HAPPY HOUR – idillio metropolitano

Un racconto “eroicomico”, leggero e lievemente alcolico, pubblicato anche su “L’Immaginazione”, numero 289, settembre-ottobre 2015

HAPPY HOUR

h hour insegna

Scovo a caso, lungo il viale della stazione, un ristorante nuovo, pulito, con un bagno che non invita a indossare il casco e la mascherina da disinfestatore. Il cibo è ottimo, abbondante, genuino. Ti spinge a voler bene all’ambiente che te lo elargisce, diventando affezionato avventore, conservando con cura il biglietto con il numero di telefono e l’indirizzo, parlandone bene agli amici e ai conoscenti.

La cameriera-tuttofare del suddetto mirabile locale non è esattamente bella, ad essere onesti. Ma ha occhi da cerbiatta in fuga e un seno svettante sotto la maglietta candida. Sembra la vergine di un quadro del Quattrocento. È docile, languida, cortese. Con sguardo puro e voce di zucchero mi fa accomodare in una saletta privata, completamente riservata a me. Accende il televisore e lo sintonizza su una telenovela. In altri casi mi verrebbe l’orticaria, ma ascolto quieto i sussurri dell’attrice che miagola dallo schermo, e mi risultano soavi, come i monosillabi lievi della dispensatrice di vivande. Finisco per sovrapporre e identificare le due figure femminee, e quando la diva della soap opera declama un mieloso “Ti amo” sento un brivido nella schiena, e, seppure con labbra mute, le rispondo in rima.

Mi richiama alla realtà un grugnito cavernoso. La fanciulla vivandiera è soggetta alle angherie di un orco. Forse è il padre della donzella, non so, di sicuro è padrone e tiranno. Urla, bestemmia, impreca, sbraita e sbava veleno contro di lei, che, placida, obbedisce con un sorriso. Torna civile, l’energumeno, solo al telefono, se e quando un cliente prenota un tavolo e gli fa pregustare la moneta contante.

Che fare? Divento un paladino, Orlando, Parsifal, Lancillotto, un poeta trovatore sdegnato di fronte ad una tale ingiustizia nei confronti di un’anima pura? Oppure divento pavido filosofo, chiudo entrambi gli occhi e me ne vado facendo finta di niente? Si avvicina intanto l’attimo fatidico del conto e dell’amaro congedo, e resta vivo e ardente il dilemma che mi lacera. Ad un certo punto sento un fuoco dentro, mi alzo, e, con una scusa, entro di soppiatto in cucina.

La vergine e l’orco stanno amoreggiando: le mani tozze come bistecche al sangue palpano e percorrono sfacciate le rotondità muliebri e gli anelati anfratti, neppure troppo angusti, a dire il vero.

h hour cameriera

Con il gelo nelle membra e nella mente, mi reco barcollante al bancone. Pago il conto alla muta e pallida signora, prefigurazione della morte, seduta da tempo immemorabile sullo stesso sgabello con la stessa espressione. Forse è la moglie rassegnata dell’orco, o magari una semplice commessa. La saluto, senza sperare neppure un attimo in una qualsivoglia forma di risposta.

Risalgo sul cavallo, a motore, e medito a lungo sul “guiderdone” non ottenuto, strappato, negato. Ripongo la lancia in resta, imbraccio il borsone ed estraggo il cellulare. Provo a chiamare la donna dei miei sogni, la ragazza che amo da anni, per invitarla al ristorante dell’idillio sfumato e della disfida mancata, dimenticando in tal guisa, con la forza del suo amore, l’onta subita.

Provo a fare la stessa voce dell’orco. Ride, la mia Angelica, seppure in sordina. Attende un istante poi mi rivela che ha la serata impegnata, deve andare al “Drago d’Oro” a bere un calice di Spritz e degustare dorate patatine con un suo amico che l’ha invitata per l’happy hour.

h hour olive