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Ritratti impropri: Ayrton Senna, Diego Maradona, Roger Federer

RITRATTI IMPROPRI

In questa rubrica proporrò, con cadenza irregolare, alcuni abbozzi di ritratto di uomini e donne del mondo dell’arte, in senso ampio, esteso.

Saranno ritratti impropri: basati non sulla conoscenza diretta né sulla presenza del modello. Saranno immagine di un’immagine, riflesso di un riflesso.

Eppure saranno reali, per me, perché questi uomini e queste donne sono riusciti a evocare in me, ciascuno a suo modo, ciò che rende questa vita in qualche modo vivibile e in qualche caso perfino intensa e gustosa: la passione.

Non per tutti questi personaggi nutro simpatia. Anzi, in fondo la nutro per pochi di loro. E anche in quel caso in forme e misure differenti.

Con ognuna ed ognuno di loro però sono in debito di emozioni, quelle che spesso derivano dal riconoscere l’affinità o la diversità, la differenza che distingue un ottimo artigiano da un artista. In loro ho intuito e intravisto la follia, esplicita o nascosta, nell’atteggiamento o nella maniacalità dell’applicazione e della concentrazione abbinata a quel mistero glorioso e micidiale che è il talento.

Sono in debito perché hanno saputo farmi guardare, anzi, vedere. Come in uno specchio in cui, in un gesto, un movimento, un colore, uno sfondo, percepiamo noi stessi, ciò che davvero siamo in questa specie di storia di cui non sappiamo niente, neppure se ci siamo davvero.

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Comincio volutamente dalla passione in apparenza più lieve: lo sport.

Quel poco che mi è rimasto nella mente. Quello che resiste agli anni, a questi tempi in cui un buon calciatore viene definito “un prospetto interessante” e in cui si presta più attenzione alle ipotesi del calciomercato che alla sostanza del gesto, alla volontà concreta, al sudore e al genio. Parlo di tre atleti, nel bene e nel male, con le loro doti e i loro difetti, i voli e tonfi clamorosi. Non so se siano i migliori in assoluto. Per me sì. Ma questo conta poco. Quello che conta è che hanno saputo restare presenti, nella memoria e nel sogno, mantenendo vivo ciò che più vale: la lotta al predominio del mediocre, la volontà di andare oltre, un passo più in là.

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AYRTON SENNA DA SILVA

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Appeso ad un’asse orizzontale solleva il proprio corpo a forza di braccia, decine di volte, sorridendo. Lo fa per le telecamere, per mostrare la sua forza, la sua perfetta forma. È appena tornato dalle vacanze. Le ha trascorse con una splendida modella di un metro e ottantacinque senza tacchi su un’isola tropicale affittata per loro due soltanto. C’è rimasto tre settimane. Nel frattempo i suoi colleghi piloti hanno provato le macchine su tutti i circuiti, con le varie combinazioni di carico, di carburante e di gomme e con tutti i climi. Si sono fatti un mazzo enorme, come dicono nei salotti di lusso, percorrendo migliaia di chilometri e cambiando aerei e alberghi come forsennati. Lui, Senna, si è spostato di duecento metri al giorno: dal bungalow, con annesse braccia e tette della modella, alla spiaggia.

Tre giorni prima della prima gara ufficiale della stagione, Senna si presenta alla conferenza stampa. Parla serenamente cinque o sei lingue, con accento brasiliano quel tanto che basta ma con una serietà che sa farsi teutonica. Si mette la tuta e sale su una macchina mai vista prima, mai provata prima. Dopo un giro di riscaldamento parte in progressione e fa segnare il miglior tempo. Migliore di quello di chi ha passato l’estate a sudare e imprecare cercando di limare un centesimo alla volta.

Scende, sorride, poi si fa riprendere di nuovo mentre fa i sollevamenti alla sbarra. Ti viene da dire che è sovrumano. Ma se guardi bene, ogni tendine, ogni muscolo è di cristallo. Attraverso quel vetro traspare una malinconia distante milioni di miglia dalla spiaggia di Copacabana. È la malinconia di chi convive nello stretto abitacolo con la morte, con la consapevolezza di essere chiamato a diventare un mito, controvoglia, dopo aver conquistato l’ennesima pole position, in una curva di una cittadina emiliana, il primo maggio, ai primissimi giri, con la macchina numero uno.

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DIEGO ARMANDO MARADONA

maradona

Di ritratti ne ha avuti tanti, forse troppi. Aggiungerne uno è di certo follia. Ma è stata proprio la follia, la volontà di staccarsi dai prati polverosi ai margini di una metropoli vasta e desolata, a portarlo ad essere ciò che è stato, ciò che è. Maradona non consente mezze misure né colori neutri e sfumati: si ama o si odia. È stato una delle poche persone che è riuscito a mettere d’accordo me e mio padre. Cresciuto durante la guerra, mio padre girava per campi e paesi con il compito di procurarsi il cibo, per se stesso e per gli altri membri della numerosa famiglia. Si narra che un giorno fosse riuscito a rubare un filone di pane dalla bottega di un fornaio. Era ancora caldo, forse neppure completamente lievitato. Eppure la fame, l’attrazione, la passione, erano troppo grandi: lo mangiò tutto, pezzo dopo pezzo, prima di arrivare a casa. Si dice che rimase a letto per molte ore con un fortissimo mal di pancia. Senza mai smettere di sorridere. La gioia di aver avuto quel pane faceva passare ogni dolore. Ecco, Maradona è quella fame, quel pane e quel sorriso. Lo è stato il suo rapporto con il pallone, con il gioco del calcio, con la vita. Il mal di pancia è la realtà, quella che non voleva vedere: come le amicizie pericolose, gli spari ai giornalisti davanti al suo cancello, la ragazza che lo prende per mano e lo porta a fare l’antidoping e lui ride, sereno, come se non sapesse, come se non fosse lui. Eppure, vedere giocare lui dava emozione, a volte perfino commozione, come una musica di cui non tutti gli spartiti sono comprensibili eppure provoca uno slancio dentro, un guizzo, una specie di libertà.

Lionel Messi, il suo erede nella nazionale argentina, possiede statistiche superiori a Maradona in tutto e per tutto. Messi suscita ammirazione, è rapidissimo, efficientissimo, segna goal a raffica e vince palloni d’oro in serie. Messi suscita ammirazione, Maradona suscitava emozione. La differenza è questa. Una piccola, irrazionale pennellata. Ma forse sono solo io che sono invecchiato. Auguro a tutti i giovani la stessa rabbia e lo stesso stupore evocato dal piede sinistro del nanerottolo sovrappeso che disegnava magie.

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ROGER FEDERER

Roger Federer

Federer mi porta a fare inesorabilmente una cosa che non ho mai apprezzato e che mi è sempre sembrata riduttiva, fuori luogo. L’attività in cui, specialmente nel finale della sua carriera di cronista, si produceva Gianni Brera: l’etnoantropologia applicata alla sport. Ovviamente non è in discussione la grandezza di Brera, né come giornalista né come scrittore. Però, personalmente, mi ha sempre fatto ridere pensare che le caratteristiche di uno sportivo dovessero essere associate al luogo in cui è nato (magari per un caso), alla sua etnia o alle sue origini familiari.

Mi ha fatto ridere, ma, nel caso di Federer, lo ammetto, applico anch’io la tecnica di Brera. Roger Federer è figlio di uno svizzero e di una sudafricana. Due popoli che, esprimendo una sensazione personalissima più che una valutazione anche minimamente motivata o motivabile, non trovo particolarmente affini. Poco espressivi, piuttosto freddi, calcolatori, consci di una superiorità derivata da fattori indipendenti dal loro valore intrinseco, figli della storia e della geografia e forse anche della sopraffazione. Qui lo dico e qui mi scuso, anche per la contraddizione con la premessa. Ma tant’è: le sensazioni arrivano e non si possono contrastare.

Federer ha iniziato a giocare da bambino. Si dice che si sentissero dall’esterno dell’impianto sportivo le urla, le offese e gli improperi che rivolgeva ai suoi giovanissimi avversari. Tu sei una nullità – sbraitava – io sono fortissimo, sono il più forte e vincerò Wimbledon. La vita, si sa è molto giusta, e punisce sempre i superbi: Roger Federer Wimbledon lo ha vinto otto volte. Dei suoi compagni di gioco non è dato di sapere. La forza di Federer nasce da un’incredibile alchimia: al gelo delle sue origini è stato abbinato il fuoco di una passione feroce, assoluta. Quella che ha fatto sì che per infiniti anni abbia giocato ogni singolo punto come se fosse determinante non per la sua carriera ma per la sua stessa esistenza. Quello che lo ha portato a compiere gli stessi gesti, gli stessi viaggi, gli alberghi, la preparazione, le conferenze stampa, senza mai provare un istante di noia, senza desiderare altro. Quello che per Agassi era una galera per lui è il solo modo di essere, di esistere, la pura e semplice felicità. Ci sono giocatori che hanno il braccio tennistico, altri hanno polmoni, alcuni altri tattica e cervello. Lui, semplicemente, ha avuto tutto e tutto insieme. A tutto questo, per completare l’opera ha applicato l’antropologia ottimizzata: in campo mai uno spreco di energia, mai una superstizione inutile, mai un litigio che potesse distrarlo. E ad ogni istante una passione infinita per la sola vera inesorabile rivale della moglie Mirka: Mrs Pallina da Tennis. Federer non mi sta simpatico. Not at all, per dirla come a Wimbledon. Ricordo il modo crudele con cui irrise in televisione un giornalista che si era emozionato per avere l’opportunità di intervistarlo. Non mi sta simpatico, Federer. Ma poi lo vedo giocare. Confronto il suo modo di giocare con quello degli altri; e allora spero, anzi auspico. Auspico che possa giocare fino a centottantatre anni. E che il giorno del ritiro convochi una conferenza stampa in cui dichiari: “Il tennis mi diverte ancora. Ho deciso di giocare per un’altra stagione”.

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Destinazioni libri – intervista

Destinazioni libri – intervista

 

Alcune osservazioni su tennis, surf, Internet, ma anche su libri, autori, esordi, personaggi, generi, gusti letterari e “Lo specchio di Leonardo”.
Una mia chiacchierata sulla scrittura con Alessandra Monaco del blog Destinazione Libri 
https://destinazionelibri.com/2016/06/22/ivano-mugnaini/

Chiacchierare con alcuni autori è davvero un piacere e immediatamente si abbattono quelle barriere che forse possono esserci per il “non ci siamo mai visti”, non ci conosciamo. Forse la passione per quello che si fa, porta immediatamente a rilassarsi e parlare come se davvero ci si conosce da parecchio tempo.
Un autore, Ivano, presentatomi da Annalaura, lei dal fiuto raffinato per i buoni libri. Anche questa volta ha colto in pieno l’essenza e il messaggio di questo autore.
Questa la nostra chiacchierata…
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Foto Recanati

Ciao Ivano, benvenuto nel nostro blog, Destinazione libri. Inizierei subito chiedendoti di raccontarci qualche cosa di te, chi sei nella vita di tutti i giorni, cosa fai oltre a scrivere?
Ciao a te Alessandra. Ti ringrazio per l’ospitalità in questo spazio riservato ai libri e ai lettori, specie rara e preziosa, più del panda, che ormai è salvo, per fortuna. I lettori in Italia sono un gruppo tenace ma non numerosissimo, al contrario. Almeno non numeroso quanto dovrebbero e potrebbero essere. Quindi gli spazi come il tuo creano delle riserve in cui la specie dei lettori si conserva, e, fattore ancora più importante, si moltiplica.
Per fare bella figura rispondendo alla tua prima domanda potrei millantare attività mirabolanti, scalatore estremo, paracadutista d’alta quota, esploratore di giungle vergini. Non è così: quando non scrivo… passo altro tempo al computer, per traduzioni, collaborazioni editoriali, articoli, recensioni, e anche per divertimento. Oppure vado al cinema, frequento i miei pochissimi ma buoni amici e pratico sport poco avventurosi e poco originali, calcio, calcetto, tennis (anche se quest’ultimo più che farlo lo guardo in televisione: vedo Federer, faccio un confronto sulle capacità tecniche, e mi dico che è meglio tornare al computer a scrivere).

Quanti libri hai pubblicato?
Ho pubblicato le raccolte di racconti LA CASA GIALLA e L’ALGEBRA DELLA VITA, i romanzi IL MIELE DEI SERVI e LIMBO MINORE e i libri di poesie CONTROTEMPO, INADEGUATO ALL’ETERNO e IL TEMPO SALVATO. Il mio racconto DESAPARECIDOS è stato pubblicato da Marsilio e il mio racconto UN’ALBA è stato pubblicato da Marcos Y Marcos. Di recente pubblicazione i miei romanzi IL SANGUE DEI SOGNI e LO SPECCHIO DI LEONARDO, di cui parliamo qui oggi.

Di cosa parla il tuo libro, Lo specchio di Leonardo?
Senza entrare troppo nei dettagli e nello specifico della trama per non rovinare la sorpresa a chi lo vorrà leggere, posso dire che Lo specchio di Leonardo si colloca in quello spazio che unisce realtà e immaginazione, passato e presente. La vita di Leonardo da Vinci è descritta seguendo riferimenti esatti, sia sul piano biografico che per la cronologia dei suoi più noti capolavori di artista e scienziato. Ma, a fianco di questi dati di fatto, sovrapposta e intrecciata, si innesta una trama che ha come perno la scoperta casuale di un sosia, una replica in carne ed ossa, fedele e perfetta, del genio fiorentino. Un “doppio”, identico a lui come aspetto esteriore ma diversissimo come mentalità, carattere e visione del mondo. Da qui il “folle volo”: l’idea dello scambio di persona e dell’inversione dei ruoli. È questa l’invenzione più estrema di Leonardo: lasciare al proprio sosia il suo ruolo di savio e docile artista al servizio dei potenti e dei ricchi mecenati e fuggire via, verso la vita vera, la sensualità autenticamente sfrenata e gli studi liberi ed eretici.
Con conseguenze importanti, avventure e disavventure, illusioni e delusioni che si dipanano passo passo fino alla sorpresa finale.

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
Lo spunto iniziale del romanzo è nato da un film-documentario, uno dei tanti dedicati a Leonardo da Vinci, alle sue scoperte, al suo inesauribile talento. Veniva mostrato alle prese con gli specchi da lui studiati a lungo per scopi scientifici e militari. Mi sono interrogato, in quell’istante, sul rapporto del genio con la sua immagine. Ho provato ad immaginare il divario tra ciò che appariva al mondo, la gloria e la fama, e ciò che sentiva dentro di sé. Ho pensato al contrasto tra i suoi veri desideri e ciò che era costretto a realizzare in qualità di persona soggetta alle ambizioni dei potenti del suo tempo, signori, notabili, politicanti e ricchi mecenati.
Ho pensato cosa avrebbe fatto se si fosse trovato, per qualche accadimento favorevole, ad essere finalmente libero di agire secondo le sue più profonde e sincere inclinazioni. Come si sarebbe comportato, quali rivalse avrebbe cercato, quali piaceri e quali verità, anche nell’ambito più delicato e significativo, l’amore.

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Come definiresti il tuo libro?
Un romanzo di fantasia unita all’approfondimento psicologico. La vicenda biografica, la storia (con la maiuscola e la minuscola) e l’arte si affiancano ad una vicenda frutto di pura immaginazione che può fornire spunti di riflessione sulla natura del genio ma soprattutto può dare la conferma che qualsiasi uomo, anche il più grande, ha difetti, imperfezioni, vizi, manie e desideri che lo rendono identico, nel profondo, a tutti gli altri.

Qual‘è stata la parte più difficile quando hai scritto il libro?
Forse far combaciare la parte inventata con la vicenda reale, con i dati concreti della biografia e delle opere di Leonardo. In questo mi sono stati di aiuto ottimi libri di storia dell’arte, biografici e di psicologia.


Il personaggio che ti ha dato più filo da torcere quando dovevi descriverlo?
Direi un paio: Lorenzo il Magnifico prima di tutto, modello di perfezione apparente, in grado di esercitare una strana forma di attrazione e repulsione. L’altro Jacopo Saltarelli, il giovane fiorentino che subisce un atto di violenza, un autentico stupro, da parte di un gruppo di aristocratici fiorentini di cui faceva parte anche Leonardo. In questo caso si trattava di descrivere la pena e l’ingiustizia senza cadere nella retorica. Anche qui mi sono basato su alcuni documenti, tra cui anche gli atti del processo conservati negli archivi fiorentini.


Ti trovi alla fine del tuo libro, dove finalmente metti il tuo ultimo punto: che sensazione provi? 
Da una parte di sollievo. Scrivere è anche una corsa, alternarsi di scatti da centometrista a cadenze costanti, da maratoneta. Quindi la parola fine dovrebbe essere una liberazione. Ma c’è di più, per fortuna: ci si affeziona ai personaggi e il distacco è anche una pena. Si preferisce un arrivederci ad un addio.

Il rapporto con i lettori per un autore è importante, com’è il tuo?
Finora buono. Con numerosi lettori si è creata una corrispondenza, un dialogo. Ci scriviamo, mi danno pareri, opinioni, a volte spunti ulteriori. In genere tutto ciò si crea grazie ad affinità elettive, un modo simile di vedere il mondo e la vita. Ma ho un buon rapporto anche con alcuni lettori “critici”, nel senso che non apprezzano del tutto, o per niente, il mio stile e i contenuti. Ci facciamo belle risate: loro propongono soluzioni alternative, io rispondo che sono interessanti. Poi continuo a fare di testa mia.
Però, battute a parte, leggo tutto, con interesse, qualsiasi commento e interazione sono graditi.
E, a questo proposito, se qualcuno che legge questo articolo (e/o il romanzo) e vuole contattarmi, mi farà molto piacere ricevere le sue impressioni.
I miei recapiti sono questi: il sito,  
http://www.ivanomugnaini.it (dove è possibile trovare molte informazioni e numerosi testi) e la mia mail, ivanomugnaini@gmail.com .


Che rapporto hai con i social? 
Buono, nel complesso buono. Ho molti “contatti”, anche se so che c’è una bella differenza tra “contatti” e “amici”. Anche se sui social ho conosciuto molte persone che poi sono diventate effettivamente amici importanti per me. Sui social c’è di tutto. È un mare che contiene pesci di ogni forma, tipo e comportamento. Saperlo aiuta ad orientarsi e a cercare il meglio. Che c’è. C’è anche molto di buono tra ondate insulse, se si sa filtrare e selezionare.
Quindi tornando alla domanda numero uno, posso dire che faccio anche un altro sport: il surf. Sulle onde di Internet, provando ad evitare squali e pesci palla velenosi, e cercando qualche specie affine.

surfIsurf evening

Ivano noi ci occupiamo di esordienti, ma tu leggi esordienti?
Li leggo. Anche abbastanza spesso. Avendo la fortuna di collaborare con alcuni editori, mi vengono inviati manoscritti di autori esordienti, giovani e meno giovani. Inoltre, qualche anno fa, ho organizzato un concorso per racconti e ho ricevuto numerosi testi inediti, di cui molti di autori nuovi.
In qualche occasione, nella quantità, in mezzo al mucchio, per così dire, si trovano delle prove molto convincenti. Se c’è talento spesso la prima prova è quella in cui l’entusiasmo si abbina ad una capacità tecnica già buona. Ne vengono fuori storie fresche, vive e originali. In alcuni casi, per quanto paradossale possa sembrare, la prova d’esordio di un autore è e rimane una delle più convincenti.

Scriveresti un genere completamente opposto da quello che hai scritto?
Non posso dire di avere un genere specifico. O meglio, spazio in vari ambiti, scrivo anche poesia, articoli e critica, e, per quanto riguarda la narrativa, ho scritto racconti di vario tono e contenuto. Più che un mio genere, posso dire di avere un mio modo di scrivere e raccontare, un taglio personale che mi è proprio. Non è escluso, quindi, che possa sperimentare anche ulteriori generi, mi piace esplorare. Alcune volte, per gioco o su sollecitazione di amici o di editori, mi sono avventurato in territori narrativi in cui non avrei mai pensato di entrare, e non mi sono trovato male.
Per il momento escludo solo il rosa, e lo splatter…
Ma mai dire mai… (Quest’ultimo “mai dire mai” però, per il momento, è una battuta).

Un libro che non leggeresti mai… cosa deve avere o cosa manca? 
Non so se c’è un libro che non leggerei mai. Almeno non in modo pregiudiziale, per così dire. Ciascun libro è un mondo, e a volte anche in quelli che orbitano in altre galassie si può trovare qualcosa. Meglio magari un libro con idee diverse dalle mie, come temi e stile, ma sincero e sentito, piuttosto che, magari, un libro ben confezionato ma vuoto. Preferisco un libro non perfetto ma autentico piuttosto che uno tornito e limato ma che non trasmette niente.
Direi quindi che non ho una regola prestabilita: dovrei vedere caso per caso.

Come definisci il tuo modo di scrivere?
Non è facile riassumerlo in una formula.
Posso dire che cerco sempre di raccontare qualcosa. Non amo ciò che è puramente descrittivo o estetizzante.
Tento, a volte, di inserire, quando la trama lo consente, anche qualche cadenza poetica nella narrativa. Come inserire un canzone, o un brano lirico, in una narrazione, in una sequenza di eventi in cui si rispecchia il senso, e a volte il mistero, dell’esistenza.

A quale pubblico sono destinati i tuoi libri?
Anche qui la risposta non è agevole. Non scrivo per un “target” specifico e predefinito. Credo e spero che i miei lettori siano vari e diversi l’uno dall’altro. Il mio non è un linguaggio lineare e minimale. Ma rifuggo anche dallo sfoggio di complicazione fine a se stessa. Recentemente in un concorso letterario europeo proprio Lo specchio di Leonardo è stato letto e premiato da alcuni degli studenti liceali più brillanti di varie scuole italiane. È stato bello vedere che i giovani, spesso ingiustamente considerati “leggeri” o impreparati, hanno apprezzato una storia non facile, basata sulla psicologia, sulla storia e sull’arte. Allo stesso modo le mie narrazioni sono apprezzate da persone di tutte le età: giovani, mature e in alcuni casi molto mature. In un’altra occasione, dopo aver letto un mio racconto scritto in prima persona ambientato in una casa di riposo, una lettrice ultraottantenne mi ha scritto complimentandosi con me perché alla mia età scrivevo ancora racconti. Ho provato a dirle che non ero un suo coetaneo (anche se speravo di diventarlo un giorno) e che avevo vari decenni di meno. Non c’è stato verso: per lei ero un ospite dell’ospizio che aveva scritto un racconto autobiografico. Va bene anche così.

libri

Cosa ti piacerebbe rimanga al lettore di questo libro?
Ogni lettore trova qualcosa di personale, a seconda delle sue esperienze, del suo mondo interiore.
Ho avuto vari riscontri, finora, e ognuno ha evidenziato aspetti diversi, tutti interessanti per me, in qualche caso sorprendenti, angolature che non avevo preso in considerazione, o comunque non nel modo che mi è stato comunicato.
In generale posso dire che spero che dopo aver completato la lettura del romanzo possa restare al lettore il senso del mistero della vita, l’eterno contrasto tra bene e male, bellezza e violenza, vita e morte. Tra uomini in lotta tra di loro, ma anche all’interno di ogni singolo individuo.

Quanto sei presente tu nei tuoi personaggi? 
Molto. Nonostante tutto, nonostante le maschere e i filtri, ogni personaggio, anche il più negativo, contiene, per analogia o per contrasto, qualcosa che ho visto o che ho vissuto, fuori, tra la gente, o dentro di me.


Stai pensando ad un prossimo libro? 
Ho a disposizione vari racconti inediti, che vorrei pubblicare.
Credo molto nel racconto, anche se purtroppo questo genere, amatissimo in molte altre nazioni, nel mondo anglosassone in particolare, ma non solo, in Italia non è molto apprezzato. O meglio, molti editori non lo considerano un genere prioritario.
Spero di trovare un editore disposto a scommettere sui miei racconti.
Se lo trovo, sarò lieto di parlarne qui, se vorrete.
C’è, inoltre, un altro progetto a cui tengo molto. È in cantiere e spero possa concretizzarsi entro quest’anno. Si tratta di un libro di articoli dedicati a grandi scrittori del Novecento e ai loro luoghi di nascita, di vita e lavoro e di “elezione”. I borghi, le città e gli angoli del mondo in cui sono nati, da cui hanno tratto ispirazione e che hanno scelto come loro patria ideale.
Il libro avrà come titolo “Viaggi al centro dell’autore” e conterrà articoli e saggi brevi pubblicati nella rubrica omonima nel mio sito, a questo link: 
http://www.ivanomugnaini.it/rubrica-viaggi-al-centro-dellautore/.
Sarà un’occasione per rileggere e riscoprire grandi autori della nostra letteratura attraverso le tracce che hanno lasciato nei luoghi che li hanno ospitati e ispirati.

viaggi

Quanto è importante la copertina per il tuo libro?
La copertina è l’immagine chiave, la vetrina su cui si affaccia il lettore.
Nella copertina de Lo specchio di Leonardo c’è un volto diviso a metà, metà Leonardo, metà Gioconda: il maschile e il femminile, la bellezza e il tormento della mente, la gioventù e l’avanzare dell’età. Conflitti fatali, ma anche un’attrazione arcana, potentissima.
La copertina contiene la chiave cifrata della sciarada, l’enigma che, pagina dopo pagina, viene mostrato, indagato e risolto nel libro.

La domanda che non ti abbiamo fatto e che ti aspettavi? 
Sinceramente (e ti assicuro che non si tratta di un modo per schivare l’ostacolo) non c’è: le domande sono state varie, originali e mi hanno portato a parlare di molti punti chiave, di me e del romanzo.
Ti ringraziamo Ivano, per essere stato con noi, per averci dato la possibilità di parlare di te e presto ti rivedremo protagonista sempre in queste pagine, per parlare del tuo libro a cura di Annalaura, che come sempre ringrazio.
 
Buona lettura
Alessandra