si evince che, al di là di allusioni, illusioni e delusioni, esiste una quinta stagione: quella che appartiene alla scelta di viverla, come ognuno di noi la crea. Nella vita di Dalya, felicità, sofferenza e amore sono accaduti per grazia, avendo potuto scegliere le diramazioni in cui incamminarsi, sarà per questo che “Alla soglia degli ottant’anni, mi sveglio e mi scopro allegra”, afferma nel monologo finale, e che “Più viva di così non sarò mai”.

Critica. Violetta Chiarini – per la quale il Teatro rappresenta il fil rouge di una lunga e prestigiosa carriera di attrice, cantante e autrice – nella prefazione al volume in stampa, scrive:

Un testo che piacerebbe a Robert Mc Kee, il maestro della moderna sceneggiatura, perché risponde perfettamente alle leggi della narrazione che sono le stesse per tutte le forme in cui essa si può declinare. Stiamo parlando di quella che certamente è una virtù di Chiara Rossi, il suo eclettismo, inteso nel senso umanistico rinascimentale del termine, che affonda le radici nel suo studium, nel significato latino, cioè desiderio, aspirazione, sete di sapere.

(…)

Attraverso il suo testo, Chiara Rossi esprime la propria visione del mondo e della realtà. In particolare, ha scelto di comunicare la sua Weltanschauung con pregnanti monologhi delle protagoniste a se stesse, anziché con l’evento scenico che è proprio del teatro e lo distingue dalla mera letteratura. Se tale opzione potrebbe far sembrare didascalici i monologhi stessi, subito l’impressione svanisce, perché si è conquistati dallo stile della scrittura: un linguaggio elegante, immaginifico, colto, che si potrebbe pensare rivolto a un pubblico di nicchia, e invece è talmente ricco di immagini poetiche, tenere, suggestive, piene di grazia e piacevolezza, splendide, che riesce ad arrivare anche allo spettatore meno preparato, perché, si sa, la vera poesia arriva al cuore di tutti.

Queste parole ovviamente mi gratificano particolarmente, perché ho da sempre molto rispetto e cura delle parole. La Scrittura, che ritengo sia un continuo andare e venire lungo la linea che collega l’Urlo (l’azione non verbale che esprime una pura emozione) alla Mania (la tecnica e la parola assolutamente controllata, in cui nulla sfugge), mostra la sua vocazione euristica nel bisogno di continua (ri)scoperta del sé: sono convinta che sia la coltivazione di noi stessi, attraverso un esercizio appassionato di riflessione & interpretazione, di immaginazione & narrazione; e che sia un percorso di formazione trasformante, che muove dalla triade: Conoscenza, Coscienza, Cultura.

Concept. La gestazione di Una lunga nuotata ha avuto tempi per me insolitamente lunghi, perché, dato che si scrive perché si ha qualcosa da dire e non viceversa – come giustamente affermano i letterati – non trovavo un’adeguata chiave di lettura per affrontare una tematica che, in questi anni più recenti della mia vita, mi ha posta di fronte a parecchie considerazioni a livello personale: quella del rapporto zia vs nipote. Nella mia esperienza privata in questo ambito, affetto e tensioni si sono miscelati e, forse proprio per questo, mi sono spesso domandata come mi sarebbe invece piaciuto sperimentare uno scambio emotivo positivo e costruttivo con una zia. Da qui la writing quest, poi sfociata in questo testo teatrale (che probabilmente diventerà anche uno script per lungometraggio), in cui ipotizzo una relazione a cui avrei sinceramente ambito.

3) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe? In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

Ho ricevuto premi e riconoscimenti – alcuni anche con relativa pubblicazione dei testi – per la mia scrittura drammaturgica, cinematografica e narrativa, il che testimonia che mi attrae e mi stimola sperimentare tipologie di scrittura in diversi ambiti. Ho al mio attivo un paio di romanzi, scritti a sei mani (Viola & Riccardo, attualmente in fase di stampa), racconti, script cinematografici per corto- e lungometraggio, ma soprattutto testi e monologhi teatrali. Mi dedico raramente alla Poesia, ma la mia scrittura viene spesso giudicata ‘poetica’.

Scrivere per il Teatro, nelle mie intenzioni, è dar voce, attraverso immagini e azioni, a un’urgenza – hic et nunc –, grazie alle parole che cadono dalle situazioni, nella logica del vedere-pensare-parlare. Avere uno sguardo poetico e poietico sul mondo è però anche resilienza, è andare ‘oltre’ il limite intrinseco dell’Uomo (la Morte), per rimettere la Vita e la Speranza al centro.

In questa nostra società globalizzata, sovraffollata di ‘narconauti’, in cui nulla è stabile né prevedibile, ma tutto è incerto (nell’accezione di Bauman, quando parla di ‘modernità liquida e rarefatta’ e unsicherheit, insicurezza) e il tema del rischio (come propone Beck) aleggia cupo, accrescendo la paura, la Scrittura si conferma più che mai arma potente, forma di comunicazione e di svelamento di se stessi a se stessi.

Essa trova una delle sue più feconde aperture nel Teatro contemporaneo, luogo ideale per la sperimentazione, la ricerca e la contaminazione tra le arti.

Dal mio percorso di studi, discende la mia personale applicazione pratica nella Scrittura (sia professionale che creativa) del Systems Thinking (il Pensiero sistemico nell’accezione di Peter Senge): le connessioni più interessanti e utili tra gli elementi che compongono la realtà, infatti, a mio parere, non sono quelle lineari – di concatenazioni di cause e di effetti – ma quelle circolari, i feedback e i loop, che rendono quegli elementi non solo connessi, ma anche interconnessi, non solo dinamici, ma anche interattivi. E proprio qui colloco le mie writing quest e la mia ricerca di equilibrio tra costante apprendimento (tecnico e cognitivo) e ingaggio emotivo (imparare sempre più ad ascoltarmi e a comprendere meglio il mio bisogno di scrivere e le mie domande, cui attribuisco più importanza che non alle risposte).

La comprensione della connessione e della dinamica delle parti e del tutto si dà come caratteristica fondamentale dell’intelligenza operativa e creativa: Non importa quello che stai guardando, – avverte ilfilosofo Thoreau – ma quello che riesci a vedere, là dove ‘vedere’ significa capire, scoprire e interpretare ciò che ci circonda.

Praticare la Scrittura creativa – lo affermo per diretta esperienza – comporta effetti benefici:

  • sapersi ascoltati (perché scriviamo per essere letti o per essere messi in scena) ci rende, infatti, più attenti a ciò che diciamo;
  • sentirsi oggetto di attenzione da parte di un ascoltatore empaticamente attento (il cui sé si fa silente, così che l’esperienza dell’Altro risuoni in lui senza che sia filtrata da nessuna valutazione preventiva), intensifica le capacità di pensiero;
  • provare gioia, testimonia che l’emozione creativa sta raggiungendo il suo obiettivo.

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale? Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

Scrittura a più mani. Sono sempre stata convinta che percorrere tratti di strada in compagnia di idee e menti diverse costituisca un arricchimento, un potenziamento della creatività. Partendo dall’assunto teorico che gli spazi di possibilità di più neuroni riescano a concepire narrazioni interessanti, ho sperimentato scritture condivise, sia in ambito narrativo che in quello della scrittura drammaturgica e cinematografica. Io sono per mia natura una studiosa, una persona inquieta che non si accontenta e continua a cercare, il che mi porta sempre a nuovi approdi che disegnano nuove rotte. Purtroppo, mi è capitato di riscontrare che non sempre i partner di scrittura sono spinti dalle mie stesse motivazioni, dalla mia accuratezza che si appoggia su disciplina e metodo, su tecniche base imprescindibili (non basta la sola ispirazione) e su un lavoro preparatorio intenso, per cui, a volte, per me è stato complicato concludere progetti che io stessa avevo proposto di condividere. Resta comunque interessante la verifica sul campo della varietà dei modelli mentali che a volte sono compatibili, a volte creano discussioni: sono quindi molto lieta di aver potuto vivere l’esperienza della scrittura come di un’attività di esplorazione artistica, proprio perché sono incuriosita dalla diversità e dall’unicità di ciascuno di noi.

Punti di riferimento.  Fondamentali sono nella mia ottica i Miti, che non rispondono a domande, ma le rendono indomandabili: con essi ri-scopriamo costantemente il fascino del meraviglioso, che è quello di far dimenticare a chi legge/ascolta di chiedere spiegazioni (uno spettatore/lettore deve abbandonarsi al racconto). Grande la mia ammirazione nei confronti di Ghiannis Ritsos, poeta e drammaturgo che ha riscritto il mito, creando un esemplare collegamento all’antica drammaturgia ellenica classica, riscoprendone l’incredibile attualità.

Imprescindibile, poi, la mia devozione nei confronti dei Classici (i Greci, Shakespeare, Wilde, Pirandello…), che non vengono dal passato, ma dal futuro, come afferma Mario Sciaccaluga, essendo dei profeti da cui attingere e imparare, dato che hanno avuto la capacità di osservare il loro presente attraverso la loro conoscenza del passato per proiettarsi a immaginare il futuro.

Tra i moltissimi autori, cito, anche per esempio Yasmina Reza, per la sua disarmante abilità ritmica nella scrittura teatrale di costruire il crescendo con delle domande, per rendere incalzante il dialogo o la variazione di una frase.

Concludo, lasciando la parola a un altro famoso drammaturgo, sceneggiatore e regista David Mamet, che stimo anche per questa sua riflessione: Viviamo in un mondo straordinariamente degenerato, interessante e incivile, in cui le cose non quadrano mai. Lo scopo del dramma autentico è di aiutarci a ricordarlo.

5) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale. Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare? Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

Fino all’anno scorso pronunciare il vocabolo virus ci faceva pensare di aver a che fare con le tecnologie, i guai ai sistemi operativi, i ‘bachi’ nell’hard disk o nei sistemi di comunicazione. Oramai, invece, abbiamo tutti imparato che siamo costretti a convivere con un insolente quanto enigmatico Covid 19, parassita intracellulare obbligato, costituito essenzialmente di acidi nucleici circondati da capside (un rivestimento proteico), che può replicarsi solo in cellule metabolicamente attive, e sta devastando l’umanità. Auspicando che questo virus competente (nel senso che pare proprio saperla lunga, ma anche nel senso che ci compete) perda la sua scaltrezza e ci permetta di riappropriarci di una normalità che ora ci appare auspicabile, impantanati come siamo in questo stato di ‘eccezione’ (forse più consono rispetto a stato di ‘emergenza’), personalmente ho scritto e continuo a scrivere.

Nella prima settimana di clausura protettiva, nel marzo 2020, ho accolto la proposta di aggiungere un petalo alla corolla dell’eteroclito fiore a cui gli Autori FUIS (Federazione Unitaria Italiana Scrittori) stavano infondendo vita: in moltissimi, abbiamo fatto convergere testimonianze e riflessioni, che ora troveranno compimento in un’antologia variegata, intitolata Diario In Coronavirus. Ho poi aderito alla costruzione di un Alfabeto pandemico, in www.lostatodeiluoghi.com, con il contributo delle voci: EVOLVENZA, ESSERE, PRESTITI, SALVEZZA.

Ho anche scritto DRAGON LADY, monologo teatrale (flussi e reflussi di dilemmi e paure, nel dialogo introspettivo di un medico donna che vive con dedizione e energia il servizio in ospedale tra i malati di Corona Virus. Dragon Lady – ‘nome di battaglia’ affettuoso che i colleghi hanno dato alla protagonista del testo perché ‘plana sulle corsie’ – si rifà al Lockheed U-2, aereo monoposto statunitense da ricognizione ad alta quota), in corso di pubblicazione in Sospensione 19 – Scritti teatrali al tempo del contagio, editore Alpes Italia (Roma), Collana La Scena Nova, oltre ad altri due testi teatrali: Wannabes Muses, che sullo sfondo della vita sospesa del Covid 19 vuol essere un divertissement che si conclude con l’utopica nascita dell’Homo Novus che riscopre la Bellezza e le Muse (quelle vere); e Cardiomanzie, una attualizzazione del mito di Medea, testo teatrale quest’ultimo che non ha nulla a che fare con la pandemia.

Posso quindi affermare che il periodo strano in cui ci siamo dovuti calare si è dimostrato fecondo per riflettere ed esorcizzare, scrivendo, ansia & paura. L’Io e il Me si sono ascoltati, riflettendo, interpretando, immaginando per raccontarsi, in un momento speciale della Vita che ci chiama alla sfida. Inventare storie per me è stato, e continuerà ad esserlo, nutriente e vitale.

 

E mi sorride il cuore

Racconto

di Chiara Rossi

Là, tout n’est qu’ordre et beauté,

Luxe, calme et volupté.

« L’invitation au voyage », Charles Baudelaire

Due della Terra i polmoni: uno verde – le foreste – e l’altro blu – il mare –, antico, caleidoscopica elegia di vita, ispiratore dei più straordinari miti. Non so sottrarmi al richiamo del respiro maschio dell’Oceano o di quello lieve del Mediterraneo, palcoscenico di prodigi e d’immani sventure.

Punteggiato d’innumeri isole dai profili frangiati, l’Egeo protegge templi di oracoli, sibille e déi, sempre immersi nel medesimo sacro silenzio: lo ringrazio, devota, pur conscia dei molteplici appassionati amori che, tra menta, zagare e fieno – nel vento salato che leviga le scogliere –, nelle sue acque hanno incontrato la Morte giunta a punire (occorre ricordare Fedra, Andromaca o Elle, Io, Cassandra o Medea? Tutte lo traversarono e più d’una non ne uscì). Se pur dalle spumose onde si compiacque di essere Afrodite, vien da pensare che tutto sia intriso di lacrime e sperma.

Il nostrum resta il mare dei colossi e dei labirinti, delle grotte e delle trame di Dioniso, al confine tra estinzione e delirio. È, tuttavia, anche il mare dei Poeti che accolgono nel cuore l’azzurro che non ha fine, il sole che genera vita e il vento che non ha patria. È il mare che apre la mente all’idea della partenza e del ritorno, dell’esperienza e della conoscenza. Lo sciabordio del passato confonde la ragione, l’intelligenza e i riflessi, eppure qui, nell’azzurro bifronte, il Cielo è più vicino che altrove, anche se il Sole appare stanco, per la regressione dell’Uomo, per la perdita di consapevolezza del Male, per le stragi che han sostituito i sacrifici, per le oscure liturgie di dissoluzione delle relazioni: allusioni, illusioni, delusioni, nient’altro che vacui, ricorrenti spettri di ogni generazione di noi umani. Per fortuna, sboccia un universo diverso a ogni decisione: occorre distinguersi tra il rumore e il niente, via via che le lune spargono i loro vapori. Solo quando ci ricomporremo, passando dal «Mio» all’«Io», si ricomporrà il mondo, che è kósmos, non cháos. E, incaute, le farfalle continueranno a volteggiare smaglianti di colori tra gli odorosi fiori; eleganti, gli eucalipti con la loro ombra manterranno intermittente la luce nei boschi; ieratiche, le sette stelle dell’Orsa non si stancheranno di far da mappa nel velluto della notte. Come Sisifo, non dobbiamo smettere di credere alla risalita: sarà ancora il Giorno. Sarà ancora la Notte. E guarderemo la Vita da entrambe le parti, arrischiando pensieri, oltre il nulla che lento divora.

A volte mi sento come Pandora, con in mano il coperchio di un vaso pieno di Speranza & Sgomento, vagliando zattere di ipotesi, tesi & antitesi, oppressa da un gravame intollerabile di pensieri che non sanno dove andare. Allora mi siedo di fronte a un’onda morbida, quasi silenziosa, indifferente al mio tormento. Gradazioni di blu, orizzonti fluidi come in un acquerello. Solo io, l’acqua & il sale: ringrazio di quanto la vita sappia essere tiranna e poi generosa. Fuori di me l’illusione del mondo o il mondo? Io sarò. Noi saremo. Alzati da una vita seduta, avremo rubato la schiuma del mare. Finirà, finirà questo continuo-dolente-infinito-presente.

Non ‘cosa sono’, ma ‘chi sono’ è la domanda. Sono spirito in un corpo, persona in un individuo. Appartengo alla sacra potenza del Predominante, come la Terra e il Mare. Sono parola, intelletto e passione; sono sangue, muscoli, nervi e ossa. Col corpo faccio esperienza della vita, per il tramite del corpo farò esperienza della morte, che è il tutto e il nulla, il sempre e il mai. Tra il Cielo e me deve esserci sempre la Speranza.

Noi sfibrati umani ci consumiamo, più di quanto ci consumino gli eventi e il tempo. Abitiamo un’isola fluttuante, invisibile a chi rifiuta lo stupor di fronte all’Inatteso, e il nostro destino di Vulnerabili sta nel volvere, verbo degli astri eterni: girare, rotolare, come sassi, flutti, lacrime o astri, come il fuso delle Parche o la caduta di Fetonte.

Evolvo, dunque: indietreggiare sul mio Desiderio sarebbe l’imperdonabile. Il maggior peccato è disconoscere la fame ardente, l’appetito squisito di vivere. Per possedere ciò che non possiedo, devo passare attraverso la mancanza: a monte dell’onda c’è grande stasi, a valle il caos, è sulla cresta il picco di energia. E mi dico: osa, vai, e scegli i tuoi fiori di campo, come Proserpina colse i gialli narcisi dei prati di Enna, e danza come un derviscio e vibra come la corda di un arco o di una lira, perché anche a costo di incontrare il Minotauro, dall’inacquistabile tempo della vita non ci si può ritirare.

Liscia, ignara di anfratti, chiara come il mio nome, percorro isotere e isoterme, per scoprire quali raggi balenano nel buio delle porte di Tannhäuser e cosa naviga al largo dei bastioni di Orione.

Voglio un viaggio sulla Luna, come Cyrano, Astolfo e Luciano. Voglio evolvenza. E finalmente cum-prehendo che non basta il corpo, non basta il cuore: Desiderio è uno dei nomi dell’Erranza.

Giorni pieni. Sere stanche.

È il tempo scellerato della grande narcosi,

in cui è più facile chiudere gli occhi:

meglio sarebbe stato esser ciechi come Edipo.

Falesie di parole si fanno accessibili,

squarci pregnanti illuminano dentro al guscio le notti insonni della corrotta Babilonia 4.0.

La vita, come la intendo io,

non esiste quasi più:

l’uomo si crede un dio,

non sopporta d’esser concluso, limitato.

Il mondo si modifica come un mostro dalle facce sempre nuove.

Ovunque solo un molesto brusio & schermi gravidi di immagini oscene.

Aspetti il Nulla, attendi l’Invano &, intanto, la vita si srotola

e il tuo sangue percorre centoventimila chilometri dentro i vasi,

quasi tre volte la lunghezza dell’equatore.

Sono uscita dal tempo di Kronos, dove è negato il fluire,

per tornare in quello di Zeus, ritmato dal sorgere & dal calar del sole.

Dal morso di mela, tutti siamo puro dolore in attesa di accadere,

andiamo da un dove all’altro diventando tutte le cose,

scrittori che correggono & riscrivono,

alla ricerca di quell’impalpabile sfuggente, giallo polline di giglio,

che vive nascosto tra mille possibili scelte,

in cui, talvolta, cogli l’impronta del Creatore.

Noi, quaggiù, nomadi, come là in alto le stelle.

Il tempo è una traccia che torna,

un passato che non passa.

Giorni & persone sono prestiti,

il tempo è un bambino che gioca.

Siamo ciò che la vita ci consente,

in un divenire continuo di illusioni & fiori;

siamo rigurgiti delle maree,

eventi mobili,

piume,

pulviscolo,

aliti d’aria,

elitre,

vele.

Vele.

Sciolgo al vento la mia, piena di colori & faccio rotta, tra quadrature & siżìgie,

verso l’orizzonte dell’Isola che C’è,

perché Dio è nel mio cuore, o meglio,

perché io sono nel cuore di Dio.

Io so che ci è dato di scegliere: di rischiare, di lottare, di imboccare la strada più comoda, di non volerci emozionare. Spesso le salite sono impervie, ma poi… poi la vista è meravigliosa.

È saper godere, non possedere, a renderci felici.

Un giorno non esistevo.

Un giorno non esisterò più in questa forma.

Tra queste due ‘assenze’ cammino, assecondando la vibrante scansione del Desiderio, che mi fa pulsare come una stella.

Non esistono stagnazioni felici.

Noi, i vivi, siamo orgogliosamente in divenire. Ci scegliamo. C’inventiamo. Viaggiamo. Scivoliamo dal Tempo Precipitato in cui ci dibattiamo: senza sperimentare momenti di irragionevole ottimismo, non sopravvivremmo all’ostile quotidiano.

La mia unica possibilità di durare è non cancellarmi. E, pur nel tramonto inevitabile del corpo, pur con il cuore sbucciato per le sfide senza protezione nel Labirinto degli Inganni, scintillo, come metallo in fusione. Auspico che sia sempre giugno, con le sue gloriose giornate, sospese all’inizio dell’estate, quando fiocchi di nubi colorano di ciliegia il cielo, rose e oleandri accendono i giardini, navi alla fonda meditano nuove rotte, origano e sentore di sale s’insinuano nella brezza.

Più viva di così non sarò mai.

Ho smesso di essere silenzio, sono in costruzione. Vivere esige audacia. Essere come verbo, non come sostantivo. Esistere, insistere, resistere. Donarsi, non cedersi. Perdonare qualcuno, non qualcosa.

Essere al mondo. Essere mondo.

Configurarsi.

E, come fossi ancora sotto il Tropico del Capricorno, dove il vorace sole del solstizio d’inverno non fa ombra, mi metto addosso l’allegria: so che camminerò senza fermarmi.

E mi sorride il cuore.

 

 

CHIARA ROSSI [www.imaginabunda.it]: eteròclita ‘longobarda’ di nascita, ligure di adozione, giornalista pubblicista dal 1992, laureata in Esperto nei processi formativi e in Scienze dell’Educazione degli Adulti e della Formazione continua.

Esperienze professionali legate a progetti editoriali e di comunicazione (anche per conto di associazioni no profit), oltre che di consulenza e coaching nell’ambito della redazione di tesi di laurea in Scienze umane e psico-sociali e di writing coaching.

Appassionata di scrittura (in tutte le sue declinazioni, ghostwriting compreso) & musica, viaggi & fotografia (adoro incrociare gli sguardi di persone che vivono in paesi lontani), sociologia delle religioni & cultura del mondo islamico, nonché di molte altre cose…
credo fermamente nel LifeLong Learning e nell’utilità dell’Inutile, ossia dei saperi (meglio se contaminati e connessi) che, pur non producendo guadagno, migliorano l’Uomo. Nella mia ottica, sono più importanti le domande che le risposte e imparare che sapere; lo stupor è la molla di ogni conoscenza. È questo, che spesso mi fa trovare ciò che non sto cercando, facendomi sentire viva.
Ritengo che scrivere storie – che a mio parere affondano sempre le loro radici nella Mitologia, in quanto rivelatrice di senso – sia un complesso progetto di ingegneria & architettura narrativa, in cui l’accuratezza intellettuale debba fondersi in curiosità, entusiasmo e competenze necessariamente trasversali: per concepire narrazioni occorre essere immaginatori di professione.

Ho ricevuto premi e riconoscimenti – alcuni anche con relativa pubblicazione dei testi – per la mia scrittura drammaturgica, cinematografica e narrativa.

Iscritta al Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea (CENDIC), Roma; alla Societá Italiana Autori Drammatici (SIAD), Roma; alla Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS), Roma, alla Federazione Italiana dei Cineclub (FEDIC) e alla SIAE, sezione DOR (opere drammatiche e radiotelevisive). Faccio anche parte della comunità di autori di http://www.dramma.ithttp://www.autoriexpo.it e di SCRIBIOMEMO (gli Scribi di Memoria) e sono membro del comitato scientifico di CROMOSOMA T(eatro) – Teatro & Drammaturgia tra evoluzione e tradizione, collana di teatro e spettacolo edita da Pro(getto)scena edition, Milano.

La poetessa dei “liberi ribelli” – Intervista a Dalila Hiaoui

 Le risposte di Dalila Hiaoui alle mie domande sono piene di frasi che si aprono su altre frasi, altri tempi e modi, spiragli ampi e generosi, parentesi che chiudono epoche e aprono mondi nuovi, possibili. Sono dense di punti esclamativi simili a sorrisi, sguardi, gesti che richiamano l’attenzione oltre il limite della parola scritta, verso quella zona compresa tra realtà e immaginazione, fantasia e gesto  concreto.
L’intervista è piena di fascinosa, coinvolgente poesia. Alla fine risulta quasi percepibile, mangiabile, condivisibile con  gli occhi e con le mani, da un unico piatto con bordi colorati posto al centro di una tenda grande quanto il mondo. IM

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Rubrica A TU PER TU

La poetessa dei “liberi ribelli” – Intervista a  Dalila Hiaoui 

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1 –  Buongiorno Dalila e benvenuta.

Sei nata in Marocco e sei di origine berbera.

Quali influenze hanno avuto e hanno le tue radici sul tuo modo di essere e di esprimerti, nella vita e nell’arte? Qual è il rapporto dei berberi con la poesia, con il racconto, con quella che potremmo definire “l’affabulazione”? Quali legami ci sono tra la cultura scritta e la tradizione orale, tra la modernità e il passato?

Salve Ivano, sono molto lieta e anche grata di essere la tua ospite. Sono marocchina berbera, o, se vuoi, Amazigh, che vuol dire: i liberi ribelli. Sono nata a Marrakech che nella lingua amazigh antica vuol dire la sede, o anche la casa, di Dio. Ho vissuto nel nord del Marocco, esattamente nella città di Tetouan dove è diffusa la cultura andalusa, e nel profondo deserto del Marocco, a Dakhla, verso i confini con la Mauritania, un’area in cui è predominante la cultura Hassania. Queste sono le mie radici, ciò da cui ho avuto origine e che porto con me, anche oggi, anche nel cuore dell’Europa.

Roma è stata ed è un elemento determinante per costruire me stessa, ciò che sono, il mio modo di imparare, di pensare, di valutare, di comportarmi, essendo, allo stesso tempo, passato, presente e futuro.

Per quello che riguarda l’ultima parte della tua domanda sui legami che ci sono tra la cultura scritta e la tradizione orale, posso dire che l’arte con tutte le sue sfumature è la vera memoria dei popoli che non verrà mai cancellata: la cultura orale è la matrice di quella scritta, sia nei racconti sia nel canto. Nell’eterna Roma sto seguendo i passi del mio nonno amazigh Afulay che da voi è conosciuto con il nome Lucius Apuleius (127-170). Apuleio è considerato il primo romanziere dell’umanità e io sono felice e onorata di avere un simile precursore. Nei nostri percorsi di viaggiatori del mondo e della parola c’è una piccola differenza, tuttavia: Afulay detto Apuleius ha scritto il suo romanzo L’asino d’oro dopo il suo arrivo a Roma, mentre io sono arrivata avendo già nel bagaglio un romanzo di un certo successo nel mondo arabo e francofono e qualche poesia sulla tema della pace tra i popoli e le religioni. Nonostante i vari articoli che avevo già scritto e tutto quello che già avevo fatto nell’ambito della scrittura, anche narrativa, nel mio passaporto marocchino dell’epoca, era scritto poetessa sotto il mio nome. Quindi il mio paese di origine mi definiva già “poetessa”, una definizione impegnativa che però mi identifica, quasi un secondo nome, una strada, una meta, un modo di essere.

2 – Risiedi da tempo in Italia, a Roma. Al di là degli stereotipi e con serena e informale schiettezza, quali sono stati gli ostacoli che hai incontrato al tuo arrivo in Italia e quali sono gli aspetti che, ancora oggi, trovi difficilmente comprensibili, o almeno auspicabilmente modificabili dell’Italia?
Sul fronte opposto, cosa ti ha fatto amare l’Italia e di cosa sei grata al nostro paese?

Il vostro paese è anche il mio! È il luogo dove ho provato a volare con le mie ali, senza essere la moglie di tizio o la sorella di caio! Se Marrakech è mia madre, Roma è la mia madrina: mi ha abbracciata nel momento del bisogno di affetto, ha curato le mie ferite e mi ha fatto crescere. A Roma mi sento a casa, forse con un tocco di più di ordine e disciplina rispetto alla mia terra. Ma il tempo meteorologico non è tanto diverso dal mio paese di origine, così come la stessa è la cultura mediterranea e quasi gli stessi sono gli ingredienti della cucina e per questo non sono rimasta stupita vedendo lo stesso sorriso sulle labbra della gente, ascoltando la battuta pronta, o la domanda “Come va?” subito dopo il buongiorno del mattino. Nella mia adorata Roma ho scoperto il lato gentile e amichevole della gente già dal primo giorno, visto che non trovavo la strada per raggiungere il palazzo in cui si svolgeva il mio nuovo lavoro: alcuni hanno provato a indicarmi la strada usando il francese, lo spagnolo o l’inglese perché il mio italiano era limitatissimo. Alcuni hanno provato con i gesti e altri addirittura hanno lasciato i loro commerci e le loro occupazioni e mi hanno accompagnato per qualche tratto di strada per farmi arrivare a destinazione! In quel mio primo giorno romano, io che pensavo di essere venuta a Roma solo per qualche giorno o qualche settimana ho capito di aver raggiunto la mia meta finale e di essere nel posto giusto! E così l’Italia mi ha regalato amici e amiche più presenti nella mia vita e più vicini delle persone della mia stessa famiglia. Ti faccio anche una confessione: tornando a Roma dal funerale di mia nonna materna, sono andata dall’aeroporto direttamente all’agenzia immobiliare per cambiare la casa che avevo preso in affitto e prenderne una con un giardino! Anche un piccolo buco mi andava bene, mi bastava avere lo spazio sufficiente per mettere nel terreno quelle radici che avevo perso con la morte di mia madre e poi di sua madre cioè la mia adorata nonna. Così ho piantato dei piccoli alberi come quelli che abbiamo a Marrakech: arance, mandarini, fichi, albicocche, limoni, olivi, ciliegie, e una mimosa, in omaggio a tutte le donne!

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3 – Sei un osservatore interessante della realtà proprio per questo tuo percorso biografico, oltre che artistico, che ti ha consentito di vivere ruoli molto diversi, a volte in apparente contrasto. Conosci il mondo arabo e quello occidentale, la solitudine dello scrittore e i luoghi affollati, i salotti e i palazzi, le agenzie governative, le università e gli studi televisivi. Conosci persone di ogni classe e condizione sociale e umana.
Come vivi questa tua costante immersione in ambienti e contesti diversi? E come influenza il tuo modo di vivere, di scrivere e di percepire?
 
È il mio capitale! La mia ricchezza morale, mentale e spirituale. Ogni persona che ho incrociato nel percorso della mia vita ha avuto in qualche modo il ruolo del maestro per bene o il maestro chi ti fa estrarre le unghie e ti ispira la forza per evitare il pessimismo di certi momenti. Lo stesso discorso vale per ogni luogo in cui ho vissuto: per me è stata una vera scuola se non un’università! Di quei volti e quei luoghi è fatto l’inchiostro con cui scrivo, la mia poesia e la mia prosa!

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4 – Faccio anche a te una domanda a cui tengo molto e che ho già rivolto ad altri autori intervistati in precedenza: pensi che la letteratura, la poesia, la narrativa, la scrittura in senso ampio, possano essere solamente una specie di rifugio nella tempesta, o possano in qualche modo agire in modo effettivo, avere un ruolo per modificare il mondo, il modo di rapportarci gli uni con gli altri, di agire oltre che di pensare?
 
L’espressione “letteratura” in lingua araba vuol dire la massima educazione, la vetta dell’educazione, l’espressione “poesia” viene dalla radice verbale sentire, quindi solo chi ha bevuto dall’acqua santa della cultura può sinceramente cambiare il mondo e seminare la bellezza, l’amore e la pace dappertutto. Per questa ragione organizzo ogni tanto con amiche ed amici poeti e scrittori delle carovane di solidarietà a favore degli studenti del Marocco, e siamo riusciti anche a convincere amici ed amiche che operano al di fuori del campo letterario a contribuire alla creazione di librerie e spazi d’arte e cultura nelle scuole di montagna del Marocco. Il futuro con ali di pace e amore dobbiamo disegnarlo insieme anche nelle zone lontane e periferiche.

5 – La tua è una poesia impegnata in senso concreto, non di facciata.
Come concepisci il concetto di “impegno” anche nell’ottica del mondo attuale, tra squilibri, tensioni e conflitti, anche di mentalità e di visione del mondo, della politica e della religione?

Grazie di aver definito la mia poesia impegnata. È vero! Non ho mai scritto sin da piccola della fantastica chiarezza del cielo, del blu smeraldo del mare, del meraviglioso canto del canarino o del gioioso amore vissuto, o, nel mio caso dopo tutti questi anni, mai vissuto! Parlo del lato gioioso dell’amore, ovviamente, non dell’amore in se stesso. Non scrivo se non ho le lacrime agli occhi! Non scrivo se una scena di vita non mi ha colpito l’anima o ha colpito qualcuno, qualche altro essere umano. Non scrivo se non di qualcosa o di qualche luogo che mi è davvero caro. La poesia è uno specchio della società, e il mio dovere è di fare vedere alla società sia orientale che occidentale i diversissimi volti che vi sono riflessi e che non sono nella maggior parte dei casi piacevoli! Credo che tutti quanti abbiamo il dovere di difendere il diritto legittimo di vivere in un mondo d’amore, di equilibrio spirituale e mentale. Vale a dire vivere nella pace interiore, soprattutto. Da mia parte sto provando a volte tramite articoli o saggi oppure poesie scritte con l’inchiostro della critica e della denuncia sociale, con parole sussurrate oppure gridate a dire BASTA! Ho dedicato poesie alle suocere che rovinano i rapporti dei figli con le altre donne, ai figli adolescenti con tutte le loro problematiche con i genitori, ai turisti del piacere carnale, alla irresponsabilità degli uomini della nostra benedetta epoca, al velo, all’eredità, alla poligamia. Ho provato a parlare di tutto questo, di ciò che sento e vedo con i miei occhi di musulmana con la mente aperta; vale a dire musulmana che non dice Amen e così sia alle interpretazioni e alle spiegazioni degli altri, ma si fa, in modo autonomo, le sue ricerche personali ed accademiche. Non sono nata per fare il pappagallo! Sono nata per correre come la gazzella tra i campi di sapienza e a volte per volare come un’aquila!

6 – Ho trovato interessante (e questo si ricollega anche alla domanda precedente) il tuo vivere a tutto tondo il ruolo di poetessa e di comunicatrice, senza chiuderti nella proverbiale “torre d’avorio”. Mi ha colpito ad esempio anche la tua capacità di trasformare la cucina, i piatti tradizionali della tua terra d’origine, in un ponte, un modo per fare dialogare in modo vivo e gioviale culture e mondi diversi.
Cito volentieri, a questo proposito, un brano tratto da un post pubblicato su Arab News:

La mattina del fatidico pranzo – a base di piatti della tradizione, in teoria; un tripudio d’ingredienti cosmopoliti, nella pratica – ho trascorso un’ora e mezza sui mezzi pubblici romani, su e giù dal ventre fino alla superficie della nostra Madre Terra. Tra metropolitane ed autobus in cui i turisti fanno chiasso più degli studenti e dei lavoratori. E nonostante non ne potessi più, mi sono trovata a sorridere a quei visi. Proprio io che a lungo, per molte mattine, mi sono lamentata in tutte le lingue (anche quelle che non conosco!) del sovraffollamento, dei ritardi, del calpestarsi i piedi, dell’urtarsi, ora stavo sorridendo. Perché già fantasticavo di ciò che di lì a poco avrei vissuto: avrei scorto la gioia della festa sui visi delle mie amiche egiziane, siriane, palestinesi. Intorno a un pranzo all’insegna del light, a cui si addice d’essere servito in semplici piatti di plastica. E che ogni festa ti sia lieta, Eva che rappresenti tutte le donne, a cavallo della libertà lungo la distesa dell’uguaglianza.

Ti va di commentarlo, dicendoci anche qualcosa riguardo all’importanza dell’essere “light” e del dialogo multietnico?

È un progetto mio che forse vedrà la luce con un’amica specializzata nelle scienze alimentari. È un progetto per creare davvero un ponte di delizie tra le due sponde del mediterraneo visto che facciamo il bagno nello stesso mare e peschiamo lo stesso merluzzo usando lo stesso olio di oliva di pianura e lo stesso alloro e timo di montagna! Quasi tutti gli ingredienti si trovano e anche la volontà non manca. Quindi manca poco per godere delle bontà delle due rive con un tocco dietetico ragionevole! Amo cucinare e condividere i piacere della gola con i miei cari, ma amo di più semplificare un po’ le ricette, perché il ritmo della vita occidentale è molto veloce, e anche perché tengo presente le intolleranze, la glicemia, la pressione, il colesterolo e tutti gli altri gioielli che ci regala la vita prima o poi!

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7 – Insegni la lingua araba e con essa le tradizioni, il modo di vivere.
Ritieni che una maggiore conoscenza reciproca, fin dalle scuole elementari, potrebbe favorire il dialogo o è pura utopia?
 
Caro Ivano! La prima Università europea che ha aggiunto la lingua araba alla lista degli studi accademici è stata italiana. È accaduto nel 1600, e di preciso a Bologna, dopo che gli arabi erano stati cacciati da Granada in Andalusia. In seguito lo studio della lingua araba si è esteso a Napoli e ad altre città e altre prestigiose sedi accademiche. Dalla Sicilia i numeri arabi hanno raggiunto l’intera Europa e tutto l’occidente e con essi è giunta la nuova creazione dell’epoca, “lo zero”, in arabo “ssefr” poi per voi “cifra” e per i francesi “chiffres”. Quindi, che lo si voglia o no, l’Italia è stata la vela della nave dello scambio e del dialogo culturale storicamente e in Italia sento davvero un interesse molto vivo per le lingue straniere. Inoltre, come hai sottolineato nella domanda, è molto importante offrire ai bambini un orientamento bilingue. Un orientamento psicolinguistico moderno che risponda ai veri bisogni dei bambini. Io per esempio all’asilo avevo la mattina l‘arabo e il pomeriggio il francese, ed era vietato parlare in arabo durante il pomeriggio francofono così come era vietato parlare in francese o in dialetto durante la mattinata dell’arabo! Le lingue erano presenti anche durante il gioco o il canto e la terza lingua era in programma per il liceo. Adesso hanno la terza lingua, spesso l’inglese o lo spagnolo, già dalla scuola media. Quanto al berbero, si impara nelle zone montane del Marocco a partire dalla scuola elementare insieme all’arabo e al francese. Mi ricordo benissimo un discorso degli anni 80 di Re Hassan Secondo di cui mi è rimasto impresso nella memoria anche il tono non solo le parole: “Chi parla solo una lingua è un analfabeta nonostante i suoi diplomi!”. Però questo non vuol dire che siamo dei geni in Marocco oppure che il Marocco è il paradiso divino. C’è tanto da fare soprattutto nel campo dell’insegnamento perché è la base di tutto! A cosa servono greggi di pappagalli?
 

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8 – In qualche modo ricollegandoti a tutta la conversazione precedente, ci puoi parlare del tuo salotto letterario bilingue J’nan Argana.
Come è nato, come opera, e come lo consideri nell’ambito della cultura del dialogo di cui abbiamo parlato? Pensi che sia un esempio isolato o che possa fare da seme per favorire la nascita di realtà simili sia a Roma che in altre città?

J’nan Argana vuol dire il Paradiso di Argan. E l’argan come sapete è un albero che si trova solo in Marocco e ha la funzione di separare il deserto dalla pianura creando una cintura naturale per bloccare o limitare la sabbia che non smette di avanzare. L’argan è un frutto che dà un olio miracoloso con caratteristiche medicinali favolose e che si può ottenere solo tramite il lavoro delle mani delle donne berbere. Viene ancora oggi macinato con la pietra! Ho sempre avuto in mente di tenere salotti culturali e letterari, fin dai tempi di Marrakech, prima di spostarmi a Roma. Nei primi anni del mio soggiorno romano ero in fase di rinascita psicologicamente e culturalmente e dovevo ambientarmi e mettere radici. Poi, piano piano, mi sono sentita a casa, ma l’idea di creare un salotto letterario è rimasta a lungo un sogno nel cassetto. Nel 2011 i pipistrelli dell’odio e dell’ignoranza hanno colpito nel cuore della mia città natale, Marrakech, un caffè dove avevano luogo attività culturali anche con turisti stranieri che si chiamava “Argana”. In seguito a questo episodio con amici intellettuali marocchini e italiani abbiamo pensato di realizzare qualcosa per avvicinare i popoli, le culture, le etnie, ed è nato ARGANA. Abbiamo seminato l’amore e il dialogo invece dell’odio e della chiusura mentale. Tutto ciò si può creare ovunque, basta avere volontà e desiderio di condivisione! La cultura non ha confini geografici! 

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9 – Come ultima ma non ultima domanda, ti chiederei un bilancio della tua esperienza umana e artistica, e una previsione (anche se mi rendo conto che non è facile assumere il ruolo di indovini): pensi che ci siano spazi per poter vivere in un mondo in cui ci si comprende maggiormente, pur nelle differenze, nelle diversità, nelle specificità di ognuno?
Vorrei una risposta duplice, una con il cuore di poetessa, l’altro con la mente di studiosa e docente.

Oppure, ringraziandoti per le risposte a questa intervista date sia in qualità di poetessa e scrittrice che di divulgatrice e studiosa, vorrei una risposta libera, sincera, data con un ottimismo che conosce bene la realtà, ma anche la volontà e la speranza di poterla rendere più umana.
 
Amare, donare, sorridere, sognare, sopportare, non guardare dietro se non per vedere quanto è grande anzi gigante la nostra ombra, e per ultimo: vivere e lasciare vivere! Ecco le sette chiavi della mia vita! La luce del mio cammino di studio, di ragione e di poesia. La ricercatrice e la poetessa scrittrice sognatrice non si sono mai separate in me fin da quando avevo 15 anni! Vanno tanto d’accordo e non intervengo mai per separarle. Penso che le sette chiavi possano servire a qualsiasi persona per andare avanti e per affrontare ogni difficoltà!

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Dalila Hiaoui, poetessa-scrittrice, collabora con diversi giornali e riviste arabe e marocchine; è professoressa di lingua e cultura araba presso le agenzie delle Nazioni Unite. Di origine Amazigh (berbera), è nata a Marrakech e risiede a Roma. Ha pubblicato come “author, & co-author”, 19 libri tra poesie, romanzi in lingua araba, italiana, inglese, cinese, serba, albanese  e un manuale di arabo in 3 volumi in collaborazione con il Rettore dell’Università Internazionale Uni-Nettuno a Roma, con la quale ha realizzato anche i corsi televisivi: IMPARO LA LINGUA ARABA-IL TESORO DELLE LETTERE, (già in onda sui canali nazionali del Marocco, sui canali dell’Università, e su Rai 2 e 3, e il digitale terrestre dal 2010). Conduce da giugno 2013 il salotto letterario bilingue J’nan Argana.
 
Aggiungo volentieri una piccola ma significativa postilla integrativa alla nota biografica scritta dalla stessa autrice:

Posso aggiungere anche che sono una delle pochissime  scrittrici/poetesse di lingua araba ad avere intrapreso la strada del digitale, cioè, l’e-book, pensando all’ambiente, soprattutto! E sto lavorando a progetti simili con altre autrici ed altri autori, anche più giovani! Ho presentato nel 2016 a Fez in Marocco una delle poetesse più giovani del mondo, ha 13 anni, ed è semplicemente italiana. Vorrei che le opere dei piccoli autori che vivono tra le montagne, nel deserto, nei villaggi più lontani fossero a portata di mano di tutta la gente che creda ancora nell’amore, in Europa, in Asia, in Australia, e dappertutto nel mondo. Così ho adottato culturalmente i giovanissimi poeti e pittori delle montagne del Marocco. Sto lavorando con i loro professori alla pubblicazione delle loro opere in digitale e in cartaceo perché in alcuni paesi non è possibile comprare o scaricare l’e-book, forse per misure di sicurezza. Tutto il guadagno derivante da questa iniziativa sarà destinato ai piccoli autori e alle loro scuole, per coprire le spese di studio, gli occhiali da vista, e altro materiale e attrezzature scolastiche. Tutto questo senza chiedere nessun finanziamento a nessuna organizzazione! Sono sempre andata avanti da sola condividendo il frutto del mio sudore personale per un futuro migliore! 

Dalila Hiaoui 2

Ghost chili, fantasia e immaginazione

Ripubblico qui la gustosa e simpatica chiacchierata gastronomico-letteraria di qualche giorno fa uscita sul sito Readeat Libri da mangiare, a questo link: https://www.readeatlibridamangiare.it/cucina-letteraria/spizzichi-bocconi/2017/12/12/ivano-mugnaini/

È anche un’occasione per ricordare a chi vuole partecipare al Concorso Elogio alla follia, attualmente in corso, che non è necessario che le “pietanze” in forma di racconto o di poesia siano iperspeziate, con manciate di Trinidad Moruga Scorpion, Naga Viper, o  Ghost Chili. La quantità è libera, come la scelta degli ingredienti e dell’amalgama.

Basta che non si tratti del solito sacrosanto semolino. Basta che siano cucinate con molta passione, fantasia, divertimento, inventiva, con molta voglia di fare venire l’acquolina in bocca, a se stessi e ai commensali.

Attendiamo i vostri piatti . Il link del bando è questo:  http://www.ivanomugnaini.it/elogio-alla-follia-concorso-letterario/

 

il Concorso letterario di Ivano Mugnaini

Ciao a tutti, la cucina letteraria di #readEat è felice di ritrovarvi nella sezione Spizzichi e bocconi,  una cena virtuale dove ogni protagonista del panorama editoriale si mostra un po’ di più e, soprattutto, mostra ai lettori un pezzettino del percorso che porta le idee a diventare libri. Questa settimana il mio paziente ospite è Ivano Mugnaini, non-purista e super addetto ai lavori, di cui ho potuto seguire e apprezzare il lavoro imparando sempre qualcosa!

Antipasto 
Tu fai un po’ di tutto, Ivano: curi testi, scrivi libri, scrivi per il teatro, componi versi. Vivi l’editoria tutto tondo, si può dire. Qual è stato il salto che ti ha portato dall’essere autore ad aiutare altri autori?

In effetti è vero, Ida, spazio in vari ambiti e settori. Sono interessato e incuriosito da molte espressioni e forme del mondo editoriale. Non sono un “purista”, e so che alcuni non apprezzano questo modo di unire e ibridare. Ma a me viene naturale, e ritengo che sia possibile mettere un po’ di poesia anche in un racconto, così come raccontare, e raccontarsi, tramite la poesia. Mi piace leggere anche gli altri, non solo gli autori noti ma anche le voci emergenti e originali. Molti con il tempo mi hanno detto che avevo colto ciò che volevano esprimere, il loro mondo, la loro voce più autentica. Questo mi ha portato a essere anche lettore dei testi altrui e a offrire servizi editoriali.

Primo
La poliedricità non è mai un male, almeno dal mio punto di vista. Mantiene umili, è una porta costantemente aperta sul confronto. E a proposito di confronti, ci parli un po’ del Concorso letterario “Elogio alla follia”?

Mi piace la tua definizione, quel riferimento alla porta che ci conduce a esplorare anche ciò che riteniamo a volte estraneo e che invece è parte di noi. Il collegamento con “Elogio alla follia” qui mi viene naturale e te ne parlo volentieri. Si tratta di un concorso letterario e l’idea mi è nata mettendo in collegamento la mia collaborazione con l’editore Divinafollia e la mia passione per il lato apparentemente in ombra del nostro agire e soprattutto del nostro pensare, sognare, immaginare.

Ho pensato di organizzare un concorso in cui si uscisse dai percorsi troppi battuti e in cui ciascuno potesse esprimere le sue idee più nascoste, le pulsioni, i desideri, gli appetiti, tanto per fare un riferimento adeguato al contesto del tuo blog. Non necessariamente scritture estreme ma spazi narrativi o poetici in cui si possa fare emergere ciò che spesso nascondiamo e che invece è alimento delle nostre fantasie più intense. Tutto ciò assieme al regolamento per la partecipazione si trova a questo link.

Secondo
Ecco, entriamo nel vivo di un concorso letterario. Sono in molti i lettori che hanno poca dimestichezza con la macchina organizzativa dietro il concorso. È lecito chiedere come si arriva a comporre una giuria?

Non solo è lecito, ma sono contento di questa tua domanda: sia perché mi permette di parlarti del meccanismo, almeno secondo la mia esperienza personale, sia perché mi consente di ringraziare chi (pur essendo molto impegnato) ha accettato di collaborare con me. Nel mio caso mi sono basato anche sul tema del concorso. Ho cercato autori e critici che nei loro lavori si fossero occupati del tema della follia, o che, in senso più ampio, abbiamo sempre privilegiato un tipo di creatività libera, priva di schemi preconfezionati. Altro criterio di selezione è stata la confidenza, l’affinità, l’amicizia: dovendo collaborare è bene farlo in armonia. Sono molto contento della Giuria del Concorso “Elogio alla follia”. Mi rendo conto che sono molto parte in causa, ma, oggettivamente, basandomi sulla lettura del curriculum dei giurati, posso dire che se potessi parteciperei al Concorso.

Contorno 
Leggo però sul tuo sito, che indipendentemente dal Concorso, vi sarà la possibilità per alcuni componimenti di essere pubblicati all’interno del tuo spazio web. Con un leggerissimo volo pindarico, mi chiedo se questo spazio coinvolga anche Viaggi al centro dell’autore, una sezione che, un po’ come Spizzichi e bocconi dà spazio agli altri scrittori, apre le porte per ulteriori tipi di confronto. Questo perché, immagino, il tuo sito è un portale sia per autori che vogliono richiedere i tuoi servizi, che per realtà editoriali con cui sei in contatto, che per semplici addetti ai lavori. Ciò che vedo è una persona che si impegna per mettere in contatto tra loro altre persone tramite un ‘ascolto’ iniziale. È un invito alla tanto famosa poliedricità?

Mi piace anche il contorno devo dire. Il pranzo è gustoso e nutriente, e il discorso della poliedricità ritorna, è un po’ un filo rosso, un Leitmotiv. Il mio sito in effetti è un po’ sui generis. C’è molto di mio, la mia biografia, ci sono racconti, ci sono brani del mio recente romanzo Lo specchio di Leonardo, dedicato alla figura immaginaria di un sosia di Leonardo da Vinci che permette al genio fiorentino di vivere finalmente una vita libera e folle. Come vedi tutto torna, anche il tema della follia. A breve metterò sul sito anche poesie tratte dal mio libro di prossima uscita, La creta indocile, edito da Oedipus di Salerno.

C’è molto di mio, nel sito, ma c’è molto spazio anche per altri, sia autori del passato come in ‘Viaggi al centro dell’autore’ sia autori dei nostri giorni come nella rubrica ‘A tu per tu’, in cui divento anch’io un intervistatore e faccio domande a personaggi non solo letterari ma anche di altri ambiti artistici. In effetti mi piacciono le interconnessioni tra autori, anche di diverse età e settori di attività e competenza. Credo che sia un modo per imparare e arricchirci a vicenda. In fondo cerchiamo tutti le stesse cose: bellezza, e un senso a questo strano viaggio su questo pianeta. E non importa se la meta non arriva. A volte la meta è il viaggio stesso.

Dolce
Da qui, una domanda che a questo punto mi sembra d’obbligo: “Elogio alla Follia”, in qualche futura edizione e sempre cavalcando l’onda della poliedricità, potrebbe abbracciare altri campi artistici, secondo te? Magari legati alla scrittura, ma tradotti in un progetto dalle diverse facce, capace di coinvolgere anche altri linguaggi. Quali credi sarebbero i rischi in un progetto simile?

La tua domanda diventa un suggerimento, a dirti il vero non ci avevo pensato. Direi che i rischi ci sono, ma del resto se non c’è rischio quando si parla di follia, non vedo dove potrebbe e dovrebbe essere! Battute a parte, credo proprio che alcuni incontri tra diverse espressioni artistiche siano molto fertili. Penserei tra gli altri a quello tra scrittura e arti figurative (pittura e non solo), ma anche a quello tra scrittura e musica. Oppure anche ad altri settori, anche con accostamenti più innovativi. Direi che potrebbe essere davvero un bel passo ulteriore, nel caso in cui il progetto di partenza, ossia il concorso letterario, dovesse avere successo e incontrare i gusti delle autrici e degli autori.

 

Tanto per digerire

Spero proprio che il Concorso abbia i mezzi necessari all’espansione, allora, e diventi un vero e proprio viaggio nell’arte a tutto tondo!
Intanto io ti ringrazio, Ivano, sei stato un ospite davvero squisito e probabilmente, potrei andare avanti a fare domande anche per un cenone di vigilia, visto che siamo in tema natalizio!

Avete sentito, autori?
Non siate timidi, o se vorrete esserlo, esplorate questa timidezza fino a scomporla del tutto, esasperate ogni vostro aspetto e buttatelo su carta!
Ivano Mugnaini e il suo “Elogio alla Follia” vi aspettano numerosi, e anche io sarò curiosa di leggere i futuri protagonisti di questa bellissima occasione!

 Ida Basile

il Sud On Line: intervista di Nadia Pedicino