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A TU PER TU – Bruno Di Pietro

“Sono napoletano, città in cui esercito la professione di avvocato, appassionato di poesia: non amo autodefinirmi poeta. Scrivo in versi e ho pubblicato più lavori. Di carattere normalmente sincero, dico sempre senza remore o timori reverenziali ciò che penso, ma sono anche incline all’ascolto pronto a cambiare idea se mi convinco della bontà della opinione altrui. Sono incline alla ironia, spesso esercitata come autoironia. Questo lo si trova anche nei miei versi. Non amo i Poteri (specie se detenuti senza alcun merito) né li temo. Non mi inchino davanti a niente e a nessuno”.
Un autoritratto schietto, sincero, che invita ad alcune considerazioni. La prima è quasi la conferma di una regola non scritta: spesso chi dichiara di non essere poeta in realtà lo è. Che poi sia vero non di rado anche il contrario è piuttosto probabile. Ai posteri l’ardua sentenza, anche se i contemporanei qualche idea se la sono già fatta. Tornando a Bruno Di Pietro emerge dunque dal suo caravaggesco ritratto che oltre ad essere poeta senza gridarlo in faccia al mondo, è persona autoironica e libera, anche in questo caso in modo concreto, mettendoci la faccia, non solo i proclami.
Il libro che presenta qui in questa sua intervista è Colpa del mare e altri poemetti. Ed è originale, felicemente fuori schema, quell’abbinare il mare alla colpa. Di solito il mare è esaltato, elogiato, incensato. Qui è associato a qualcosa che nessuno vorrebbe, ma potrebbe anche essere una forma di amore ulteriore, chissà. Se prima l’ardua sentenza era affidata ai posteri qui è riservata a chi vorrà leggere, scoprire, attraversare le onde e assaporare il sale dei versi. Di Pietro possiede una carnalità elegante, quasi una forma di spiritualità tattile. Un modo di esplorare perfino l’intangibile con i sensi. Non è un caso che anche il mezzo della scrittura, l’atto dello scrivere, diventi esperienza sensuale, in senso stretto prima ancora che metaforico: “Di personale posso dirti che Colpa del mare è la mia vita. Chi la conosce sa esattamente a cosa si fa riferimento in ogni singolo verso. Di intimo aggiungo che tutto è conservato nei miei quaderni di cui ho una cura maniacale. Amo scrivere a penna e matita. Su carta buona se non pregiata. E ho una bella serie di penne stilografiche e asticciuole e vecchi pennini. Inchiostrare è per me lussuria purissima”.
La curiosità del lettore è chiamata in causa, adeguatamente sedotta. Non resta che leggere, questa intervista e quel libro che parla di colpe e di onde sapide, come la poesia.
IM
 
A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI

nuovo colpa del mare

5 domande

a

Bruno Di Pietro

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie a te, innanzitutto.

Un “autoritratto” chiesto a chi come me non sa fare nemmeno un selfie è una bella domanda. Un po’ mi imbarazza, un po’ per carattere direi tutti i difetti che ho trasformando la risposta in un “confiteor”. Ti dico che sono napoletano, città in cui esercito la professione di avvocato, appassionato di poesia: non amo autodefinirmi “poeta”. Scrivo in versi e ho pubblicato più lavori.

Di carattere normalmente sincero, dico sempre senza remore o timori reverenziali ciò che penso, ma sono anche incline all’ “ascolto” pronto a cambiare idea se mi convinco della bontà della opinione altrui. Sono incline alla ironia, spesso esercitata come “autoironia”. Questo lo si trova anche nei miei versi.

Non amo i Poteri (specie se detenuti senza alcun merito) né li temo. Non mi inchino davanti a niente e a nessuno.

In sintesi “non te la mando a dire”.  Questo vale per tutti. Non sono abituato, né mi piace , passare per la sagrestia : all’altare ci vado diritto.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Con Oèdipus Edizioni nel 2019 ho pubblicato “Baie”. Ma quello pubblicato con lo stesso editore nel 2018 (“Colpa del mare e altri poemetti”) è senz’altro il mio lavoro più importante. Molti lo hanno definito “raccolta” altri “antologia” ma tengo a dire che è un unico solo “libro” dalla prima all’ultima parola, segue un progetto ed ha un “senso” nella sua interezza. E copre il lavoro che va dal 1995 al 2012.

Si dà conto in esso della questione “aurorale” della filosofia occidentale: da un lato il pensiero di Parmenide (la “fissità” dell’Essere) dall’altro quello di Eraclito (il “divenire”, l’Esserci) detto in sintesi estrema e impropria. Non a caso l’esergo è un frammento di Eraclito, mentre il libro si apre con le “Dieci Eleatiche”. L’ “orgoglio della scienza” da un lato, “il “frutteto in rigoglio” dall’altra (come nel testo eponimo). Con una inclinazione verso l’affermazione che “L’Essere è l’Esistere” e che noi più che “Essere-gettati-nel-mondo” “Giaciamo-nel-mondo”.

E che fra “l’Inizio” e “la Fine” c’è un “nel frattempo” che è la nostra vita.

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Il lume della follia

Prisco De Vivo, Il lume della follia, Oèdipus Edizioni, 2019
nota di lettura di Ivano Mugnaini
È quasi ossimorico il titolo della raccolta di Prisco de Vivo. La follia è pervicacemente associata, da secoli, al buio, all’oscurità. Si tende a dire “una mente offuscata dalla follia”. Ebbene, tramite i versi e le immagini, tramite l’interazione tra la parola e la dimensione visiva (intensa in senso ampio, anche come sguardo ulteriore, al di là delle barriere preconcette), De Vivo ci propone, anzi, ci conduce a vedere il lato luminoso della follia.
Nella sua visione di credente, inoltre, la luce non può non abbinarsi in modo immediato al concetto, anzi all’atto della fede. Fede intesa, appunto, come volontà di scardinare le barriere che impediscono l’autentica comprensione tra gli esseri umani.
«Quando citi le cose del mondo che ti limitavi a tenere nascoste, mi sono sentito ancora più trascinato dentro questa tua illuminante raccolta», ha scritto Paolo Ruffilli in una nota di lettura il cui testo riporto integralmente in calce a questo mio spazio introduttivo.
Le cose, quindi, la materialità da un lato e, sul fronte opposto, la luce, qualcosa di impalpabile che tuttavia si relaziona con l’oggettualità dando vita a quella dimensione complessa e fertile che rappresenta il terreno di espressione (e di lotta) per l’estrinsecazione del sé autentico, la libertà di essere noi stessi.
Per Prisco l’opzione è insita nel coraggio di guardare con la stessa intensità la bellezza e l’orrido, il bene e il male, intersecati, tra sublime e orrifico. L’arte è conciliazione tra ricerca di perfezione e consapevolezza dell’imperfezione. Il viaggio si compie nell’atto di rendere la perfezione più umana e l’imperfezione più percepibile, più osservabile, vicina a farsi specchio in cui ognuno può cogliere, andando oltre la superficie, i propri sogni più puri e i propri demoni, le ali e le rughe che stravolgono i volti.
Il libro si basa sull’alternanza o meglio sulla coesistenza tra le idee annotate sulla pagina e la materia viva, i grumi di colore. Al punto che anche le parole assumono consistenza quasi tattile, il rilievo nodoso della sofferenza ma anche dell’energia che mira a liberarsi, liberando se stessa e chi la genera, chi la possiede chi e ne è posseduto: «scordati di me / di te / delle tue ruvide mani / che in un lampo di radice / divennero / LUCE DI SANGUE».
Per rendere più autentica e intensa l’osservazione, l’occhio deve trovare la volontà e la forza di infrangere i vetri dei preconcetti per arrivare al nucleo essenziale: «Guardo in bocca ai malati che / rompevano con i denti / i vetri delle strade / dalle loro fauci / sbucano fiori di colore vermiglio».
Il libro di De Vivo possiede una solennità mai eccessiva, mai ridondante o teatrale. Non sono quadri di maniera, quelli che dipinge con le parole e con i pennelli. Ciò gli consente di ottenere un’espressione sincera, nella sacralità del dolore, che tuttavia non è descritto come oggetto intoccabile, ma, al contrario, è umanizzato. La disperazione, al di là di infiniti e tortuosi percorsi, può sfociare in uno spazio diverso: «Quando riuscirò a morire veramente / liberandomi dall’inferno, / delle colonne coclidi, / dal polistirolo dei farmaci / dalla dissenteria dell’anima».
L’impressione è che De Vivo abbia scritto questo libro con estrema sincerità, non per aggiungere un titolo alla sua bibliografia. Tale autenticità gli ha permesso di scrutare l’abisso senza perdersi, senza smarrire lo sguardo e la voce. Gli ha consentito, per quanto umanamente possibile, di giungere all’immedesimazione con il dolore più lacerante e vero, ma anche con la forza vitale e creativa, fuoco e lava di vulcano. Quella che, a dispetto di tutto, a tratti, magari in imprevedibili istanti, può condurre al punto più estremo al cui fondo c’è la rinascita, o meglio la nascita a vita vera.
        IM
de vivo cover

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UNA NOTA DI LETTURA A “IL LUME DELLA FOLLIA”
Punteggiate dai tuoi incisivi disegni, le tue intense poesie colpiscono e coinvolgono quasi a specchio sorprendente della situazione drammatica in cui adesso ci troviamo a vivere e con l’effetto che le tue presenze familiari trapassano in figure universali di ieri e di oggi.
E, quando citi le cose del mondo che ti limitavi a tenere nascoste, mi sono sentito ancora più trascinato dentro questa tua illuminante raccolta.
Colpito anche dal continuo intervenire tra le righe e in epigrafe di scrittori anche per me di riferimento.
                                                                                        Paolo Ruffilli
 

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NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

Prisco De Vivo è pittore, scultore e poeta. È nato a Napoli nel 1971 e vive ad Avellino.  Ha pubblicato i volumi di poesie: Dell’amore del sangue e del ricordo (selezionato al Premio Pascoli 2005) (Il Laboratorio/Le edizioni, 2004, prefazione di Plinio Perilli e postfazione di Raffaele Piazza), Segni e parole (In una notte oscura e uggiosa) (Il Laboratorio/Le edizioni, 2006, lavoro di poesia/immagini a quattro mani con Raffaele Piazza), Dalla penultima soglia (Marcus edizioni, 2008, prefazione di Marcello Carlino), Ad Auschwitz (Il Laboratorio/le edizioni, 2009, prefazione di Enzo Rega e postfazione di Antonella  Cilento), ha ricevuto per la raccolta Il lume della follia il secondo posto del Premio Nazionale Minturnae XXIII edizione per l’inedito, 2009.

È stato incluso in varie antologie tra cui: Melodia della terra (Secondo Volume) 2006 (Crocetti editore, a cura di Plinio Perilli), Da Napoli, Verso Kairos editore, a cura di Antonio Spagnuolo e Stelvio Di Di Spigno) 2007 (Poeti e Pittori di [Secondo Tempo] 2013 Marcus Edizioni, a cura di Alessandro Carandente e Marcello Carlino).

Le recensioni sui suoi testi poetici e le sue poesie sono apparsi su: Poiesis, Risvolti, La Clessidra, Pagine, Gradiva, La Mosca di Milano, Secondo Tempo, Capoverso, Poesia, Repubblica, La Stampa, Il Mattino, Sinestesie, Zeta, Cenobio, Trimbi, Clandestino, Graphie, Poeti e Poesia, Frequenze Poetiche.

Ha collaborato a diversi periodici e riviste d’arte e letteratura, italiane e straniere, cartacee ed on-line, inoltre è stato presente a mostre di poesia visuale e recitals poetici.

Si è occupato di saggistica, scrivendo su poeti come: Pier Paolo Pasolini, Dario Bellezza, Camillo Capolongo, Guido Ceronetti, Rubina Giorgi. Nel 2020 ha pubblicato il volume di poesie e immagini Il lume della follia Oèdipus edizioni.

https://www.rivistaclandestino.com/guido-ceronetti-il-vetusto-e-geniale-maestro-del-pensiero-terribile/

http://frequenzepoetiche.altervista.org/prisco-de-vivo 

http://www.cinquecolonne.it//26/5/2019/poeti-in-Campania-prisco-de-vivo 

http://www.rivistaea.it/18/7/2018-la-promessa-di-orfeo/prisco-de-vivo

http://www.facebook.com/priscodevivo/

CONTATTI : info@priscodevivo.it

La creta e i tempi indocili

recensione de La creta indocile su La Voce di Mantova
“È proprio attraverso la scorrevolezza delle pagine […] che si percepiscono le parole e i versi del momento tragico e delicato che in questo momento storico stiamo vivendo, una sorta di sostanza labile, delicata e malleabile come la creta ma allo stesso tempo forte, quando si consolida e prende forma”, scrive Rosalba Le Favi nella sua recensione a La creta indocile su La Voce di Mantova.
Ho apprezzato il suo mettere fianco a fianco la creta e giorni indocili che stiamo vivendo.
Si tratta di essere duttili. Tenaci e allo stesso tempo “plasmabili”.
Restare noi e creare nuove forme. 
IM