QUIETAMENTE MICIDIALI

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Il Cartello, a questo link: http://www.ilcartello.eu/esistenze-quietamente-micidiali/ , dove è possibile leggere anche i commenti ed altri testi e approfondimenti .  IM

Harold Pinter è un autore oggi noto e di successo. Partendo dagli apparentemente sfuggenti e labirintici sentieri di Beckett e Ionesco è riuscito a creare una sua impronta personale, un taglio, anche nel senso fisico del termine, una ferita sul volto apparentemente sereno e ricco di scelte, optional più o meno gratuiti e gadget vari, della moderna società dei consumi. 

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Come ogni buon incursore, è penetrato nel campo nemico dall’interno. Non è un caso che diversi suoi lavori teatrali abbiano avuto come origine, e sbocco, la televisione. Proprio così, niente meno che la roccaforte squadrata culminante nel mirabolante tubo catodico.

Un leggero malessere, atto unico di Harold Pinter

Uno dei lavori più significativi tra quelli “giovanili” di Pinter è Un leggero malessere, andato in onda sul terzo programma della BBC nel luglio del 1959. Pinter all’epoca aveva ventinove anni. Ma le idee erano già ben chiare e mature. A cominciare dallo spunto di base, tanto scabro da poter sembrare scialbo, in qualche modo inadeguato, insufficiente. Ergo, in realtà, perfetto. Specchio fedele e ben lucidato di molte esistenze quietamente micidiali.
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Una coppia piccolo borghese marcata stretta, senza un istante di tregua, dal cosiddetto trantran. Parolina composta, quest’ultima, che, anche sul piano strettamente uditivo, potremmo quasi dire onomatopeico, trasmette un senso di ripetitività tanto innocua quanto stordente, come il jingle di uno spot pubblicitario, come la tiritera di un folle seduto al margine di una strada. Ma è proprio il carattere fintamente docile della tiritera che le consente di insinuarsi senza ostacoli nella mente. Come un virus che si cela tra i versi zuccherosi di una filastrocca.
Nella scena iniziale del dramma, il protagonista, Edward, intrappola una vespa in un barattolo di marmellata. E si diverte a osservarla. A vederla fremere, fino a diventare isterica, tentando una fuga impossibile. Il sadismo, già becero nelle forme e nelle proporzioni, trova un ulteriore elemento di contrasto nella consapevolezza, certa nello spettatore e perlomeno probabile nei personaggi, dell’analogia, sarcastica, tra la condizione dell’insetto e quella di chi lo tiene prigioniero. Il ribaltamento delle prospettive si fa ancora più aspro quando veniamo a scoprire che il ghignante carceriere sta progressivamente cadendo nelle spire di un male, la perdita progressiva della vista, da cui non potrà avere scampo. Lo vediamo scrutare attraverso il vetro quel minuscolo animale che si agita sbattendo contro le pareti del contenitore. È difficile non pensare al male, a quel morbo leggero che sta minando dall’interno la sua salute, la capacità di interagire liberamente con il mondo. Il volo goffo della vista sta per essere spezzato. Flora, la moglie di Edward, rimprovera il marito accusandolo di perdere tempo con scherzi privi di senso. Si mostra impaurita, inoltre, teme che la vespa possa sgusciare fuori dal barattolo e pungerla. “Non ti pungerà! – replica Edward. Le vespe non pungono. In ogni caso, non può volar via. È bloccata. Annegherà dove si trova, nella marmellata”. Flora sostiene che si tratterà di una morte orribile. Edward invece è convinto del contrario.

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Le apparenti miserie delle vita, fanno risaltare, come un crudele microscopio, i piccoli mali striscianti, che, in realtà, pungono eccome. Mortalmente. Ma il gioco delle prospettive e degli specchi ideato da Pinter non finisce qui. C’è un altro modello, a grandezza (o piccolezza) naturale, che attende la coppia fuori dalla porta. Davanti al cancello della quieta famigliola staziona perennemente un fiammiferaio cieco che non parla mai e non vende fiammiferi. Potrebbe sembrare la parodia amara di una vecchia favola. Per Edward e Flora però non c’è alcuna fata che possa operare benefici prodigi. C’è la realtà, la verità prosaica e muta della vita. Quella che sorride gelida, aliena ai compromessi. Edward in breve tempo subisce la sua prevedibile metamorfosi: perde la vista e sviluppa un’ossessione aspra, tutt’altro che cieca, nei confronti dell’uomo fermo in attesa davanti al cancello della sua casa. Parallelamente, per ulteriore ironia, il fiammiferaio muto diventa sempre più simpatico a Flora.
Ad un certo momento anche Flora, esasperata dalla tensione e dall’attesa, decide di soffocare la vespa nella marmellata. Edward propone una soluzione diversa: farla morire scottata dall’acqua bollente. Comica, a suo modo, è la definizione delle vespe che propone a cose fatte: “Creature perverse!”, esclama. Ma la reale perversione forse è nello spreco del tempo, nel crogiolarsi in grettezze che minano come tarli i tessuti dell’esistenza. Di sicuro si scopre che l’assurdo si paga alla fine con l’assurdo, l’assenza di logica, di voglia, di volontà di vita, si paga per mezzo di una logica che si mostra ancora più cieca e folle di una vespa intrappolata o di un venditore di niente privo di sguardo e di parole.
Alla fine del dramma Edward, completamente cieco ormai, prende il posto del fiammiferaio, e Flora fugge via con quest’ultimo. L’epilogo è emblematico, e contiene un’intera gamma di possibili significati simbolici. Forse però il solo senso davvero tangibile, nella sua apparente natura impalpabile e astratta, è che il male in agguato dietro la porta di casa è una certezza. Una tenace, ottusa minaccia. Ma c’è un male peggiore, o comunque un male che genera l’altro, lo nutre, lo rinsalda. Forse invece di passare il tempo intrappolando parole nei barattoli di marmellata, dovremmo cercare di contrastare i voli folli del silenzio e della pazzia cercando di spalancare i cancelli, per entrare e per uscire da noi, e soprattutto per cercare àmbiti più ampi, più autentici. Forse. Magari Pinter non intendeva dire nulla di tutto questo. Voleva solo parlare di una coppia come tante, di una vespa e di un fiammiferaio. Ma visto che ciascuno di noi possiede un barattolo, un cancello, e, si spera, una testa, necessita dare il meglio di ciò che abbiamo per poter aspirare a sentire qualcosa di diverso da un ronzio monocorde. Per sperare che il malessere “leggero” del tempo, in qualche modo, possa non prevalere.

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