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Editi ed inediti

Se avete scritto delle poesie, oppure un romanzo, o dei racconti, inviatemi i file in lettura a:
ivanomugnaini@gmail.com.
Sarò lieto di leggerli per un’eventuale pubblicazione, se si tratta di inediti, o per una recensione nel caso di volumi già pubblicati.
Oppure per la traduzione in inglese di brani di prosa o poesie,  sillogi o interi libri o manoscritti. 

IM

Se davvero porterai la mia poesia

Immagine Se davvero porterai

Una poesia inedita scritta e tradotta in un aprile piovoso, in attesa del sole.

An unpublished poem written on a rainy April afternoon, waiting for the sun.

Se qualcuno fosse interessato alla traduzione di singoli scritti di poesia o narrativa, o di libri e manoscritti,mi
contatti a ivanomugnaini@gmail.com
 If anyone is interested in the translation of individual writings of poetry or fiction, or of books and manuscripts, please contact me at ivanomugnaini@gmail.com

A TU PER TU – Annamaria Ferramosca

La caratteristica di Annamaria Ferramosca che emerge, sia dalla lettura dei suoi libri sia dai dialoghi e dalle presentazioni, è la ricerca di un impegno non di maniera e la volontà di estendere il rapporto tra la parola e il mondo, generando fertili contaminazioni.
Il suo è uno sguardo aperto, non in modo retorico o formale. È caratterizzato da un aspetto tutt’altro che frequente, nel mondo letterario e non solo: un desiderio di condivisione fattivo. Il contrario dell’individualismo. Dettò così sembra poco e sembra scontato. In realtà coloro che davvero rinunciano a parte del proprio individualismo per andare oltre “i cerchi e i circoli” sono pochi. Annamaria Ferramosca ha un proprio universo espressivo. Ma ricerca anche, con sincera costanza,  i lavori di gruppo, corali, gli spartiti per duetti o per strumenti che cercano accordi e concerti.
L’impegno a cui si è accennato si abbina anch’esso, senza stridore e senza forzature, alla descrizione di sentimenti assolutamente intimi. L’autrice sa rendere metafora sia la sua emozione e lo stupore per la crescita di sua nipote, sia lo smarrimento e il dolore per le ingiustizie del mondo, per gli squilibri e le sopraffazioni di cui il nostro tempo si rende complice.
Avrei voluto esimervi ed esimermi dal “mantra” dell’invito alla lettura dell’intervista completa. Non mi è possibile. Perché solo le risposte nel loro contesto danno senso e misura a quanto qui accennato in modo succinto, per cenni.
Buona lettura, quindi, a tutti i “dedalonauti”, IM
A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI
Andare per salti copertina

 

5 domande

a 

Annamaria Ferramosca

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Mi autoritraggo: ho profilo di donna, ma da sempre mi sono percepita come “persona”, essere che, al di là della propria esperienza di genere, sente di avere un potenziale cognitivo e creativo espressione dell’umano, nella sua interezza e varietà. Il risultato è quello che forse emerge dalla mia scrittura, di una sempre inquieta scrivente, che ha amato e continua ad amare questo prodigiomistero che è la vita e che si lascia attraversare dalle alterne vicende cercando un punto di equilibrio almeno sulla carta, con l’aiuto delle parole. E la mia modalità di ricerca, intravista fin da bambina, è quella del crescere nel confronto continuo delle esperienze, attraverso lo scambio reale con gli altri, quotidiano e del vigile sguardo sul mondo. Ma tutto questo lungo un’intera vita davvero non basta, non basta –l’ho compreso presto– perché l’incontro con altri vissuti e visioni deve essere il più largo possibile e può avvenire soltanto attraverso la lettura, incessante, sterminata, che sento necessaria come il pane. Da qui l’esigenza poi di restituire almeno tracce dell’immenso immaginario percorso e del pensiero via via elaborato. Così fin dall’adolescenza scrivo, in poesia. Con tremore, sempre, per tutto ciò che inesorabilmente in poesia sfugge, ma anche con la felicità di dar corpo a qualcosa di estremamente volatile ma evocatore di senso, che preme per essere comunicato, e poterlo fare maneggiando la parola, piegandola alla necessità di grazia e ritmo del verso.

E sono grata alla vita che mi ha permesso di seguire questa forma privilegiata di conoscenza – del mondo e di me stessa – che è la poesia. 

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Ogni mia raccolta poetica è il risultato di una mia esigenza –diciamo pure caratteriale– che è il mio voler mai fermarmi, cercare ogni giorno nuove scene, dimensioni, nuove voci e luoghi dove rinascere. Ogni testo nasce non da un progetto, ma da occasioni fortuite, inaspettate. Sono incontri dal quotidiano che s’intrecciano con scene dell’immaginario, o anche oniriche, con incursioni nel mio passato, nella storia, nel mito, fino a spingersi negli spazi inaccessibili dell’altrove. Solo alla fine di ogni periodo di scrittura, quando lo avverto compiuto, accade che il libro si organizzi quasi in automatico, ed è per me facile collegare i testi in sezioni secondo un contiguo respiro tematico.

           E nei titoli dei miei libri resta la traccia delle varie tappe di una esplorazione ancora in moto, come in: Il versante vero; Porte/Doors; Curve di livello; Ciclica; Altri Segni, Altri Cerchi; Andare per salti.

Ecco, mi soffermo su quest’ultimo, pubblicato nel 2017 da ArcipelagoItaca come Premio per una Raccolta Inedita. Il libro riflette in pieno questa mia spinta a trascrivere una persistente inquietudine, divenuta più pressante per il rifiuto, credo ormai sentito da molti, della deriva del mondo fattosi sempre più estraneo – i suoi cardini spostati ormai sul profitto e sulla ipertecnologia– un mondo indifferente, non solidale, miope verso il futuro, che lentamente ci sottrae umanità, l’incontro vero, oltre che gli spazi naturali di vivibilità. 

Continua la lettura di A TU PER TU – Annamaria Ferramosca

A TU PER TU – Chiara Zanetti

Molti gli spunti di interesse che nascono dalle risposte di Chiara Zanetti alle cinque domande della rubrica A TU PER TU.
Di Chiara mi ha sempre colpito la capacità di abbinare la ricerca di leggerezza, divertimento e convivialità ad un’efficienza che verrebbe da definire di stampo “teutonico”. Ma non c’è bisogno di andare oltre confine. Diciamo un’efficienza che anche noi abitanti di questa strana Penisola a tratti sappiamo avere, quando ci svegliamo dal lato giusto.
Chiara non ha cercato scorciatoie: ha saputo ottenere risultati con dedizione e applicazione, mai ottusa o asettica, sempre all’insegna della gentilezza e del dialogo.
Anche nelle risposte all’intervista ha confermato queste caratteristiche: con grande sincerità e chiarezza ci parla di sé e dello “specchio in forma di parole” di un libro in cui, scrutando dentro se stessa e dentro un proprio “lutto”, finisce per parlare di tutti noi, di quello che fatalmente perdiamo, senza mai perderlo del tutto, forse, della fragilità e della persistenza, dell’interiorità, della paura (attuale, oggi e sempre) e della tenace volontà di guardarsi dentro trasformando la perdita e lo smarrimento in ricerca di espressione e di dialogo.
Anche in questo caso, se volete e potete, leggete le risposte nella loro interezza e nel contesto che ben delinea i chiaroscuri, il buio e la ricerca di spiragli di luce.
IM

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

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5 domande

a

Chiara Zanetti

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve autoritratto in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Caro Ivano, grazie per l’ospitalità. Sai, nella mia vita sono sempre stata dalla parte dell’intervistatrice, della giornalista e mai il contrario, salvo un paio di importanti eccezioni.

Un mio autoritratto… Forse un’isola, circondata da pareti di mare, ma in continua ricerca di scambi con la terraferma. È significativo, peraltro, il mio rapporto con le periferie e l’insularità come identità liminale, ma non è questo il momento di dilungarmi in merito…

Caso vuole che stessi parlando proprio ieri con un caro amico scrittore di come i dipinti che alcuni artisti hanno realizzato ispirandosi alla mia figura siano in realtà troppo semplici per cogliere la mia essenza profonda. Credo infatti di essere (come tutti o quasi, in realtà) una persona complessa, densa di sfumature, contraddizioni, iperboli, svalutazioni…. Ma anche accrescitivi, vezzeggiativi, diminutivi. Una sorta di grammatica della persona… E non scordiamoci del binomio con l’analisi! Mi piace molto tentare di capire il mondo, questo è tutto quello che so di me e che ha ispirato il percorso che mi accingo a cominciare a gennaio 2021, ovvero il Master triennale in Counseling presso Aspic.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto lessenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sulliniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

La mia unica opera edita – al momento – è Testamento blu, uscita lo scorso 20 novembre con Echos.

Eravamo nel pieno del primo lockdown quando iniziai a scriverla, e anche l’agenzia di reclutamento per cui lavoravo al tempo era chiusa. Ero a casa, del tutto non abituata a trovarmici costantemente… Io amo scrivere, da sempre, come adoro leggere. Inoltre, mi ero appena imbarcata in una nuova relazione sentimentale dopo il fallimento del rapporto più lungo e sostanzioso della mia vita, finito nell’ottobre del 2018. Quasi due anni, direte, che significa… Beh, per me, molto, visto e considerato che è stato il lasso di tempo necessario per elaborare questo e altri “lutti”. Mi sono guardata dentro e ho pensato, sull’onda anche di una vocazione alle relazioni d’aiuto, perché non scrivere un saggio introspettivo in cui parlare di questo enorme buco nero (come credo ce ne siano nella maggioranza delle storie umane) e dare un esempio a cui appellarsi a chi si trova in difficoltà su vari fronti? E poi il gioco era fatto, ormai, ho colto la palla al balzo e ho iniziato a buttare giù il primo capitolo… Ne sono seguiti altri e infine è avvenuto il sodalizio con un artista che stimo molto per bravura e profondità di vedute, Andrea Lelario, a cui ho proposto di realizzare le illustrazioni del mio libro.

Il titolo mi sembra abbastanza indicativo… Il blu era per Wassily Kandinsky la tonalità dell’approfondimento e, in quanto al sostantivo, esso rimanda a ciò che lascio in eredità ai lettori, che può essere poco o può essere tanto, ma sarà sempre qualcosa.

Nella sua prefazione al testo, Vittorio Raschetti scrive: “Occorre passare per molti solitudini per trovare sentieri non ancora tracciati che portano nei pressi del vero. Perché non arrivare a nulla è diverso da arrivare al nulla. Solo nei segni più labili e nelle tracce più evanescenti è possibile salvarsi, solamente nella fragilità e nella persistenza di ciò che sembra già condannato a scomparire”, e penso qualifichi molto questo manoscritto, che mi ha procurato gioie e pianti.

Aspettative non ne ho. Nessuna velleità letteraria, sogno di successo, speranza di lucro o desiderio di entrare nel novero dell’intellighenzia italiana. Nel mio libro dipingo la mia interiorità ed è tutto ciò che mi importa, se qualcuno vi si può rispecchiare. Per accennare al mio rapporto intimo con questo testo, sicuramente farei riferimento anche alla paura… Timore che possa non piacere o deludere qualcuno.

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A TU PER TU – Laura Corraducci

Le risposte di Laura Corraducci alla domande dell’intervista rivelano la capacità di abbinare il proprio percorso individuale ad una prospettiva ampia, estesa alla comunicazione e all’interazione, fattiva e fertile, con autrici e autori italiani e di altre nazioni.
L’iniziativa “Vaghe Stelle dell’Orsa”, curata dall’autrice, oltre ad avere un nome con bellissime assonanze letterarie e cinematografiche, è un punto di riferimento per la cultura pesarese e non solo.
L’attenzione al dialogo, lo sguardo rivolto a figure femminili di grande rilievo, alla Storia e all’importanza dell’ascolto, sono alcuni dei punti chiave di questa intervista, che, come sempre, vi invito a leggere con attenzione, così come il libro Il passo dell’obbedienza che raccoglie e rende verso e metafora gli stimoli e le fonti di ispirazione.
Buona lettura, IM

libro

5 domande

a

Laura Corraducci

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.
Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?
Grazie a te Ivano per avermi invitata e grazie del benvenuto.  Sono Laura Corraducci, sono di Pesaro, sono insegnante di inglese, poetessa e curatrice della rassegna “Vaghe stelle dell’Orsa” realizzata in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura della mia città, quest’anno giunta alla sua settima edizione.
2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni? Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.
Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).
Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.
Il mio ultimo libro si chiama Il passo dell’obbedienza.  È uscito a metà settembre del 2020 per la casa editrice Moretti e Vitali con postfazione di Marco Vitale e nota critica di Giancarlo Pontiggia.
E’ un libro che raccoglie il lavoro di oltre cinque anni, è diviso in cinque sezioni, l’ultima, che è quella che dà il titolo al libro, presenta tre sequenze poetiche dedicate a tre figure femminili: Maria, Giovanna La Pazza e Simona Atzori, danzatrice nata senza le braccia.
Ogni sezione ha in sé, credo, un respiro autonomo ma al contempo un passo che conduce all’altra, la sezione centrale si chiama “Il rovescio della luce” ed è ispirata ad eventi e persone legate per lo più ad episodi della Seconda Guerra Mondiale.  La storia è un elemento che mi sta molto a cuore, ho recentemente scritto un testo teatrale legato ad eventi storici- sempre del Secondo Conflitto- accaduti nella mia terra e dei quali poco si sa.
Il titolo del libro può sembrare scomodo, obbedienza è una parola fuori moda oramai da decenni, in realtà, ab-audire significa, invece, ascoltare e ascoltare è una delle cose più difficili e necessarie di sempre, in poesia come nella vita, dare ascolto alla voce profonda di noi stessi richiede, prima, silenziare tutte quelle che ci gridano sopra, per riuscire a trovarla, a sentirla, e questo vale anche nel rapporto con l’altro, nel dialogo, nel silenzio che posso rivolgere all’altro.

Continua la lettura di A TU PER TU – Laura Corraducci

A TU PER TU – Rossella Pretto

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

L’ospite di oggi della rubrica è Rossella Pretto.
Poeta, traduttrice, redattrice di riviste letterarie e impegnata in altre attività che scoprirete attraverso le risposte all’intervista.
Già l’approccio, il tono, la scelta di espressioni forti, taglienti come lame, a tratti, lontane dagli schemi consolidati, dicono molto. La parola come fine e come meta, come senso e ricerca di senso, strumento per provare ad esprimere, evitando le scorciatoie, sia le fragilità che gli slanci. La ferita e il volo. La parola, letta e scritta, si fa metodo privilegiato di scavo dell’insondabile, pur senza la speranza di giungere mai ad un punto di arrivo. Anzi, forse proprio in virtù di questa crudele e salvifica impossibilità.
Buona lettura, IM   

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio. Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

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5 domande

a

Rossella Pretto

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Qualche anno fa feci un disegno con la mano sinistra, quella libera da automatismi e condizionamenti; ne venne fuori il ritratto di una donna che, al posto del braccio, aveva un ramo secco radicato nel cuore. Non è forse una buona maniera di presentarsi, lo so. Però sento di doverlo fare non tanto per descrivere me quanto per fornire un’immagine dei tempi nerissimi che stiamo attraversando. Quel bisogno di mani che non si toccano e non possono farlo, quell’asfissia che conduce all’aridità. Siamo così, impossibilitati ad avere sensi che però dobbiamo reiventare. Crearne di nuovi che sopperiscano a quelli perduti. Di me invece si potrebbero dare molte definizioni, scegliere dal mazzo delle possibilità: il mio volto è il ventaglio di chi sono stata e potrei essere. Basti dire che ora mi occupo di poesia, traduzione e critica.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Nerotonia (Samuele Editore 2020) è il mio ultimo (e primo) libro di poesia, un poemetto che attinge acqua (e melma) da uno dei capolavori più bui del mio grande e amato Shakespeare: Macbeth. Ho sempre pensato che Macbeth avesse molto a che fare con me, nel profondo. E dopo anni di lavoro, di studio e di pena devo dire che non ne sono venuta a capo. Il nodo scorsoio di quegli interrogativi pende minaccioso davanti ai miei occhi. Perché, mi chiedo. E non trovo risposta, se non in una turbolenza che squaderna i miei giorni, in un’ansia di sapere what’s next? Che cosa sta accadendo e cosa accadrà? Quale il senso? Fatto salvo il mio sempre risorgente buonumore, le domande tendono ad affollarsi nebulose all’orizzonte di ogni mio sguardo. È che non si trova pace, siamo troppo destabilizzati dal tempo che corre, da un progresso che sembra non avere mai fine, veloce, troppo veloce considerando gli eventi accaduti in pochi anni, una manciata. È tutto in scadenza e il nuovo è scalpitante dietro l’angolo.

E il possesso? Che cosa possiamo dire di possedere se non questo fragile involucro identitario che di volta in volta ci costruiamo? Cosa rimane stabile? Le relazioni, forse, verrebbe da dire. Ma in un tempo che è mercato e sarabanda di voci neanche quelle resistono. Non lo fa l’amore. Ed è sull’amore che il mio Nerotonia è incentrato. Spogliato il testo shakespeariano dei suoi accadimenti, ciò che resta è il rapporto tra Macbeth e la sua Lady: l’amore, la sopraffazione, il bisogno di appartenere e di fagocitare ciò che sfugge. Per dirsi padroni del vento, in definitiva, ma appassionati e vivi.

Giuseppe Conte, dopo aver letto il libro, mi ha che scritto che ho concepito «un’opera di rara energia espressiva e concettuale, costruita con grande sapienza letteraria ma anche con slancio e passione, in una lingua che bene ha definito “tirannica” la Cruciani. Ma anche titanica, nel suo confronto con il Macbeth, capolavoro assoluto». Sì, credo ci sia molta energia in quei versi, arrabbiati, spiazzanti, che sono come piedi che pestano il suolo, lo tambureggiano per farlo risuonare.

Maria Clelia Cardona ha detto che «avvertiamo, cioè, che l’io che parla è un io plurale, «un io femmina troppo espanso» (p.33) e che la scrittrice assume in sé e dà voce a un femminile moderno in cui convergono traumi, colpe, angosce di ogni tempo […] Una lady Macbeth, insomma, assunta come icona di tutto ciò che il vivere di ogni tempo sconta e rimuove, di una violenza che cova nei rapporti umani e che la parola, il logos, tenta di ammansire».

Detto questo, ho però tentato di trovare anche uno spiraglio di luce, che fosse insegnamento e ammonimento: siamo ventre di storie che si rimodulano, singolari e molteplici. Ne dobbiamo tenere conto.

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

Bella domanda! Come interagiscono? Credo si scontrino, facciano a cazzotti per chi deve averla vinta e conquistarsi il diritto di cianciare. E così ricerco una scrittura un po’ ibrida, mai totalmente risolta, anche se (è ovvio) ognuna vorrebbe uscirne limpida; ma una mano non lava l’altra, rimane sempre qualche traccia di marmellata (se non di sangue). «Ma non torneranno mai pulite queste mani», si chiede Lady Macbeth? «[…] Sa ancora di sangue: ah, neppure tutti i profumi d’Arabia potrebbero addolcire questa piccola mano» (cito dalla traduzione di mio nonno, Elio Chinol 1971). Si scrive con le mani, e quelle sono sempre colpevoli… ma almeno tentano di fare qualcosa per uscire dall’impasse! Vivere e agire la conoscenza, ricercandola, annaspando nel senso…

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

Il mio è un percorso piuttosto solitario, come lo è il mio carattere: ombroso e a volte scorbutico ma allenato anche agli slanci. È per questo che amo conoscere i poeti, trarne ispirazione, non solo dai versi ma anche dalla vita che intuisco scorrere in loro. Non è tanto lo scambio – importante, importantissimo – ma la vicinanza, l’osservazione, quel misto di intuizione che ci accomuna o ci distanzia.

Gli autori di riferimento sono tanti, come è prevedibile, e non ne farò i nomi; dirò solo che ciò che ogni volta mi emoziona e mi conturba è il sentirne la vibrazione potente: quando muovono qualcosa dentro di me lo sento subito, sono versi che trascinano, con un ritmo inequivocabile che è aderenza e non fumo; aderenza al respiro che trascina il verso, si spezza, si ricompone, ha il fiatone, talvolta, pausa e riprende rispettando la gittata che si prefigge. Un battito del cuore, in definitiva, con tutte le sue capriole.

In questo momento leggo molto Alice Oswald (che ho tradotto per Archinto ed è in procinto di uscire) e Seamus Heaney (uscirà l’anno prossimo il suo lavoro su Sofocle, curato da me, Marco Sonzogni e Leonardo Guzzo).

Quello che chiedo a un poeta, insomma, è di illuminare certi silenzi, di farsene carico. Come fa Adam Zagajewski, ne ‘I lunghi pomeriggi’, ad esempio: «[…] Oh, dimmi, come si guarisce dall’ironia, dallo sguardo che vede, / ma non squarcia oltre, trafiggendo il vero; dimmi come si guarisce / dal tacere» (da Desiderio 1999).  Perché ‘La poesia è ricerca del fulgore’, potrei dire citando un altro suo componimento (da Il ritorno 2003): «[…] Permettimi / di vedere, per poter poi aver visto, chiedo. Permettimi / di vivere fino al compimento il significato / o l’intenzione della mia durata, dico. / A sera cade una pioggia fredda. / Nelle strade e nei viali della mia città / col crepitio di un silenzio attivo e vivissimo / sotto le ceneri sta concentrata su un’opera l’oscurità. / La poesia è ricerca del fulgore».

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

Le ricerco, eccome se le vorrei tutte accanto a me, ma ci vuole metodo, come metodo aveva, nella sua follia, Amleto.

È tutto attutito, in questi mesi – non solo dentro di me e per scelta personale, anche all’esterno. Le strade più non risuonano, le voci si smorzano, i sorrisi sono coperti da strati di stoffa. I più audaci li disegnano sulle mascherine a testimonianza di una bocca cucita, silenziata, anche nelle sue manifestazioni più cordiali e affettuose, che però resistono. Non abbiamo più mani né bocca, siamo tutt’occhi. Chi porta gli occhiali li ha pure annebbiati. Assistiamo al primato della “scopía”, così come si profilava nel cosmo elisabettiano che, tra l’altro, era stato funestato nel 1603 da una spaventosa epidemia di peste: evento che il drammaturgo sicuramente ricordava, nel 1606, scrivendo Macbeth. Non è solo il Male che avanza, come sembra dire Macbeth, ma è il mondo che si espande e che terrorizza. D’altra parte, la fine di Giordano Bruno, nel 1600, non deve aver lasciato indifferente chi ne ascoltò le teorie: bruciato vivo, come le streghe.  Se il mondo tra Cinque e Seicento si aprì a una nuova visione del creato, l’occhio fu lo strumento centrale di una nuova conoscenza connessa con la mente. Un occhio potenziato ma anche sezionato e ridotto a essere parte, non più tutto, di una gerarchia simbolica che aveva al suo vertice l’occhio di Dio. La rottura dell’equilibrio.

Come quella shakespeariana, anche la nostra è un’età in cui tutto si rivela e lo stesso tutto si problematizza e diventa conflittuale: i saperi si moltiplicano, non vi è più nulla di stabile, neanche le categorie morali, per cui il bello è brutto e il brutto è bello.

E, avvicinandosi l’inverno, tornerà a spirare il vento del nord con il suo seguito di giacche, cappelli e guanti. Sono tempi da lupi, mai creduti forse possibili. Ci si rifugia in caverne di carta, tra geroglifici che testimonino il nostro passaggio all’uomo del futuro. Bisogna dunque saper disegnare, fedeli riproduttori di un animo che sarà comunque quello che è stato, quello che è e, se non lo deforesteremo troppo, continuerà a essere: l’insopprimibile, delicato, prepotente e ferito animo umano.

Poesie
da

Nerotonia

Samuele Editore, 2020

Come, thick night,
and pall thee in the dunnest smoke of hell,
that my keen knife see not the wound it makes,
nor heaven peep through the blanket of the dark,
to cry, ‘Hold, hold!
— William Shakespeare

I always speak to myself
no more myself but a colander
draining the sound from this never-to-be mentioned wound
— Alice Oswald

vi fu un tempo in cui non vi era
nulla

puoi concepirlo,
posso io?

nulla e dunque neanche il tempo e noi
non c’eravamo, io e te non c’eravamo
e non c’era inizio alle nostre discussioni
seduti nello studio a tentare l’improbabile
accordo, o in una sala, in piedi per terra
con i nostri tanti corpi da suonare
a volte tutti e altre solo uno
in quel tempo che non c’era,
un tempo del sentire di esserci

ché in quanto a esserci
io ero ancora nessuno

una strega gettò i suoi occhi
tra quelli che avrei saputo essere
i miei piedi
la paglia nella testa
la mia arsa e vuota
incantata dall’imbroglio
di poter bastare a me stessa

e niente era
se non ciò che non era

*

così dal buio senza tempo
emerse il dettagliato tempo di noi,
l’incisione nell’istante

le parole, nostre
queste che io ti dico, le tue
e quelle che per giorni
abbiamo gettato al vento,
quelle vane che ci han portato
fin su questo palco,
il molteplice filtrando
dal setaccio di altri corpi

fu allora, in quel tempo
senza inizio e che iniziava,
che l’immenso animale universale
gravido e sbuffante
concepì l’ambiguità e la doppiezza

era ancora tutt’uno
e si franse
così l’uomo, atomo
tra gli atomi, a riveder
le stelle inconcepibili,
alte nel tamburo dei timori
che lo mettevano a nudo
denunciando vita lucida
non priva di malizia

non trovò dio
in quell’istante

di lui non aveva ancora bisogno

ma sentì l’urgenza della donna
la trovò fremente al suo interno

o lo fece la donna con l’uomo

donna con cui doppiare il parto
e così popolare la terra brulla

quel suo vergognoso e inesplorato deserto

di corpi dapprima
passione cieca e inesausta,
corpi ineguali e anelanti
nel di lui cercare il varco,
stampo e marchio,

nel di lei disporsi all’accoglienza
nonostante l’inane battaglia –
nonostante –

perché già intuiva che la perversa battaglia
era ormai vinta e persa
il verbo fu,
prima della comparsa dell’uomo,
le streghe furono
e predissero questo: ritrovarsi

when the hurlyburly’s done
when the battle’s lost and won

*

ho il singhiozzo a volte
e la mia gola pulsa
il caldo mi attanaglia
e la sua vampa mi spossa

se tutto fosse più semplice, pensi, se riuscissi
a far quadrare i conti e il costo della vita
permettesse di far volar la testa e disperderla
per riaverla come vetro a rendere

mi risveglio sul divano
e allungo il fiato
in ora perplessa
che presto si annacqua

dell’essere chiunque chiunque
e non pensarci, non prestare tessuti e organi
all’organo più grande dell’opera mondo
che è mia di voglia, possesso di sangue

oggi la vena languisce e insegue
desideri elettrici, salti di nervi,
alta tensione nella bassa marea
di toccarti ancora

o forse mai più – nevermore –
cantavi occhieggiando
e non mi riprendo
dalla tua assenza

Rossella Pretto

Nota su Rossella Pretto

Rossella Pretto si è formata al dAMS di Roma con una
tesi sulla traduzione del Macbeth curata da Elio Chinol e
messa in scena dalla Compagnia dei Quattro. Questa
formazione, assieme all’attività di traduzione (Heaney,
oswald, Auden), seguita da esperienze professionali in
teatro e in televisione, ha guidato il suo percorso di
scrittura critica e creativa. Suoi contributi sono apparsi
su L’ottavo e Poesia. Sta curando una serie di interviste
poetiche per L’Estroverso. Scrive di ricezione e
riscrittura dei classici per «Alias».

Sono nata a Vicenza, città che ha visto la mia partenza e il ritorno, dopo anni passati a Roma, prima all’università e poi a confrontarmi con il mondo del lavoro. Ho fatto l’attrice, la presentatrice televisiva, l’adattatrice dei dialoghi per il doppiaggio. Sono passata sulle tavole dei palcoscenici, negli studi televisivi, tra le scenografie di Cinecittà, sono entrata nelle case di grandi maestri, conosciuto la vita di artisti e di piccoli artigiani, percorso le strade della città eterna. Ho avuto molti giorni felici nella capitale, incontrato tante persone, dalla più umile alla più boriosa, respirato l’aria di una città elefantiaca e affascinante, guardato mille tramonti con la quinta di un colle punteggiato di pini dagli alti fusti o attraverso archi e fori della sua grandezza. Ho fatto progetti, mi sono disperata, ho stretto amicizie, le ho perdute. Fino al momento in cui è diventato tutto più chiaro: abbandonare Vicenza significava abbandonare un’idea di creazione attraverso la scrittura. Non so perché ma è stato così. Oggi tutti desiderano scrivere, molti lo fanno, sembra facile, meno semplice è crearsi gli strumenti adatti, far crescere un talento mai affinato. Così ho lasciato Roma per Milano e Milano per Vicenza, la mia città. Ora esploro le mura del mio studio. Il resto lo trovate sul suo sito rossellapretto.com

A TU PER TU – Milica Lilic

La quarta intervista di A TU PER TU mette in pratica l’intento di estendere anche oltreconfine la rete delle voci e dei dialoghi.
La destinataria delle domande è Milica Lilic, poetessa e scrittrice serba che nel corso della sua vita e della sua carriera letteraria ha intessuto rapporti di collaborazione e amicizia con persone e con artisti di diverse nazioni e latitudini. Un dialogo privilegiato è quello con l’Italia. Ne forniscono la prova sia le testimonianze di stima che anche da noi ha ricevuto da parte di critici, letterati e lettori, e lo confermano anche le interessanti risposte a questa intervista che Milica ha fornito direttamente in italiano.
Come ho già detto in altre occasioni (sta diventando un “mantra”, mi rendo conto, ma è ciò che penso), molto meglio di queste mie note introduttive potrà essere utile a chi vuole approfondire la conoscenza con Milica Lilic la lettura delle sue risposte e dei suoi scritti, sia lirici che narrativi.
Buona lettura, IM

L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.

Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.

Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.

Saranno volta per volta le stesse domande.

Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

 

il fuoco e il verbo

 

5 domande

a

Milica Lilic

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

 

Grazie per l’invito a presentarmi ai tuoi lettori. Il mio nome è Milica Jeftimijevic Lilic. Sono una scrittrice serba. Sono madre di due figlie e una persona che ama tutte le persone del mondo. Credo che la vita possa essere bella e significativa se facciamo il lavoro che amiamo. La letteratura è stata il mio amore fin dall’infanzia.

Ho letto molto e ho assorbito contenuti artistici prima ancora di rendermi conto di avere un dono per la creazione artistica. La mia vita è stata completamente orientata e ispirata da quell’inclinazione. Ho studiato letteratura e per un po’ ho lavorato come professore all’Università di Pristina, poi sono passata alla Televisione di Pristina con il ruolo di editore e critico televisivo. Ho un master in filologia. Tuttavia, al di là di questi impegni lavorativi, la scrittura, soprattutto di poesie, era, come lo è tuttora, il mio richiamo più forte, il bisogno dominante. Da questa possente attrazione sono nati i miei libri. Mi sono dedicata anche alla critica letteraria e alla narrazione. Ho trascorso tanto tempo in campagna e all’estero quando il mio lavoro me lo consentiva. Dopo aver terminato il mio tirocinio ho avuto più tempo a disposizione e ho potuto viaggiare più spesso. I frutti migliori di questa possibilità di viaggiare sono stati i numerosi contatti con persone di tutto il mondo e lo sviluppo della mia carriera internazionale con premi e riconoscimenti, nonché traduzioni delle mie poesie. Ho pubblicato 26 libri di poesia, prosa e critica.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

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Argila rebelă – La creta indocile

La poesia tradotta si riplasma, assume nuove forme. Trattandosi di creta (indocile) tutto ciò è molto adeguato.
Ringrazio Mihaela Colin per l’attenta ed empatica lettura e per la selezione e traduzione di alcune mie poesie.
Non conosco la lingua rumena, ma è bello seguire passo passo il trasformarsi dei suoni e la crescita parallela dei versi in due lingue con radici condivise.
Grazie a Mihaela.
 
Buona lettura a tutti
e buon viaggio verso porti più sereni e assolati. IM
 

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