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“La creta indocile” e “Limbo minore” – letture e commenti

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Ringrazio Giulia Sonnante, scrittrice e traduttrice, per la lettura attenta e per il commento, anche in questo caso assolutamente empatico e originale, sia di alcune poesie tratte da “La creta indocile” sia del romanzo “Limbo minore”.
Riporto qui di seguito le note critiche e le “variazioni sul tema” di Giulia, con un nuovo grazie. IM
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L’Aria del Lungarno e Altre Liriche: tra vita e poesia  
Non è una madeleine, inzuppata nel tè, a riportare alla memoria un ricordo e non siamo a Combray ma, a Pisa. Al centro della lirica: “L’aria del Lungarno”, di Ivano Mugnaini, in “La creta indocile” (Oèdipus, Salerno, 2018) è l’Arno, placido, forse ignaro di quella vitalità un po’ insensata che si respira tutt’intorno. Anzi, è, esso stesso, parte integrante della Poesia, la determina, e ad essa dà nome.
Uno sciame di ragazzi sgorga dalle stanze di studio come un ampio delta: è il tramonto che strizza l’occhio all’ora violetta di eliotiana memoria: “At the violet hour, when the eyes and back Turn upward from the desk, when the human engine waits Like a taxi throbbing waiting”. (Eliot, The Waste Land, 1922) Gli occhi e le schiene si levano dagli scrittoi e, come taxi, frementi, aspettano. Ed è proprio il palpitare, il pulsare della vita che “L’Aria di Lungarno” riesce efficacemente a cogliere. Così, l’autore, studente d’un tempo, s’incammina lungo la strada che costeggia il fiume; il passo, svelto, da principio, rallenta per divenire nostalgico man mano che il ricordo prende la mano. Non si lascia soffocare, l’aria del Lungarno, il traffico non la sfiora, da essa è fagocitato: “L’aria del Lungarno scorre tra tempo e memoria. / Il traffico non la soffoca, è un cappio di lamiere / che scorre e non la sfiora.”
Scorre, sornione, l’Arno, e quasi percepiamo le urla allegre dei ragazzi che finiscono in piccoli mulinelli d’acqua. Scorre l’Arno, quasi superando gli argini, i limiti stessi del verso. Sì, perché l’Aria del Lungarno è lirica che si fa racconto. L’urgenza dell’autore è quella di cogliere la realtà e poco importa se la poesia, poi, s’incarni in un verso o in una frase.
Non è soltanto il carattere narrativo ad impressionare, ma anche l’ironia che arriccia il verso, lo increspa ed è certamente anomala, se ravvisata in un cielo poetico. E così, punteremo il dito verso l’alto: “unidentified flying object!”, quando, sorridendo, leggeremo: “Si cammina, sul Lungarno, / soldati in libera uscita, studenti tra riso e terrore /in un fiume che appare anche lui fuori / corso”. Stile e forma qui stupiscono non poco: la parola poetica sgambetta, recalcitra: il verso sembra non compiere il suo senso, spezzandosi come pane tra le dita. Tuttavia, esso, tutto può ed è lo stesso autore ad affermarlo: “Lasciamo che il verso trovi / per sé e per noi la sua strada, il suo senso. / Tutto, perfino il nulla, ha corpo nella parola, / e la sua assenza di sostanza è pietà, / misericordia nella tortura che ci consuma, / il “foco che ci affina”. ( dalla lirica Con sollievo in La creta indocile)
L’autore spinge verso la vita nella sua essenza più pura: “nel sacco entrambe / le mani, in piena flagranza di reato, nell’atto doloso, / e recidivo, di essere ancora vivi, / ancora umani. (Quale amnistia) e pone una sola condizione al nostro esistere: l’umanità. Nulla, neppure la sofferenza può privarci del diritto ad una vita piena ed autentica. “Almeno allora uno sconto di pena alla pena  / dell’essere, una via di fuga, d’ingresso, d’uscita, / il lusso di un carcere aperto alla speranza” (Quale amnistia).  Ed ancora: Non c’è bellezza nel dolore, […] La sola vera morte / è il soffrire. Ed è già putrefatto, dentro, / chi lo loda, da qualunque pulpito,  /con qualsivoglia intenzione. ( da Il tempo salvato in La tempesta e La tregua e Altre Poesie, La Recherche, 2010) Corrono lungo una strada a strapiombo sul mare, questi versi, tragici, nel dolore che manifestano, ma illuminati nella loro parte più intima.
Ci chiediamo se la Poesia abbia un senso, se possa essere al cospetto della sofferenza. Come può la Poesia giocare alla pari col dolore? Dovrebbero depositare la penna, raccogliere tutti i fogli, i poeti? Con Auden diremmo: “The stars are not wanted now: put out every one; /Pack up the moon and dismantle the sun; /Pour away the ocean and sweep up the wood; /For nothing now can ever come to any good.” (Funeral Blues, 1938)
Ha polsi abbastanza forti per sollevarci, la Poesia? Ha spalle abbastanza ampie da sorreggere la sofferenza, come Anchise sulle spalle di Enea? Ne ha il diritto? In “Una danza di cose”, tratta da “La creta indocile”, una figura femminile si staglia altissima nel cielo poetico. Il corpo di Carmela è avvinto dal boia ma ella ride: “Ma Carmela Ride. / Piega occhi e bocca / come un fabbro rende docile l’acciaio, / e il lucernaio diventa guardabile, / percepibile senza vomitare […] porge fogli densi / di parole strappate al boia, ad ogni /giorno di gelo penetrato nelle fessure / e nel ferro delle chiavi. (Una danza di cose) I fogli densi di parole diventano l’appiglio, lo sperone di roccia a cui aggrapparsi, perché la parola non può restare in silenzio, essa le appartiene, è il suo sorriso, la speranza.
E la speranza è il dono in “La speranza di settembre”, lirica opaca, sospesa sul filo del tempo,  “fragile, imperfetto, / regolato da cronografi tarati male, ancora / soggetti a salti e arresti, orgogli e terrori “.  il poeta è alla ricerca di “una voce, una chiave / nelle ossa spezzate dei cani” (La speranza di settembre)”, come colui che si chiede quali siano le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono da macerie di pietra: “what are the roots that clutch, what branches grow / Out of this stony rubbish?” (T. S. Eliot, The Waste Land, 1922)” e, infine, trova soltanto un mucchio di immagini spezzate, “a heap of broken images”. Settembre, tuttavia, accende una luce, perché ogni fine racchiude in sé un nuovo inizio: “In my beginning is my end. In my end is my beginning” (T. S. Eliot, Four Quartets, 1943)
Riempiamo il vuoto che ci annienta, dunque, attraversiamo il dolore: “Sweat is dry and feet are in the sand”, non scorre, lieve, l’Arno, qui: “If there were water / And no rock / If there were rock/ And also water”. Facciamo ritorno alla vita, a Pisa, “sulla strada circolare che costeggia / il fiume, ciò che conta è ritrovare il respiro” E poi, “verso lo sbocco, le labbra rosa della Marina, laggiù, verso / Sud. (L’aria del Lungarno). Perché non c’è una risposta univoca, ognuno cerca il proprio senso, il risvolto chiaro, il suo passo, forse incerto. “Forse solo il gabbiano forestiero possiede / la risposta. Sorvola le pietre /della piazza e si nutre di istanti. Sorride, /con garbo, vira e si getta ad occhi chiusi / nella corrente d’aria che solo lui percepisce.” ( da “La certezza del mare” in La creta indocile)
Giulia Sonnante
Limbo minore
 “Limbo minore”: la coscienza d’un servo nel vivere quotidiano
 Profumo di letteratura promana dalle pagine di “Limbo minore” (Manni Ed. Lecce, 2000), romanzo di Ivano Mugnaini, come dal bocciolo d’una rosa selvatica.
Numerose sono le citazioni letterarie che si rincorrono libere come ragazzi dalla frangia lunga e ginocchia al vento: da Leopardi a Mallarmé, passando per Allen Ginsberg fino a Conrad. Ma qui, il narratore non è il marinaio Marlow, come in “Cuore di tenebra”, ma un personaggio altrettanto minore, un servo, tuttofare, una figura priva di ruolo definito, d’una vera identità. Così, egli si confessa: Io sono il servo. Io non ho un nome.
Riflettendo ancora sulla propria condizione di subalterno, dichiara: “Io sono un rebus privo di chiave. Una freddura cifrata in cui non sempre a numero uguale corrisponde lettera uguale. O forse sono solo un ombrello di tela scura. Uno di quelli che si finisce sempre per dimenticare, con intimo sollievo, dentro il vaso di terracotta di un bar o di una casa qualsiasi, dando poi, ipocritamente, la colpa alla memoria. Non me ne dispiace però.” Si commisera, forse, sembra giocare il ruolo della vittima tra le righe di una struggente malinconia, tuttavia, non tenta di mutare la propria condizione, la accetta, rivelandone i benefici.
Interessante è anche il passaggio in cui confessa d’essere stato sempre attratto dalla Barbie di turno, dalla “bambolina biondina di plastica ed aria compressa” a discapito della bruttina, ignorata da tutti al pari “d’una scatola anonima, un pacco postale privo di interesse posato in un angolo e lasciato lì, settimana dopo settimana.” Ed in seguito, quando, “per distrazione o per noia, per compensare la momentanea assenza della pupazza patinata, o magari per pura vanità e buffoneria, sono entrato nel suo raggio d’azione con apparente interesse, lei, appena superato lo sbalordimento, si è sempre dimostrata pronta ad aprirsi, disposta a tentare, nonostante tutto, dimenticando ere geologiche di rocciosa indifferenza. Il gioco si è concluso, puntualmente, al primo riapparire sulla scena della bella e impossibile corteggiata da mezzo mondo.” E qui, noi, lettrici, non possiamo che allontanarci per un attimo dal narratore per raggiungere la bruttina poiché siamo tutte dalla sua parte! Tuttavia, il servo riconosce subito d’aver sbagliato, cosicché, torniamo, con piacere, al suo fianco.
Non si tratta di un racconto ricco d’avventure, fitti intrecci o colpi di scena, ma d’un romanzo del quotidiano; il servo getta lo sguardo sulla realtà che lo circonda, disegnandola ora con sfrenata ironia, ora con intensa malinconia, quella “saudade”, capace di unire, in un fragile equilibrio, il dolore al desiderio, il cielo alla terra, la materia allo spirito.
Come nodi d’un cingolo francescano, si susseguono scene di vita quotidiana: la messa dominicale, una giornata al mare, il viaggetto a Roma in cui una saggia guida mescola fiato ad accenti romaneschi di belliana memoria, la festa di paese o il racconto di Ottavio, il fattore, che sopravvive al campo di concentramento, strappando misere radici alla fame.
Le parole si predispongono all’ascolto spingendosi come ignari soffioni nell’aria chiara dell’Estate.” Un silenzio che sfiata dalla calce, avanza a bocca spalancata e ingurgita sé stesso (…) Non è la pioggia ma ha un battito vivo e leggero. È il tocco ripetuto di una mano sul legno della porta di camera mia.” Risuonano, qui, echi poetici che troveranno vibrante pienezza nella poesia: “Grado zero”, in “La creta indocile”, dello stesso autore, (Oèdipus, Salerno, 2018) “Ma più colpevole e più tenace è / l’udito, fisso sul legno della porta, / inchiodato, crocifisso, appeso /ad un battito, un tocco ansioso, / incerto, furtivo: forse il tonfo, / l’incedere cieco del destino; / forse il calore, sincero di una mano.”
 Particolarmente toccanti, le pagine dedicate alla malattia del conte, accompagnato sino alla fine dal suo fedele servo; qui, mentre la morte ha già disteso una densa ombra sul corpo del malato, giunge una donna, l’unica che il conte abbia mai amato. Al suo capezzale si uniscono, in un disperato abbraccio, amore e morte a rappresentare uno straordinario topos letterario, perché l’amore è l’unico che valga ricordare, l’unico che risarcisca della morte. “Smette di parlare il conte, e abbandona le spalle alla soffice morsa del lenzuolo. Appare provato, ma gli occhi sono spalancati e lucenti. Fissi su di me. Cerca di captare in ogni gesto, in ogni minima contrazione muscolare, una reazione ed un verdetto.”
 Un romanzo che è una lunga confessione, sincero scandaglio dei sentimenti più celati, un racconto che sa di intimità e famiglia. E, di certo, qualcosa rimanda a Zeno per lo svelamento autentico della coscienza e per l’incedere brioso della scrittura.
Sereno, il narratore si congeda così: “All’esterno il panorama non è mutato. Il calderone della piazza è ancora pieno di aria bollente che trema, inorridita da impenetrabili trasparenze. Cammino a testa bassa nascondendo alle strie bianche del cielo un illogico sorriso. È giusto accontentarsi di uno sguardo condiviso, forse, per un breve istante? È logico sentirsi quasi felice per una parola affidata ad una carezza al pelo di un cane? È normale sentirsi bene con il dolore di un attimo che è già ricordo, e rimpianto, ombra trapassata ancora prima di prendere vita? ”In fondo, è la stessa luce che rischiara le pagine finali di Svevo:posso mettere un impiastro qui o là, ma il resto ha da moversi e battersi e mai indugiarsi nell’immobilità come gl’incancreniti. Dolore e amore, poi, la vita insomma, non può essere considerata quale una malattia perché duole.”.
 Giulia Sonnante

Raccontare la poesia

Raccontare la poesia - cover
 
Luigi Fontanella, Raccontare la poesia (1970-2020). Saggi, ricordi, testimonianze critiche,
Moretti & Vitali, 2021, 760 pp., € 36,10
 
Molto è già stato detto del libro di Luigi Fontanella Raccontare la poesia. Già detto e detto bene, con passione, acutezza e brillantezza. Sono arrivato in ritardo. Quindi, brechtianamente, tocca sedersi di lato. Non dalla parte del torto, nel caso specifico, ma da prospettive asimmetriche, sperando di poter mettere in luce qualche aspetto non ancora esplorato. Cercando di compensare lo svantaggio cronologico con la possibilità di basarmi su materiali interessanti, in particolare sull’intervista rilasciata dallo stesso Fontanella a Francesco Capaldo per il quotidiano “Pickline”. Utili mi saranno anche alcuni dialoghi che ho avuto di persona con l’autore nel suo studio fiorentino di Via Guelfa, zeppo di libri, di ottimo tè e di sassi di svariate forme e colori, souvenir del suo amato mare greco.
Comincerei dal titolo. In apparenza è lineare, descrittivo. In realtà mi sembra racchiudere un accostamento di mondi, un allineamento tra pianeti, quasi un ossimoro, di forma, di linguaggio, di struttura. Questo libro in fondo è un romanzo in forma di saggio sulla poesia. Di un romanzo ha la diacronicità, il coinvolgimento costante dell’autore e il suo interagire con gli altri personaggi, affini o più distanti, alleati o antagonisti in un conflitto incruento ma costante che ha come scopo primo e come meta finale l’agnizione più significativa, quella che riguarda il volto autentico dell’eroina femminile, la poesia. Il tutto giocato su un piano reso ulteriormente complesso e multiforme dalla coesistenza del piano letterario con quello esistenziale, in senso stretto e in senso lato. Ossia, in poche parole, mi sembra che questo libro non parli della poesia tout court ma della poesia nella vita, o, meglio, della poesia della vita. Quest’ultima definizione non vuole essere un abbellimento estetizzante ma piuttosto un tentativo di definire la necessità, sia della materia trattata sia del progetto che ha condotto alla compilazione e alla pubblicazione del volume.

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Cucendo i fili della vita – rec. a “La sarta”, di Marilena La Rosa

La sarta, o meglio la sua ideatrice ed autrice, Marilena La Rosa, cuce con i fili della letteratura la vita. O forse la ricama e rammenda con la fantasia, nella terra di nessuno tra verità e immaginazione.
Ho letto con piacere questo libro e altrettanto volentieri ne ho scritto.
Ci conduce lungo un sentiero poco battuto, una favola per adulti disillusi ma non abbastanza da non sapere sorridere quando si ci immagina “con una M gigante sulla maglia” o con la voglia di ascoltare ancora, nei recessi della mente, “versi che si baciano”.
Buona lettura, IM

 

A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.Saranno volta per volta le stesse domande.Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

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5 domande

a

Marilena La Rosa

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Questa è senz’altro la domanda più difficile. Provo a rispondere.

Sono nata e vissuta ad Acireale, che non è un fatto da poco, perché la mia è una città colta, elegante, di una bellezza struggente ma è anche la patria del cavolo trunzo la cui caratteristica principale pare sia legata indissolubilmente al dna degli abitanti (e quindi anche al mio): è duro come è dura la loro e la mia testa. Quindi, sono testarda e ho modo frequentemente di mostrare questa “dote” – che misteriosamente non tutti sembrano apprezzare – , nelle scelte, nelle relazioni familiari e sociali, nel raggiungere gli obiettivi. Nel bene e nel male, insomma. Mi sono poi trasferita a Palermo e qui ho incontrato un altro tipo di bellezza, quella sfrontata, maestosa, abbagliante del barocco o cupa, possente e austera del gotico-normanno. E nelle contraddizioni di Palermo mi sono persa e poi ritrovata e Palermo è riuscita così a diventare metafora piena della mia vita. Posso giurare, quindi, che l’ambiente condiziona l’esistenza. Anche quello familiare, ovviamente. Sono cresciuta con una mamma che mi raccontava i miti e le tragedie greche, ho conosciuto Dafne, Polifemo e Medea prima di Cappuccetto Rosso o Cenerentola. E quindi ho sempre letto e sono cresciuta fra i libri e le conversazioni a tavola avevano il sentore di un’interrogazione agli Esami di Stato: “Chi ha scritto le poesie a Casarsa?”, chiedeva mia madre mentre faceva scivolare una cucchiaiata di purè nel piatto.

Credo che con questo imprinting, il mio futuro fosse irreparabilmente condizionato: mi sono laureata in Lettere e ho iniziato a insegnare all’età di ventitrè anni. In una scuola serale. In una scuola serale frequentata da adulti lavoratori a cui dovevo parlare di Dante e Petrarca. Ed è stato bellissimo.

Da lì è stato tutto un crescendo di attività, ricerche, scritture, viaggi, studi, successi, sconfitte, gioie e pianti.

Ho scritto e scrivo tanto e mi dedico a quello che amo: la mia famiglia, i miei alunni, i miei libri. E trovo il tempo per guardare il cielo stellato, il mare d’inverno, i cuccioli di gatto o le albe trasparenti. E per il cioccolato. Per quello trovo sempre tempo.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Si scrive per vivere e sopravvivere, per tendere all’infinito, per piacere, per presunzione, per romanticismo, per vanità, per lasciare o per centrare un segno. Si scrive perché grumi di idee, parole ed emozioni possano concretizzarsi e ordinarsi in segni striscianti sulla carta. Si scrive per dire “ci sono” e perché dicano “c’era”. Si scrive anche per gioco, per sfida, per evasione. E anche per divertimento.

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A TU PER TU – Laura Words

L’intento di questa rubrica dedicata alle interviste è stato ed è quello di fornire qualche tessera del vasto e multiforme mosaico del mondo della scrittura. Abbiamo finora incontrato autori di diversa provenienza, età, approccio. Oggi, grazie a Laura Words ci addentriamo, con sguardo curioso, nel mondo del romance contemporaneo. Di riflesso, percorriamo un tratto del mondo della rete e della scrittura in rete, incrociando lungo il cammino il fantasy (dark e non), You Tube e la promozione ad esso correlata, le serie di culto, gli spin-off e mille altri esseri che ai meno giovani e meno esperti potranno apparire strane creature aliene o comunque oggetti ignoti, ma, per moltissimi, per le nuove generazioni e non solo, sono punti di riferimento e appassionanti fonti di ispirazione, per la sfera della scrittura e dei sogni, ma anche della realtà tout court.     
Partendo da questo “humus”, Laura ha scritto un romanzo a cui è legatissima, Direzione la vita, ambientato a New York, che parla di una vicenda di rinascita dopo un grave evento. Non anticipo niente della trama, analizzata più in dettaglio dall’autrice nelle risposte. Osservo solo che, al di là dei modelli, dei tempi e degli stili, la letteratura resta sempre un microcosmo che in fondo parla di quell’universo imperfetto ma tenace che è l’uomo. IM         
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio. Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. 
Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.  
Saranno volta per volta le stesse domande.  Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.  IM 

 

5 domande  

a

Laura Words

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto. 

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus? 

Sono sempre stata un amante dell’arte e dei viaggi: aggiungo sempre una componente artistica alla mia persona; possono essere ciocche colorate, un particolare tipo di trucco/abito oppure tatuaggi di farfalle e scritte che parlano al posto mio. Da piccola emergevo sempre per le mie stranezze ma con il passare del tempo le ho rese un mio punto di forza: non bisogna mai vergognarsi di come siamo perché ognuno di noi è unico e irripetibile. 

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni? Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).  

Direzione la vita è il mio libro d’esordio, oltre ad essere il primo volume di una trilogia con annesso uno spin –off. Lo pseudonimo che ho scelto per pubblicarlo è L. L: Words perché ha un tocco internazionale, oltre che richiamare il mio nome (Laura Love Words) In progetto c’è la sua traduzione prima in inglese, poi in spagnolo ed infine in tedesco; è un romance contemporaneo, con sede a New York, con sfumature medical e paranormali che tratta di tematiche delicate e sociali tra cui il recupero post incidente sia fisico che emotivo di A.C. King.  

Alexander C. King è un ragazzo di 27 anni che ha sempre vissuto la sua vita in bianco e nero, alla costante ricerca dell’attenzione dei genitori che gli è stata sempre negata. Figlio di una famosa attrice del cinema e di un archeologo di fama internazionale ha sempre vissuto nel lusso ma anche nell’indifferenza. L’incidente che lo vedrà protagonista stravolgerà tutta la sua esistenza ma, oltre a fargli passare le pene dell’Inferno, gli farà capire che forse c’è davvero una possibilità anche per lui. Possibilità che porta il nome di Tyler Jones, un fisioterapista specializzato nella risoluzione di casi impossibili che si scontrerà contro il muro di rabbia e disperazione dietro il quale A.C. si nasconde. Il dottor Tyler Jones che per A.C. è l’ultima spiaggia.
Con un dono che per lui è una maledizione, Ty è un fisioterapista diverso dagli altri, anticonformista ed imprevedibile: il migliore nel suo campo. Ma basteranno la passione per il suo lavoro, l’amore per la musica anni ’80 e la costante presenza di Stone, il bastardino che ha adottato, per strappare A.C. dall’inferno in cui è precipitato?

Quando ho iniziato a scrivere la prima bozza del mio libro non stavo passando un bel periodo: facevo un lavoro che non mi corrispondeva (per ragioni che credevo giuste ma che non lo erano) e scrivere era la mia unica valvola di sfogo. Come molte altre autrici sono nata su Wattpad ma solo quando ho visto che la mia storia aveva raggiunto incredibilmente 50,000 K di letture mi sono decisa a toglierla dal portale per affidarla alle mani competenti di Claudia Bellana, la mia editor. Il messaggio che ho voluto mettere in ogni riga è questo: non importa quanto la tua situazione sia buia o disperata perché se guardi bene, proprio in fondo al tunnel della tua disperazione, vedrai una luce: seguila perché ha le vesti della Speranza, che Marika Palomba ha perfettamente reso creando la mia bellissima copertina. 

Volevo che il mio romance fosse qualcosa di diverso dalle solite storie leggere che trovavo on-line; che i miei personaggi avessero carattere e spessore in modo da sembrare reali. Per questo ho intervistato una fisioterapista che si chiama Catia Colomeo per capire le varie fasi della riabilitazione di un paziente paralizzato; per avere ulteriori informazioni ho chiesto approfondimenti anche al mio medico che a sua volta ha chiesto ad altri… Come vedete è una catena d’informazione molto simile al giornalismo: chiedere è sempre la chiave del sapere perché per scrivere cose veritiere serve indagare e non lasciare nulla al caso; con questo non voglio dire di essere perfetta ma appassionata di quello che racconto sì. I miei personaggi mi parlano in mente 24h su 24h e non capisco chi dice di avere il blocco dello scrittore: basta delineare uno scheletro del libro – punto per punto – seguire i suggerimenti che ci danno i nostri protagonisti e lasciarsi sorprendere. Più volte sono rimasta a bocca aperta per quello che mi hanno fatto scrivere; è difficile da spiegare ma chi ci è passato sa di cosa parlo. Per quanto riguarda le aspettative, beh, ci sono e sono anche alte ma credo che non possa, né debba esserci nulla di meno se si crede nel proprio progetto. Per me scrivere è un vero e proprio secondo lavoro, con tanto di scadenze; chi mi conosce sa che a volte mi alzo alle sette per buttare giù una scena e anche che faccio continuamente ricerche sui vari “set” dove ambiento le mie scene. Le cose o si fanno con passione o è meglio lasciar stare. 

Il 18/12/20 sarà il compleanno di “Direzione la vita” e gli dedicherò tutta la giornata organizzando un party on line su Instagram; se volete seguirlo segnatevi questa data perché ci saranno tantissime sorprese on line, il mio profilo Instagram è lauracaroni77.  

Questi 365 giorni sono stati incredibili e inspiegabili; essendo un’autrice Self non ho una CE alle spalle ma ho svolto con folle piacere tutto il lavoro di promozione che mi ero imposta di fare e i risultati ci sono stati; eccome. Sono entrata a far parte del “Collettivo Scrittori Uniti”, una bellissima realtà capitanata da Claudio Secci che ha l’unico scopo di sostenere gli scrittori facendoli partecipare a diverse fiere ed iniziative, e questo mi ha cambiato la prospettiva perché sono entrata in contatto con veri professionisti. Grazie a loro avevo potuto scrivere Direzione la vita al “Salone Internazionale del Libro” di Torino e anche al “Pisa Book Festival”; entrambe saltate per l’emergenza sanitaria in corso. Ma, nonostante tutto, questo meraviglioso gruppo non ha mai mollato stravolgendo le fiere tradizionali per crearne altre totalmente on-line che hanno avuto un clamoroso riscontro. Il collettivo oltre che da Claudio è composto anche da Jessica Maccario, Manuela Chiarottino, Massimo Procopio e Manuela Siciliani a cui andrà sempre il mio grazie.  

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale. 

Qui sotto metto in copia una recensione di Serena che mi ha toccato e che potete leggere su Amazon:  

Ci sono storie capaci di emozioni, altre di riflessioni, altre ancora di risate o timore. In questo libro dalla narrazione profonda in prima persona al passato, con doppio punto di vista maschile non alternato, è possibile incontrare un mix di sensazioni che trascinano il lettore sin dalle prime pagine, in un percorso fatto di paure, speranze e piccoli flashback ben presentati nei capitoli di media lunghezza. Il tempo diventa attento spettatore di un ragazzo che controvoglia osserva la vita scorrere davanti ai suoi occhi, convinto, si, di non poter più camminare ma anche di non aver mai avuto niente per cui valeva la pena lottare. Già essere e/o sentirsi soli ti porta a fare di tutto, provare di tutto pur di vivere anche per un solo istante quell’amore, quell’affetto che sembra riservato a persone ricche non di soldi ma di altro. Persone che sorridono grazie al benessere altrui, che vivono di piccoli attimi spensierati con i propri cari. Persone come quel dottore diventato la “spina nel fianco” per A.C. Ty è un combattente perché sa cosa vuol dire affrontare la vita e scegliere di camminare con il sorriso sulle labbra. Sa cosa vuol dire affrontare i propri demoni, conviverci e cercare di essere un sostegno per gli altri. Per questo e per piccoli dettagli che non posso svelarvi, accetta il caso di A. C. sopportando le sfuriate, pianti e mille prove da superare. Prova, attende e poco per volta si innamora di quegli occhi pieni di dolore ma anche tanta paura. Occhi negli occhi contro il passato doloroso, contro le allucinazioni uditive in grado di distruggere sicurezze che solo la vicinanza e l’amore di medici in gamba riescono a costruire, fortificare e fissare nel cuore dei nostri meravigliosi protagonisti descritti in modo delicato, attento, mai forzato e soprattutto vero!!! Vi sono importanti accenni al paranormale presentati in modo elegante, mai reso pesante o finto e ben fusi con aspetti deliranti. Ecco uno degli argomenti base di questo romanzo: un trauma importante, se poggiato sopra una situazione già di suo compromessa, può mutare in varie forme di delirio purtroppo in grado di compromettere la quiete di una persona fino a spingerla ad atti spiacevoli.
Grazie a questo primo romanzo della trilogia ho affrontato il dolore, l’amore, l’amicizia e la forza di non arrendersi. Ho amato l’interazione tra personaggi secondari e principali, le storie d’amore solo accennate con una delicatezza indescrivibile e l’emozione… Viva in ogni singola parola. 

Penso che non ci sia altro da aggiungere.

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe? In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive? 

Non scrivo poesie ma solo romance. 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale? Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei? 

Fin dall’inizio ho ricevuto tantissimo appoggio e voglio ringraziare tutte le Book Blogger e colleghe scrittrici che hanno dedicato un post, una segnalazione o un’intervista a “Direzione la vita”: sono sempre stata convinta che l’unione possa fare la forza e oggi posso affermarlo con assoluta certezza. Grazie al sostegno delle colleghe ho conosciuto Giulia Segreti – una persona splendida nonché doppiatrice professionista – che insieme al suo fidanzato Barone Mark Khell hanno dato voce a diversi testi del mio libro che potete trovare su Youtube. Adoro collaborare e do la mia totale disponibilità a chi vuole propormi progetti di scrittura collettivi: se le tematiche trattate corrispondono alle mie linee guida sarà un piacere partecipare. Inoltre voglio spezzare una lancia in favore dei social: smettiamola con la voglia di primeggiare sugli altri! Se usati bene sono davvero un portale potentissimo; sosteniamoci a vicenda e uniamo i nostri sogni per crearne altri più grandi e luminosi! Come autori di riferimento posso citarne alcuni che mi seguono da anni nelle mie giornate: Gena Showalter che mi ha fatto conoscere il genere Dark Fantasy attraverso la serie “Demons”, T.J. Klune che adoro grazie a Bear Otter e Kid, Laura Gallego García che con “Due Candele per il Diavolo” (un plauso le è dovuto per la creazione di Cat e Angel) mi ha lasciato letteralmente a bocca aperta e Charlie Cochet che con la sua serie Thirds mi ha fatto follemente innamorare di Dex. Se non sapete di chi sto parlando fate una veloce ricerca su Google; non ve ne pentirete. 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale. Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare? Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive? 

Durante questo periodo così strano ho scritto e scrivo tantissimo; sono così piena di gratitudine per i miei personaggi! Mi hanno letteralmente salvato la vita e forse nemmeno lo sanno; ma è questo che fanno di solito i libri: ti salvano senza che tu glielo chieda. Ecco perché scrivo.  

 

 

Mi chiamo Laura e ho sempre amato scrivere ma, più precisamente, tutto ciò che riguarda l'arte: musica, scrittura, pittura, canto...  Ogni cosa che può far sognare. Il mio debutto nel mondo dei libri inizia con “Direzione la vita” che ho pubblicato in self il 18/12/19 su Amazon - sotto lo pseudonimo di L.L. Words - dove si può trovare in offerta fino a Gennaio sia in formato e-book che cartaceoLe emozioni che mi hanno accompagnato in questo anno di auto promozione sono state bellissime e difficili da descrivere: la prima persona a cui mi sento di dire grazie è Claudia Bellana, una famosa sceneggiatrice televisiva, che ha creduto fin dall'inizio in Tyler, Alexander e Stone; è stata la prima ad ascoltare la storia che da troppo tempo abitava solo nel mio cuore; un racconto nato su Wattpad che ha visto la luce solo grazie alle 50 K di letture che ha avuto e che mi hanno spinto a fare il salto e ad affidarle la cura del testo. Non avrei potuto fare una scelta miglioreNei ringraziamenti segue subito Marika Palomba, la ragazza che ha creato la cover di "Direzione la vita": faccio parte di quella schiera di lettori che vengono colpiti dalla copertina quindi, insieme a Marika, ho cercato qualcosa che potesse essere d'effetto e incuriosire il possibile lettore. L'immagine scelta ritrae New York, dove è ambientata la storia, durante una notte tempestosa che richiama esattamente le dinamiche l'incidente che vedrà coinvolto A.C. King, il protagonista principaleL'ennesimo grazie va a Alessia Minardi, amica insostituibile nonché beta reader, che mi ha aiutato con l'impaginazione del cartaceo: solo grazie a lei potete tenerlo tra le mani oggi. Sono originaria di Viareggio, in Toscana, ma ho viaggiato ovunque per molti anni, unendo la passione dei viaggi alla pittura che, per molti anni, mi ha portato a creare a livello professionaleLa scrittura, però, è sempre stata il mio punto di partenza e inizio di ogni cosa; per molti anni sono stata una lettrice compulsiva del genere romance-dark-fantasy e i miei scrittori preferiti sono Charlie Cochet e T.J. Klune. Adesso che scrivo, paradossalmente, leggo molto meno per piacere; le mie letture infatti sono più ricerche per dare corpo ai miei personaggi e alla mia storia: ad esempio, per il personaggio di Alexander, ho letto testi medici e intervistato fisioterapisti, tra cui Catia Colomeo, che mi aiutato per descrivere al meglio la riabilitazione di A.C. Il tutto senza nessuna presunzione, ma solo con la voglia di far uscire i miei personaggi dalle pagine e farli entrare nel cuore di chi legge. Il mio sogno è quello di scrivere abitando nella location dei miei racconti - così da poter rubare profumi, suoni e odori del luogo - e anche quello di tradurre "Direzione la vita" in ogni lingua possibile. Perché, come dice Walt Disney, "Se puoi sognarlo puoi farlo."  

 

 

 

 

 

Oltre la linea gialla – romanzo di Marisa Papa Ruggiero

 

Pubblico qui di seguito la prefazione che ho scritto per il romanzo  di Marisa Papa Ruggiero di recente pubblicazione. 

Oltre la linea gialla è un libro interessante, fuori dagli schemi consolidati. Un’indagine attenta e appassionata sui “meandri del bene e del male, della mente e del corpo e di tutti quegli anfratti in chiaroscuro in cui le due dimensioni si incontrano, si scontrano e si stringono saldamente, uniti da un velo”.

I.M.

Oltre la linea gialla

di

Marisa Papa Ruggiero,

Edizioni Divinafollia, 2018

Prefazione di Ivano Mugnaini

 

Ci si meraviglia, a volte, del nostro allontanarci dalle cose che più ci appartengono e non si lasciano conoscere. Per non sentire le crude voci gridare il nostro nome da un pozzo senza fondo. Ci si meraviglia, ancora, di una cosa a cui non sappiamo dare nome, del nostro essere fuori da noi stessi, a cui non chiediamo più di tornare.

Brani come quello citato dimostrano il notevole livello di scavo e di indagine che sono connaturati a questo romanzo di Marisa Papa Ruggiero. Testimoniano il lavoro intenso sia a livello lessicale e strutturale sia nell’ambito dello studio psicologico. Il tutto si innesta nella trama con un amalgama frutto di elaborazione attenta che tuttavia non diventa macchinosa, ma, in virtù di un’immedesimazione empatica con i personaggi e le loro istanze, scorre fluida.

       La narrazione non è mai asfittica o incolore. La sinuosità della frase è sempre finalizzata alle curve e alle ellissi della vicenda narrata, possiede l’agilità e lo scatto consoni ad un racconto che fa della tensione conoscitiva e della vividezza delle passioni il proprio fulcro e la propria sostanza. La specificità del rapporto fondamentale di ogni storia raccontata, quello tra il narratore e la dimensione temporale in cui si colloca e ci trasporta, è, qui, anch’essa originale e specifica: la vicenda del pensiero sembra venire allo scoperto e prendere corpo e voce non per evocazione memoriale, ma, potremmo dire, per processi psichici che vengono fuori nell’immediato del momento emotivo e intuitivo dell’io.

        Al di là del piano presente, non a caso volutamente adottato dall’autrice nell’arco dell’intera storia, c’è quello (evidenziato dal corsivo) in cui il romanzo sembra dialogare con se stesso, come se la storia fosse a un certo punto evocata dalla scrittura. I corsivi non fanno riferimento ai ricordi ma rappresentano nella narrazione uno “sguardo interno” che illumina piani “virtuali”, ossia mentali, che prendono corpo nel momento della scrittura stessa, spostando la narrazione, con misura e gradualità, in direzione di un metaracconto, inserito, in certi punti, non per volontà esplicativa ma per intrinseca necessità. Questi piani “interni” sono uno dei meccanismi che maggiormente contribuiscono a conferire al racconto quella capacità di scavo e indagine ad ampio raggio a cui si è fatto cenno nel paragrafo iniziale.

 Le escursioni “interne” o interiori sono intarsi brevi, quasi in trance, come dettati da una volontà autonoma. Agiscono entro loro piani paralleli, come se la scrittura narrasse se stessa, per rispecchiarsi nell’enigma stesso, il centro focale di tutta la narrazione. Adeguata sintesi di questo meccanismo e del concetto ad esso legato si trova in questa densa definizione che cito: “una storia che non conosco […] si sta ribaltando nella mia”.

Questi “doppi piani” in cui ha luogo il processo cardine dell’intera vicenda, la forte identificazione dell’autrice con “l’altra, si trovano in modo evidente in alcune pagine chiave, in modo diffuso, anche se ve ne sono altri frammenti di minore estensione in altre parti del libro. Sta al lettore il compito di dare un’interpretazione autonoma sul rilievo narrativo, simbolico e psicologico di questi “intarsi”.

Sussiste in queste pagine la volontà di mostrare ed esplorare l’intera gamma delle sensazioni e delle pulsioni. Il mistero che è alla base della trama diventa in tal modo uno strumento, una bussola per addentrarsi in un universo altrettanto misterioso, quello dei meandri del bene e del male, della mente e del corpo e di tutti quegli anfratti in chiaroscuro in cui le due dimensioni di incontrano, si scontrano e si stringono saldamente, uniti da un velo:

Lei posò il bicchiere. Con estrema naturalezza si sollevò di poco dai cuscini e si sfilò con tranquilla lentezza un solo guanto guardando tutti e nessuno davanti a sé. Le bastò slacciare con due dita l’unico gancio del corpino damascato che i seni, a lungo trattenuti, esplosero. Li tenne nelle mani per qualche secondo, poi aprì le dita. I seni, d’un rosa perlaceo alla luce tremolante delle torce erano gonfi e sodi, perfetti. Con lentezza immerse la punta delle dita nel bicchiere del compagno e si inumidì le labbra rovesciando il capo sui cuscini. Finalmente attirò il giovane a sé e si sollevò le ampie gonne.

Nessuno si mosse. Sprofondata nell’erba, completamente vestita, assecondava con tranquilla noncuranza i movimenti rapidi e vigorosi del primo partner finché cessarono; poi, quelli lenti e profondi dell’altro.

L’intensa curiosità e sensualità, trasmesse in modo elegante, senza approssimazioni, sono il tratto distintivo e il valore aggiunto del romanzo. Il brano qui sopra citato è uno dei moltissimi esempi possibili di descrizione visiva, in cui lo sguardo, condotto ad alternare panoramiche e primi piani di impianto quasi cinematografico, si arricchisce anche di ulteriori segni e segnali, un universo visivo che diventa all’istante immedesimazione, immersione completa nei gesti e nelle azioni, negli stati d’animo pensati e percepiti. Come se l’espressione adeguata delle sensazioni, delle pulsioni, delle esitazioni e degli slanci, non fosse un qualcosa in più, un mero abbellimento esornativo ma fosse essenziale al pieno godimento estetico e carnale. Tale denso connubio richiama l’intera gamma sensoriale e rende il romanzo accattivante, sia a livello narrativo che percettivo.

Nel libro la trama e il mezzo per esprimerla, il linguaggio, sono intersecati in modo assolutamente coerente. Lo stile influenza il contenuto e lo determina. Non è irrilevante in quest’ottica il fatto che l’autrice provenga da una lunga pratica di pensiero poetico e da una ricerca spesa sul campo, pluridecennale, per la parola e lo studio ad essa inerente e correlato. L’aderenza tra parola e pensiero, cari da sempre a Marisa Papa, e, aggiungo, l’interesse per i filtri linguistici, per l’essenzialità più che per la descrizione eccessiva o ridondante, vengono, nelle pagine di questo romanzo, messe in atto e ulteriormente confermate.

        La linea gialla evocata nel titolo richiama in modo indiretto ma chiaro l’idea del confine, della barriera, topos della letteratura di ogni tempo e nella nostra epoca più che mai attuale, sia nel mondo virtuale che nella dimensione reale. Partendo da questi ingredienti e da questi dati di fatto, il romanzo gioca, con seria e appassionata costanza, a scardinare le regole e a mostrare come in una serie di rifrazioni progressive quanto le immagini e i ruoli, i volti e le maschere si sovrappongano. Torna e riemerge il caravaggesco rincorrersi delle luci e delle ombre, con i volti messi in evidenza nella loro imperfezione, umanissima, fragile e innocente ma anche avidamente perversa, assetata di scoperte, e, appunto, di passioni, altra parola chiave del tutto fondamentale.

        Il romanzo è costruito con perizia, la trama è densa, i nodi richiamano altri nodi in un intreccio saldo, corposo. Ma come in ogni lavoro ben realizzato, il trucco non prevale, resta dietro, nella parte sottostante alla tela. Quello che emerge sono i grumi di colore e le ombre, la corposità non di rado ruvida dei destini, la tangibile concretezza della carne che si fa proiezione dei pensieri, dei desideri, dei dubbi, delle luci e del loro inesorabile contrario, ugualmente attraente, come un mistero di cui si cerca la soluzione, o almeno una soluzione possibile, compatibile con ciò che siamo e ciò che vogliamo.

Costruito con perizia lessicale e strutturale, il romanzo può ben richiamarsi, sotto certi aspetti, ad alcuni psico-thriller basati sulla descrizione visiva d’impianto cinematografico grazie all’impiego di “tagli” scenici, di “spaccati” caratteriali efficacemente essenziali, oltre che di inaspettate inquadrature d’ambiente dove è possibile intravedere, come in controluce, alcuni squarci della città cara all’autrice: Napoli.

        Il racconto, come detto, ama rendersi ricco, esondare, fare invadere l’alveo della trama da mille rivoli di materia e sostanza diversa. Il risultato è un insieme denso e cangiante, un fluido in cui scorrono richiami intertestuali mai casuali, mai privi di senso e di risvolti. La cultura dell’autrice non è messa in mostra per puro narcisismo. Ogni riferimento ha un senso, o meglio una varietà sfaccettata che allo stesso tempo amplia il raggio visivo e ci conduce in svariate direzioni, e, dal canto opposto, illumina a poco a poco il mistero che è alla base del percorso e della ricerca, permettendoci di avvicinarci alla verità, o meglio alle verità, ai riflessi che cogliamo al di sopra e al di sotto della superficie, là dove sussistono i pensieri e i desideri che davvero contano e incidono sul nostro vivere.

        Questo romanzo ci conferma, con libertà e rigore narrativo ottimamente abbinati, che niente è davvero come sembra e che per avvicinarci al luogo che cerchiamo e alla soluzione auspicata è necessario superare quella linea di demarcazione tra razionalità e immaginazione, realtà e fantasia, per giungere ad un luogo in cui dimora ciò che abbiamo perduto, quel nostro ego parallelo, il burattinaio di cui pensavamo di muovere i fili fino al momento in cui scopriamo che quei fili sono dentro di noi. Anzi, quei fili siamo noi. Accettando ciò ritroviamo finalmente la protagonista, Sara, e con lei “un altro piano della coscienza, su un altro schermo, da cui va prendendo forma una storia parallela ma sommersa che adesso emerge, imperiosa e tremenda, in tutta la sua vivida consapevolezza”. Questo romanzo ci conduce a percorrere, sulla pagina e dentro di noi, vicende “opposte e speculari”. La meta a cui si osa arrivare, aspra ma essenziale, è “l’inaspettato ritrovamento, tutto interiorizzato, di ciò che era perduto per sempre”.

                    Ivano Mugnaini

 RUGGIERO

Marisa Papa Ruggiero, scrittrice, artista verbo-visuale, studi di formazione artistica compiuti a Milano e a Napoli. Inizia il suo percorso di scrittura creativa alla fine degli anni 80 affiancandolo all’attività pittorica e didattica nei Licei della città di Napoli dove vive. Ha pubblicato una dozzina di libri di poesia, in prosa e alcune edizioni d’arte. Tra i titoli più recenti: Le verità bugiarde, 2009; Passaggi di confine, 2011; Di volo e di lava, 2013, Puntoacapo; Jochanaan, 2015, Ladolfi; Un intenso venire, 2017, Passigli; Se questo è il gioco, 2018, Eureka. Promotrice culturale, le sono attribuiti diversi premi e segnalazioni di merito. Collabora con interventi creativi e critici in riviste, in rassegne d’arte, in siti web. Suoi testi poetici sono stati rappresentati come eventi scenici in siti archeologici in Campania e in Sicilia. É tra i fondatori di alcune riviste letterarie, la più recente è Levania, edita a Napoli, di cui è redattrice. Il suo romanzo OLTRE LA LINEA GIALLA è attualmente in corso di stampa.

Profumo di elicriso – stralci della prefazione

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Pubblico qui alcuni stralci della mia nota ad un libro di recente uscita.

Il romanzo contiene una passione forte ma lucida, adeguata alla descrizione dei tempi e della società descritti, la Sardegna di alcuni decenni fa. Come l’autrice stessa ha dichiarato, Profumo di elicriso è stato scritto per conservare la memoria di un episodio realmente accaduto a un suo bisnonno, ultima vittima di una lunga faida, ucciso per la sua sete di giustizia e di legalità quasi mai presenti in quello scorcio di secolo in Sardegna.

La narrazione nasce dunque da una motivazione personale fortissima. Ma riesce ad andare oltre, assumendo, senza forzature, senza vane pretese didattiche e senza tirate morali, un valore più ampio, universale, evidenziando tramite gesti e sentimenti autentici, l’eterno contrasto tra la bassezza e la volontà di elevarsi, tra la violenza e l’aspirazione ad un’esistenza più umana e armonica.

Profumo di elicriso regala, anzi restituisce il gusto di una scrittura sobria ma non sterile e vuota, priva di acrobazie sintattiche e lessicali, numeri da circo ed effetti sbalorditivi, ma mai aliena all’emozione del racconto, la volontà e la necessità dell’affabulazione, qui ulteriormente accentuata dalla profonda motivazione personale, il desiderio di tener vivo il ricordo di un parente che è diventato simbolo della sete di pace e di giustizia di una famiglia. 

Il tono è sobrio, controllato, come se un narratore onnisciente osservasse con disincanto i propri simili, in una sorta di coro, una coscienza collettiva tipica dei piccoli centri a qualunque latitudine. Ma a tratti lo sguardo si apre in un guizzo o in un sorriso, breve, fulmineo, ma in grado di illustrare con efficacia la crudeltà e la solidarietà, la disperazione e la tenacia, la miseria contrapposta alla grandezza dell’animo.

 Alla pubblicazione del libro ho contributo in parte anch’io tramite la lettura, l’editing e la prefazione.

Chi volesse inviarmi in lettura manoscritti inediti di narrativa e poesia, o libri già editi, mi scriva a ivanomugnaini@gmail.com

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Quello che è successo a Joana

Quello che è successo a Joana | Valério Romão,
traduzione di Vincenzo Barca,
Caravan edizioni, Roma, 2017

Uno stralcio della mia recensione a Quello che è successo a Joana di  Valério Romão.
Un romanzo coraggioso, giocato sul ritmo, sulla necessità di una lettura che corre, travolge, coinvolge, senza sconti, senza vie di fuga. 
La recensione completa è a questo link: http://www.zestletteraturasostenibile.com/quello-che-e-successo-a-joana-valerio-romao/ 

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La trama racconta l’attesa spasmodica di un figlio. La ragione di una vita. Quando la realtà sembra avverare il desiderio per un errore umano o per una pugnalata della sorte il sogno diventa incubo, e la ragione si tramuta in follia.

Il libro di Romão ci trasporta in un luogo in cui siamo già stati, anche senza averlo mai visto: l’affastellarsi di idee e oggetti si mescola ai desideri, alle speranze, alle disillusioni, alla pulsioni, alle manie. Ci introduce senza preamboli in quella zona brulicante e intricata che potremmo definire “poesia”; caotica, sincopata, tra ricorse e frenate, slanci e abissi di dubbi e timori. Ci conduce dentro i giorni, normali e fatali, di una donna, di una coppia, di individui con un loro mondo, i loro problemi specifici, personalissimi, eppure in grado di rappresentare quel gioco ininterrotto di esaltazione, attesa, depressione, tonfo nel baratro e risalita.

Romão non indulge mai in questo romanzo nelle cadenze malinconiche del fado. C’è il dolore, c’è la malinconia, la pena, ma non c’è mai la resa incondizionata né il gusto dello struggimento che lacera. I personaggi, la protagonista Joana in particolar modo, si difendono con le unghie e con i denti. Ogni arma lecita è utilizzata, e, quando non basta, pur di non cedere si ricorre anche ad armi non convenzionali. L’erotismo, innanzitutto, agito o pensato, reso esso stesso proiezione del desiderio mentale più assoluto e totalizzante: «Joana, si sdraia a poco a poco al capezzale del letto e le dita della sua mano sinistra tracciano piccoli cerchi, con cautela, per via della fede d’oro con dentro la scritta per sempre […]non se la toglie perché, non essendo preparata all’eternità, lo è ancora meno a riconoscere l’errore».

 

Valério Romão (1974) è uno scrittore,  drammaturgo e traduttore. Si è laureato in Filosofia e ha lavorato come informatico.  È stato selezionato tre volte al concorso nazionale dei Giovani Creatori (2000, 2001, 2002). È stato anche uno dei rappresentanti portoghesi alla Biennale dei giovani creatori d’Europa e del Mediterraneo in Bosnia-Erzegovina nel 2001. Dopo un lungo interregno editoriale, ha lanciato per Abysmo i romanzi “Autismo” (2012) e “O da Joana “(2013), i primi due volumi della trilogia” Paternità fallite “. Ha visto le sue storie pubblicate nelle edizioni portoghese, inglese e svedese della rivista Granta. Ha pubblicato la pièce “The Mala” (Guillotine) e il racconto “Coltelli” (Società delle Isole, 2013), “Da Família” (Abysmo, 2014) e “Dieci ragioni per aspirare a essere un gatto” 2015.  In francese è stato tradotto il suo romanzo “Autisme”. L’editore è Chandeigne. Ha pubblicato su Granta, Revista Egoísta o Somos Somos Livros ed è cronista del quotidiano Hoje Macau.

 

LA BARRIERA

Una mia recensione al romanzo “La barriera”, uno scenario prossimo venturo che ci parla anche del nostro presente e delle gabbie da evitare.

Scritta  per il sito di Anita Likmeta e pubblicata in versione integrale a questo link: https://anita.tv/2017/07/31/la-barriera-il-romanzo-sull-inconsistenza-della-nostra-mente/

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La barriera” il romanzo sull’inconsistenza della nostra mente.

Vins Gallico - Fabio Lucaferri, La barriera, Fandango, Roma, 2017

Il primo e decisivo passo compiuto da Vins Gallico Fabio Lucaferri è l’umanizzazionefar capire che in questo libro non si parla di numeri, di statistiche, di esempi astratti e proiezioni su grafici teorici. Non si parla neppure di personaggi letterari. Si parla di uomini, esseri umani. In quest’ottica i dettagli, le minuzie, le caratteristiche in apparenza inconsistenti, le fragilità, i vizi, le manie, gli oroscopi, gli ascendenti, il gioco del calcio, i luoghi e le cose, contribuiscono a definire una persona, a fare da specchio, facendoci identificare per analogia o per contrasto, dando forma a un riflesso in cui possiamo e dobbiamo guardarci. Da queste infinite tessere differenti si delineano i contorni di un mosaico: il mondo così com’è. Sarebbe bello poter dire che è così solamente nella finzione, ma è proprio questo il nodo, la sfida e il senso di questa narrazione.

C’è una data precisa, il 2029. Indicata con chiarezza, su un’agenda ipotetica ma ineludibile. Una data che appare lontana, eppure conosciamo i ritmi e le cadenze del tempo: quel traguardo è a un passo. C’è la descrizione di un pianeta che è una polveriera, e un solo luogo ancora conserva una parvenza di ordine e vivibilità: il più ricco e potente d’Europa, la Germania. Si salva dal caos imperante, ma a quale prezzo? Cosa si è costretti a pagare in termini di libertà e dignità umana per avere protezione? Lo sfondo del romanzo è quello descritto in questo breve sunto, arricchito da intrecci ulteriori di vite e destini e dal vibrare di trame sotterranee, intrighi, astuzie e controastuzie, corruzione, scontri, fughe, ostacoli e macchinazioni di ogni genere. Mentre ci si muove rapidissimamente da un episodio all’altro, si assimila gradualmente, potremmo dire nel sudore della tensione e della rincorsa, il messaggio sottotraccia, la verità nascosta ad di là della barriera, anche narrativail futuro apocalittico descritto nel romanzo in gran parte lo stiamo già vivendo. Lo intravediamo, ci viene tatuato addosso una goccia alla volta, ogni volta che in televisione all’ora di cena assistiamo a quelle trasmissioni inesorabilmente mandate in onda ogni singolo giorno Ferragosto compreso. Quelle in cui ci dicono, scrivendolo a caratteri cubitali sullo schermo del piccolo-grande-fratello, che siamo minacciati, che verremo schiacciati e che ci ammazzeranno tutti se le porte, tutte quante, non le chiudiamo. Se non ci chiudiamo.

Vins Gallico - Fabio Lucaferri, La barriera, Fandango, Roma, 2017.

Vins Gallico – Fabio Lucaferri, La barriera, Fandango, Roma, 2017.

Per rendere questo senso di oppressione il romanzo adotta un ritmo che non lascia respiro: è la versione narrativa di un film d’avventura, con attraversamenti di terre desolate, città e confini, nuotate da campione olimpionico, corse di velocità e di resistenza, centometristi e mezzofondisti. Ma il vero protagonista, muto ed eloquentissimo, è lo sfondo: il mondo, il solo luogo che abbiamo, il giardino recintato a mo’ di gabbia.Il linguaggio è rapido, frenetico ma preciso. Nessuna frase è buttata là solo per fare conversazione, nessun dettaglio è meramente descrittivo. Tutto è finalizzato a fornirci i dati essenziali di un manuale di sopravvivenza, un docufilm girato a ritmi serrati in cui si mostrano mosse e contromosse, lo scontro tra le regole annichilenti del potere e la volontà di restare vivi. I diritti naturali nello scenario descritto non sono più garantiti, devono essere riconquistati in una corsa da maratoneta e il premio finale, i diamanti da salvare, sono la dignità e la libertà. Gli aguzzini qui sono molto meno appariscenti di quelli descritti nel film di John Schlesinger con Dustin Hoffmann eLaurence Olivier. Sono burocrati in apparenza scialbi, e questo li rende perfino più temibili. In questo romanzo si arriva a far sì che siano le vittime a dover anelare di essere marchiati. Il tatuaggio, l’identity matrix, è la meta per cui si è disposti a fare di tutto. Ci si getta da soli nella gabbia camuffata da luogo stabile e sicuro.

Si procede nel libro, guardandosi anche alle spalle: la Germania, il MuroSchindler’s ListLe Vite degli Altri e mille istantanee immagazzinate nella memoria riprendono vita e si intrecciano ad un futuro che è ipotesi più che plausibile e a un presente che è già dato di fatto vissuto. In un circolo che avvolge e soffoca: con la burocrazia che uccide la dignità senza neppure sporcarsi le mani. I capitoli del libro sono nomi di persona, luoghi e date. Quasi a confermare che ciò che ancora conta è l’equazione spazio-tempo, la possibilità di continuare a conservare la nostra identità a dispetto del mutare delle epoche e dei luoghi. O, meglio, saperla conservare lottando giorno dopo giorno per l’evoluzione, la sopravvivenza della specie autentica, quella specie umana che è costretta a difendere il proprio diritto alla diversità, al pensiero autonomo, alle scelte fondamentali, non ultime la sete di giustizia e di amore.

Moltissimi sono i riferimenti a situazioni che conosciamo bene e con cui interagiamo quotidianamente. Nel 2029 ci sarà ancora Facebook e ci saranno i tatuaggi, ma diventeranno macabre immagini di una gigantesca schedatura collettiva. Ci sarà ancora il sesso. Ma quello descritto nel libro è rapido e quasi incolore. La passione e la gioia sono al di là della barriera. Una delle sensazioni che le pagine trasmettono è che si potrà tornare ad assaporare tutto davvero fino in fondo solo quando la corsa per la sopravvivenza potrà essere interrotta. Coerentemente, nel libro c’è poco spazio per le divagazioni “liriche” e perfino per le pause descrittive. La solo poesia possibile nel contesto raffigurato è quella dei gesti, degli sguardi rapidi d’intesa, come quelli dei naufraghi, dei fuggiaschi. Come quelli delle spie, gli infiltrati in un mondo nemico. Le occhiate rapide di chi si riconosce affine ma non può fermarsi, per non destare attenzione.

La Germania del 2029 ha lineamenti in comune con quella nazista, ma anche con parenti insospettabili, la Calabria del secolo scorso e con lei il Meridione attuale e tutte le mafie di ogni genere e tipo, ad ogni latitudine.

Berlino è la scenografia ideale, per questa narrazione di impronta cinematografica, rapida, intensa. La Berlino di questo romanzo è una città senza cielo, riflessa nei colori scuri di un passato di ferro e di sangue, ma anche nei vetri lucidati a specchio dei palazzi altissimi e dell’arte solenne e geometrica che atterrisce e attrae, inglobando corpi e menti nelle sue strade e nelle immense periferie livide. La bellezza è cupa. Non è morta ma deve essere risvegliata. Nel momento in cui torneremo ad essere armonici, aperti e davvero liberi, ritroveremo anche le luci, i riflessi fascinosi del sole del nord.

Con abilità e in modo quasi subliminale vengono messi in atto parallelismi fondamentali. L’anno descritto si colloca a distanza di un secolo esatto da quello della grande crisi finanziaria, dal crollo di Wall Street e dell’economia globale. Il futuro è adesso e il passato è uno spettro che ancora si aggira nelle case, negli uffici, nelle officine. La Germania del 2029 ha lineamenti in comune con quella nazista, ma anche con parenti insospettabili, la Calabria del secolo scorso e con lei il Meridione attuale e tutte le mafie di ogni genere e tipo, ad ogni latitudine.

Leggendo questo libro si respira a fondo, si è coinvolti anche noi in una corsa vitale, nel senso letterale del termine. La posta in palio è la più preziosa, il nostro diritto a restare umani, con tutto il bene e il male che ciò comporta, con il libero arbitrio, la capacità di riconoscerci affini a chi è diverso da noi. La sfida è ardua, lo scopriamo pagina dopo pagina. L’unico spiraglio è quello offerto dal riferimento all’ideogramma orientale che esprime il concetto di “crisi” facendo riferimento simultaneamente all’idea di pericolo e a quella di opportunità. Ciò che viene descritto e collocato in un futuro prossimo è profezia che già sconfina nella realtà. La vicenda narrata ci prepara, ci invita a mantenere tonici i muscoli delle gambe e del cuore fin d’ora, anzi, proprio ora, nel presente su cui possiamo agire, mutando noi stessi, per poter guardare negli occhi il nostro volto in un volto altro, arrivato da qualche luogo del pianeta di fronte a una Barriera che esiste, ed esisterà, solo se avrà consistenza nella nostra mente.

Estinzione

Estinzione

di Marco Capponi
Edizioni Divinafollia, 2016

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Nella copertina del libro campeggia un quadro di cui è autore lo stesso Capponi. Il quadro in apparenza è rassicurante. In apparenza, appunto. Ed è in questo aspetto esteriormente quieto, geometrico, razionale, che si nascondono profondità e ombre, spazi per riflettere sul lato oscuro della scienza, della mente umana, del presente che anela a diventare futuro diverso, manipolato, geneticamente modificato, potremmo dire. 

Capponi unisce nei suoi libri le sue due grandi passioni: la ragione e il raccontare, la logica e l’immaginazione, o meglio l’ipotesi delle conseguenze della variazione di alcuni dati e parametri di riferimento che sembrano fissi su quel microcosmo complesso e fragile che è il genere umano.

Estinzione immagina un futuro senza tempo, perfino senza morte.

Dovrebbe essere un quieto paradiso. Non è così. Perché ogni azione impone una reazione, un cambiamento nella struttura di un intero sistema, una mutazione nel suo equilibrio instabile e precario che è allo stesso tempo la sua fragilità e la sua unica forza.

L’idea alla base del romanzo è originale e coraggiosa. Capponi la esplora aggiungendovi elementi essenziali e variabili di portata assoluta: l’amore, l’odio, l’orgoglio, la ferocia, la sete di distruzione, il realismo, l’idealismo, l’eros, la poesia…

Un quadro a tutto tondo, nei cui chiaroscuri si intravede la figura umana messa a nudo, analizzata con occhio di scienziato ma anche di letterato. Conservando, a dispetto di tutto, la speranza che non si estingua del tutto la bellezza, la sua possibile, essenziale, viva presenza.

Non guasto con anticipazioni il gusto della scoperta della trama ai lettori interessati.

Mi limito a fare riferimento ad alcuni passaggi del libro, basandomi su due paragrafi della recensione di Rossella Frollà pubblicata sulla rivista Pelagos, a questo link: 

http://www.pelagosletteratura.it/2016/09/15/estinzione-di-marco-capponi/ .

«Un gruppo di scienziati lavora sotto la guida del prof. Franzinelli all’intuizione di uno di loro, Filippo Landi. Si scopre un’ «interazione ordinante» che non disperde energia e informazione ma le organizza e le concentra. Franzinelli si rende conto della possibilità di bloccare ogni processo degenerativo dei sistemi biologici oltre che raffreddare quasi gratuitamente ogni sistema termodinamico. L’«interazione ordinante» va oltre il principio classico dell’aumento dell’entropia dell’universo. Il risultato scientifico sarà quello di trattare la morte, la degenerazione della vita non più come inevitabile. Si renderà possibile la stabilità straordinaria del materiale biologico, superando l’ibernazione e addirittura favorendo il processo di riparazione delle cellule.

Alla applicazione metodologica di tale intuizione seguirà negli anni la mutazione genetica della specie umana. L’interazione ordinante si estende attraverso onde elettromagnetiche che viaggiano nella rete telematica per raggiungere tutti coloro che sono collegati ad essa. Si tratta di un cambiamento epocale che muta il rapporto degli uomini col territorio, con la loro stessa esistenza. Il fine non è più pensabile, né la fine né il tempo se non nella perpetua angoscia del possibile incidente che limita e penalizza l’evitabilità della morte naturale. Questa paura folle costringerà la nuova specie ad abbandonare completamente i mezzi di locomozione aerei e terrestri. Si apre un nuovo eterno pericoloso senso di angoscia».

Qui di seguito il link di un brano del libro letto da Ivano Marescotti.

Di nuovo buona estate a voi, razza non ancora estinta di lettori.

IM

Il tuo nemico – una recensione

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Se amate il minimalismo non leggete questo libro. Se amate narrazioni comode, rilassanti neppure. Questo libro si rivolge a coloro che sono pronti a mettersi in gioco e chiamarsi in causa.

Il succo del romanzo, o meglio il nodo, è correlato all’incontro-scontro tra democrazia e cibernetica, tra la società “reale” e i territori ancora in gran parte inesplorati del virtuale.

 Gregorio, il protagonista del romanzo, è uno dei tanti diversi di cui dovrebbe essere fatto un mondo di uguali. La sua diversità sta nel fatto di non accettare “the way of the world”, il mondo e la strada che ha preso e in cui, con corridoi di cemento e di asfalto in apparenza lisci e comodi, vuole portarci. Una delle domande che si pone e che ci pone questo libro è chi ci ha condotto su questa strada, come e perché.”

Ripropongo qui nel mio sito alcuni stralci della mia recensione a questo romanzo di cui vi consiglio la lettura.

La recensione è stata pubblicata originariamente a questo link: http://www.zestletteraturasostenibile.com/il-tuo-nemico-michele-vaccari/ dove è possibile leggerla in versione integrale. IM

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Michele Vaccari
Editore: Frassinelli
Anno edizione: 2017
Pagine: 290 p. , Rilegato
  • EAN: 9788893420204