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Letture allo specchio 3 – Di Monaco, Gaddo Zanovello, Giudice

PURELY COINCIDENTAL
Ho ricevuto varie “impressioni di lettura” su Lo specchio di Leonardo: positive, meno positive, positive nord-nord-ovest, per dirla con Amleto, con distinguo e chiaroscuri.
Vorrei pubblicarle tutte, perché ogni commentatrice e commentatore ha dedicato tempo e attenzione al libro. Lo farò, in varie fasi. Comincio pubblicandone alcune tra quelle che mi hanno maggiormente colpito. Il fatto che siano positive è, come dicono nei film, “purely coincidental”, puramente causale.
Battute a parte, tutti i commenti sul romanzo, di qualunque tipo, sono bene accolti, e, chi volesse, può scrivermi in proposito a: ivanomugnaini@gmail.com.

foto libro 1

GIOVANNI GUIDICE

Ho terminato oggi di leggere il romanzo Lo specchio di Leonardo.
L’ho letto attentamente, e devo dirLe che una delle cose che mi hanno più colpito (o meglio quella che mi ha più colpito in assoluto) è la Sua capacità di analisi introspettiva, che mi ha ricordato Dostoevskij. Il libro, inoltre, per la sua trama e il suo
‘taglio’, mi è parso originale. È stata una lettura davvero istruttiva per me, che ho apprezzato molto. Credo che si possa parlare veramente di un’opera pienamente riuscita e che si distingue tra le recenti uscite di narrativa.
E, aggiungo, anche il tema su cui s’incentra il libro, e i ‘sottotemi’, se così posso definirli, tutto spicca per originalità…

Con i più cordiali saluti e sincera stima,
Giovanni Giudice

Promo Leonardo con frase A

LUCIA GADDO ZANOVELLO

Gentile Ivano Mugnaini,
ho terminato proprio ora di leggere “Lo specchio di Leonardo” e desidero inviarle i miei complimenti più sentiti per il suo libro, che mi è piaciuto moltissimo e che rileggerò a lungo.
Questo mio vivo apprezzamento è dovuto non solo alla qualità della sua scrittura, ma anche al racconto che, assumendo i toni intimistici dell’autobiografia, psicologicamente avvicina le inquietudini del lettore a quelle profonde e profondamente motivate di Leonardo.
Tormenti che riguardano l’arte e le opere fondamentali che si incontrano e delle quali vengono date avvincenti angolazioni di lettura, ma che si riferiscono anche all’umanità del personaggio, la condotta del quale suscita quella pietà umana che ce lo avvicina e affratella.
L’interesse e la partecipazione al racconto proseguono poi in un crescendo, dal riferimento all’aneddoto dell’asino e la sua ombra, al fatto che, nel monumento, il cavallo sia indubbiamente più interessante del cavaliere, fino all’appassionante sdoppiamento con Manrico, nel tentativo, da parte di Leonardo, di trovare l’identificazione propria; impossibile, dato che si tratta del vano ‘tentativo di fuggire allo specchio con un altro specchio’.
Ho trovato particolarmente appassionanti le suggestioni, variamente diffuse nel romanzo, che riguardano le problematiche della sempre sfuggente identità, ma è avvicinandosi all’ultima parte del libro, dove si incontra la rivelazione che ‘la più autentica forma di rivolta è la bontà’, a p. 58, dove la bontà sembra quasi ‘chiedere scusa di esistere’ e ‘si identifica con la poesia’ come ‘la sola trasgressione possibile’, che si susseguono pagine, per me, anche filosoficamente, bellissime.
Ove si dice, ad esempio, che ‘la fine non è epilogo ma trasformazione’, che ‘la morte è vita’, che ‘la follia più autentica è la verità’ e mentre perdura ‘il mistero della sorte,’ perdura tuttavia anche il caparbio sforzo di ‘cercare di conciliare la nascita con l’epilogo’.
Imprevedibile e spiazzante risulta la scelta di Manrico, che tornato alle sue vesti semplici originarie, si scopre ormai irrimediabilmente insoddisfatto di sé e vuole diventare (artista) come Leonardo, tornare ad ‘essere’ Leonardo, nel momento stesso in cui Leonardo non è più quello di prima, ma è proprio qui che si comprende che ‘il cambiamento è tutto’ che ‘tutto torna e nulla è uguale a come dovrebbe essere’.
Infine Leonardo accetta la ‘compresenza’ di Manrico ed avviene il miracolo: ‘la morte ottiene di avere la similitudine del perfetto vivo’, perché in effetti è così per tutte le opere di Leonardo, come avviene in modo eccelso per la Gioconda, che è stata resa davvero dall’irriducibilità di Leonardo perfettamente ed eternamente viva.
Sono pienamente convinta della validità del suo romanzo, al quale auguro tutta la fortuna che merita.
Un carissimo saluto,
Lucia Gaddo Zanovello

Letture allo specchio 3
BARTOLOMEO DI MONACO

Il nucleo del suo libro è il percorso pieno di sofferenza che Leonardo fa alla ricerca di se stesso, ossia di ciò che nemmeno le sue opere riescono a rivelare; una ricerca affannosa e traumatica che lo porta perfino a desiderare di rifiutarsi. In realtà il suo specchio è il risultato di tanti specchi, ossia di tanti avvenimenti materiali che hanno costellato dolorosamente la sua vita: non solo il suo sosia Manrico, quindi, ma anche la madre che lo ha trascurato, la violenza sul giovane Jacopo Saltarelli, Cecco il beccaio, che è l’uomo che aspetta la morte, persino “la similitudine del perfetto vivo”, a cui si deve somigliare dopo la morte.
Vi è nella storia l’amara inquietudine che trovo nel “Ritratto di Dorian Gray”, di Oscar Wilde.
Il percorso interiore si intreccia con quello reale, ossia della vita vera vissuta dall’artista, un percorso che anima il racconto di personaggi storici e di opere d’arte che assumono nuova luce nel momento in cui li riguardiamo sollevando il velo del Leonardo insicuro ed inquieto, direi addirittura tragico, che la tua ipotesi mette a nudo.
Bella ed elegante la scrittura.
Un caro saluto,
Bartolomeo Di Monaco

L’ALGEBRA DELLA VITA

ALG VITA copert front

Scrittore realista, dotato di una percezione acutissima di quella psicopatologia della vita quotidiana attraverso cui si esprime il malessere di un’epoca, Ivano Mugnaini, ne L’algebra della vita ( Milano, Greco e Greco Editori, 2011) ci cala in questi racconti, tanto più terribili e coinvolgenti quanto più anodina e ordinaria è la materia di cui sono costituiti, in un universo medio, né sublime, né reietto. Lo sguardo di Mugnaini entra infatti, con sorprendente naturalezza, negli appartamenti, nei salotti, nelle camere da letto, si insinua nei recessi più segreti a fotografare il miscuglio di angosce, di meschinità, di strambi ideali e improvvise emozioni che muovono i personaggi di questa sua minima commedia umana.

Ma c’è di più, la scrittura di Ivano Mugnaini ha qualcosa di singolarmente vigoroso: nella scelta dei vocaboli, nel tessuto asciutto ma tagliente delle frasi, nel suo periodare incalzante eppure equilibrato in cui fonde la fredda precisione del clinico ad una pietas che svela la vocazione etica dell’autore e rende questi racconti piccoli capolavori, a volte venati di un umorismo livido e glaciale. La letteratura, in queste pagine, sembra quasi aggredire e sforzare la realtà, investirla di valore, sentirne il palpitare aggrovigliato e indistinto e immergersi in esso per riconoscere ciò che brucia sia nelle sue immagini apparenti che nella sua più intima profondità.

Mugnaini cerca, in ogni momento della narrazione, una dimensione “forte” della letteratura, scrivere è per lui confrontarsi con la materia viva della corporeità, interrogare ed indagare l’ambiente fisico, storico e quasi biologico dell’esistente, vedere e capire il fondo dell’essere umano nella violenza e nella tenerezza dei rapporti che lo costituiscono, raccogliere il colore dei luoghi e dei tempi, cercare dietro le apparenze del mondo i suoi equilibri sempre provvisori, come le tracce di esperienze vitali sempre presenti a se stesse. La letteratura, che ne L’algebra della vita possiede il dono dell’erranza, cerca così una parola essenziale sulla situazione del mondo, rintraccia il senso del presente spesso rivelato da segni resistenti del passato e da una irrazionalità sotterranea che può suggerire, nel lettore accorto, un’eco luminosa da seguire, come la partitura appassionata e disperata di un crescendo inaspettato.

La bellezza con cui la scrittura si rivela in questo libro, si configura dunque come la via faticosa per forzare la realtà, per catturare nella pagina i particolari sfuggenti e fissarli in una sorta di definitiva e impossibile precisione. Nel succedersi dei racconti, si sente infatti la gioia di un’invadente e sfuggente molteplicità, unita alla disperata ostinazione di chi assedia le cose (e nello stesso tempo se ne sente assediato) e si accosta alle loro forme come a partire da una chiusa, immedicabile, sofferenza: spesso le parole si aggiungono alle parole nell’intenzione di precisare e specificare, di dare contorni più fermi e avvolgenti alla materia e l’effetto di questa ostinazione linguistica è sostenuto da una sintassi dai contorni netti e squadrati, che sfugge ad ogni esito di sfumato, trasferendo la scrittura su un piano di alta tensione letteraria. Mugnaini non cerca un movimento narrativo lineare e uniforme: non ci fa venire incontro, come in un’indagine, il manifestarsi della realtà con un succedersi incalzante di eventi e “esistenti” che, nella loro immediatezza, prevaricano la forma ma con una serie di vere e proprie “stazioni”.

Tutti i personaggi cercano infatti, goffamente o in modo pazzoide e infantile, o con cieca determinazione, un “senso” che vada oltre il loro rabbioso e creaturale istinto di sopravvivenza, in un susseguirsi di racconti che sono appunto delle “stazioni”: ciascuno di essi sembra isolarsi nel bozzolo della propria narrazione, come ad offrire uno squarcio particolare del mondo rappresentato ma, dall’insieme di questi racconti, risulta una logica serrata che conduce, con un movimento circolare, ad una serie infinita di alternanze, segni, figure e richiami simbolici che accompagnano vicende e movimenti dei personaggi, in un incastro archetipico dell’esistente e della sua rappresentazione.

La prosa di Mugnaini segue, con la sua incontenibile volontà di vivisezionare il reale, anche una sorta di ostinata ed incontenibile narrazione poetica, in cui il raccontare è in ogni momento ricerca di senso, interrogazione sul valore dell’esistenza attraverso il tendere alla parola, attraverso le contraddizioni del mondo. Le narrazioni si snodano infatti in un vario emergere di momenti, situazioni, immagini, incontri, ciascuno dei quali rappresenta un nodo da cui si sprigiona una tensione, un viluppo di significati che chiama in causa storia e destino dei protagonisti e che trae luce da uno spasimo radicato nel più profondo abisso del nostro corpo: lo spasimo e la smorfia dell’uomo che sa di essere lo scriba imperfetto e disperato di un destino già scritto e, soprattutto, di una storia che si è costretti a vivere non per scelta.

IL SEGUITO DELL’ARTICOLO FIRMATO DA ANTONELLA PIERANGELI A QUESTO LINK: http://criticaimpura.wordpress.com/2012/10/03/supplementi-dindagine-e-controperizie-sulla-leggibilita-del-mondo-lalgebra-della-vita