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A TU PER TU – Michela Farabella

Il libro di cui parla Michela Farabella in questa intervista è incentrato su una tematica dolorosa e purtroppo sempre attuale, la malattia, nello specifico l’Alzheimer.
Il titolo del libro è Italo con te partirò ed è di impronta autobiografica.
“Ho scritto questo libro perché la storia di Italo, mio padre, appartiene un po’ a tutti. Il mio è stato vero amore incondizionato. Al di là del coinvolgimento emotivo, posso dire che sono stati per me quattro lunghi anni difficili, di grandi battaglie. Mio padre era condannato a morire, non per la sua malattia neuro degenerativa, ma perché il sistema aveva deciso così. Gli anziani malati rappresentano un costo elevato per la Sanità. Lo so, la mia è una denuncia forte. Il libro si presta a due livelli di lettura diversi. Da un lato la mia denuncia cruda di una situazione gravissima che ci viene raccontata spesso dai giornali e il secondo livello di lettura è quello di una malattia sconvolgente, l’Alzheimer, che solo chi la vive può realmente capire cos’è”.
Cito testualmente le parole di Michela perché evidenziano bene il suo stato d’animo e il suo atteggiamento. La tematica è scottante, come lei stessa evidenzia. Lo spazio del blog è aperto a questa sua testimonianza e anche, eventualmente, alle repliche, a pareri contrari, a testimonianze divergenti.
Possiamo fare da cassa di risonanza per tutte le voci espresse con partecipazione e civiltà.
Si può inoltre esprimere un parere personale sul libro, sulle caratteristiche letterarie del testo, che, come possiamo intuire, non sono separabili dal contenuto, dalla vicenda da cui traggono origine.
Il libro è scritto conservando, pur nel dolore, nella pena, nella rabbia, una lucidità che consente chiarezza e fluidità, seguendo passo passo l’evolversi della trama, con nitidezza descrittiva. L’approccio è variegato e multiforme: accanto alla ricchezza di particolari quasi giornalistica o documentaristica si colloca la dimensione emotiva, psicologica, espressa sempre con forza. Il libro parla di una vicenda individuale, di un percorso del destino, ma, tra le righe, in modo spontaneo, ne emergono i valori simbolici, perfino allegorici, tra i contorni dell’eterno conflitto tra il destino e le aspirazioni, i progetti e gli affetti umani.
La storia che Michela narra con passione e dignità, riguarda, in qualche misura, tutti noi.
Spero che questa sua intervista, questa suo accorato invito all’ascolto, possa contribuire a generare un civile dibattito e a far conoscere meglio a tutti noi una malattia particolarmente invasiva per chi la vive in prima persona e per le persone coinvolte per legami familiari o affettivi con i pazienti.
Soltanto attraverso la conoscenza si può tentare di contenere il male, generando, ovunque sia possibile, spazi di maggiore vivibilità.
IM

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

Italo, con te partirò». La storia shock di un anziano malato di Alzheimer:  Amazon.it: Farabella, Michela: Libri

5 domande

a

Michela Farabella

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Grazie! Buongiorno a tutti.  Sono nata a Torino nel 1973, e ho iniziato la mia carriera come assistente di volo per la compagnia di bandiera “Alitalia”, professione che mi ha permesso di visitare molti paesi del mondo e vivere in un contesto multiculturale.

Dal 2002, al 2006 ho lavorato presso  il Comitato Olimpico Invernale Organizzazione dei XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006, e  mi sono  di progetti speciali a valore sociale in collaborazione con istituzioni internazionali.

Mi sono avvicinata al mondo dell’editoria grazie alla tipografia dei miei genitori; da sempre appassionata di scrittura, sono autotrice e blogger, e collaboro dal 2010 con il quotidiano  Cinquew News, diretto da Giuseppe Rapuano, si occupa di attualità, cultura e società.

Attiva in ambito sociale, sostengo numerose associazioni di volontariato, a persone e famiglia, mettendo a servizio  delle strutture la mia esperienza sul territorio  e assistendo e sostenendo i pazienti con malattie neurodegenerative e le loro famiglie,

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

“Italo con te partirò” il primo romanzo autobiografico che ho scritto sull’Alzheimer. Un libro autobiografico ,crudo, drammatico, una storia shock,  l’Alzheimer che non è mai stato raccontato! il

Ho scritto questo libro perché la storia di Italo, mio padre appartiene un pò a tutti. Il mio è stato vero amore incondizionato. Al di là del coinvolgimento emotivo, posso dire che sono stati per me quattro lunghi anni difficili, di grandi battaglie. Mio padre era condannato a morire, non per la sua malattia neuro degenerativa, ma perché il “sistema” aveva deciso così. Gli anziani malati rappresentano un costo elevato per la Sanità. Lo so, la mia è una denuncia forte. Il libro Si presta a due livelli di lettura diversi. Da un lato la mia denuncia cruda di una situazione gravissima che ci viene raccontata spesso dai giornali e il secondo livello di lettura è quello di una malattia sconvolgente, l’Alzheimer, che solo chi la vive può realmente capire cos’è. Vorrei collaborare con voi; sarebbe bellissimo poterne parlare; il tema degli anziani nelle Rsa, soprattutto in questo periodo legato al Covid è un tema davvero importante e spesso le maggiori testate e le trasmissioni televisive o non ne parlano o ne parlano poco.

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A TU PER TU: Sabrina Tanfi

Nel cerchio rotto è il primo romanzo di Sabrina Tanfi. “Ambientato tra Argentina e Italia, nasce in seguito ad un viaggio fatto in Argentina anni fa, dal quale sono tornata perdutamente innamorata del Sud America. Il contesto storico è in parte quello dell’Argentina dei desaparecidos, tema che ho avuto modo di approfondire dopo aver partecipato ad una conferenza indetta dal console Enrico Calamai, considerato lo Schindler di Buenos Aires. Mi piaceva l’idea di raccontare una storia con una forte connotazione storica e geografica, benché frutto della mia fantasia”, ci indica l’autrice. Come risulta anche dalle altre risposte all’intervista, la collocazione esatta della vicenda sul piano geografico e cronologico si interseca alla dimensione creativa individuale. Ciò le consente di evitare riferimenti troppo precisi ma le permette comunque di chiamare in causa ricordi, sensazioni ed emozioni intense, generando una trama adeguatamente compatta e credibile e permettendo altresì di manifestare, seppure con i necessari filtri narrativi, le idee, i principi, la reazione emotiva e morale di fronte alle violenze e alle ferite del tempo e della Storia.
Marquez, Allende, Sepulveda, sono alcuni dei punti di riferimento citati nelle risposte. “Con stili e prospettive diverse sanno tratteggiare la magia senza uguali di una terra ricca di contrasti. Sepulveda ha avuto il pregio di farlo con una semplicità disarmante. Mi ha insegnato che si può essere un grande scrittore senza roboanti frasi ad effetto. Lo adoro. Sono affascinata anche dal genio di Saramago, col suo stile sopra le righe pronto a sovvertire ogni canone letterario. La passione per la psicologia mi porta a leggere anche autori come Sacks. Le sue digressioni cliniche mi affascinano molto”, dichiara l’autrice, rivelando dettagli significativi: la magia della fantasia che concilia e racchiude in sé aspetti contrastanti, la descrizione e lo scavo psicologico, la complessità e la semplicità. E, come punto di partenza e meta, la volontà di parlare di una vicenda di pura fantasia che tuttavia richiama la realtà della Storia, la verità della violenza ma anche il tenace desiderio di bellezza e di riscatto.
IM
 

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

Nel cerchio rotto – ArtEventBook Edizioni

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Sabrina, 45 anni, mi occupo di logistica in una multinazionale per necessità, ma la scrittura è la mia fissazione fin dalle elementari! Scrivo nei ritagli di tempo, quel poco che rimane da un lavoro full time e una famiglia con un figlio piccolo. Lettura, psicologia, viaggi e scrittura sono le mie passioni, ben correlate le une alle altre.

 

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Nel cerchio rotto è il mio primo romanzo. Ambientato tra Argentina e Italia, nasce in seguito ad un viaggio fatto in Argentina anni fa, dal quale sono tornata perdutamente innamorata del Sud America. Il contesto storico è in parte quello dell’Argentina dei desaparecidos, tema che ho avuto modo di approfondire dopo aver partecipato ad una conferenza indetta dal console Enrico Calamai, considerato lo Schindler di Buenos Aires. Mi piaceva l’idea di raccontare una storia con una forte connotazione storica e geografica, benché frutto della mia fantasia. Riporto dalle recensioni: “… Nel cerchio rotto trascina il lettore attraverso un mistero che è allo stesso tempo una storia personale, un viaggio, una scoperta e un pugno allo stomaco”; “non sembra un romanzo di esordio. Scrittura certa, robusta e matura…”; “… un romanzo che merita lettura e diffusione… ogni personaggio e ogni momento del personaggio hanno il registro di scrittura che necessitano, senza che questo diventi mai un gioco barocco stucchevole o sovraesponga l’autrice. Quel modo di scrivere che ti coinvolge in tante storie, in tante vite, e solo dopo aver chiuso il libro ti spieghi perché. Brava.”

Una mia nota personale? In tutte le presentazioni che ho fatto per promuovere il libro ho sempre avvertito una reticenza viscerale a parlarne con lucidità, quasi dovessi mettere a nudo una parte troppo intima della mia vita. Mi piace siano gli altri a parlare del mio scritto. Quello che posso dire in maniera oggettiva è che ogni dettaglio del contesto è frutto di ricerca e studio. La storia delle protagoniste è invece storia di emozione e crescita personale, con l’intento di non creare cliché ma personaggi verosimili, non personaggi in verità ma “persone”. E il rapporto con queste “persone” ha la vividezza di un ricordo neanche troppo remoto, albergano nella mia testa anche dopo la trasposizione scritta. Non potrei concepire altrimenti la scrittura, è una parte imprescindibile di me.

 

 

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

 

Scrivo soltanto prosa non per presa di posizione ma perché completamente incapace di pensare in poesia. Pur amando molti poeti è una forma espressiva in cui non mi riconosco, mi è sempre parsa fuori dalla mia portata. Tutta la mia ammirazione per chi invece riesce a cimentarvisi!

 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

 

Non ho contatti diretti con qualche autore in particolare, ma se ho occasione trovo utile leggere brani di sconosciuti come me, devo dire che navigando in vari gruppi di lettura su Facebook mi sono imbattuta talvolta in piccole perle! Gli spunti sono sempre ben accetti.

I punti di riferimento sono molteplici sia tra gli autori classici che tra quelli contemporanei. Amo moltissimo Pirandello, Svevo, Orwell, Camus, Calvino, Wilde e molti altri. La passione per i viaggi e per l’America Latina mi porta comunque sempre verso Marquez, Allende, Sepulveda… con stili e prospettive diverse sanno tratteggiare la magia senza uguali di una terra ricca di contrasti. Sepulveda ha avuto il pregio di farlo con una semplicità disarmante. Mi ha insegnato che si può essere un grande scrittore senza roboanti frasi ad effetto. Lo adoro. Sono affascinata anche dal genio di Saramago, col suo stile sopra le righe pronto a sovvertire ogni canone letterario. La passione per la psicologia mi porta a leggere anche autori come Sacks. Le sue digressioni cliniche mi affascinano molto.

 

 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

 

La situazione nella quale ci troviamo ha reso ancora più marcate le mie passioni. Non potendo viaggiare lettura e scrittura sono il mio rifugio. Emotivamente la situazione di precarietà nella quale ci troviamo non può non avere effetti sulla produzione letteraria. Anche se una parte di me rifugge dalla tentazione di inserire un capitolo “pandemia” nel prossimo romanzo, non posso fare a meno di pensare (e di sottoscrivere) che il senso di smarrimento salterà fuori dalle righe contro la mia volontà. Scrivere è parlare di sé, sempre e comunque. Che lo si voglia o no.

UN LIBRO CON TE con SABRINA TANFI - YouTube

 

Sabrina Tanfi è nata a Livorno nel 1975, dove vive con il marito e il figlio. Laureata in Scienze Politiche, appassionata di viaggi (America Latina in primis), appassionata di psicologia e lettura, lavora in una multinazionale nel settore della logistica, ma scrivere è il suo vero interesse. Nel cerchio rotto è il suo primo romanzo.

 

 

 

 

A TU PER TU – Stefano Vitale

Delle risposte di Stefano Vitale all’intervista, mi ha colpito tra gli altri questo passaggio: “prendere posizione, attraverso la poesia e il disegno, sulle lacerazioni della contemporaneità, del presente. Non si tratta di un libro ‘ideologico’, perché l’intento principale è fare poesia ed arte. In questo caso misurandoci col presente, affrontando l’impoetico con mezzi poetici. E cercando di proporre una visione più universale dei temi che trattiamo. Lo spunto nasceva dall’indignazione per le politiche sull’immigrazione e l’accoglienza di tutti i migranti del mondo, dalla rabbia per la generale indifferenza, ma anche dall’esigenza di cogliere e rappresentare il sentire dell’uomo e della donna di oggi immersi in questa realtà”.
Ci sono in queste parole molti spunti, molti inviti, impliciti ma molto pressanti, alla riflessione, anzi alla necessità di chiamarsi in causa. “Affrontando l’impoetico con mezzi poetici”, scrive Vitale. E non è solo una frase bella esteticamente. Anche se la bellezza è forse, oggi più che mai, un’arma di difesa. L’impoetico lo sappiamo cos’è. Ognuno se lo trova davanti agli occhi, nei timpani e nel cervello ogni giorno. Ognuno ha il suo personale “rumore” da affrontare. E sappiamo anche che “rumore” in vari ambiti disciplinari, da quelli tecnici a quello filosofici, psicologici e linguistici, è molto più del semplice chiasso. È il frastuono della disarmonia. C’è da valutare allora le contromisure. Quali sono i mezzi poetici? Oltre alla parola, al verso, c’è ad esempio, la musica, e non è casuale in tale contesto il legame profondo di Vitale con la musica, soprattutto quella sinfonica, a cui accenna egli stesso nelle risposte.
Ma i mezzi poetici non sono solo strettamente artistici. Se l’indifferenza è il male per antonomasia di questi nostri tempi, bisognerà agire sul tasto opposto, creare un controcanto, un’azione uguale e contraria che eviti la caduta nel baratro. Sandro Luporini e Giorgio Gaber avrebbero scritto e cantato che “Libertà è partecipazione”. I confini, sia quelli reali fatti di mattoni e filo spinato, sia quelli mentali non meno solidi e laceranti, si abbattono nel momento esatto in cui si partecipa del dolore degli altri. Ritrovare un “sentire” autentico è la vera sfida. Ciò che ci restituirà la dimensione di uomini e donne. La nostra autentica umanità.
Coerentemente, Vitale ha una visione sobria e oggettiva. La speranza non è data “a priori”, va conquistata, va meritata.  Anche il suo sguardo sul mezzo tramite cui si esprime è schietto: “Ho sempre sostenuto che la poesia è una cosa fragile che però ha in questa fragilità la sua qualità, la sua forma di paradossale resilienza. […] La poesia dovrebbe, talvolta, obbligare il lettore a non distrarsi, a tendere lo sguardo verso l’inatteso, costringendolo anche a prendere coscienza di quel che si vorrebbe rimuovere. Così facendo la poesia prende sul serio i vuoti dell’esistenza, le fratture, le questioni irrisolte”.
Poesia quindi non come materia astratta ma come sollecitazione al gesto, alla presa di coscienza, alla rimozione delle mura e dei confini che non di rado lasciamo scavare nelle nostre menti.
IM
 
A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI

 

 

5 domande

 

a

 

Stefano Vitale

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Sono nato a Palermo, città-radice che sento nostalgicamente vicina, ma vivo a Torino, città che amo per la sua discrezione e vivibilità, per la sua bellezza elegante. Qui mi sono laureato in filosofia, qui ho costruito la mia vita personale e professionale. Qui ho fondato nel 1981 i Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva, una cooperativa sociale dove ancora oggi lavoro come formatore e responsabile di servizi educativi. A Torino coltivo le mie passioni che sono, a parte la poesia e la letteratura, l’impegno civile nel mondo dell’educazione, della cultura e della musica. Oggi sono Direttore Artistico dell’Ass. Amici Orchestra Sinfonica RAI.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Il mio ultimo libro è “Incerto confine” edito da “paolagribaudo editore” nella sua collana di libri artistici “disegnodiverso”. Il libro è stato scritto con Albertina Bollati che ha curato le immagini. Si tratta di un libro “unico”, nel senso che poesie e immagini sono un tutt’uno, sia pure in una prospettiva di dialogo. Insomma il libro è un insieme che non perde di vista la valorizzazione dei diversi strumenti espressivi. Così, nella coerenza del messaggio, vogliamo emerga la diversità dei percorsi, delle strategie comunicative. Si tratta di una plaquette, come si dice, che abbiamo voluto produrre sulla base di una esigenza etica ed estetica: prendere posizione, attraverso la poesia e il disegno, sulle lacerazioni della contemporaneità, del presente. Non si tratta di un libro “ideologico”, perché l’intento principale è fare poesia ed arte. In questo caso misurandoci col presente, affrontando l’impoetico con mezzi poetici.  E cercando di proporre una visione più universale dei temi che trattiamo. Lo spunto nasceva dall’indignazione per le politiche sull’immigrazione e l’accoglienza di tutti i migranti del mondo, dalla rabbia per la generale indifferenza, ma anche dall’esigenza di cogliere e rappresentare il “sentire” dell’uomo e della donna di oggi immersi in questa realtà. Il tema del “confine” rinvia ad una varietà di simboli, connotazioni, esperienze: si pensa ai muri, alle barriere, alla frontiere che dividono, opprimono, ma vogliamo che si pensi anche all’immagine della soglia intesa come passaggio verso nuove dimensioni dell’esperienza, e poi abbiamo anche bisogno di confini “buoni”, di spazi protetti, di limiti che ci aiutino a non frammentarci. Il libro è uscito a novembre del 2019 poco prima dell’emergenza Covid: per certi aspetti abbiamo anticipato alcune tematiche con cui poi abbiamo dovuto fare i conti. “Incerto confine” inoltre non perde di vista né la relazione con la memoria, né appunto con la ricerca di una pura espressione artistica. La memoria storica è indispensabile per costruire radici e identità così come la creatività è necessaria per aprire nuove strade, per dare voce e calore a pensieri diversi, inattesi.

Su questo libro hanno scritto diversi autorevoli critici e poeti come Alessandro Fo, Paolo Ruffilli, Ivano Mugnaini, Alfredo Rienzi, Dario Capello, Daniela Pericone, Alessandra Paganardi,  Carlo Prosperi, Lucia Triolo, Fabrizio Bregoli, Angelo Manitta, Pierangela Rossi, Marvi del Pozzo, Alberto Piazza, Giorgio Moio e tanti altri che devo ringraziare per la loro attenzione.

La cosa bella è che ciascuno di loro ha colto aspetti diversi, a testimonianza del fatto che questo libro non è un monolite, ma un “territorio” complesso in cui sono “tessute insieme” prospettive, risonanze, pensieri ed emozioni multiple. La poesia dovrebbe essere anche questo: una forma di espressione che si  fa forte della sua “ambiguità”, della sua “indefinitezza” e persino “imperfezione”.  Ho sempre sostenuto che la poesia è una cosa fragile che però ha in questa fragilità la sua qualità, la sua forma di paradossale resilienza. La poesia è prima di tutto sforzo del linguaggio di dire altrimenti ciò che è necessario dire. Per questo il poeta dovrebbe essere attento a quanto accade intorno e dentro di sé. La poesia dovrebbe, talvolta, obbligare il lettore a non distrarsi, a tendere lo sguardo verso l’inatteso, costringendolo anche a prendere coscienza di quel che si vorrebbe rimuovere.  Così facendo la poesia prende sul serio i vuoti dell’esistenza, le fratture, le questioni irrisolte.

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A TU PER TU – Bruno Di Pietro

“Sono napoletano, città in cui esercito la professione di avvocato, appassionato di poesia: non amo autodefinirmi poeta. Scrivo in versi e ho pubblicato più lavori. Di carattere normalmente sincero, dico sempre senza remore o timori reverenziali ciò che penso, ma sono anche incline all’ascolto pronto a cambiare idea se mi convinco della bontà della opinione altrui. Sono incline alla ironia, spesso esercitata come autoironia. Questo lo si trova anche nei miei versi. Non amo i Poteri (specie se detenuti senza alcun merito) né li temo. Non mi inchino davanti a niente e a nessuno”.
Un autoritratto schietto, sincero, che invita ad alcune considerazioni. La prima è quasi la conferma di una regola non scritta: spesso chi dichiara di non essere poeta in realtà lo è. Che poi sia vero non di rado anche il contrario è piuttosto probabile. Ai posteri l’ardua sentenza, anche se i contemporanei qualche idea se la sono già fatta. Tornando a Bruno Di Pietro emerge dunque dal suo caravaggesco ritratto che oltre ad essere poeta senza gridarlo in faccia al mondo, è persona autoironica e libera, anche in questo caso in modo concreto, mettendoci la faccia, non solo i proclami.
Il libro che presenta qui in questa sua intervista è Colpa del mare e altri poemetti. Ed è originale, felicemente fuori schema, quell’abbinare il mare alla colpa. Di solito il mare è esaltato, elogiato, incensato. Qui è associato a qualcosa che nessuno vorrebbe, ma potrebbe anche essere una forma di amore ulteriore, chissà. Se prima l’ardua sentenza era affidata ai posteri qui è riservata a chi vorrà leggere, scoprire, attraversare le onde e assaporare il sale dei versi. Di Pietro possiede una carnalità elegante, quasi una forma di spiritualità tattile. Un modo di esplorare perfino l’intangibile con i sensi. Non è un caso che anche il mezzo della scrittura, l’atto dello scrivere, diventi esperienza sensuale, in senso stretto prima ancora che metaforico: “Di personale posso dirti che Colpa del mare è la mia vita. Chi la conosce sa esattamente a cosa si fa riferimento in ogni singolo verso. Di intimo aggiungo che tutto è conservato nei miei quaderni di cui ho una cura maniacale. Amo scrivere a penna e matita. Su carta buona se non pregiata. E ho una bella serie di penne stilografiche e asticciuole e vecchi pennini. Inchiostrare è per me lussuria purissima”.
La curiosità del lettore è chiamata in causa, adeguatamente sedotta. Non resta che leggere, questa intervista e quel libro che parla di colpe e di onde sapide, come la poesia.
IM
 
A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI

nuovo colpa del mare

5 domande

a

Bruno Di Pietro

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie a te, innanzitutto.

Un “autoritratto” chiesto a chi come me non sa fare nemmeno un selfie è una bella domanda. Un po’ mi imbarazza, un po’ per carattere direi tutti i difetti che ho trasformando la risposta in un “confiteor”. Ti dico che sono napoletano, città in cui esercito la professione di avvocato, appassionato di poesia: non amo autodefinirmi “poeta”. Scrivo in versi e ho pubblicato più lavori.

Di carattere normalmente sincero, dico sempre senza remore o timori reverenziali ciò che penso, ma sono anche incline all’ “ascolto” pronto a cambiare idea se mi convinco della bontà della opinione altrui. Sono incline alla ironia, spesso esercitata come “autoironia”. Questo lo si trova anche nei miei versi.

Non amo i Poteri (specie se detenuti senza alcun merito) né li temo. Non mi inchino davanti a niente e a nessuno.

In sintesi “non te la mando a dire”.  Questo vale per tutti. Non sono abituato, né mi piace , passare per la sagrestia : all’altare ci vado diritto.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Con Oèdipus Edizioni nel 2019 ho pubblicato “Baie”. Ma quello pubblicato con lo stesso editore nel 2018 (“Colpa del mare e altri poemetti”) è senz’altro il mio lavoro più importante. Molti lo hanno definito “raccolta” altri “antologia” ma tengo a dire che è un unico solo “libro” dalla prima all’ultima parola, segue un progetto ed ha un “senso” nella sua interezza. E copre il lavoro che va dal 1995 al 2012.

Si dà conto in esso della questione “aurorale” della filosofia occidentale: da un lato il pensiero di Parmenide (la “fissità” dell’Essere) dall’altro quello di Eraclito (il “divenire”, l’Esserci) detto in sintesi estrema e impropria. Non a caso l’esergo è un frammento di Eraclito, mentre il libro si apre con le “Dieci Eleatiche”. L’ “orgoglio della scienza” da un lato, “il “frutteto in rigoglio” dall’altra (come nel testo eponimo). Con una inclinazione verso l’affermazione che “L’Essere è l’Esistere” e che noi più che “Essere-gettati-nel-mondo” “Giaciamo-nel-mondo”.

E che fra “l’Inizio” e “la Fine” c’è un “nel frattempo” che è la nostra vita.

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A TU PER TU – Cinzia Della Ciana

Questa rubrica volutamente ricerca accostamenti, incontri e contaminazioni tra differenti espressioni, stili e contenuti.
Perfettamente adeguato in quest’ottica è anche il percorso di Cinzia Della Ciana. Come potrete ricavare sia dalle risposte all’intervista sia dal curriculum dell’autrice, la sua tendenza alla varietà espressiva, all’ibridazione, alla contaminazione tra differenti strumenti comunicativi ed artistici in lei è sia una scelta che un istinto naturale.
Uno dei vocaboli che compare con maggiore frequenza nell’intervista è “performance”. La poesia “performata” (il termine non suona bene, ma ciò a cui fa riferimento in qualche caso sì) non si pone come alternativa alla poesia tout court che, quando è autentica, non ha bisogno di aggiunte o modifiche.
Si tratta, nel caso di Cinzia Della Ciana, di un deliberato e accurato progetto che mira a mettere insieme le sue passioni: la poesia e la musica. Di modo che la poesia non solo venga accompagnata dalla musica ma diventi essa stessa spartito, accordi, sonorità “cantabili”.
Sarebbe bello in questo caso se la multimedialità venisse a sostenere l’espressione astratta del concetto. Per fortuna, lo ripeto anche in questo caso perché è necessario, la lettura delle risposte dell’autrice potrà fornire i dettagli e le sfumature necessarie e sufficienti per comprendere al meglio questo suo progetto artistico condotto ormai da tempo tramite i libri pubblicati e attraverso gli incontri, gli spettacoli e le presentazioni, con passione e con coerenza.
Buona lettura, IM

 

A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.
Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.
Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.
Saranno volta per volta le stesse domande.
Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.
IM
Grumi sciolti - copertina

 

5 domande 

a

Cinzia Della Ciana

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Nacqui a Montepulciano e vagai per la Toscana della cui terra sono plasmata. Esercito la professione di avvocato da decenni e da qualche anno faccio “versi”, anche in prosa, per passione. Avrei voluto essere una pianista. In realtà la musica fa parte di me e adesso “suono colle parole”.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

L’ultima mia fatica è una raccolta di racconti dal titolo “Grumi sciolti” uscita nell’aprile del 2019 per i tipi di Helicon Edizioni. Con Grumi torno al mio primo amore, cioè la forma breve – i racconti – con i quali avevo iniziato nel 2014 (Quadri di donne di quadri, Aracne).

Se la guardi da lontano la vita – di un individuo o di una collettività – è come l’immagine che esce da un telescopio puntato sul cosmo.
La storia è un quadro in divenire, in cui qua e là si osservano “grumi”, cioè luoghi di addensamento”, “momenti di intenso ammasso”, in cui ogni componente fluida si perde e resta solo materia, materia che si coagula e si rapprende chiudendosi a giro. Ma poiché tutto è movimento, anche questo processo di avvitamento non si sottrae alla legge del divenire, e il grumo si evolve in una spirale che lo porta inevitabilmente a spandersi. Ovvero a sciogliersi, a nebulizzarsi lasciando a galleggiare in sospensione grani. Grani che a loro volta sono nuclei di potenziali nuovi grumi. Avendo negli occhi questo quadro ho dato la parola a un narratore che apre e chiude la raccolta usando una tecnica narrativa e stilistica che richiama proprio la dinamica del “grumo sciolto”. Il classico espediente della cornice, che tiene i racconti, qui in vero è elastico, continua variazione del tema madre. La voce narrante, che si presenta come un grumo arso ignaro dell’acqua che lo culla, ad un tratto si lascia invadere da una condizione di liquidità che lo rende granello fluente, inarrestabile narratore. Che passerà in rassegna storie di grumi, e poi storie – quasi visioni – di grumi sciolti, fino a snocciolare storie di grani (tre sono le sezioni che raccolgono i racconti). E quando avrà finito l’ultimo racconto il narratore sentirà il bisogno di trattenere qualcosa tra quelle sue dita che ormai sono sciolte e non vogliono più serrarsi vuote. Raccontare sarà il suo predicare, come una preghiera.

Un piccolo scorcio sulle sezioni che articolano il libro. Nella prima “Grumi” protagoniste sono donne che si trovano in un particolare momento della loro vita e debbono compiere una scelta, nella seconda “Grumi sciolti” il mondo si dilata in un variegato quanto onirico cosmo fatto di passioni, emozioni, mito e leggenda che nella terza parte diventa “storia” (emblematico l’omaggio a Elsa Morante).

Sono grata a tutti coloro che hanno letto questo libro e rilasciato commenti, recensioni. La prefatrice Letizia Cirillo ha colto nel segno nel momento in cui ha dichiarato che è un libro che va letto a voce alta, perché esaltando la sensorialità che lo anima, si può trasformare l’esperienza individuale della lettura in esperienza collettiva di condivisione. C’è chi come Alice Bianco poi ha voluto paragonarlo ha una tela in cui sono sparsi colore che il lettore stesso compone in quadro. Altri parlano di “prosa che accarezza la poesia” (Federico Migliorati) o di “poesia travestita” da racconto (Stefano Pasquini).

Matucci poi, data per ammessa l’equivalenza romanzo – cinema, segnala che la mia tipologia di racconto pretende la concentrazione dello scrittore e del lettore su pochi, risolutivi fotogrammi. In effetti nei miei racconti, quasi sempre, tutto confluisce in una sorta di “buco nero” che dilata solo nel pensiero dei personaggi un tempo narrativo anche lunghissimo, e attrae al contempo dentro di sé tutto il significato di vicende che possono essere le più varie. Racconto dunque come massima concentrazione “fotografica” su un nodo che la vita ha lungamente preparato.

Continua la lettura di A TU PER TU – Cinzia Della Ciana

A TU PER TU – Bruno Bartoletti

Le domande di A TU PER TU oggi sono rivolte a Bruno Bartoletti.
I due cardini, o meglio le due pietre miliari del percorso umano e artistico di Bartoletti sono la scuola e la poesia. Due percorsi paralleli che nel suo caso tuttavia spesso si sono affiancati fino al punto di intersecarsi, felicemente. La scuola, i giovani quindi, a cui Bartoletti ha insegnato per molti anni, ma da cui ha anche imparato, l’immediatezza, il rifiuto delle etichette e di eccessivi formalismi, e, soprattutto, la fedeltà assoluta e appassionata a ciò che più emoziona.
Nel caso di Bartoletti direi che la passione più grande è la poesia. Ad essa ha dedicato il proprio studio, le proprie ricerche, le presentazioni, le letture generose anche dei libri altrui e il Premio “Agostino Venanzio Reali” da lui presieduto.  Ha letto e scritto poesia con la stessa emozione, senza mai perdere il gusto fondamentale di stupirsi per l’incontro con la bellezza evocata dalle parole.
Buona lettura, IM
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.
Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.
Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.
Saranno volta per volta le stesse domande.
Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

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5 domande

a

Bruno Bartoletti

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Buongiorno,

mi chiamo Bruno Bartoletti, sono nato a Sogliano al Rubicone, piccolo paese della Romagna così caro a Giovanni Pascoli, ho vissuto per oltre quarant’anni nella scuola, prima come insegnante poi come preside, da una decina d’anni ho raggiunto l’età della pensione che mi permette di coltivare e approfondire i miei interessi. Mi piace leggere, studiare e, quando è possibile, scrivere, seguire i giovani, ma non per insegnare poesia (la poesia non si insegna, si offre), tenere relazioni, parlare di poesia, leggere poesia. Mi sento soprattutto una persona di scuola e un insegnante che ha ancora voglia di imparare. Non so che cosa avrei fatto se non fossi stato un insegnante.

Ecco il punto fermo di chi nella scuola ha attraversato i suoi anni migliori. Ci penso spesso, e penso anche a cosa potevo fare di più e meglio. Ogni tanto mi fermo e guardo altrove, inseguendo piccoli segni con gli occhi persi. Inseguo delle immagini, ricordi, congetture, volti ancora vivi. Senza perdermi tra le carte, i programmi, i progetti, mi perdo in mezzo ai volti. Specialmente volti di ragazzi. E ancora ricordo, finché, a distanza di anni, tutto si cancellerà e si apriranno nuove strade per immergersi nel grande mare del sapere grazie agli innumerevoli autori e scrittori e critici e poeti.

Presiedo l’Associazione culturale “Agostino Venanzio Reali” e l’omonimo premio nazionale biennale di poesia.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Il mio ultimo libro è uscito un mese fa, ma, causa covid-19, non ha potuto avere alcuna presentazione. Non ha importanza. Il titolo è rubato a un verso di L’aquilone di Giovanni Pascoli, eppur, felice te che al vento, edito da Youcanprint. Si incontrano in queste pagine amici, compagni che ho perduto, persone ritrovate, perché la morte non cancella, ma rende più uniti, più bisognosi gli uni degli altri. La poesia cerca di ricucire questi incontri mentre si attraversa la piazza della mia e vostra memoria. E intanto volano le rondini e tornano sempre allo stesso nido, con amore e pazienza.

L’ultimo libro è sempre il più caro, ma, se vogliamo indicare una sorta di viaggio tra le mie pubblicazioni, brevemente non posso tralasciare le seguenti: nel 2005 Il tempo dell’attesa, Società Editrice «Il Ponte Vecchio»; nel 2012 Sparire in silenzio ritrovando il vento delle strade, Youcanprint Self – Publishing; nel 2017 I volti non hanno più nome, Giuliano Ladolfi Editore.

Nel 2017 esce il saggio È sempre lunedì «Voglio ringraziarvi tutti per avermi concesso di insegnare», Youcanprint Self – Publishing; nel 2018 Ma i veri viaggiatori partono per partire, Youcanprint Self – Publishing. È il mio primo libro di narrativa, portato in scena nel 2019 dalla Compagnia teatrale “Samarcanda”, con la regia di Nais Aloisi. Continua la lettura di A TU PER TU – Bruno Bartoletti

A TU PER TU – Mario Fresa

L’ospite di oggi della rubrica A TU PER TU è Mario Fresa. Come avrete modo di rilevare dalle sue risposte all’intervista, il suo modo di concepire e vivere la scrittura è improntato all’azione di contrasto che porta avanti con assidua coerenza nei confronti della “dittatura dell’ordine raziocinante della cosiddetta realtà”. L’espressione è estrapolata dalla risposta riguardante il suo libro di recente uscita, Bestia divina, ma può essere letta anche in una prospettiva più ampia. Fresa spazia tra prosa, poesia e critica rifuggendo sempre le vie eccessivamente battute o i percorsi agevoli, lisci e “canonici”. Si definisce “un felice impuro, con la tendenza a una convinta disobbedienza verso tutte le categorie di forma assoluta”. Ciò gli ha consentito di ritagliarsi uno spazio proprio, una posizione ben definita, sia a livello di produzione che di ricezione, generando, cioè, pareri e reazioni mai neutri, mai anodini.
Anche in questo caso, l’invito è a cogliere attraverso le espressioni dell’autore, nel contesto più ampio e dettagliato delle sue risposte, i punti che ho accennato in questa introduzione.
Buona lettura, IM

 

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

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5 domande

a

Mario Fresa

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Mi parrebbe imbarazzante un’autopresentazione. La biografia è un accidente e non è affatto interessante (se non è addirittura disturbante o deviante o respingente). Sicché preferirei glissare. Capisco, da questo punto di vista, l’Hassan di Alfred de Musset: «Il suo cuore era una casa priva di scale…».

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

No, non ho alcun rapporto intimo (cioè “personale”, sentimentale) con ciò che scrivo. O meglio: ciò che scrivo è in rapporto esclusivo con tutto quel che si oppone alla maschera dell’io (ha a che fare, dunque, con l’Es; ed è per questo profondamente autentico – poiché Adorno specifica che: «L’Es è l’io»). L’ultimo libro s’intitola Bestia divina; è stato pubblicato nel 2020 presso la Scuola di Pitagora editrice (su invito del direttore di collana). È un libro di poesia: dunque l’esternazione di un’allegra e crudele forma di nevrosi. È, forse, un romanzo la cui trama è stata violentemente stracciata, strappata. Ed è una favola nera con personaggi veri (sì, così tanto veri che sembrano tutti innaturali, o fantasmatici o inventati). Ma è soprattutto un luogo di diserzione dell’io. Un cruciverba privo di soluzioni (o con troppe soluzioni). Ed è, infine, un attestato di violenta fedeltà: fedeltà all’incongruo, al non dicibile, al nascosto (dunque, allo spirito della musica, suprema lingua dell’Essere). Ci sono anche varie prose: non anti-poesie, ma dolci spine senza rose, balletti che hanno presto dichiarato guerra alla croce del significato univoco, alla dittatura dell’ordine raziocinante della cosiddetta realtà.

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Inadeguato all’eterno: lettera in prosa e versi

Ho esitato a lungo prima di pubblicare questa “lettera in prosa e versi” di Roberta Pelachin.
Mi sembrava che pubblicarla potesse sembrare “autoreferenziale”, un atto in qualche modo narcisistico.
Poi l’ho riletta e mi sono reso conto che non pubblicarla sarebbe stato un errore. Per prima cosa perché è splendidamente scritta e contiene riferimenti e citazioni di notevole bellezza e valore simbolico, sulla letteratura e sulla vita: Baudelaire, Hölderlin, Leopardi, Orwell, Wordsworth, Yeats, riferimenti a Goya e al neuroscienziato Antonio Damasio e versi di cui la stessa Pelachin è autrice.
La ragione principale per cui la pubblico (dopo aver consultato Roberta) però è un’altra:
serve a confermare che “il canto genera canto” ossia che la parola ha il potere di dare vita ad altre parole, altre sensazioni, altri mondi possibili.
Il mio libro Inadeguato all’eterno è stata l’occasione, la scintilla.
In realtà Roberta Pelachin ha dato vita, partendo dalle pagine del libro, al suo fuoco e al gelo della solitudine dovuta alla perdita di suo marito, compagno di molti anni di vita, Giulio Giorello.
Il mio libro ha dato il la, ma il canto è suo, ed è condiviso.
Ognuno secondo i suoi contrappunti, le analogie e i contrasti, le tonalità e i movimenti interni.
Con l’armonia autentica che nasce dalla varietà e verità di suggestioni e situazioni che trovano in un accordo la sintesi, la chiave di un mistero fatto di buio e di sete di luce. 
IM

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Roberta Pelachin

(considerazioni e suggestioni in forma di epistola
ispirate dalla lettura del libro Inadeguato all’eterno)

Nel mio tempo lo scarto si è riempito di una lontananza che incombe. La morte di Giulio. Non un’icona dell’amore, ma un uomo inquieto, a volte dolce e appassionato, a volte scabro e tagliente. Mentre era ricoverato in ospedale per il Covid, due mesi sono lunghi, espresse un desiderio: sposarmi. Per ricambiare il mio affetto e condividere il tempo a venire. Un dono inaspettato, gratuito, forse… è questo l’amore. Negli ultimi giorni della sua vita dormivo a frammenti. Mi svegliavo all’improvviso e mettevo una mano sul petto per sentirne il movimento, il respiro. Poi, le nostre dita si annodavano calde sopra un corpo immobile e fiacco. “Aiutami!”, mi sussurrava. Ma io che altro potevo? Quando un affetto ha fine non c’è differenza tra abbandono o morte. Rimane solo l’assenza. La nuda, gelida assenza. Il letto troppo grande, le stanze mute, la scrivania assettata.

E i tuoi versi che scorrono davanti a me, caro Ivano, leniscono la pena. Mi accorgo che “la tempesta “[…] ti lascia solo l’attimo, / lo scarto, fessura breve / di silenzio afferrato in controtempo: / ascoltare, lontano, / l’eco, il suono, la speranza: / una vana, vitale tempesta.” Sono i versi finali dell’ultima lirica. E spero anch’io che questa bufera, che mi lascia spossata contro rocce artigliate dal vento, si acquieti poco alla volta. E, se pur vana, rimanga vitale.

Così il mio vagare di verso in verso nei tuoi Canti addolcisce le ore. Il tempo lento… inadeguato all’eterno? Sappiamo che non esiste un tempo assoluto, eterno metro e misura dell’Universo intero, ma esiste quello mio, quello tuo, quello di ogni essere vivo che cammina, esita incerto, prosegue a saltelli, si strascica lungo il sentiero. E si lascia andare, ogni tanto, a gioie inattese.

E altre voci suggeriscono gorgheggi, fatti di ali e di piume. Qualcuno li ascoltò…

Il tordo era al sole, loro erano all’ombra.

Aprì le ali poi le richiuse piano, piano, chinò la testa per un attimo,

come per una specie di tributo al sole, e poi mise fuori,

senz’altro indugio, un torrente di canti…

Per chi, per che cosa cantava quell’uccello?

Nessun compagno, nessun rivale gli stava accanto…

Che cosa gli faceva rovesciare quella musica prodigiosa dentro al nulla?…

Era come se si sentisse inondato d’un qualche cosa di liquido,

mescolato alla luce del sole…

Winston smise di pensare e si preoccupò solo di sentire.

George Orwell

Lo spazio bianco tra riga e riga calma lo sguardo. Ristora la mente. Socchiudo gli occhi per centellinare parole, suoni, immagini, un amalgama magico che solo la poesia svela con parsimonia, con garbo. A volte graffia. Leggo ad alta voce. Solo la mia tra echi di una stanza sola. Ogni Canto è canto, e va ascoltato per impregnarsi della sonorità, dell’armonia delle parole.

Ricordo quando scrissi di

Sirene celesti, platoniche, arcane visioni

che intonavano una nota, una sola, ruotando

nel moto di fusi che reggevano delle orbite il volo.

La sorte a ognuna un suono aveva elargito,

così il Cosmo tutto irradiava di eufonie

e consonanze in lieta armonia.

A volte, le Sirene scendono nel mondo dalle sfere scintillanti, abbigliate di acqua e di aria, e ci ispirano Canti. Piccole chiose, le mie, per cantare con te, di te.

     Inadeguato all’eterno Un frangibile istante, “fragile, sporco, inadeguato all’eterno” appare e dispare come di porcellana, se pure all’amore si aggrappa, come roccia che affiora da marosi irrequieti. L’amore dove “le braccia spalancate / della ragazza nuda / avranno la pietà del miele selvatico”? Come un bagliore fende della notte il buio freddo, così “il suo sorriso / enigmatico, sconosciuto e impuro / ti darà la certezza del corpo / e del cuore, senza cercare / niente di più?”

Ma allora: l’eternità è un filamento infinito di perle lungo la collana del tempo? Ma dove trovare quelle perdute, cercate, sperate? Quegli istanti feriti dal mattino che i sogni cancella? Fermarsi, ogni tanto, per godere degli istanti donati dal tempo… è questa la via?

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A TU PER TU – Rossella Pretto

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

L’ospite di oggi della rubrica è Rossella Pretto.
Poeta, traduttrice, redattrice di riviste letterarie e impegnata in altre attività che scoprirete attraverso le risposte all’intervista.
Già l’approccio, il tono, la scelta di espressioni forti, taglienti come lame, a tratti, lontane dagli schemi consolidati, dicono molto. La parola come fine e come meta, come senso e ricerca di senso, strumento per provare ad esprimere, evitando le scorciatoie, sia le fragilità che gli slanci. La ferita e il volo. La parola, letta e scritta, si fa metodo privilegiato di scavo dell’insondabile, pur senza la speranza di giungere mai ad un punto di arrivo. Anzi, forse proprio in virtù di questa crudele e salvifica impossibilità.
Buona lettura, IM   

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio. Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

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5 domande

a

Rossella Pretto

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Qualche anno fa feci un disegno con la mano sinistra, quella libera da automatismi e condizionamenti; ne venne fuori il ritratto di una donna che, al posto del braccio, aveva un ramo secco radicato nel cuore. Non è forse una buona maniera di presentarsi, lo so. Però sento di doverlo fare non tanto per descrivere me quanto per fornire un’immagine dei tempi nerissimi che stiamo attraversando. Quel bisogno di mani che non si toccano e non possono farlo, quell’asfissia che conduce all’aridità. Siamo così, impossibilitati ad avere sensi che però dobbiamo reiventare. Crearne di nuovi che sopperiscano a quelli perduti. Di me invece si potrebbero dare molte definizioni, scegliere dal mazzo delle possibilità: il mio volto è il ventaglio di chi sono stata e potrei essere. Basti dire che ora mi occupo di poesia, traduzione e critica.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Nerotonia (Samuele Editore 2020) è il mio ultimo (e primo) libro di poesia, un poemetto che attinge acqua (e melma) da uno dei capolavori più bui del mio grande e amato Shakespeare: Macbeth. Ho sempre pensato che Macbeth avesse molto a che fare con me, nel profondo. E dopo anni di lavoro, di studio e di pena devo dire che non ne sono venuta a capo. Il nodo scorsoio di quegli interrogativi pende minaccioso davanti ai miei occhi. Perché, mi chiedo. E non trovo risposta, se non in una turbolenza che squaderna i miei giorni, in un’ansia di sapere what’s next? Che cosa sta accadendo e cosa accadrà? Quale il senso? Fatto salvo il mio sempre risorgente buonumore, le domande tendono ad affollarsi nebulose all’orizzonte di ogni mio sguardo. È che non si trova pace, siamo troppo destabilizzati dal tempo che corre, da un progresso che sembra non avere mai fine, veloce, troppo veloce considerando gli eventi accaduti in pochi anni, una manciata. È tutto in scadenza e il nuovo è scalpitante dietro l’angolo.

E il possesso? Che cosa possiamo dire di possedere se non questo fragile involucro identitario che di volta in volta ci costruiamo? Cosa rimane stabile? Le relazioni, forse, verrebbe da dire. Ma in un tempo che è mercato e sarabanda di voci neanche quelle resistono. Non lo fa l’amore. Ed è sull’amore che il mio Nerotonia è incentrato. Spogliato il testo shakespeariano dei suoi accadimenti, ciò che resta è il rapporto tra Macbeth e la sua Lady: l’amore, la sopraffazione, il bisogno di appartenere e di fagocitare ciò che sfugge. Per dirsi padroni del vento, in definitiva, ma appassionati e vivi.

Giuseppe Conte, dopo aver letto il libro, mi ha che scritto che ho concepito «un’opera di rara energia espressiva e concettuale, costruita con grande sapienza letteraria ma anche con slancio e passione, in una lingua che bene ha definito “tirannica” la Cruciani. Ma anche titanica, nel suo confronto con il Macbeth, capolavoro assoluto». Sì, credo ci sia molta energia in quei versi, arrabbiati, spiazzanti, che sono come piedi che pestano il suolo, lo tambureggiano per farlo risuonare.

Maria Clelia Cardona ha detto che «avvertiamo, cioè, che l’io che parla è un io plurale, «un io femmina troppo espanso» (p.33) e che la scrittrice assume in sé e dà voce a un femminile moderno in cui convergono traumi, colpe, angosce di ogni tempo […] Una lady Macbeth, insomma, assunta come icona di tutto ciò che il vivere di ogni tempo sconta e rimuove, di una violenza che cova nei rapporti umani e che la parola, il logos, tenta di ammansire».

Detto questo, ho però tentato di trovare anche uno spiraglio di luce, che fosse insegnamento e ammonimento: siamo ventre di storie che si rimodulano, singolari e molteplici. Ne dobbiamo tenere conto.

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

Bella domanda! Come interagiscono? Credo si scontrino, facciano a cazzotti per chi deve averla vinta e conquistarsi il diritto di cianciare. E così ricerco una scrittura un po’ ibrida, mai totalmente risolta, anche se (è ovvio) ognuna vorrebbe uscirne limpida; ma una mano non lava l’altra, rimane sempre qualche traccia di marmellata (se non di sangue). «Ma non torneranno mai pulite queste mani», si chiede Lady Macbeth? «[…] Sa ancora di sangue: ah, neppure tutti i profumi d’Arabia potrebbero addolcire questa piccola mano» (cito dalla traduzione di mio nonno, Elio Chinol 1971). Si scrive con le mani, e quelle sono sempre colpevoli… ma almeno tentano di fare qualcosa per uscire dall’impasse! Vivere e agire la conoscenza, ricercandola, annaspando nel senso…

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

Il mio è un percorso piuttosto solitario, come lo è il mio carattere: ombroso e a volte scorbutico ma allenato anche agli slanci. È per questo che amo conoscere i poeti, trarne ispirazione, non solo dai versi ma anche dalla vita che intuisco scorrere in loro. Non è tanto lo scambio – importante, importantissimo – ma la vicinanza, l’osservazione, quel misto di intuizione che ci accomuna o ci distanzia.

Gli autori di riferimento sono tanti, come è prevedibile, e non ne farò i nomi; dirò solo che ciò che ogni volta mi emoziona e mi conturba è il sentirne la vibrazione potente: quando muovono qualcosa dentro di me lo sento subito, sono versi che trascinano, con un ritmo inequivocabile che è aderenza e non fumo; aderenza al respiro che trascina il verso, si spezza, si ricompone, ha il fiatone, talvolta, pausa e riprende rispettando la gittata che si prefigge. Un battito del cuore, in definitiva, con tutte le sue capriole.

In questo momento leggo molto Alice Oswald (che ho tradotto per Archinto ed è in procinto di uscire) e Seamus Heaney (uscirà l’anno prossimo il suo lavoro su Sofocle, curato da me, Marco Sonzogni e Leonardo Guzzo).

Quello che chiedo a un poeta, insomma, è di illuminare certi silenzi, di farsene carico. Come fa Adam Zagajewski, ne ‘I lunghi pomeriggi’, ad esempio: «[…] Oh, dimmi, come si guarisce dall’ironia, dallo sguardo che vede, / ma non squarcia oltre, trafiggendo il vero; dimmi come si guarisce / dal tacere» (da Desiderio 1999).  Perché ‘La poesia è ricerca del fulgore’, potrei dire citando un altro suo componimento (da Il ritorno 2003): «[…] Permettimi / di vedere, per poter poi aver visto, chiedo. Permettimi / di vivere fino al compimento il significato / o l’intenzione della mia durata, dico. / A sera cade una pioggia fredda. / Nelle strade e nei viali della mia città / col crepitio di un silenzio attivo e vivissimo / sotto le ceneri sta concentrata su un’opera l’oscurità. / La poesia è ricerca del fulgore».

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

Le ricerco, eccome se le vorrei tutte accanto a me, ma ci vuole metodo, come metodo aveva, nella sua follia, Amleto.

È tutto attutito, in questi mesi – non solo dentro di me e per scelta personale, anche all’esterno. Le strade più non risuonano, le voci si smorzano, i sorrisi sono coperti da strati di stoffa. I più audaci li disegnano sulle mascherine a testimonianza di una bocca cucita, silenziata, anche nelle sue manifestazioni più cordiali e affettuose, che però resistono. Non abbiamo più mani né bocca, siamo tutt’occhi. Chi porta gli occhiali li ha pure annebbiati. Assistiamo al primato della “scopía”, così come si profilava nel cosmo elisabettiano che, tra l’altro, era stato funestato nel 1603 da una spaventosa epidemia di peste: evento che il drammaturgo sicuramente ricordava, nel 1606, scrivendo Macbeth. Non è solo il Male che avanza, come sembra dire Macbeth, ma è il mondo che si espande e che terrorizza. D’altra parte, la fine di Giordano Bruno, nel 1600, non deve aver lasciato indifferente chi ne ascoltò le teorie: bruciato vivo, come le streghe.  Se il mondo tra Cinque e Seicento si aprì a una nuova visione del creato, l’occhio fu lo strumento centrale di una nuova conoscenza connessa con la mente. Un occhio potenziato ma anche sezionato e ridotto a essere parte, non più tutto, di una gerarchia simbolica che aveva al suo vertice l’occhio di Dio. La rottura dell’equilibrio.

Come quella shakespeariana, anche la nostra è un’età in cui tutto si rivela e lo stesso tutto si problematizza e diventa conflittuale: i saperi si moltiplicano, non vi è più nulla di stabile, neanche le categorie morali, per cui il bello è brutto e il brutto è bello.

E, avvicinandosi l’inverno, tornerà a spirare il vento del nord con il suo seguito di giacche, cappelli e guanti. Sono tempi da lupi, mai creduti forse possibili. Ci si rifugia in caverne di carta, tra geroglifici che testimonino il nostro passaggio all’uomo del futuro. Bisogna dunque saper disegnare, fedeli riproduttori di un animo che sarà comunque quello che è stato, quello che è e, se non lo deforesteremo troppo, continuerà a essere: l’insopprimibile, delicato, prepotente e ferito animo umano.

Poesie
da

Nerotonia

Samuele Editore, 2020

Come, thick night,
and pall thee in the dunnest smoke of hell,
that my keen knife see not the wound it makes,
nor heaven peep through the blanket of the dark,
to cry, ‘Hold, hold!
— William Shakespeare

I always speak to myself
no more myself but a colander
draining the sound from this never-to-be mentioned wound
— Alice Oswald

vi fu un tempo in cui non vi era
nulla

puoi concepirlo,
posso io?

nulla e dunque neanche il tempo e noi
non c’eravamo, io e te non c’eravamo
e non c’era inizio alle nostre discussioni
seduti nello studio a tentare l’improbabile
accordo, o in una sala, in piedi per terra
con i nostri tanti corpi da suonare
a volte tutti e altre solo uno
in quel tempo che non c’era,
un tempo del sentire di esserci

ché in quanto a esserci
io ero ancora nessuno

una strega gettò i suoi occhi
tra quelli che avrei saputo essere
i miei piedi
la paglia nella testa
la mia arsa e vuota
incantata dall’imbroglio
di poter bastare a me stessa

e niente era
se non ciò che non era

*

così dal buio senza tempo
emerse il dettagliato tempo di noi,
l’incisione nell’istante

le parole, nostre
queste che io ti dico, le tue
e quelle che per giorni
abbiamo gettato al vento,
quelle vane che ci han portato
fin su questo palco,
il molteplice filtrando
dal setaccio di altri corpi

fu allora, in quel tempo
senza inizio e che iniziava,
che l’immenso animale universale
gravido e sbuffante
concepì l’ambiguità e la doppiezza

era ancora tutt’uno
e si franse
così l’uomo, atomo
tra gli atomi, a riveder
le stelle inconcepibili,
alte nel tamburo dei timori
che lo mettevano a nudo
denunciando vita lucida
non priva di malizia

non trovò dio
in quell’istante

di lui non aveva ancora bisogno

ma sentì l’urgenza della donna
la trovò fremente al suo interno

o lo fece la donna con l’uomo

donna con cui doppiare il parto
e così popolare la terra brulla

quel suo vergognoso e inesplorato deserto

di corpi dapprima
passione cieca e inesausta,
corpi ineguali e anelanti
nel di lui cercare il varco,
stampo e marchio,

nel di lei disporsi all’accoglienza
nonostante l’inane battaglia –
nonostante –

perché già intuiva che la perversa battaglia
era ormai vinta e persa
il verbo fu,
prima della comparsa dell’uomo,
le streghe furono
e predissero questo: ritrovarsi

when the hurlyburly’s done
when the battle’s lost and won

*

ho il singhiozzo a volte
e la mia gola pulsa
il caldo mi attanaglia
e la sua vampa mi spossa

se tutto fosse più semplice, pensi, se riuscissi
a far quadrare i conti e il costo della vita
permettesse di far volar la testa e disperderla
per riaverla come vetro a rendere

mi risveglio sul divano
e allungo il fiato
in ora perplessa
che presto si annacqua

dell’essere chiunque chiunque
e non pensarci, non prestare tessuti e organi
all’organo più grande dell’opera mondo
che è mia di voglia, possesso di sangue

oggi la vena languisce e insegue
desideri elettrici, salti di nervi,
alta tensione nella bassa marea
di toccarti ancora

o forse mai più – nevermore –
cantavi occhieggiando
e non mi riprendo
dalla tua assenza

Rossella Pretto

Nota su Rossella Pretto

Rossella Pretto si è formata al dAMS di Roma con una
tesi sulla traduzione del Macbeth curata da Elio Chinol e
messa in scena dalla Compagnia dei Quattro. Questa
formazione, assieme all’attività di traduzione (Heaney,
oswald, Auden), seguita da esperienze professionali in
teatro e in televisione, ha guidato il suo percorso di
scrittura critica e creativa. Suoi contributi sono apparsi
su L’ottavo e Poesia. Sta curando una serie di interviste
poetiche per L’Estroverso. Scrive di ricezione e
riscrittura dei classici per «Alias».

Sono nata a Vicenza, città che ha visto la mia partenza e il ritorno, dopo anni passati a Roma, prima all’università e poi a confrontarmi con il mondo del lavoro. Ho fatto l’attrice, la presentatrice televisiva, l’adattatrice dei dialoghi per il doppiaggio. Sono passata sulle tavole dei palcoscenici, negli studi televisivi, tra le scenografie di Cinecittà, sono entrata nelle case di grandi maestri, conosciuto la vita di artisti e di piccoli artigiani, percorso le strade della città eterna. Ho avuto molti giorni felici nella capitale, incontrato tante persone, dalla più umile alla più boriosa, respirato l’aria di una città elefantiaca e affascinante, guardato mille tramonti con la quinta di un colle punteggiato di pini dagli alti fusti o attraverso archi e fori della sua grandezza. Ho fatto progetti, mi sono disperata, ho stretto amicizie, le ho perdute. Fino al momento in cui è diventato tutto più chiaro: abbandonare Vicenza significava abbandonare un’idea di creazione attraverso la scrittura. Non so perché ma è stato così. Oggi tutti desiderano scrivere, molti lo fanno, sembra facile, meno semplice è crearsi gli strumenti adatti, far crescere un talento mai affinato. Così ho lasciato Roma per Milano e Milano per Vicenza, la mia città. Ora esploro le mura del mio studio. Il resto lo trovate sul suo sito rossellapretto.com

A TU PER TU – Milica Lilic

La quarta intervista di A TU PER TU mette in pratica l’intento di estendere anche oltreconfine la rete delle voci e dei dialoghi.
La destinataria delle domande è Milica Lilic, poetessa e scrittrice serba che nel corso della sua vita e della sua carriera letteraria ha intessuto rapporti di collaborazione e amicizia con persone e con artisti di diverse nazioni e latitudini. Un dialogo privilegiato è quello con l’Italia. Ne forniscono la prova sia le testimonianze di stima che anche da noi ha ricevuto da parte di critici, letterati e lettori, e lo confermano anche le interessanti risposte a questa intervista che Milica ha fornito direttamente in italiano.
Come ho già detto in altre occasioni (sta diventando un “mantra”, mi rendo conto, ma è ciò che penso), molto meglio di queste mie note introduttive potrà essere utile a chi vuole approfondire la conoscenza con Milica Lilic la lettura delle sue risposte e dei suoi scritti, sia lirici che narrativi.
Buona lettura, IM

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.

Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.

Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.

Saranno volta per volta le stesse domande.

Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

 

il fuoco e il verbo

 

5 domande

a

Milica Lilic

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Grazie per l’invito a presentarmi ai tuoi lettori. Il mio nome è Milica Jeftimijevic Lilic. Sono una scrittrice serba. Sono madre di due figlie e una persona che ama tutte le persone del mondo. Credo che la vita possa essere bella e significativa se facciamo il lavoro che amiamo. La letteratura è stata il mio amore fin dall’infanzia.

Ho letto molto e ho assorbito contenuti artistici prima ancora di rendermi conto di avere un dono per la creazione artistica. La mia vita è stata completamente orientata e ispirata da quell’inclinazione. Ho studiato letteratura e per un po’ ho lavorato come professore all’Università di Pristina, poi sono passata alla Televisione di Pristina con il ruolo di editore e critico televisivo. Ho un master in filologia. Tuttavia, al di là di questi impegni lavorativi, la scrittura, soprattutto di poesie, era, come lo è tuttora, il mio richiamo più forte, il bisogno dominante. Da questa possente attrazione sono nati i miei libri. Mi sono dedicata anche alla critica letteraria e alla narrazione. Ho trascorso tanto tempo in campagna e all’estero quando il mio lavoro me lo consentiva. Dopo aver terminato il mio tirocinio ho avuto più tempo a disposizione e ho potuto viaggiare più spesso. I frutti migliori di questa possibilità di viaggiare sono stati i numerosi contatti con persone di tutto il mondo e lo sviluppo della mia carriera internazionale con premi e riconoscimenti, nonché traduzioni delle mie poesie. Ho pubblicato 26 libri di poesia, prosa e critica.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Continua la lettura di A TU PER TU – Milica Lilic