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A TU PER TU – Franco Piol

Franco Piol, dopo aver elencato i suoi numerosi scritti e i suoi variegati amori, si autodefinisce “uno s-ciantin euforego”, un tantino euforico, potremmo tradurre, anche se il veneto, lo sa bene chi ha letto Goldoni e i suoi eredi, contiene sempre una nota in più, allusiva, evocativa. In ogni caso, soprattutto di questi tempi, l’euforia è una caratteristica rara, quindi preziosa. Piol è multiforme, poliedrico, solare e cupo, pessimista e costruttore di baluardi di esistenza-resistenza. Il poliedrico Piol ci porta euforicamente fuori strada, per dirla con uno slogan del movimento sessantottino, ci conduce: Contro i sensi vietati, verso le strade del possibile. Contro i sensi vietati sia linguistici che politici”.
Con una coerente incoerenza, vado anch’io, nell’ambito di questo ciclo di interviste, controcorrente, parlando di un libro di Piol di cui lui volutamente non ha fatto cenno nell’intervista, Le macchie nere del racconto. Il libro l’ho letto, e ne parlerò in un’altra sede, con gli spazi, anche grafici, giusti e necessari per un lavoro complesso e articolato. Qui ed ora però, vorrei inserire un breve ma sentito consiglio di lettura, di ricerca, un suggerimento e un invito ad una euforega curiosità bibliofila. Per farlo faccio ricorso alla prefazione di Selene Gagliardi che, come dicevano i commentatori sportivi di una volta, da sola vale il prezzo del biglietto. La Gagliardi sottolinea “la totale assenza di un eroe tout court” e ci parla di “un uomo comune, ritrovatosi a dover prendere una posizione nel corso di una congiuntura storica in cui rimanere indifferenti era impossibile”. Ci racconta di un uomo che ha messo la testa nel sottosuolo dostoevskiano e per cui la vita è “un eterno coprifuoco”. Il riferimento non è causale, e la sua stringente attualità conferma che nulla cambia, o meglio che il pericolo è sempre in agguato, così come la necessità della resistenza. Perché, come ci indica Piol, “ognuno raccoglie quel che trova / e a mezzanotte in punto / scatta un altro giorno”.
          Questa presentazione “in senso vietato”, ha l’intento di veicolare l’attenzione su un libro di notevole interesse e spessore e allo stesso tempo la volontà di fare da apripista per la lettura delle risposte di Piol alle domande.
Anche in questa caso si tratta di risposte colme di vitalità, solare e disincantata, sempre autentica. Tra i mille ingredienti, reagenti, carburanti e propellenti, c’è un minimo comune denominatore: “alla radice di molte tentazioni performative di carattere artistico, c’è sempre lei, la poesia come motore di tutte le iniziative intraprese”.
Poiché si resiste a tutto tranne che alle tentazioni, chiudo questa atipica introduzione con un ormai rituale invito alla lettura ma anche con una nuova citazione tratta da un’osservazione di Selene Gagliardi: “tutto viene visto con la levità di una favola – seppur a volte triste – accarezzata da uno sguardo carico di compassione per la ‘vittima’, salvificata da un quasi onnipresente lieto fine”.
Buona lettura, IM

 Racconti dall'aldiqua - Piol

 5 domande

a

Franco Piol

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Sono romano di origine coneglianese. Principalmente sono autore e regista teatrale (soprattutto di molti testi per ragazzi per un totale di quaranta anni di attività direttamente con loro: Gianni Rodari è stato uno dei miei tanti maestri), ma alla radice di molte tentazioni performative di carattere artistico, c’è sempre lei, la poesia come motore di tutte le iniziative intraprese (pittura, scrittura, teatro). Ho più di una decina di silloge, da Poetesie in concerto a Idea per un balletto, da Passando per Conegliano a Treni, da Le macchie nere del racconto ad Amori miei. Ancora più prolifico in campo teatrale con oltre cinquanta testi e un centinaio di allestimenti. Ora, per la fatica dell’età che sopravanza, più comodamente (si può dire?) scrivo: racconti, romanzi, sceneggiature, testi teatrali che altri mettono in scena.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Sicuramente è stata la pubblicazione della raccolta dei Racconti dall’aldiqua (Caleidoscopio d’amore in dodici scatti), avvenuta all’inizio della lunga quarantena causata dal coronavirus, curata dalla Augh Edizioni e praticamente “bruciata” dal prolungarsi all’infinito di questa disastrosa pandemia. Peccato perché il libro (è delizioso!), ha ricevuto benevole recensioni e l’affetto dei lettori più affezionati. Così la critica: …Ed è proprio questo che l’autore mette in scena nel teatro del suo libro: la vita in toto, con ogni sfaccettatura, ogni fase, ogni cognizione e, soprattutto, ogni passione… (Fabio Croce); oppure: …Buon pomeriggio con una buona lettura dove sentimento, narrazione, fantasia, realtà, cultura e passione sono un mix di sicuro effetto nei suoi scritti! Riconosciuto, ammirato il mio amico Franco, riesce a rendere il profondo in leggero, il drammatico in ironico, il fantastico in realistico e viceversa, proponendo letture che hai piacere ad affrontare in qualsiasi luogo! (Maica Ferrari): o anche: …ritrae con splendida e raffinata cura la condizione umana in ogni sua sfumatura, partendo dal racconto intenso, avvincente, empatico, simbolico, credibile, emozionante, profondo, necessario, politico nel senso più alto del termine, non lesinando mai in importanti riferimenti e citazioni, degli ultimi, degli emarginati, dei reietti, dei dimenticati, degli esclusi da quella stessa società, in ogni luogo e tempo, di cui sono membri, con pari dignità rispetto a tutti gli altri, prostitute, ballerini, gigolò, attori, partigiani…. Da non farsi sfuggire per nessuna ragione… (Gabriele Ottaviani); e ancora e chiudo: …Una narrazione vista dall’angolo più scomodo, quello più inconsueto, servita come un menù dove assaggi vari aspetti umani prima ignorati, dove testi caratteristiche umane che un pensiero preminente emargina ma che Franco Piol rende interessanti elaborando in senso poetico un’attenta analisi dei personaggi… (Giovanni Lauricella).

Un quadro di sintesi per trasmetterti appieno le mie sensazioni rispetto al dispiegarsi dei dodici scatti d’amore son le righe dedicatemi da Selene Gagliardi:

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Alla casa di Dante

Scusandomi per il ritardo, propongo un resoconto (tratto dal sito Pianeta Poesia http://www.pianetapoesia.it/?p=410)  della mia presentazione alla Casa di Dante a Firenze del 14 marzo scorso.
Pianeta Poesia

PIANETA POESIA fa parte dell’ASSOCIAZIONE NOVECENTO POESIA diretta da Franco Manescalchi.

La bellezza del luogo, le suggestioni artistiche e letterarie e la partecipazione attenta dei presenti mi hanno consentito di annotare belle sensazioni da inserire “nel cammin  di nostra vita”. Copio, sperando di non essere mandato all’Inferno. Oppure sì: la compagnia descritta dal Poeta è molto interessante.
Ringrazio i relatori e i lettori, di cui riporto qui di seguito le note e i commenti. IM

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La presentazione è iniziata con il benvenuto della Presidente del Circolo degli Artisti, Graziella Marchini.

Poi Annalisa Macchia ha presentato l’autore, elencandone le molteplici attività e opere, ed ha letto la propria nota critica:

Scarne, essenziali le notizie biobibliografiche di Ivano Mugnaini presenti su questo libro, in perfetta sintonia con il carattere schivo e modesto dell’autore (pregevole e rara virtù, oggi, tra gli scrittori), nonostante l’eccellenza della sua attività letteraria e critica, caratterizzata da un autentico amore per la parola, in ogni sua artistica declinazione. Molto sinteticamente ricordo che Mugnaini è autore di romanzi, racconti, poesie, recensioni, note critiche; collabora con riviste ed  editori, ha curato una rubrica sul sito della Bompiani RCS, cura un blog letterario tutto suo, “Dedalus”, www.ivanomugnainidedalus.wordpress.com e il sito www.mugnaini.it, dove sarà  facilmente rintracciabile una nota biobibliografica più ampia e dettagliata.

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Certamente può essere utile appropriarsi delle note bibliografiche di un autore per inquadrarlo, capire a grandi linee come si articola la sua scrittura, tuttavia non è sufficiente per percepire a pieno le sue potenzialità, quanto riesce a trasmettere con la parola, quale vita sa ricreare nelle pagine, quanto di sé sa comunicarci. Leggere le sue opere resta un’inevitabile e spesso sorprendente via. Avventurarsi in questo specchio di Leonardo, dunque, aiuterà indubbiamente il lettore a conoscere meglio la personalità del grande artista-genio toscano, ma, e non in misura inferiore, anche quella di chi l’ha scritto.

Il romanzo, precisa l’autore, è stato ispirato da un film-documentario su Leonardo da Vinci, alle prese con lo studio sugli specchi, cui il genio si dedicò a lungo per scopi scientifici e militari, suscitandogli interrogativi sul possibile rapporto tra il genio toscano e la sua immagine speculare, con tutti i contrasti che potevano derivarne.

Così, dall’incontro casuale con un sosia, di identico aspetto fisico, ma diversissimo come carattere e inclinazioni, Manrico, nasce e si sviluppa questo romanzo, non ascrivibile al genere “romanzo storico” perché molti sono gli elementi romanzati della vicenda, anche se la ricostruzione storica dell’ambiente è fedele e ricrea una perfetta cornice di paesaggi e situazioni per i personaggi che vi si muovono.

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Come sottolinea Giuseppe Panella, autore di un ampio saggio critico che precede il testo, il romanzo non può nemmeno essere comparato, trasportati nostro malgrado dall’onda di una potente pubblicità, a una delle tante sensazionalistiche emulazioni nate in seguito alla fortuna del Codice da Vinci di Dan Brown. Il romanzo di Mugnaini affonda le sue radici in ben diversi terreni, possiede una personalità propria (anzi due…), ben delineata e tratteggiata, seppure inserita nella vastissima corrente delle tematiche trattate.

Quest’opera, afferma Giuseppe Panella, è uno scavo in profondità nella mente di Leonardo supportato da una notevole ricostruzione del suo percorso biografico che non pretende tuttavia di rivelare verità storiche nuove o sorprendenti quanto di puntualizzare e di ricostruire ciò che è noto della dimensione umana del personaggio, tentando di farlo interagire con le proprie contraddizioni.”

Un’opera che si situa sia tra le molteplici, varie e variegate altre opere sul geniale artista toscano, dopo aver solleticato la fantasia, gli studi e la voglia di indagine di tanti autori nel corso dei tempi,  sia in quelle, ancor più numerose, che, fin da epoche assai anteriori a quella di Leonardo, si destreggiano con l’inesauribile tematica del doppio. Non ci sarebbe che l’imbarazzo della scelta nell’enumerarle, ma, forse, la mente corre più facilmente ad alcune, famosissime, giocate sulla tragedia, come: Lo strano caso del dottor Jekyll e Mister Hyde di Stevenson, Il ritratto di Dorian Grey di Oscar Wilde, Il fu Mattia Pascal  o anche Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello; oppure a quelle in chiave più surreale come Il visconte dimezzato di Italo Calvino o L’uomo duplicato di José Saramago; ma anche alla godibilità del “doppio” giocato da Plauto, Shakespeare e dal nostro Goldoni.

Il “doppio” di Ivano interpreta il desiderio inappagato che ciascuno di noi ha di comprendere la natura umana in ogni sua misteriosa sfumatura, cercando se stesso negli altri e in ciò che ci accade intorno. Aspirazione, a maggior ragione, drammaticamente vissuta da Leonardo, dotato di un genio capace di creare bellezza e scienza così magistralmente da essere difficilmente superato da altre menti e mani della sua epoca, senza tuttavia riuscire, per la intrinseca limitata natura umana, a comprendere fino in fondo la ragione della sua creatività, la complessità, la follia e tutti i moti spontanei di un io più profondo, costantemente tenuto a bada dall’altro io, quello inevitabilmente soggetto alle soffocanti leggi della società.

L’incontro con il sosia Manrico è per Leonardo l’occasione di affondare in questa oscurità, di scavare impietosamente in se stesso, liberando istinti repressi, lasciandosi coinvolgere poi da insolubili contraddizioni, tormentato dal continuo struggimento di non trovare adeguata finitezza alla sua sete di sapere e nel suo operato. Cercherà di mettere quest’io nei suoi ritratti. La pittura è per lui lo specchio in cui guardare dentro di sé e risalire alla parte più sconosciuta di se stesso; davanti al suo sosia, il suo specchio umano, capiterà la stessa cosa. Crederà di essersi ritrovato in parte, ma dovrà prendere tragicamente atto del suo fallimento, poiché l’io di entrambi, come quello di ciascuno di noi, è in continua evoluzione, sfuggente, ambiguo, inafferrabile.

Particolarmente interessante, nella nota critica di Panella, è il duplice riferimento, opportunamente presentato nel testo in maniera speculare, alla Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci del 1894 di Paul Valery e al saggio biografico su Leonardo di Sigmund Freud, scritto nel 1910.

Si tratta di due tra le più autorevoli e significative analisi su questo personaggio, profondamente diverse, come diversi sono i loro autori e le origini, ma capaci di mettere in luce le altrettanto diverse facce di Leonardo: il rigore scientifico che convive con la grazia delle sue opere artistiche, ovvero la natura solare di artista-scienziato evidenziati da Valery e, scandagliata da Freud, la resistenza al piacere, l’inquietudine interiore, la genialità misurata in rapporto alla vitalità sessuale.

Affidando alla parola scritta, come l’autore fece a suo tempo anche nella raccolta poetica  Il tempo salvato, un’operazione di scandaglio nei meandri più profondi dell’essere, attraverso cui si possa arrivare a conoscere qualcosa di più di noi stessi, letterariamente scavalcando ogni barriera temporale, Mugnaini guida il suo Leonardo in questa particolare ricostruzione al contempo biografica e romanzata.  Nell’umanissima figura umana che ne emerge, combattuta tra dubbi e incertezze, tra complessità e linearità, tra luce e buio, tra bene e male, si percepisce bene quanto lo scrittore si identifichi con il suo personaggio, con lui immerso nell’ansia di una ricerca di verità sfuggente, che mai si rivela nella sua pienezza, perché al Vero è concesso solamente avvicinarci.”

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A questo punto Valeria Serofilli, dell’Associazione Caffè dell’Ussero, di Pisa, ha letto alcuni brani dell’opera.

L’intervento di Giuseppe Baldassarre è iniziato portando i saluti di Giuseppe Panella, che non ha potuto partecipare, per impegni di lavoro lontano da Firenze, e leggendo alcune righe dall’Introduzione al libro fatta dallo stesso Panella. Se ne riporta una parte: ” Il libro di Mugnaini è un romanzo, anzi una biografia romanzata simpatetica e allucinata, attraversata dai brividi dell’approssimarsi alla verità, dal timore di non poterla raggiungere. Ma ogni biografia (e, aggiungo, ogni autobiografia) è il romanzo che il suo protagonista non ha avuto il tempo o il coraggio di scrivere. Lo specchio di Leonardo è un sogno della Storia e, come tutti i sogni che si sono avverati, parla un linguaggio fatto di poesia e di sapiente accostamento al vero.”

Poi Baldassarre ha esposto alcune riflessioni critiche, che qui si riportano sinteticamente.

La tensione vitale dell’ambivalenza
Lo specchio porta a un riflesso asimmetrico, che porta a riflettere sull’identità, le due figure non sono un raddoppio, ma un invito a tentare una sintesi che si rivela impossibile. Ma il punto di partenza è ormai superato, per cui c’è evoluzione, necessaria. Che può anche non trovare l’ubi consistam, se non momentaneo. Ma avviene, per caso e per scelta.

Il genio è scontento, insoddisfatto ed ha bisogno di esperire le sue possibilità. Nel caso di Leonardo alla sublimazione degli istinti vitali fa da contralto e contrasto la sensazione, la carnalità, a partire dalla sessualità istintiva. Leonardo e Manrico rappresentano i due poli, la cui tensione è forte e vitale, ma si scopre via via impossibile da armonizzare. Manca la sintesi armoniosa, resta l’ambivalenza, e la scontentezza. E’ un’interpretazione romantica del personaggio simbolo del Rinascimento.

Anche il prodotto artistico è incompleto se non c’è la fusione degli elementi contrastanti: la bellezza diventa statica senza la vitalità degli istinti. A parte le altre opere portate a termine o incompiute, simbolo di questa situazione diventa la Gioconda, che l’artista porta con sé e rifinisce continuamente, ma non ha sorriso. E’ un gesto dirompente di Manrico, espressione degli istinti originari, che la fa diventare pienamente donna e allora appare il sorriso. Suggestiva e inaspettata soluzione artistica che porta alle estreme conseguenze la teoria freudiana della sublimazione artistica. Scelta originale di Mugnaini, che la carica di una valenza artistica anticipatrice di una certa arte performativa del Novecento.

Il linguaggio del romanzo è misurato, ma incisivo, carico di parole e immagini concrete. La narrazione è sempre verisimile. Il lettore si trova subito immerso, in modo del tutto naturale, nell’ambiente e nel tempo della seconda metà del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento.

Se l’autore entra in piena sympàteia con il suo personaggio, non è richiesta l’immedesimazione del lettore con Leonardo, anche perché colto in questa fase di schizofrenia, in cerca lui stesso di unitarietà, probabilmente non raggiungibile. La narrazione di Mugnaini, in compenso, rende il grande artista uno di noi, lo porta tra noi. E  questo, insieme ad altri,  è certamente un grande merito dello Specchio di Leonardo.”

Valeria Serofilli ha letto alcune pagine del libro.

E’ quindi intervenuto l’autore che ha dialogato con i relatori e con il pubblico in merito al libro, alla tematica e al proprio metodo di scrittura.

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