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Alice nel labirinto – intervista a Roberta De Tomi

Spazia con curiosità e fantasia, Roberta De Tomi,  in vari ambiti e tra vari generi. Ha scritto libri diversi l’uno dell’altro ma con il comun denominatore di una passione vivida, a tratti “speziata”, che la porta a cercare storie e argomenti in grado di suscitare a loro volta la curiosità, l’interesse e la passione del lettore, conducendolo in ambiti in cui realtà e dimensione onirica si incontrano, giocando a creare nuovi spazi, mondi possibili.
L’intervista qui pubblicata ci offre l’opportunità di approfondire la conoscenza con questa autrice vivace che opera attivamente anche in rete. Ci conduce inoltre a esplorare territori del panorama letterario che hanno molti appassionati lettori.
IM

2021Alice nel labirinto

                            A TU PER TU
                         UNA RETE DI VOCI
 L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica. IM

 

5 domande

a

Roberta De Tomi

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Un saluto ai lettori e alle lettrici e un grazie per l’attenzione che mi dedichi. Non sarà un “autoritratto”… alla Dorian Gray, anche se sarebbe bello immortalare un pizzico di bellezza in questo momento storico così difficile. A parte questo, ho dipinto di colori diverse pagine che sono diventati racconti e romanzi. Ho iniziato in sordina, dopo essermi laureata al DAMS di Bologna, partecipando ad alcuni concorsi letterari, all’interno dei quali ho ottenuto buoni esiti. In parallelo ho iniziato un percorso lavorativo nella comunicazione che ha toccato diversi ambiti in maniera trasversale: dal giornalismo ai blog, passando per la gestione di eventi e uffici stampa. Parallelamente mi sono occupata anche di altre mansioni, ma sempre tenendo stretta la passione per la scrittura; passione che, dopo le prime prove, mi ha portato alla pubblicazione.
Ho vissuto e vivo con un certo travaglio la precarietà della mia generazione, tanto che ai tempi, con un blog e articoli dedicati, ho cercato di parlarne; ma mi rendo conto che certi argomenti sono spine che bruciano, vasi di cristallo da maneggiare con cura. Viviamo tempi complessi, sospesi, forse stiamo aspettando Godot; sinceramente io non riesco a stare ferma, in attesa di un miracolo salvifico. Non è nella mia indole, ho bisogno di creare, di fare qualcosa e di incuriosirmi. Creare è vivere.

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Il sirtaki con le stelle

Il niente, l’annichilimento, sono le minacce, le Sirene che ci chiamano a sé. Ma se è vero l’assunto che il percorso individuale coincide su diversa scala al destino del mondo, la tenacia, il rifiuto della resa incondizionata, traggono linfa dalla stessa fonte: “sarà che la Terra è un posto dove / mi è toccato vivere, / non affretto la corsa / respiro e danzo il sirtaki / con le stelle”.
Una mia recensione a “Di albe e di occasi” di Grazia Procino e le sue risposte alla rubrica A TU PER TU. Buona lettura, IM

 

Copertina libro Procino

Grazia Procino, Di albe e di occasi,

Macabor editore,
collana Quaderni di Macabor, 2021
 
Sarà che vivo in controluce / con le albe e i tramonti di un sole / che, anche / quando non splende, / sorge per tutti”, scrive Grazia Procino in una delle liriche di questo suo recente libro. Vi sono segnali disseminati in questi versi. Mai resi smaccatamente palesi. Allusi, piuttosto, o evidenziati tramite richiami interni, ricorrenze e sottolineature sottese, e per questo più efficaci. La vita, innanzitutto. Quella condizione che, l’autrice lo evidenzia a più riprese, non è scontata, oggi più che mai. La vita individuale e quella collettiva, condivisa, quell’essere parte di un insieme più grande e complesso, illuminato da un sole, che, almeno lui, non fa distinzioni. Altro ineludibile concetto, ente o idea, è il tempo. La sequenza di albe e di tramonti non è mai lineare successione di istanti ma complessa interazione di presente, memoria e ipotesi di futuro. Tenendo conto del titolo c’è, inoltre, nei versi citati in apertura, una variazione solo in apparenza di scarso rilievo. Nel titolo si parla di “occasi”, nelle poesie del libro più volte di fa ricorso al vocabolo “tramonti”. Occasi è un vocabolo che fa riferimento al mondo classico. E non sembra solo un omaggio a volumi tanto amati e a lungo studiati dall’autrice. Appare quasi come un traguardo, un punto elevato raggiunto passo dopo passo, gradualmente, con tenacia, senza mai scordare il contatto dei piedi con il terreno. La cultura in questo libro non è esposta in vetrina in teche fosforescenti e tra fiocchi dorati. È presente anch’essa “in controluce”, potremmo dire, come strumento privilegiato di osservazione di un mondo il cui senso, quando è possibile coglierlo, è individuabile nella coesistenza di presente e passato, concretezza, sogno e memoria, indagine del sé in rapporto agli altri, al bene e al male della vita che scorre, a dispetto di tutto, nell’alveo del tempo.
            Il tempo, dunque, ancora lui; punto di partenza ed eterno ritorno. Ma, come opportunamente evidenzia Alessandra Corbetta nella prefazione “Se il lettore si attende una rievocazione nostalgica del perduto perché passato o una proiezione illusoria in un futuro indistinto rimarrà deluso, perché alba e occaso non rappresentano punti statici corrispondenti all’inizio e alla fine, bensì parti di un andamento ciclico, dove l’ago della bussola è sempre ben puntato sul presente.”
A fianco di questa condivisibile considerazione, viene fatto di soffermarci sull’evoluzione anche del modo di scrivere dell’autrice, ossia il suo modo di porsi di fronte alla scrittura come mezzo di espressione del proprio universo interiore. Nell’intervista rilasciata per la rubrica “A tu per tu”, Grazia Procino annota: “Ho dato forma a questa silloge, raccolto testi che avevo già elaborato e ne ho scritti altri sull’onda di un’energia rinnovata e di una volontà che non si piegava; è stata una fase di fervore creativo, in cui ho toccato vertigini corroboranti. Ho detto a me stessa che non potevo lasciarmi sconfiggere senza lottare; così, è nata […] la più personale delle mie raccolte, la più rivelatrice del mio vissuto, dove la narrazione di me come donna sovrasta qualunque altra sovrastruttura intellettualistica”. Siamo così di fronte ai due estremi di questo libro, la dimensione cronologica in sé, il concetto del tempo, e, sul fronte opposto (ma in realtà sovrapponibile, se non coincidente) l’evoluzione del proprio modo di essere e di scrivere (e anche in questo caso è possibile rilevare una tendenza sempre più netta al coincidere dei punti e dei segmenti di queste rette ideali).

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Rosa del battito

“Soprattutto colpisce la spina di quella rosa evocata nel titolo: il coraggio di dire che ad un certo momento, di fronte alla pressione della pena che cerca di metterti con le spalle al muro, o ci si annienta o si canta”.
Una mia recensione al libro Rosa del battito, di Donatella Nardin.

IM

RosaBattito

Donatella Nardin, Rosa del battito

recensione di Ivano Mugnaini

 
La rosa è il fiore per eccellenza, per antonomasia. Anche in ambito letterario. Ha ispirato, con innumerevoli variazioni sul tema, scrittori e poeti di ogni epoca, a tutte le latitudini. Il battito invece, quello delle vene, dei polsi, del cuore, è assolutamente individuale. Dipende dagli eventi, dai climi, fisici e mentali, dalle emozioni, dai pensieri, da ciò che domina e pervade, istante dopo istante, le latitudini e le longitudini della psiche di ciascun essere umano.
Su questa dicotomia di base, tra tradizione ed espressione individuale, tra mito universale e mitologia familiare, si muove, con sincera e appassionata intensità, il libro di Donatella Nardin. È interessante notare che, nonostante la tematica predominante, quella del distacco, del lutto, il libro conserva una sua luminosità tenace, una tendenza alla ricerca di ciò che ancora può avere il profumo e l’essenza del dialogo, della presenza, della ricerca, condivisa, della bellezza. Indicativa, in quest’ottica, è la dedica che ci accoglie all’ingresso del libro, scritta a caratteri maiuscoli, come un’ineludibile monito, in questo caso non dantesco, il contrario esatto di “lasciate ogni speranza”. La dedica è rivolta agli “assenti”, a coloro che pur avendo abbandonato questo mondo sono “ancora chiari e vivi e impetuosi in noi”.

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IL VOLO E LA REALTA’. Intervista a Luca Bonaffini

IL PARACADUTE DI TACCOLA leggera
Intervista a Luca Bonaffini, con particolare riferimento al suo album “Il paracadute di Taccola”.  
Si parla di voli, di paracadute, di storie di strada, di realtà.
Buona lettura e buon ascolto, IM
                          A TU PER TU
                        UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica. IM
 Luca Bonaffini 2- foto di Fenucci

Intervista a

a

Luca Bonaffini

 
1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.
La prima domanda è forse la più difficile, anche perché spesso i musicisti amano parlare di sé con le proprie note più che con le parole. Ma la domanda è “di prassi”: puoi fornire un tuo breve “autoritratto” ai lettori di Dedalus?
Esistono due fotografie, due ritratti. Il Bonaffini certo, riscontrabile, e il Luca bimbo, eterno ricercatore del diritto alla bellezza. Il primo è pubblico e di opportunità, ha lavorato con Bertoli e altri, ha scritto successi della musica italiana. Il secondo è timido, riservato e lavora su canzoni che forse non saranno mai pubblicate. Uno sdoppiamento che oggi non mi pesa, anzi mi completa.
 
2 ) Il tuo album “Il paracadute di Taccola” ha un titolo accattivante ma complesso. È stata una scelta programmatica, per così dire, per collocare il tuo lavoro in uno spazio ben definito del panorama della musica pop d’autore, oppure è stata necessità dettata dai temi e dalle atmosfere del disco?
Temi e atmosfere dell’album hanno sicuramente fatto sì che io guardassi in alto. In alto si vola, ma dall’alto si cade. Un buon paracadute oggi è meglio di un paio d’ali fintamente sicure.
 
3) Puoi parlarci del tuo rapporto più intimo con questo tuo recente lavoro? Le tue emozioni sul piano personale e cosa rappresenta in questo momento per te come uomo prima ancora che come musicista.
È un album “antologia di me stesso”, evocativo di anni Ottanta che mi videro in corsa verso il futuro alla ricerca di un lavoro che sognavo di fare. 14 brani sono tanti, troppi, per essere scritti in pochi anni. Ci sono spunti antichi che hanno visto nuova vita. Sono molto contento.
 
4 ) Il tuo disco ha già destato e desterà l’attenzione degli appassionati di musica e degli addetti ai lavori.C’è qualcosa che è già stato segnalato dalla critica che a tuo avviso è particolarmente consono a ciò che pensi e senti? E ancora più interessante sarebbe se volessi indicarci una definizione o una valutazione riguardo al tuo lavoro che invece non ritieni consona per niente.
Disco vuoto, non l’ha scritto nessuno e secondo me, sarebbe poco consona come definizione. In tanti stanno esprimendo il loro sostegno perché è un album sincero, autentico. Buca le emozioni e passa oltre.

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Il bestiario delle bestiacce

Il titolo del recente libro di Annalisa Macchia è attraente. Incuriosisce. Invita a scrutare all’interno per vedere cosa spunta, cosa compare. Magari ci troveremo di fronte un animale tra il mitico e il reale, tra verità e invenzione fantastica.
Coerentemente con lo stile di Annalisa, il libro è serio e giocoso allo stesso tempo. Ma in maniera sincera e profonda, non di maniera. Annalisa gioca sempre con grande attenzione al senso, soprattutto a quello ulteriore, a ciò che non si vede ma c’è, e magari ci fa pensare, mentre sorridiamo.
La leggerezza di questo libro è consistente. Calvino approverebbe. Le Cosmicomiche qui diventano Le Bestiacomiche. Ma l’impressione è che ciascun animale sia, a bene vedere, al di là della pelle e delle squame, al di là dei colori camaleontici e cangianti, un’immagine della bestia per eccellenza, l’animale selvatico e sospettoso, che siamo, a tratti, noi tutti.
C’è molto metodo nell’apparente lievità del libro, come direbbe Amleto. Si percepisce un’accurata preparazione “a monte”, si nota un’accurata suddivisione speculare delle varie sezioni, saltano all’occhio analogie e contrapposizioni per niente casuali. Vengono in mente Esopo, Alice, i suoi specchi e i suoi animali parlanti e pensanti, si rammentano Trilussa e Rodari, ma soprattutto si beneficia di un libro che si legge volentieri, che fa tornare bambini senza scordarci il gusto agrodolce, ma necessario, di guardare il nostro volto riflesso nello specchio di bestiacce che, non di rado, sono molto meno bestiacce di noi.
IM

Annalisa Macchia, Il bestiario delle bestiacce, Pagine, Roma 2020
                          A TU PER TU
                       UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.
Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.Saranno volta per volta le stesse domande.Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.IM

 

5 domande

a

Annalisa Macchia

 
1 )Il mio benvenuto, innanzitutto.
Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?
 
     Certamente e grazie per questo invito. Mi chiamo Annalisa Macchia, abito a Firenze, dove vivo da tanti anni, ma sono nata a Lucca; ho studiato a Pisa (Lingue e Letterature straniere) e frequento da sempre l’area livornese, luogo d’origine della mia famiglia. Dunque sono d’identità toscana, seppure variegata, dettaglio non trascurabile, perché credo che la mia scrittura sia rimasta “contaminata” da tutte quante queste frequentazioni. Sono un’autrice tardiva, se mi passate il termine. Dopo gli studi universitari e una prima pubblicazione (Pinocchio in Francia, edito dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi di Pescia), ho dedicato molti anni alla cura della mia numerosa e onerosa famiglia, scoprendo solo alla fine quanto avessero reso preziosa la mia formazione di persona, anche se mi avevano apparentemente allontanato dalla scrittura. Prepotente è però tornata la voglia insopprimibile di comunicare con la parola scritta. Sono nati così i primi lavori, storie in rima per l’infanzia (con l’assurda speranza che le parole scritte fossero più efficaci di quelle dette a voce…). Da allora, però, lettori o non lettori, non ho più smesso, cercando di conciliare i miei impegni familiari e di insegnante  – ho insegnato lingua e letteratura francese in vari istituti fiorentini – con la mia nuova attività. Sono seguite raccolte poetiche e narrative, frequentemente dedicate all’infanzia, all’avviamento della parola poetica anche tra i più piccoli (un mondo a me familiare, dal momento che ho avuto quattro figli ed ora ho quattro nipotini), ma anche qualche testimonianza critica e traduzione. Attualmente collaboro con qualche racconto e soprattutto con recensioni, con la rivista “Erba d’Arno” e sono redattrice della rivista Gradiva, ammirevole ponte di poesia e letteratura tra l’Italia e gli Stati Uniti. Ho anche diretto una collana di poesia per l’infanzia con la casa editrice Poiein, occupazione purtroppo di breve durata per la prematura scomparsa del suo direttore Gianmario Lucini, un carissimo amico, a cui devo molto e che ancora oggi rimpiango. Nella città in cui vivo, compatibilmente con il mio tempo libero, ho cercato di seguire i movimenti letterari che l’hanno animata in questi ultimi anni. Con presentazioni di autori e varie attività collaboro strettamente con l’Associazione Pianeta Poesia (www.pianetapoesia.it ), a cura di Franco Manescalchi. Un’attività che ha contribuito non poco alla mia formazione, aprendomi a mondi poetici altri, talvolta d’insospettabile interesse e bellezza.
 

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Cucendo i fili della vita – rec. a “La sarta”, di Marilena La Rosa

La sarta, o meglio la sua ideatrice ed autrice, Marilena La Rosa, cuce con i fili della letteratura la vita. O forse la ricama e rammenda con la fantasia, nella terra di nessuno tra verità e immaginazione.
Ho letto con piacere questo libro e altrettanto volentieri ne ho scritto.
Ci conduce lungo un sentiero poco battuto, una favola per adulti disillusi ma non abbastanza da non sapere sorridere quando si ci immagina “con una M gigante sulla maglia” o con la voglia di ascoltare ancora, nei recessi della mente, “versi che si baciano”.
Buona lettura, IM

 

A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.Saranno volta per volta le stesse domande.Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

immagine copertina

5 domande

a

Marilena La Rosa

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Questa è senz’altro la domanda più difficile. Provo a rispondere.

Sono nata e vissuta ad Acireale, che non è un fatto da poco, perché la mia è una città colta, elegante, di una bellezza struggente ma è anche la patria del cavolo trunzo la cui caratteristica principale pare sia legata indissolubilmente al dna degli abitanti (e quindi anche al mio): è duro come è dura la loro e la mia testa. Quindi, sono testarda e ho modo frequentemente di mostrare questa “dote” – che misteriosamente non tutti sembrano apprezzare – , nelle scelte, nelle relazioni familiari e sociali, nel raggiungere gli obiettivi. Nel bene e nel male, insomma. Mi sono poi trasferita a Palermo e qui ho incontrato un altro tipo di bellezza, quella sfrontata, maestosa, abbagliante del barocco o cupa, possente e austera del gotico-normanno. E nelle contraddizioni di Palermo mi sono persa e poi ritrovata e Palermo è riuscita così a diventare metafora piena della mia vita. Posso giurare, quindi, che l’ambiente condiziona l’esistenza. Anche quello familiare, ovviamente. Sono cresciuta con una mamma che mi raccontava i miti e le tragedie greche, ho conosciuto Dafne, Polifemo e Medea prima di Cappuccetto Rosso o Cenerentola. E quindi ho sempre letto e sono cresciuta fra i libri e le conversazioni a tavola avevano il sentore di un’interrogazione agli Esami di Stato: “Chi ha scritto le poesie a Casarsa?”, chiedeva mia madre mentre faceva scivolare una cucchiaiata di purè nel piatto.

Credo che con questo imprinting, il mio futuro fosse irreparabilmente condizionato: mi sono laureata in Lettere e ho iniziato a insegnare all’età di ventitrè anni. In una scuola serale. In una scuola serale frequentata da adulti lavoratori a cui dovevo parlare di Dante e Petrarca. Ed è stato bellissimo.

Da lì è stato tutto un crescendo di attività, ricerche, scritture, viaggi, studi, successi, sconfitte, gioie e pianti.

Ho scritto e scrivo tanto e mi dedico a quello che amo: la mia famiglia, i miei alunni, i miei libri. E trovo il tempo per guardare il cielo stellato, il mare d’inverno, i cuccioli di gatto o le albe trasparenti. E per il cioccolato. Per quello trovo sempre tempo.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Si scrive per vivere e sopravvivere, per tendere all’infinito, per piacere, per presunzione, per romanticismo, per vanità, per lasciare o per centrare un segno. Si scrive perché grumi di idee, parole ed emozioni possano concretizzarsi e ordinarsi in segni striscianti sulla carta. Si scrive per dire “ci sono” e perché dicano “c’era”. Si scrive anche per gioco, per sfida, per evasione. E anche per divertimento.

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Alcune poesie della raccolta INADEGUATO ALL’ETERNO tradotte in albanese da Juljana Mehmeti per Atunispoetry

Ringrazio la poetessa Juljana Mehmeti per aver tradotto in una lingua ricca di fonemi fascinosi alcune mie poesie di qualche anno fa ma a me care.

Grazie a Juljana e grazie a Atunispoetry per l’ospitalità. IM

https://atunispoetry.com/2021/02/03/poezi-nga-ivano-mugnaini-solli-ne-shqip-nga-italishtja-juljana-mehmeti/

 Immagine copertina Inadeguato all'eterno
 

Qualcosa dentro

Qualcosa dentro ancora non si adatta,
non si adegua, continua a pulsare per moto
proprio, ad ammalarsi, a guarire, con impulso
autonomo, indipendente; scorre la vita
a dispetto di sé, ti porta, immbile, su lidi
secchi, inattesi, proprio nell’attimo in cui
senti che niente muta il niente che, lento,
divora.
Ma qualcosa ancora non si attaglia,
non si allinea. Sfiora la superficie un pensiero
cristallino, perla di luce ignota, tanto salda
da farti oscillare, scivolando via da te
con riso stranito, sognando il tonfo, il crepitio
sarcastico dello schianto, il profilo cupo
dello scoglio. O un prato semplice, bambino,
dove la distanza tra destino e percorso è solo
il salto di un fosso, di slancio, ad occhi chiusi,
l’attimo in cui la mente diventa riflesso dorato
di sole, riso profondo, leggero, del cuore.
 
 

Diçka brënda

 
Diçka brënda akoma nuk përshtatet,
nuk ambjentohet, vazhdon të pulsojë ritmin autonom, të sëmuret, të shërohet, me impuls
të pavarur;
jeta rrjedh përkundër vetes, të çon, të palëvizshëm,
në brigje të thatë, e papritur, vetëm në momentin në të cilin
mendon se asgjë nuk e ndryshon asgjënë, ajo ngadalë,
gllabëron.
Por diçka ende nuk përshtatet,
nuk vijëzohet. Një mendim prek sipërfaqen
kristalor, perlë drite e panjohur, aq solide
sa të bën të lëkundesh, duke rrëshkitur nga ty
me të qeshura të hutuara, duke ëndërruar zhurmën, kërcitjen
sarkastike të rrëzimit, profilin e zymtë
të shkëmbit. Ose një livadh i thjeshtë, foshnjë,
ku distanca midis fatit dhe rrugës është vetëm
kërcimi i një hendeku, i vrullit, me sy të mbyllur,
momenti kur mendja bëhet një reflektim i artë
i diellit, e qeshura e thellë, e lehtë, e zemrës.
 
 ***
 

La tempesta

 
Sarebbe troppo agevole, per noi,
uno schianto di cielo, urlo, pianto,
riso stranito, poi, più niente.
Solo il corpo, per istinto antico,
si affannerebbe alla ricerca
di un riparo di fortuna.
La mente, già leggera, lontana
sulla schiuma che vola incontrastata
verso il mare.
Ma la nostra tempesta, per quanto
lunga, limacciosa, densa di vento
e torrenti, tronchi, liquami, rottami,
finisce sempre, all’indomani, con un sole
in tuta da lavoro, stinta ma brillante,
abbastanza per vedere che niente, davvero,
è cambiato.
Solo il ciglio del fiume è più largo,
corroso, cosparso di fango già pronto
a mutarsi in argilla. Estetica immutabile
del nulla, laccio emostatico di una subdola
serenità, vespa cieca, assassina, a spasso
sopra e dentro la testa, ti lascia solo
l’attimo, lo scarto, fessura breve
di silenzio afferrato in controtempo:
ascoltare, lontano,
l’eco, il suono, la speranza:
una vana, vitale tempesta.
 
 

Stuhia

 
Do të ishte shumë e lehtë për ne,
një përplasje qielli, një ulërimë, një e qarë, qeshje e hutuar,
pastaj, asgjë më shumë. Vetëm trupi, nga instinkti antik,
do të rropatej ne kërkim të një strehe të improvizuar.
Mendja, tashmë e lehtë, e largët mbi shkumën që fluturon pa pengesa drejt detit.
Por stuhia jonë, ndonëse e gjatë , e hollë,
e dendur me erë dhe përrenj, trungje, ujëra të zeza,
mbeturina, mbaron gjithmonë të nesërmen, me një diell
veshur me rroba pune, të zbardhura, por të ndritshme,
mjaftueshëm për të parë që asgjë në të vërtetë
s’ ka ndryshuar.
Vetëm bregu i lumit është më i gjerë, i gërryer, i spërkatur me baltë, i gatshëm
të shndërrohet në argjilë. Estetikë e pandryshueshme e asgjësë,
tub statik i një qetësie të rreme, grenzë e verbër, vrasëse,
në shëtitje sipër dhe brenda kokës, të lë të qetë momentit,
mbetje, e çarë e shkurtër e heshtjes kapur në kundër-kohë:
të dëgjosh larg,
jehonën, tingullin, shpresën:
një e kotë, stuhi vitale.
 
 ***
 

Inadeguato all’eterno

 
Se le braccia spalancate
della ragazza nuda
avranno la pietà del miele
selvatico, se il suo sorriso
enigmatico, sconosciuto e impuro
ti darà la certezza del corpo
e del cuore, senza cercare
niente di più, ora, del battito
delle tempie e del fuoco del sudore,
avrai il dono scabro, essenziale,
di un attimo: l’istante leggero e violento
in cui ti senti vivo,
seppure fragile, sporco,
inadeguato all’eterno.
 
 

Perjetësisht i papërshtatshëm

 
Nëse krahët e hapur
të vajzës lakuriq
do të kenë mëshirën e mjaltit të egër,
nëse buzëqeshja e saj
enigmatike, e panjohur dhe aspak e dlirë
do të të japë sigurinë e trupit dhe të zemrës,
pa kërkuar asgjë më shumë, tani, nga rrahjet e tëmthave
dhe zjarrit të djersës,
do të kesh dhuratën më konkrete, thelbësore,
të një çasti: momentin e lehtë dhe  të dhunshëm,
në të cilin ndihesh i gjallë,
ndonëse i dobët, i pistë,
përjetësisht i papërshtatshëm .
 Gustav-Klimt-L-Attesa-3d-effect-donna-woman-albero-tree
Traduzione dall’italiano di Juljana Mehmeti
 Solli në shqip nga italishtja Juljana Mehmeti
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Premio nazionale di scrittura teatrale Marco Praga

Agli autori di testi teatrali e a chi voglia provare a cimentarsi con la scrittura teatrale, segnalo questo Premio indetto da Macabor Editore.

La partecipazione è gratuita.

Buona scrittura, IM

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LA LINEA DI CONDOTTA – Alcune osservazioni sulla politica

Pensando alla politica odierna, mi sono venuti in mente due scritti: uno su Jonesco, e uno sul tema specifico, che ho scritto anni fa. Ho optato per il secondo perché contiene citazioni di autori e politici ancora attualissime.
Anche se, soprattutto, mi è venuto in mente il monito del mio amico Paolo: mentre noi cerchiamo la parola bella senza fare altro loro… fanno esattamente quello che vogliono. (Sono stato abbastanza elegante). IM

I poveri e il denaro- Vincent Van Gogh

LA LINEA DI CONDOTTA

Alcune osservazioni sulla politica

In Diario d’antepace Max Frisch osserva: “Chi non si occupa di politica, ha già preso quella decisione politica che voleva risparmiarsi: serve il partito al potere”.
          André Malraux, invece, afferma che “Non si fa politica con la morale, ma nemmeno senza”. Questa frase andrebbe fatta scrivere sui banchi e sulle poltrone dei deputati. Ma sono convinto che, anche con tale monito stampato a colori sulla pelle, alcuni politici dall’ampio sorriso mi direbbero, seri e compìti, che non ho capito nulla della natura profonda della loro attività. Mi schiafferebbero contro, con parole loro, le frasi dello scrittore austriaco H. Behr, il quale, con sublime realismo sosteneva che: “La politica è giusto l’arte di intendersi tanto sul proprio vantaggio che su quello del prossimo e sfruttare questo per quello, e mentre ci si serve del prossimo far sì che egli debba pensare che lo si serve”.
          Qui, chiaramente, sarei al tappeto, in pieno KO. E qualcuno comincerebbe ad accendere gli stereo per cantare gli inni del bunga-bunga. Per rialzarmi, trovando forza e stimoli per riprendere il match, mi necessiterebbe un po’ di umorismo. Magari basato sul sentimento del contrario, per dirla con Pirandello.
Quando penso alla nazione in cui vivo, la quiete svanisce, prima, dopo e durante la tempesta. Non mi aiutano certo a recuperarla le parole tratte da La vita agra di Luciano Bianciardi: “La politica ha cessato da molto tempo di essere scienza del buon governo, ed è diventata invece arte della conquista e della conservazione del potere”. Tuttavia, in virtù di quel gusto amaro che c’è nella malinconia, o semplicemente per mettere in pratica l’esclamazione di Nanni Moretti, “andiamo avanti così, facciamoci del male”, proseguo con la lettura del libro di Bianciardi e arrivo a scovare la seguente ineludibile sentenza: “La bontà di un uomo politico non si misura sul bene che egli riesce a fare agli altri, ma sulla rapidità con cui arriva al vertice e sul tempo che vi si mantiene”. Qui, se si potesse rendere “multimediale” questo mio scritto, risuonerebbero le fatidiche note della Nona di Beethoven. E, all’unisono, comparirebbe la dentatura smagliante di qualche politico mediatico.

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