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A TU PER TU – Chiara Zanetti

Molti gli spunti di interesse che nascono dalle risposte di Chiara Zanetti alle cinque domande della rubrica A TU PER TU.
Di Chiara mi ha sempre colpito la capacità di abbinare la ricerca di leggerezza, divertimento e convivialità ad un’efficienza che verrebbe da definire di stampo “teutonico”. Ma non c’è bisogno di andare oltre confine. Diciamo un’efficienza che anche noi abitanti di questa strana Penisola a tratti sappiamo avere, quando ci svegliamo dal lato giusto.
Chiara non ha cercato scorciatoie: ha saputo ottenere risultati con dedizione e applicazione, mai ottusa o asettica, sempre all’insegna della gentilezza e del dialogo.
Anche nelle risposte all’intervista ha confermato queste caratteristiche: con grande sincerità e chiarezza ci parla di sé e dello “specchio in forma di parole” di un libro in cui, scrutando dentro se stessa e dentro un proprio “lutto”, finisce per parlare di tutti noi, di quello che fatalmente perdiamo, senza mai perderlo del tutto, forse, della fragilità e della persistenza, dell’interiorità, della paura (attuale, oggi e sempre) e della tenace volontà di guardarsi dentro trasformando la perdita e lo smarrimento in ricerca di espressione e di dialogo.
Anche in questo caso, se volete e potete, leggete le risposte nella loro interezza e nel contesto che ben delinea i chiaroscuri, il buio e la ricerca di spiragli di luce.
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A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

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5 domande

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Chiara Zanetti

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve autoritratto in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Caro Ivano, grazie per l’ospitalità. Sai, nella mia vita sono sempre stata dalla parte dell’intervistatrice, della giornalista e mai il contrario, salvo un paio di importanti eccezioni.

Un mio autoritratto… Forse un’isola, circondata da pareti di mare, ma in continua ricerca di scambi con la terraferma. È significativo, peraltro, il mio rapporto con le periferie e l’insularità come identità liminale, ma non è questo il momento di dilungarmi in merito…

Caso vuole che stessi parlando proprio ieri con un caro amico scrittore di come i dipinti che alcuni artisti hanno realizzato ispirandosi alla mia figura siano in realtà troppo semplici per cogliere la mia essenza profonda. Credo infatti di essere (come tutti o quasi, in realtà) una persona complessa, densa di sfumature, contraddizioni, iperboli, svalutazioni…. Ma anche accrescitivi, vezzeggiativi, diminutivi. Una sorta di grammatica della persona… E non scordiamoci del binomio con l’analisi! Mi piace molto tentare di capire il mondo, questo è tutto quello che so di me e che ha ispirato il percorso che mi accingo a cominciare a gennaio 2021, ovvero il Master triennale in Counseling presso Aspic.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto lessenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sulliniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

La mia unica opera edita – al momento – è Testamento blu, uscita lo scorso 20 novembre con Echos.

Eravamo nel pieno del primo lockdown quando iniziai a scriverla, e anche l’agenzia di reclutamento per cui lavoravo al tempo era chiusa. Ero a casa, del tutto non abituata a trovarmici costantemente… Io amo scrivere, da sempre, come adoro leggere. Inoltre, mi ero appena imbarcata in una nuova relazione sentimentale dopo il fallimento del rapporto più lungo e sostanzioso della mia vita, finito nell’ottobre del 2018. Quasi due anni, direte, che significa… Beh, per me, molto, visto e considerato che è stato il lasso di tempo necessario per elaborare questo e altri “lutti”. Mi sono guardata dentro e ho pensato, sull’onda anche di una vocazione alle relazioni d’aiuto, perché non scrivere un saggio introspettivo in cui parlare di questo enorme buco nero (come credo ce ne siano nella maggioranza delle storie umane) e dare un esempio a cui appellarsi a chi si trova in difficoltà su vari fronti? E poi il gioco era fatto, ormai, ho colto la palla al balzo e ho iniziato a buttare giù il primo capitolo… Ne sono seguiti altri e infine è avvenuto il sodalizio con un artista che stimo molto per bravura e profondità di vedute, Andrea Lelario, a cui ho proposto di realizzare le illustrazioni del mio libro.

Il titolo mi sembra abbastanza indicativo… Il blu era per Wassily Kandinsky la tonalità dell’approfondimento e, in quanto al sostantivo, esso rimanda a ciò che lascio in eredità ai lettori, che può essere poco o può essere tanto, ma sarà sempre qualcosa.

Nella sua prefazione al testo, Vittorio Raschetti scrive: “Occorre passare per molti solitudini per trovare sentieri non ancora tracciati che portano nei pressi del vero. Perché non arrivare a nulla è diverso da arrivare al nulla. Solo nei segni più labili e nelle tracce più evanescenti è possibile salvarsi, solamente nella fragilità e nella persistenza di ciò che sembra già condannato a scomparire”, e penso qualifichi molto questo manoscritto, che mi ha procurato gioie e pianti.

Aspettative non ne ho. Nessuna velleità letteraria, sogno di successo, speranza di lucro o desiderio di entrare nel novero dell’intellighenzia italiana. Nel mio libro dipingo la mia interiorità ed è tutto ciò che mi importa, se qualcuno vi si può rispecchiare. Per accennare al mio rapporto intimo con questo testo, sicuramente farei riferimento anche alla paura… Timore che possa non piacere o deludere qualcuno.

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Frammenti di ipotesi

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  Pensando alla chiave rafforziamo la galera ?
Alcune personali ipotesi sui possibili Sì e sui possibili NO.
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Frammenti  di ipotesi

These fragments I have shored against my ruins, Questi frammenti che ho eretto a protezione delle mie rovine.
La traduzione del verso de La terra desolata di Eliot è libera. Ed è forse la sola cosa libera che posso permettermi in questi giorni di gabbie invisibili e inesorabili. O forse no. È libero, a suo modo, anche il pensiero che mi porta ad erigere con la mente frammenti di parole e di pensieri a protezione della mente stessa, e del corpo, ad essa inesorabilmente e mirabilmente collegato.
La prima decisione, da quando è iniziato il contagio e la quarantena, è stata strana: mettermi a rileggere, con l’aggravante della lettura in lingua originale, La peste di Camus. Strategia autolesionistica, la definirebbe qualcuno. È forse è vero. Eppure, in quelle parole crude e sincere, scelte con precisione chirurgica dallo scrittore-filosofo francese, ho trovato il veleno ma anche le gocce dell’antidoto.
“Quando si chiusero le porte alle nostre spalle – scrive Camus – un sentimento individuale come quello della separazione da un essere amato, all’improvviso, dopo le prime settimane, fu quello di tutto un popolo, e, assieme alla paura, divenne la sofferenza principale di questo lungo tempo d’esilio”. Dalla consapevolezza della condivisione di una condizione innaturale nasce la riflessione che porta con sé, in modo inconscio, il cambiamento.  “Il sentimento di cui nutrivamo la nostra vita, assunse un volto nuovo. Mariti e amanti che avevano immensa fiducia nelle loro compagne si scoprirono gelosi. Uomini che si ritenevano leggeri in amore ritrovarono la costanza. Figli che avevano vissuto accanto alle loro madri guardandole appena, misero tutta la loro inquietudine e il loro rimpianto nella piega del viso oppressa dal ricordo. Soffrivamo due volte, per la nostra sofferenza e per quella degli assenti, figli, spose, amanti”.
Eppure, ogni peste, reale o metaforica, ogni malattia, ogni ferita nella carne di un’epoca ha caratteristiche proprie, specifiche. Camus scrive: “Perfino la piccola soddisfazione di scrivere ci era negata. Tutta la corrispondenza era bloccata per timore che le lettere fossero veicolo d’infezione”. Oggi non è così. Le nostre gabbie, Internet, i messaggi, le chat, le immagini, le voci trasmesse via etere, possono diventare la chiave per uscire dalla gabbia dell’isolamento. Un fertile paradosso. A patto che si riesca a mutare di segno anche un’altra frase cardine de La peste: “Per settimane fummo ridotti a ricominciare senza tregua la medesima lettera, a ricopiare gli stessi appelli e le stesse raccomandazioni, fino al momento in cui le parole che erano uscite tutte vibranti dai nostri cuori si fecero prive di senso. Questo monologo sterile, questa conversazione arida, non sarebbe cessata con la fine dell’epidemia”.
Ecco, questo è il nodo da sciogliere, è questa la sfida. L’epidemia passerà, presto a tardi. Così come finirono, ad un certo punto, perfino i “quattro anni, undici mesi e due giorni” di pioggia di Cent’anni di solitudine. Quella pioggia che rese necessario “scavare canali per prosciugare la casa, e sbarazzarla dai rospi e dalle lumache, di modo che si potessero asciugare i pavimenti, e togliere i mattoni da sotto le gambe dei letti e camminare di nuovo con le scarpe”. Finirà anche questa pioggia invisibile fatta di paura, alienazione, solitudine. Ma finirà davvero solo se le mascherine che il contagio ci ha obbligato a indossare ci avranno insegnato a togliere le maschere che avevamo sul viso da sempre senza che nessuno ci obbligasse. Finirà se alla fine dell’incubo avremo imparato a sorridere con gli occhi. E, si sa, gli occhi riescono a sorridere solo se sorride anche il cuore. Finirà se capiremo, come ci suggeriva il drammaturgo che ha scritto e vissuto del Caos e della Follia, che “la vita non si spiega, si vive”; e che le cose minuscole per cui ci azzuffiamo se fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili.
Ripartendo da queste consapevolezze, da questi frammenti eretti a proteggere le nostre pietre, possiamo provare, noi sommersi e noi salvati, a guarire dal male nuovo e passeggero e da altri, antichi, inveterati, che abbiamo lasciato penetrare da tempo all’interno delle nostre mura senza neppure provare a combattere.
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( Questo brano è stato letto in collegamento Facebook in occasione dell’iniziativa PAROLE DAGLI ARRESTI DOMICILIARI a cura di Roberto Caracci ) .