Archivi tag: Pessoa

Verso un altrove – recensione con intervista

Verso un Altrove

Cristina Lastri Verso un Altrove, Le Mezzalane, 2019

Recensione di Ivano Mugnaini
 
“In sana sommossa / verso l’isola che forse c’è”, scrive Cristina Lastri in una delle liriche di questo suo recente libro. I versi ci indicano una strada fatta di rettilinei e di curve oltre cui bisogna trovare il coraggio di andare. La sommossa, innanzitutto, è un momento di svolta, un deliberato scarto; ma il vocabolo si integra con quell’aggettivo “sana” fino a costituire un binomio inscindibile, un tutt’uno. La natura dell’aggettivo non modifica la forza e la schiettezza della rivolta. Anzi, semmai la rafforza. Una vera sommossa nasce da radici salde, dall’esperienza delle cose viste e percepite, perfino dagli errori, dagli sbagli di valutazione. Solo con quel bagaglio di esperienze si può intraprendere il viaggio verso la meta auspicata, quell’isola che, ribaltando un noto riferimento letterario, in questo caso c’è, esiste. Il libro è la sintesi dettagliata di un viaggio, un tragitto che, come ci indica il titolo, ci porta lontano.
Come ha sottolineato Cristina Lastri nell’intervista per la rubrica A TU PER TU, il timone idealmente è rivolto verso “un altrove”, non verso l’Altrove indistinto e assoluto.  Il cammino personale dell’autrice si estrinseca in varie “tappe” all’interno di questo libro.  Si può rilevare una prima forma di “evoluzione”, un mutamento di prospettiva, sia cronologico che “visivo”, per così dire, un differente punto di vista: “La sete di conoscenza mi ha permesso di emergere da una sorta di eremitaggio introspettivo e di rivolgere lo sguardo oltre, verso un fuori da sé”.  
        Il materiale di base con cui costruire l’imbarcazione per raggiungere l’auspicata isola è la conoscenza, ottenuta tramite la passione per i libri e per tutto ciò che arricchisce il bagaglio personale, non di nozioni ma di empatia, per il mondo, per il bene e il male, per i chiaroscuri la cui accettazione può condurre al prezioso senso dell’armonia con il cosmo. L’abbandono dell’eremitaggio permette di estendere il campo visivo e di favorire l’uscita da sé, ossia l’acquisizione di una dimensione interiore altra, situata in un altrove che più che un punto fermo è un processo graduale e costante di “simpatizzazione” con il mondo.
 La cura può avere luogo nel momento in cui la mente e il corpo dialogano sulle stesse frequenze e sulla stessa lunghezza d’onda. Non è un caso che a volte il solo modo di accelerare il passo, sul piano poetico e non solo, sia quello di rallentarlo, e non è un caso che questo libro faccia riferimento esplicito e costante alla pratica dello zen, alle strade che conducono a percorsi zen utili al perdersi e al ritrovarsi.

Continua la lettura di Verso un altrove – recensione con intervista

“Monte Stella”: il cronometro, la clessidra e il magnetofono

Monte Stella (poesie 2014-2019) - Luigi Fontanella - Libro - Passigli -  Passigli poesia | IBS
Monte Stella: Variazioni sul tema del tempo e della realtà
in Luigi Fontanella
Il riferimento alle variazioni sul tema richiama immediatamente la musica. Un mio professore del liceo sosteneva che la musica è matematica. Un altro sosteneva che è illogica astrazione. Entrambe le affermazioni sono vere ed entrambe sono false. È qui che subentra la poesia. La sola in grado di accogliere in sé il vero e il falso, la realtà è ciò che va oltre, sopra, sotto, nei meandri, nelle vene sotterranee, al di là del confine e del limite.
Il recente libro di Luigi Fontanella, Monte Stella, parla di moltissime cose. Spazia, racconta, immagina, disegna e compone. Ma soprattutto gioca, con “orrore” ma anche con il gusto di addentrarsi dentro un dedalo di “cose buffe”, con il Tempo, operaio, capomastro e inesorabile padrone della palazzina eternamente in affitto e perennemente in costruzione che è la Vita.
Per parlare adeguatamente di un libro ricco e complesso come Monte Stella bisognerebbe essere amici del principale e possedere moltissimo del suo materiale da costruzione. Qui ed ora, in questo spazio telematico, ciò non è possibile. Ma abbiamo comunque a disposizione un modo semplice e bello per fregare il “capoccia”: comprare il libro e leggerlo, con la dovuta calma e la dovuta attenzione che si riservano a parole che sono il frutto di anni di scrittura, di ricordi e di vita vissuta.
Hic et nunc, possiamo esplorare, come in un immaginario volo di aliante, il Monte eponimo.
In primis, qualche chiarimento sul titolo, in apparenza sibillino, di questo articolo. Conosco Luigi Fontanella da alcuni anni e ogni tanto mi reco nella sua casa fiorentina per fare una chiacchierata di aggiornamento. Sarebbe elegante e assez maudit dire che beviamo litri di Chianti, invece spesso ci gustiamo ottima acqua, oppure, visto che arrivo sempre nel pomeriggio, un tè. Poco british, ma sempre tè. Durante le nostre chiacchierate parliamo non solo di idee astratte ma anche dei modi concreti, dell’aspetto “pratico” dello scrivere, che poi, a ben pensare, influisce molto sulla forma e sui contenuti. Fontanella mi ha rivelato che spesso scrive di notte, nel dormiveglia, e che per poter annotare rapidamente le idee utilizza un magnetofono. Ecco, credo che in questo oggetto, a metà strada tra modernità e tradizione, passione e riflessione, immediatezza e ragionamento rielaborato come materia onirica plasmabile, ci sia molto della poetica di Fontanella in generale e del libro di cui ci occupiamo ora in modo più specifico.
Faccio riferimento ad un’intervista rilasciata da Fontanella a Rodolfo Di Biasio per il magazine “America Oggi”. Nella risposta alla domanda iniziale, Fontanella cita il suo libro d’esordio, La verifica incerta, pubblicato nel 1972. La sua reazione al pensiero del lasso di tempo trascorso da quella prima pubblicazione è «stupore misto a incredulità e orrore». Entrano in scena, qui, gli altri due “oggetti” del titolo: il cronometro e la clessidra. Il primo è lo strumento atto ad un’inesorabile, scientifica misurazione. Un modo asettico di calcolare lo scorrere dei secondi che diventano meccanicamente anni e poi decenni. La clessidra invece è un marchingegno più semplice e più complesso, in ugual misura: è un concetto più che un oggetto. È talmente lento da concedere di inserire, assieme alla sabbia che scorre, anche il sapore del mare che si è vissuto, dei campi della gioventù, delle regole, delle trasgressioni, dei volti amati e odiati, delle persone affini e quelle da cui ci si è allontanati. La clessidra è un simbolo. Forse è la poesia: una misurazione volutamente, necessariamente umanizzata. L’opposto della precisione. È un tempo che, pur restando spietatamente “palazzinaro” e “usuraio”, si può rendere, tramite il gioco e il trucco delle metonimie, quasi umano, sostenibile, cantabile. Il quarto oggetto, non citato esplicitamente ma sempre presente, è un metronomo: la musica è un modo di muoversi nel tempo in modo più armonico, meno robotico. I riferimenti alla musica, diretti e indiretti, allusi o dichiarati come abbracci, sono numerosi e significativi. Si veda in particolare l’ultimo componimento del libro, “Il movimento dei rami” che Fontanella introduce in questo modo: «nato esattamente da alcune suggestioni derivate dall’ascolto di una composizione al pianoforte di Ezio Bosso: un musicista che ho scoperto sette anni fa. La sua immatura, recente scomparsa mi ha profondissimamente addolorato».
Su questo terreno ha luogo lo scontro, la battaglia decisiva: preso atto del lutto e del processo dell’invecchiamento (un’azione costante di aggressione a ciò che abbiamo di bello e di caro) resta da impostare una strategia, necessariamente autonoma e individuale, di difesa. Non è un caso forse che sulla copertina del libro campeggino, come uno stemma, versi essenziali: «Qui si celebra il canto del distacco. / Una porta sui campi. / La gabbia vuota. / Il richiamo di capelli e sorrisi / da un balcone all’altro / Siamo / solo bambini, conchiglie / dimenticate al vento».
Prima di tutto la celebrazione, la ritualità. Volere e sapere dare sostanza di emozione, nell’attimo e nel ricordo, ad ogni accadimento, anche quelli in apparenza minimi, conferendo loro una laica, sentitissima sacralità, è la prima barriera contro l’avanzare dell’oblio. Poi quell’esclamazione, lieve e possente, “siamo solo bambini”. Genera innanzitutto una ciclicità, un continuum tra infanzia e senescenza. E si sa, il cerchio non ha spazi vuoti, non consente al nemico di insinuarsi all’interno senza essere contrastato. C’è, inoltre, il richiamo all’aspetto ludico, del vivere e dello scrivere. È il contrario della sciatta approssimazione, questo va chiarito. Si tratta, al contrario, di quella deliberata volontà-necessita di guardare il lato oscuro della luna, l’umorismo pirandelliano, la salvifica autoironia di Svevo (che Fontanella ha studiato e assimilato a lungo e con cura), oppure la verve dissacrante dei surrealisti, a partire dall’amatissimo Breton, fino a raggiungere uno ad uno tutti i modelli e i compagni di viaggio ideali, Bontempelli, Artaud, Pessoa, Aleixandre, Landolfi, Rilke, Delfini, Campana, Corazzini, Calogero, Gatto, Savinio, Anna Maria Ortese e molti altri che non elenco ma che chi legge il libro ritroverà, nitidamente. Autori diversi tra loro eppure con un filo rosso che lo stesso Fontanella identifica nella loro ispirazione visionaria sostenuta però da esperienze forti e laceranti, di vita vissuta.
La vita vissuta contrapposta alla dimensione onirica. Anzi no, non contrapposta, semmai affiancata, sovrapposta, in un intreccio astratto e tuttavia carnale. La poesia recente di Fontanella è contraddistinta da questo fare bilanci “in fieri”. Già ne L’adolescenza e la notte l’autore ripercorre le strade dei ricordi e li conduce di fronte al presente consentendo loro di incontrarsi, guardandosi negli occhi.
Quella che nel libro precedente era una contrapposizione dialogica, un contrasto, qui, in Monte Stella «diventa un polittico che si articola attraverso cinque sezioni». Il termine “polittico” richiama la pittura, ma potremmo aggiungere ancora un riferimento alla musica definendo le composizioni di Monte Stella “polifoniche”, tra «intrecci fra il presente, il passato e qualche proiezione del futuro; una sorta di andirivieni del pensiero che rivisita alcuni luoghi del salernitano, del nostro Mezzogiorno, di Roma, di New York e della Provenza, ma anche con riferimenti a personaggi della mia famiglia o ad alcuni compagni della mia giovinezza, fino all’esperienza assiale della paternità e, per riflesso, quella relativa ai miei Lari».
Una caratteristica fondamentale di Monte Stella è la scelta di non chiudere, di non prospettare neppure per un istante, pur nella cognizione del tempo e del dolore, una linea orizzontale che ponga termine alla sequenza delle cose e degli eventi, dei sensi e dei sentimenti.
Fontanella è consapevole di ogni strappo, di ogni ferita, al giusto, al bello, all’essenza stessa dell’umanità. Ma il suo pessimismo è fronteggiato sempre, e regolarmente sconfitto, o almeno placato, mutato di volto e di segno, da una vitalità, nel senso stretto e metaforico del termine, che non si esaurisce e non si placa. Molte sono le poesie del libro che confermano questa tendenza. Un esempio, lineare e forte, è quello della lirica di pagina 74 dedicata alla figlia Emma: «Una sola certezza, una piccola figlia / ora già donna». Con un finale mirabile nella sua immediatezza: “Non scordarti mai che tu mi sei figlia». Per creare il cerchio di cui si è detto, quello che contrasta il tempo e la morte, non servono materiali complessi, servono materiali saldi. E il verso citato ne è un valido esempio.
Sono le radici ed i rami, e la possibilità di essere allo stesso tempo gli uni e gli altri, a combattere la tentazione della resa. Oltre ai Lari, e oltre ai figli, ci sono i luoghi, quelli reali e quelli mitici, e anche in questo caso confonderli, nella mente e nel cuore, contribuisce a rinforzare la barriera difensiva.
Monte Stella è un libro di memorie, un diario di viaggio, ma anche, in fondo, un autoritratto. Il ritratto di una “verde senescenza” ma anche quello di un pessimista tenacemente appassionato e saldamente avvinto alla vita. Un poeta che registra con il magnetofono versi onirici che sono assolutamente reali e ricordi reali che sono assolutamente onirici. In una raccolta di poesie che parla di distacco ma che ancora ricerca «il Senso, se senso esiste, che regola la vita». E, a dispetto di tutto, spera e crede che la poesia «possa giocare un ruolo di miglioramento etico-sociale della nostra esistenza, minata continuamente da sciagure, ingiustizie, soprusi».
Questo libro ci conferma che, anche se siamo conchiglie dimenticate nel vento, possiamo «aspettare un’alba – come sempre». Ci dice, anzi ci racconta, del «vento che non smette di / soffiarti sulla faccia», ma anche di quella parte insondabile, magica, che vale comunque la pena di annotare, ascoltare e rivivere: quel «bambino che dorme / disegnando nell’aria il suo nudo / mistero».

Ivano Mugnaini

Monte Stella": raccolta di poesie di Luigi Fontanella

LA LINEA DEI PASSI

La linea dei passi - copertina

Enzo Rega, LA LINEA DEI PASSI,

Prose sulle città e il viaggio,

Edizioni Helicon, Arezzo, 2020, pp. 180, € 14,00
Tra il frammento e l’insieme; l’impressione è che Rega prediliga questa seconda componente, l’unitarietà, la sincronicità. Non è casuale la scelta del bel titolo del suo libro, La linea dei passi, pubblicato da Edizioni Helicon.
Il passo è l’espressione di un singolo percorso, spesso “sincopato”, dettato da elementi esterni, le caratteristiche del tempo, del terreno, del clima. Ma la linea riassume in sé i singoli passi e dona loro un orientamento e allo stesso tempo una ricerca di parallelismi e convergenze, sia con il tempo individuale che con quello collettivo. Lo sguardo di Rega è spesso, e con sincera autenticità, rivolto al sociale, a ciò che va oltre estemporanei egoismi. Perfino in questo libro la cui tematica, il resoconto dei suoi viaggi, avrebbe potuto condurlo ad una visione autoreferenziale, ha preferito, per istinto e per scelta, tracciare una retta, un insieme di punti che hanno reso unitaria e coesa la sua visione del mondo. Una Weltanschauung basata su dati esteriori e concreti, visti, percepiti e mandati a memoria, ma in uguale misura mentale ed estetica, fatta anche di parole, di arte, di filosofia, di tutto ciò che contribuisce ad estendere e a rendere più compiuta la visione e la percezione.
          Tra le numerose epigrafi poste in apertura dei vari capitoli, quella tratta da Lento ritorno a casa di Peter Handke è utile e in qualche modo emblematica a tale riguardo: “Quel che ho sempre pensato tra me è niente; io sono soltanto quel che m’è riuscito di dirvi”. Lo sguardo è parola. Ossia, la pienezza della percezione è un atto che si compie appieno nell’istante in cui trova forma e misura. Il vero viaggio, sembra dirci Rega, avviene quando l’emozione trova una dimensione estrinsecabile, manifestabile. Ciò mette in connessione anche il luogo fisico esterno e l’interiorità, l’io e l’altro. Il viaggio è un atto di condivisione e di generosità, nei modi e negli intenti di Rega: un modo per avvicinare nel senso più ampio del termine, alla ricerca di radici comuni, all’insegna di ciò che lega gli esseri umani a qualunque latitudine.
          La parola, è giusto ribadirlo, è la chiave e il passaporto, il biglietto d’andata e quello del lento, ma più denso, ritorno. Molti dei riferimenti agli autori di riferimento di Rega si trovano nella ricca e partecipata nota critica di Luigi Fontanella pubblicata lo scorso febbraio nel magazine America Oggi. La riporto qui in calce, come preziosa fonte di informazioni sul libro. Riporto anche una breve ma significativa nota dell’autore, in cui ci vengono forniti alcune notizie e dati che ci aiutano a collocare, dal punto di vista cronologico e non solo, il libro.
          La rubrica “Segnalazioni” intende proporre libri interessanti, generando auspicabilmente curiosità, interesse, voglia di approfondire il discorso tramite la lettura diretta.
          Del libro di Enzo Rega aggiungo una considerazione sullo stile, o meglio sull’approccio. Rega è anche critico, studioso di letteratura, cinema ed altre espressioni artistiche. In questo suo libro tuttavia ha deliberatamente scelto un atteggiamento informale. Le pagine scorrono, piene, sempre interessanti, ma il passo è fluido e lieve. Attraverso ciò che ha visto e che, adesso, come osserva Fontanella, “enarra”, Rega parla di ciò che ha percepito, le assonanze, visive e letterarie, i rimandi, gli echi interiori. Coerentemente con il suo carattere e la sua personale filosofia, Rega ha preferito in questo suo “giornale di bordo” un’espressione sobria, lineare, facendo ancora riferimento al titolo. Ha parlato del mondo e della vita senza tralasciare niente dei dettagli e delle prospettive, ma a passo lento, di modo che ciascun compagno di viaggio possa seguire e cogliere ogni angolo ed ogni sillaba. “La pagina ha il suo bene solo quando la volti e c’è la vita dietro”. In questo libro si applica con passione questo motto di Italo Calvino. E, con altrettanta coerenza e consapevolezza, si mette in atto la considerazione fondamentale, valida in ogni tempo e in ogni ambito, di Fernando Pessoa: “I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”.
IM
 
§§§§§§§§§§

Nota dell’autore

I testi de La linea dei passi risalgono agli anni Novanta e anche prima: il libro, così come si presenta, è stato chiuso intorno al 1998. Mi accorsi, allora, che le cose che scrivevo ruotavano intorno al viaggio e alla ricerca d’una città come luogo, topos, del possibile. La casualità diventò progetto consapevole. Il viaggio è la vita (la vita è viaggio), la scrittura stessa un viaggio nella vita e nella letteratura nelle diverse forme: racconto, lettere, diari. Perciò prose.
 
§§§§§§§§§§
 

Dietro i “passi insoliti” ed “extravaganti” di Enzo Rega

di Luigi Fontanella

Mi fa piacere segnalare un bel libro di narrativa, insolito ed extravagante, recentemente pubblicato da Enzo Rega: critico di cinema e letterature multidisciplinari, poeta, studioso di filosofia e docente napoletano. Rega è di origine genovese, ma vive ormai da decenni nel napoletano, per la precisione a Palma Campania, dopo aver vissuto anche a Bergamo e a Siracusa.
          Ho detto “insolito” ed “extravagante” perché il libro, che ho appena finito di leggere, La linea dei passi (Edizioni Helicon, vincitore del Premio “La Ginestra” 2018, ISBN 978-88-6466-552-4), è una raccolta zigzagante tra riflessioni, pagine diaristiche, lettere, improvvise illuminazioni, brevi o lunghe narrazioni vere e proprie, eccetera eccetera; quasi tutte condotte sul filo odeporico di un viaggiare (reale e mentale) che ha portato il narratore in varie città italiane ed europee.
          In ognuna di esse Rega ha ricevuto e – a sua volta ha restituito su queste pagine – impronte e folgorazioni flagranti.  Uso di proposito quest’ultimo aggettivo proprio pensando a una terminologia estetica (mi viene in mente Cesare Brandi quando scriveva, che, di fronte a un’opera d’arte, avvengono fenomeni di astanza e flagranza). Del resto il sottotitolo di questo volume è già di per sé abbastanza esplicito, e recita appunto “Prose sulle città e il viaggio”.
          Leggendolo, si ha come l’impressione di essere man mano catturati in una sorta di (ragna)tela labirintica, nella quale momenti puramente diaristici si intrecciano con felici agnizioni, girovaganti meditazioni alla Robert Walser, incanti, illuminazioni, struggimenti mnestici e straordinarie intuizioni critiche alla Walter Benjamin. Un magma, il tutto, depositato in prose che rifiutano una loro “canonica” collocazione o una stantia coesione organica, ma che fluttuano liberamente nella mente del “viaggiatore” scrivente, il quale ce le porge anche in forme epistolari o di pure descrizioni intratestuali da lui riportate puntualmente con sguardo come casuale e infallibile insieme.
          Tutto questo, beninteso, senza che ci sia alcuna tonalità self-indulgent, o, peggio, sentimentalistica. A Rega piace muoversi in totale libertà fra le varie esperienze da lui vissute in prima persona e le ripercussioni che queste hanno provocato nella sua mens; una Erlebnis che si distende seducente, pagina dopo pagina, e che nel complesso risulta variamente cattivante e coinvolgente. Dietro queste pagine fanno capolino i vari Maestri o angeli custodi che hanno nutrito l’immaginario di Enzo, a partire da nomi stellari come Nietzsche, Pessoa, Hugo von Hofmannsthal, Musil e Benjamin, fino ad arrivare a scrittori della generazione successiva, come Cesare Pavese, Peter Handke, il nostro Tommaso Landolfi.
          Un libro, in ultima analisi, che una volta letto, quasi vorrebbe spingere il lettore – al pari di quell’indimenticabile passeggiatore solitario, su cui ha scritto pagine di eccezionale bellezza W.G. Sebald – a recarsi proprio nei luoghi da Enzo enarrati, per andarli a visitare con i nostri e i suoi occhi, magari portandosi dietro questo suo segmentato vademecum narrativo,  e rileggendosi le pagine dedicate a questa e o a quella città (Praga, Londra, Milano, Basilea, Mulhouse (Alsazia), Bruxelles, Berlino, Verona, ecc. e, pur sempre, la natia Genova del nostro viaggiatore-scrittore.

 

“La linea dei passi” di Enzo Rega, pp. 182, Edizioni Helicon, 2019, € 14,00                     in “America Oggi”, Magazine domenicale 16 febbraio 2020
 
 §§§§§§§§§§§
 

ENZO REGA, nato a Genova nel 1958, risiede a Palma Campania (Napoli), e ha vissuto anche a Bergamo e a Si­racusa. Si occupa di letteratura, filosofia, cinema e critica della cultura. Insegna in un liceo e ha collaborato con l’U­niversità di Salerno e il “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Redattore di “Gradiva” e “Levania”, scrive per “L’Indice dei libri del mese”, “Poesia”, “Italian Poetry Review”. Tra i volumi pubblicati: di narrativa Le albe inutili (C.E. Men­na, Avellino 1980) e Due volte futuro (Michelangelo 1915 Editore, Palma Campania (NA) 2010); di poesia Acroniche angolazioni (Forum / Quinta Generazione, Forlì 1982) e Indice dei luoghi. Poesie da viaggio (e d’amore) (Lace­no/Mephite, Atripalda (AV) 2011); di saggistica Berlino e dintorni. Arte, cultura e vita nel Novecento (Edizioni “Il grappolo”, San Severino (SA) 2001); A colloquio con i po­eti: De Angelis, Fontanella, Neri (con Carlangelo Mauro, Stango, Roma 2003); Il cinema come fenomeno sociale (con Pasquale Gerardo Santella, Loffredo, Napoli 2005); Deri­ve mediterranee. Immagini letterarie da Napoli all’altra sponda (con una nota introduttiva di Ermanno Rea, l’arca e l’arco edizioni, Nola (NA) 2012; menzione d’onore al Premio “Casentino” 2018). Con la Zanichelli ha pubblica­to, tra il 2014 e il 2017, un corso per le scuole superiori di Scienze umane.