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A TU PER TU – Lucia Gaddo Zanovello

“Ha avuto un’impennata o è una buona penna, ha la penna facile, o della nomea del corvo, di quella del tordo, del merlo, del pappagallo, del pavone.
Ma in fondo la verità è che siamo tutti creature, se pure di diversa specie, da penna, da pelo o da pelle. Secondo me ogni creatura è in qualche modo persona, perché ciascun individuo manifesta un suo proprio carattere originario, mite e benigno o scontroso e perfino dispettoso; chiunque abbia percorso parte della sua vita in compagnia di un cane, di un gatto, ma anche con un uccellino, sa bene di cosa parlo. Delle persone che non amano gli altri esseri viventi diffido, esattamente come diffido delle persone che non amano e non rispettano le persone”.
Molto originale, schietta, diretta e nitidamente simbolica, è questa dichiarazione di Lucia Gaddo Zanovello.
È una specie di autoritratto fatto con uno specchio, con il vetro fragile e prezioso delle esistenze altrui, nello specifico con la vita degli animali.
“Secondo me ogni creatura è in qualche modo persona”, osserva. Non è una frase ad effetto, un mero orpello estetizzante. Il contesto e il modo con cui è scritta ne confermano l’autenticità. A qualcuno potrà sembrare fuori luogo, esagerata, eccessiva. Ma è proprio questo il bello: è un modo per generare un nitido posizionamento, una sorta di documento di identità che manifesti l’essenza reale, inequivocabile, di ciascuno.
Nella zona di confine che separa e unisce ipotesi e verità, si colloca il libro che l’autrice presenta nell’ambito di questa intervista, dedicato alla figura di Attilio Mlatsch. Scrive Lucia Gaddo: “Ho dovuto studiare e ristudiare i contesti storici delle notizie che avevo e degli eventi attraversati e in ultima analisi, ritrovando infine la figura di questo mio nonno”. Il valore aggiunto che si affianca all’attenta opera di ricostruzione è la conquista di una consapevolezza che deriva dalla conoscenza unita all’affetto, dalla “cognizione del dolore” e dalla vera condivisione. In questo contesto, il dialogo supera le barriere della Storia, del tempo e dello spazio.
“Devo riconoscere di avere fatto maggior luce in me stessa”, ci rivela l’autrice. Questa frase in apparenza lineare racchiude vasti orizzonti di senso, il valore della ricerca della verità e quell’istante di visione ulteriore in cui l’oggettività dei fatti viene sublimata dalla partecipazione emotiva. L’attimo in cui si smette di guardare e si inizia a vedere, ossia a percepire non solo con i sensi ma con qualcosa di indefinito, misterioso e salvifico che rappresenta il nucleo della verità e della natura umana in se stessa.
“L’analogia delle vicissitudini storiche forgia in qualche modo le personalità, restituendo alcune similitudini empatiche”, annota Lucia Gaddo Zanovello. Questa considerazione si adatta bene al suo romanzo, alla ricerca di una figura familiare che il tempo e la violenza non hanno cancellato dalla memoria. Si adatta tuttavia anche al contesto più ampio di quell’insieme di “persone” (includendo nella definizione tutti gli esseri viventi) che indagano con partecipazione e affetto sul senso del loro passaggio su questo esile e mirabile pianeta sospeso nel mistero delle galassie.
IM

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

La vicenda umana di Attilio Mlatsch

5 domande

a

Lucia Gaddo Zanovello

 

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie mille a te per il gentile invito!

Sono contenta e ti sono grata di questa occasione di fermarmi un poco a riflettere sul mio più recente lavoro, sono opportunità che finiscono sempre per rimettere a fuoco un qualcosa di mai veramente compiuto.

Beh, per quanto riguarda il mio autoritratto, esso si fonda necessariamente sul mio vissuto in campagna per molta parte della primissima infanzia. In quel luogo ho sperimentato la solitudine più assoluta, essendo l’unica piccola in mezzo a tanti adulti, tutti costantemente indaffarati in diverse occupazioni, avevano difficoltà a trascorrere del tempo con una bambina.

Spesso in lacrime osservavo intorno a me e, incantandomi, smettevo di piangere. Devo riconoscere che la natura mi è stata Madre nel senso più vero del termine.

Sono cresciuta forse in un quadro di povertà affettiva, ma mescolando tuttavia a fragilità e sfiducia, caparbietà e tenacia, innamorata della terra, delle piante e degli animali. Osservavo l’attività dei topolini nel granaio, stupivo all’uscita dei pulcini dall’uovo, ma se dovessi specchiarmi in un autoritratto, vedrei un uccellino, forse un pettirosso.

Il volo, il nido, la muta (tutto ciò che si trasforma mi attrae, forse frutto anche questo delle mie osservazioni infantili pure sulle rane e sul baco da seta), il mondo dell’aria mi ispira da sempre, perché vedere le cose dall’alto aiuta a ridimensionarle, a farle rientrare nella loro misura reale, invogliano a credere in Dio e anche se le cadute, l’essere predati e le gabbie misurano le sventure, rigenerazioni e rinascite permangono fidenti dietro l’angolo.

La varietà delle specie alate, dei loro linguaggi, del loro affaccendarsi intorno ai nidi, alle migrazioni, seguendo l’istinto, e senza lasciare tracce, la loro filosofia di vita insomma è gaia e promettente. Anche per questa specie, nella quale si va dall’aquila al colibrì, è un po’ come per i cani, per i quali si va dal molosso al chiwawa. Straordinario. Come sono unici la potenza del cigno, la leggerezza della rondine, la domesticità della gallina e la fedeltà dei piccioni.

Per non parlare delle espressioni idiomatiche legate ai pennuti, si dice spesso ha avuto un’impennata o è una buona penna, ha la penna facile, o della nomea del corvo, di quella del tordo, del merlo, del pappagallo, del pavone.

Ma in fondo la verità è che siamo tutti creature, se pure di diversa specie, da penna, da pelo o da pelle. Secondo me ogni creatura è in qualche modo persona, perché ciascun individuo manifesta un suo proprio carattere originario, mite e benigno o scontroso e perfino dispettoso; chiunque abbia percorso parte della sua vita in compagnia di un cane, di un gatto, ma anche con un uccellino, sa bene di cosa parlo.

Delle persone che non amano gli altri esseri viventi diffido, esattamente come diffido delle persone che non amano e non rispettano le persone.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

La vicenda umana di Attilio Mlatsch. Una ricostruzione possibile fra ipotesi e verità, Nuova luce, 6, Macabor, 2018, è la mia ultima pubblicazione. Mi ero dedicata alla stesura di molti appunti su questo argomento nel corso di un paio di anni, a cominciare dal 2016, per fare luce su di una persona a me tanto vicina, ma fino ad allora troppo e troppo a lungo rimasta misteriosa, mio nonno materno. Adoperandomi per fare luce, ho dovuto studiare e ristudiare i contesti storici delle notizie che avevo e degli eventi attraversati e in ultima analisi, ritrovando infine la figura di questo mio nonno, devo riconoscere di avere fatto maggior luce in me stessa. Continua la lettura di A TU PER TU – Lucia Gaddo Zanovello

A TU PER TU – Bruno Di Pietro

“Sono napoletano, città in cui esercito la professione di avvocato, appassionato di poesia: non amo autodefinirmi poeta. Scrivo in versi e ho pubblicato più lavori. Di carattere normalmente sincero, dico sempre senza remore o timori reverenziali ciò che penso, ma sono anche incline all’ascolto pronto a cambiare idea se mi convinco della bontà della opinione altrui. Sono incline alla ironia, spesso esercitata come autoironia. Questo lo si trova anche nei miei versi. Non amo i Poteri (specie se detenuti senza alcun merito) né li temo. Non mi inchino davanti a niente e a nessuno”.
Un autoritratto schietto, sincero, che invita ad alcune considerazioni. La prima è quasi la conferma di una regola non scritta: spesso chi dichiara di non essere poeta in realtà lo è. Che poi sia vero non di rado anche il contrario è piuttosto probabile. Ai posteri l’ardua sentenza, anche se i contemporanei qualche idea se la sono già fatta. Tornando a Bruno Di Pietro emerge dunque dal suo caravaggesco ritratto che oltre ad essere poeta senza gridarlo in faccia al mondo, è persona autoironica e libera, anche in questo caso in modo concreto, mettendoci la faccia, non solo i proclami.
Il libro che presenta qui in questa sua intervista è Colpa del mare e altri poemetti. Ed è originale, felicemente fuori schema, quell’abbinare il mare alla colpa. Di solito il mare è esaltato, elogiato, incensato. Qui è associato a qualcosa che nessuno vorrebbe, ma potrebbe anche essere una forma di amore ulteriore, chissà. Se prima l’ardua sentenza era affidata ai posteri qui è riservata a chi vorrà leggere, scoprire, attraversare le onde e assaporare il sale dei versi. Di Pietro possiede una carnalità elegante, quasi una forma di spiritualità tattile. Un modo di esplorare perfino l’intangibile con i sensi. Non è un caso che anche il mezzo della scrittura, l’atto dello scrivere, diventi esperienza sensuale, in senso stretto prima ancora che metaforico: “Di personale posso dirti che Colpa del mare è la mia vita. Chi la conosce sa esattamente a cosa si fa riferimento in ogni singolo verso. Di intimo aggiungo che tutto è conservato nei miei quaderni di cui ho una cura maniacale. Amo scrivere a penna e matita. Su carta buona se non pregiata. E ho una bella serie di penne stilografiche e asticciuole e vecchi pennini. Inchiostrare è per me lussuria purissima”.
La curiosità del lettore è chiamata in causa, adeguatamente sedotta. Non resta che leggere, questa intervista e quel libro che parla di colpe e di onde sapide, come la poesia.
IM
 
A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI

nuovo colpa del mare

5 domande

a

Bruno Di Pietro

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie a te, innanzitutto.

Un “autoritratto” chiesto a chi come me non sa fare nemmeno un selfie è una bella domanda. Un po’ mi imbarazza, un po’ per carattere direi tutti i difetti che ho trasformando la risposta in un “confiteor”. Ti dico che sono napoletano, città in cui esercito la professione di avvocato, appassionato di poesia: non amo autodefinirmi “poeta”. Scrivo in versi e ho pubblicato più lavori.

Di carattere normalmente sincero, dico sempre senza remore o timori reverenziali ciò che penso, ma sono anche incline all’ “ascolto” pronto a cambiare idea se mi convinco della bontà della opinione altrui. Sono incline alla ironia, spesso esercitata come “autoironia”. Questo lo si trova anche nei miei versi.

Non amo i Poteri (specie se detenuti senza alcun merito) né li temo. Non mi inchino davanti a niente e a nessuno.

In sintesi “non te la mando a dire”.  Questo vale per tutti. Non sono abituato, né mi piace , passare per la sagrestia : all’altare ci vado diritto.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Con Oèdipus Edizioni nel 2019 ho pubblicato “Baie”. Ma quello pubblicato con lo stesso editore nel 2018 (“Colpa del mare e altri poemetti”) è senz’altro il mio lavoro più importante. Molti lo hanno definito “raccolta” altri “antologia” ma tengo a dire che è un unico solo “libro” dalla prima all’ultima parola, segue un progetto ed ha un “senso” nella sua interezza. E copre il lavoro che va dal 1995 al 2012.

Si dà conto in esso della questione “aurorale” della filosofia occidentale: da un lato il pensiero di Parmenide (la “fissità” dell’Essere) dall’altro quello di Eraclito (il “divenire”, l’Esserci) detto in sintesi estrema e impropria. Non a caso l’esergo è un frammento di Eraclito, mentre il libro si apre con le “Dieci Eleatiche”. L’ “orgoglio della scienza” da un lato, “il “frutteto in rigoglio” dall’altra (come nel testo eponimo). Con una inclinazione verso l’affermazione che “L’Essere è l’Esistere” e che noi più che “Essere-gettati-nel-mondo” “Giaciamo-nel-mondo”.

E che fra “l’Inizio” e “la Fine” c’è un “nel frattempo” che è la nostra vita.

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LA LINEA DEI PASSI

La linea dei passi - copertina

Enzo Rega, LA LINEA DEI PASSI,

Prose sulle città e il viaggio,

Edizioni Helicon, Arezzo, 2020, pp. 180, € 14,00
Tra il frammento e l’insieme; l’impressione è che Rega prediliga questa seconda componente, l’unitarietà, la sincronicità. Non è casuale la scelta del bel titolo del suo libro, La linea dei passi, pubblicato da Edizioni Helicon.
Il passo è l’espressione di un singolo percorso, spesso “sincopato”, dettato da elementi esterni, le caratteristiche del tempo, del terreno, del clima. Ma la linea riassume in sé i singoli passi e dona loro un orientamento e allo stesso tempo una ricerca di parallelismi e convergenze, sia con il tempo individuale che con quello collettivo. Lo sguardo di Rega è spesso, e con sincera autenticità, rivolto al sociale, a ciò che va oltre estemporanei egoismi. Perfino in questo libro la cui tematica, il resoconto dei suoi viaggi, avrebbe potuto condurlo ad una visione autoreferenziale, ha preferito, per istinto e per scelta, tracciare una retta, un insieme di punti che hanno reso unitaria e coesa la sua visione del mondo. Una Weltanschauung basata su dati esteriori e concreti, visti, percepiti e mandati a memoria, ma in uguale misura mentale ed estetica, fatta anche di parole, di arte, di filosofia, di tutto ciò che contribuisce ad estendere e a rendere più compiuta la visione e la percezione.
          Tra le numerose epigrafi poste in apertura dei vari capitoli, quella tratta da Lento ritorno a casa di Peter Handke è utile e in qualche modo emblematica a tale riguardo: “Quel che ho sempre pensato tra me è niente; io sono soltanto quel che m’è riuscito di dirvi”. Lo sguardo è parola. Ossia, la pienezza della percezione è un atto che si compie appieno nell’istante in cui trova forma e misura. Il vero viaggio, sembra dirci Rega, avviene quando l’emozione trova una dimensione estrinsecabile, manifestabile. Ciò mette in connessione anche il luogo fisico esterno e l’interiorità, l’io e l’altro. Il viaggio è un atto di condivisione e di generosità, nei modi e negli intenti di Rega: un modo per avvicinare nel senso più ampio del termine, alla ricerca di radici comuni, all’insegna di ciò che lega gli esseri umani a qualunque latitudine.
          La parola, è giusto ribadirlo, è la chiave e il passaporto, il biglietto d’andata e quello del lento, ma più denso, ritorno. Molti dei riferimenti agli autori di riferimento di Rega si trovano nella ricca e partecipata nota critica di Luigi Fontanella pubblicata lo scorso febbraio nel magazine America Oggi. La riporto qui in calce, come preziosa fonte di informazioni sul libro. Riporto anche una breve ma significativa nota dell’autore, in cui ci vengono forniti alcune notizie e dati che ci aiutano a collocare, dal punto di vista cronologico e non solo, il libro.
          La rubrica “Segnalazioni” intende proporre libri interessanti, generando auspicabilmente curiosità, interesse, voglia di approfondire il discorso tramite la lettura diretta.
          Del libro di Enzo Rega aggiungo una considerazione sullo stile, o meglio sull’approccio. Rega è anche critico, studioso di letteratura, cinema ed altre espressioni artistiche. In questo suo libro tuttavia ha deliberatamente scelto un atteggiamento informale. Le pagine scorrono, piene, sempre interessanti, ma il passo è fluido e lieve. Attraverso ciò che ha visto e che, adesso, come osserva Fontanella, “enarra”, Rega parla di ciò che ha percepito, le assonanze, visive e letterarie, i rimandi, gli echi interiori. Coerentemente con il suo carattere e la sua personale filosofia, Rega ha preferito in questo suo “giornale di bordo” un’espressione sobria, lineare, facendo ancora riferimento al titolo. Ha parlato del mondo e della vita senza tralasciare niente dei dettagli e delle prospettive, ma a passo lento, di modo che ciascun compagno di viaggio possa seguire e cogliere ogni angolo ed ogni sillaba. “La pagina ha il suo bene solo quando la volti e c’è la vita dietro”. In questo libro si applica con passione questo motto di Italo Calvino. E, con altrettanta coerenza e consapevolezza, si mette in atto la considerazione fondamentale, valida in ogni tempo e in ogni ambito, di Fernando Pessoa: “I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”.
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Nota dell’autore

I testi de La linea dei passi risalgono agli anni Novanta e anche prima: il libro, così come si presenta, è stato chiuso intorno al 1998. Mi accorsi, allora, che le cose che scrivevo ruotavano intorno al viaggio e alla ricerca d’una città come luogo, topos, del possibile. La casualità diventò progetto consapevole. Il viaggio è la vita (la vita è viaggio), la scrittura stessa un viaggio nella vita e nella letteratura nelle diverse forme: racconto, lettere, diari. Perciò prose.
 
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Dietro i “passi insoliti” ed “extravaganti” di Enzo Rega

di Luigi Fontanella

Mi fa piacere segnalare un bel libro di narrativa, insolito ed extravagante, recentemente pubblicato da Enzo Rega: critico di cinema e letterature multidisciplinari, poeta, studioso di filosofia e docente napoletano. Rega è di origine genovese, ma vive ormai da decenni nel napoletano, per la precisione a Palma Campania, dopo aver vissuto anche a Bergamo e a Siracusa.
          Ho detto “insolito” ed “extravagante” perché il libro, che ho appena finito di leggere, La linea dei passi (Edizioni Helicon, vincitore del Premio “La Ginestra” 2018, ISBN 978-88-6466-552-4), è una raccolta zigzagante tra riflessioni, pagine diaristiche, lettere, improvvise illuminazioni, brevi o lunghe narrazioni vere e proprie, eccetera eccetera; quasi tutte condotte sul filo odeporico di un viaggiare (reale e mentale) che ha portato il narratore in varie città italiane ed europee.
          In ognuna di esse Rega ha ricevuto e – a sua volta ha restituito su queste pagine – impronte e folgorazioni flagranti.  Uso di proposito quest’ultimo aggettivo proprio pensando a una terminologia estetica (mi viene in mente Cesare Brandi quando scriveva, che, di fronte a un’opera d’arte, avvengono fenomeni di astanza e flagranza). Del resto il sottotitolo di questo volume è già di per sé abbastanza esplicito, e recita appunto “Prose sulle città e il viaggio”.
          Leggendolo, si ha come l’impressione di essere man mano catturati in una sorta di (ragna)tela labirintica, nella quale momenti puramente diaristici si intrecciano con felici agnizioni, girovaganti meditazioni alla Robert Walser, incanti, illuminazioni, struggimenti mnestici e straordinarie intuizioni critiche alla Walter Benjamin. Un magma, il tutto, depositato in prose che rifiutano una loro “canonica” collocazione o una stantia coesione organica, ma che fluttuano liberamente nella mente del “viaggiatore” scrivente, il quale ce le porge anche in forme epistolari o di pure descrizioni intratestuali da lui riportate puntualmente con sguardo come casuale e infallibile insieme.
          Tutto questo, beninteso, senza che ci sia alcuna tonalità self-indulgent, o, peggio, sentimentalistica. A Rega piace muoversi in totale libertà fra le varie esperienze da lui vissute in prima persona e le ripercussioni che queste hanno provocato nella sua mens; una Erlebnis che si distende seducente, pagina dopo pagina, e che nel complesso risulta variamente cattivante e coinvolgente. Dietro queste pagine fanno capolino i vari Maestri o angeli custodi che hanno nutrito l’immaginario di Enzo, a partire da nomi stellari come Nietzsche, Pessoa, Hugo von Hofmannsthal, Musil e Benjamin, fino ad arrivare a scrittori della generazione successiva, come Cesare Pavese, Peter Handke, il nostro Tommaso Landolfi.
          Un libro, in ultima analisi, che una volta letto, quasi vorrebbe spingere il lettore – al pari di quell’indimenticabile passeggiatore solitario, su cui ha scritto pagine di eccezionale bellezza W.G. Sebald – a recarsi proprio nei luoghi da Enzo enarrati, per andarli a visitare con i nostri e i suoi occhi, magari portandosi dietro questo suo segmentato vademecum narrativo,  e rileggendosi le pagine dedicate a questa e o a quella città (Praga, Londra, Milano, Basilea, Mulhouse (Alsazia), Bruxelles, Berlino, Verona, ecc. e, pur sempre, la natia Genova del nostro viaggiatore-scrittore.

 

“La linea dei passi” di Enzo Rega, pp. 182, Edizioni Helicon, 2019, € 14,00                     in “America Oggi”, Magazine domenicale 16 febbraio 2020
 
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ENZO REGA, nato a Genova nel 1958, risiede a Palma Campania (Napoli), e ha vissuto anche a Bergamo e a Si­racusa. Si occupa di letteratura, filosofia, cinema e critica della cultura. Insegna in un liceo e ha collaborato con l’U­niversità di Salerno e il “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Redattore di “Gradiva” e “Levania”, scrive per “L’Indice dei libri del mese”, “Poesia”, “Italian Poetry Review”. Tra i volumi pubblicati: di narrativa Le albe inutili (C.E. Men­na, Avellino 1980) e Due volte futuro (Michelangelo 1915 Editore, Palma Campania (NA) 2010); di poesia Acroniche angolazioni (Forum / Quinta Generazione, Forlì 1982) e Indice dei luoghi. Poesie da viaggio (e d’amore) (Lace­no/Mephite, Atripalda (AV) 2011); di saggistica Berlino e dintorni. Arte, cultura e vita nel Novecento (Edizioni “Il grappolo”, San Severino (SA) 2001); A colloquio con i po­eti: De Angelis, Fontanella, Neri (con Carlangelo Mauro, Stango, Roma 2003); Il cinema come fenomeno sociale (con Pasquale Gerardo Santella, Loffredo, Napoli 2005); Deri­ve mediterranee. Immagini letterarie da Napoli all’altra sponda (con una nota introduttiva di Ermanno Rea, l’arca e l’arco edizioni, Nola (NA) 2012; menzione d’onore al Premio “Casentino” 2018). Con la Zanichelli ha pubblica­to, tra il 2014 e il 2017, un corso per le scuole superiori di Scienze umane.