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Editi ed inediti

Se avete scritto delle poesie, oppure un romanzo, o dei racconti, inviatemi i file in lettura a:
ivanomugnaini@gmail.com.
Sarò lieto di leggerli per un’eventuale pubblicazione, se si tratta di inediti, o per una recensione nel caso di volumi già pubblicati.
Oppure per la traduzione in inglese di brani di prosa o poesie,  sillogi o interi libri o manoscritti. 

IM

Guardarlo ancora – Paesaggi e miraggi della passione amorosa, di Miriam Bruni

“Nei miei testi cerco l’esattezza delle parole, la densità naturale dei loro significati; cerco un grembo per ciò che è inconcreto e perlopiù invisibile, e questi aggettivi, questi sintagmi, sono scaturiti in me come una sorgente che in modo limpido riflette il mio volto interiore, il mio profilo umano”, osserva Miriam Bruni nell’intervista rilasciata nel giugno del 2022 a Monica Baldini per la rivista Millecolline.

Leggendo il suo libro «Guardarlo ancora – Paesaggi e miraggi della passione amorosa» le sue parole prendono corpo e concretezza seppure nell’esaltazione di quella “invisibilità” incorporea di cui sono fatti i sogni, i pensieri, i ricordi, anche quelli più aspri e taglienti.

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita”, ci ricorda Shakespeare nel lavoro più atipico e forse più sentito, più intimamente suo, della sua produzione drammaturgica, «La tempesta». Miriam Bruni dimostra e conferma di avere ottimamente assimilato la lezione shakespeariana. Eppure, con naturalezza, per istinto e volontà, per puro desiderio e sincera inclinazione, produce nei suoi scritti un interessante e coinvolgente ossimoro, anzi, una serie di ossimori che si allacciano e si intrecciano in viluppi che sono essi stessi espressioni variegate e autentiche di un’assoluta passione vitale, e vitalistica. Continua la lettura di Guardarlo ancora – Paesaggi e miraggi della passione amorosa, di Miriam Bruni

Alcune poesie della raccolta INADEGUATO ALL’ETERNO tradotte in albanese da Juljana Mehmeti per Atunispoetry

Ringrazio la poetessa Juljana Mehmeti per aver tradotto in una lingua ricca di fonemi fascinosi alcune mie poesie di qualche anno fa ma a me care.

Grazie a Juljana e grazie a Atunispoetry per l’ospitalità. IM

https://atunispoetry.com/2021/02/03/poezi-nga-ivano-mugnaini-solli-ne-shqip-nga-italishtja-juljana-mehmeti/

 Immagine copertina Inadeguato all'eterno
 

Qualcosa dentro

Qualcosa dentro ancora non si adatta,
non si adegua, continua a pulsare per moto
proprio, ad ammalarsi, a guarire, con impulso
autonomo, indipendente; scorre la vita
a dispetto di sé, ti porta, immbile, su lidi
secchi, inattesi, proprio nell’attimo in cui
senti che niente muta il niente che, lento,
divora.
Ma qualcosa ancora non si attaglia,
non si allinea. Sfiora la superficie un pensiero
cristallino, perla di luce ignota, tanto salda
da farti oscillare, scivolando via da te
con riso stranito, sognando il tonfo, il crepitio
sarcastico dello schianto, il profilo cupo
dello scoglio. O un prato semplice, bambino,
dove la distanza tra destino e percorso è solo
il salto di un fosso, di slancio, ad occhi chiusi,
l’attimo in cui la mente diventa riflesso dorato
di sole, riso profondo, leggero, del cuore.
 
 

Diçka brënda

 
Diçka brënda akoma nuk përshtatet,
nuk ambjentohet, vazhdon të pulsojë ritmin autonom, të sëmuret, të shërohet, me impuls
të pavarur;
jeta rrjedh përkundër vetes, të çon, të palëvizshëm,
në brigje të thatë, e papritur, vetëm në momentin në të cilin
mendon se asgjë nuk e ndryshon asgjënë, ajo ngadalë,
gllabëron.
Por diçka ende nuk përshtatet,
nuk vijëzohet. Një mendim prek sipërfaqen
kristalor, perlë drite e panjohur, aq solide
sa të bën të lëkundesh, duke rrëshkitur nga ty
me të qeshura të hutuara, duke ëndërruar zhurmën, kërcitjen
sarkastike të rrëzimit, profilin e zymtë
të shkëmbit. Ose një livadh i thjeshtë, foshnjë,
ku distanca midis fatit dhe rrugës është vetëm
kërcimi i një hendeku, i vrullit, me sy të mbyllur,
momenti kur mendja bëhet një reflektim i artë
i diellit, e qeshura e thellë, e lehtë, e zemrës.
 
 ***
 

La tempesta

 
Sarebbe troppo agevole, per noi,
uno schianto di cielo, urlo, pianto,
riso stranito, poi, più niente.
Solo il corpo, per istinto antico,
si affannerebbe alla ricerca
di un riparo di fortuna.
La mente, già leggera, lontana
sulla schiuma che vola incontrastata
verso il mare.
Ma la nostra tempesta, per quanto
lunga, limacciosa, densa di vento
e torrenti, tronchi, liquami, rottami,
finisce sempre, all’indomani, con un sole
in tuta da lavoro, stinta ma brillante,
abbastanza per vedere che niente, davvero,
è cambiato.
Solo il ciglio del fiume è più largo,
corroso, cosparso di fango già pronto
a mutarsi in argilla. Estetica immutabile
del nulla, laccio emostatico di una subdola
serenità, vespa cieca, assassina, a spasso
sopra e dentro la testa, ti lascia solo
l’attimo, lo scarto, fessura breve
di silenzio afferrato in controtempo:
ascoltare, lontano,
l’eco, il suono, la speranza:
una vana, vitale tempesta.
 
 

Stuhia

 
Do të ishte shumë e lehtë për ne,
një përplasje qielli, një ulërimë, një e qarë, qeshje e hutuar,
pastaj, asgjë më shumë. Vetëm trupi, nga instinkti antik,
do të rropatej ne kërkim të një strehe të improvizuar.
Mendja, tashmë e lehtë, e largët mbi shkumën që fluturon pa pengesa drejt detit.
Por stuhia jonë, ndonëse e gjatë , e hollë,
e dendur me erë dhe përrenj, trungje, ujëra të zeza,
mbeturina, mbaron gjithmonë të nesërmen, me një diell
veshur me rroba pune, të zbardhura, por të ndritshme,
mjaftueshëm për të parë që asgjë në të vërtetë
s’ ka ndryshuar.
Vetëm bregu i lumit është më i gjerë, i gërryer, i spërkatur me baltë, i gatshëm
të shndërrohet në argjilë. Estetikë e pandryshueshme e asgjësë,
tub statik i një qetësie të rreme, grenzë e verbër, vrasëse,
në shëtitje sipër dhe brenda kokës, të lë të qetë momentit,
mbetje, e çarë e shkurtër e heshtjes kapur në kundër-kohë:
të dëgjosh larg,
jehonën, tingullin, shpresën:
një e kotë, stuhi vitale.
 
 ***
 

Inadeguato all’eterno

 
Se le braccia spalancate
della ragazza nuda
avranno la pietà del miele
selvatico, se il suo sorriso
enigmatico, sconosciuto e impuro
ti darà la certezza del corpo
e del cuore, senza cercare
niente di più, ora, del battito
delle tempie e del fuoco del sudore,
avrai il dono scabro, essenziale,
di un attimo: l’istante leggero e violento
in cui ti senti vivo,
seppure fragile, sporco,
inadeguato all’eterno.
 
 

Perjetësisht i papërshtatshëm

 
Nëse krahët e hapur
të vajzës lakuriq
do të kenë mëshirën e mjaltit të egër,
nëse buzëqeshja e saj
enigmatike, e panjohur dhe aspak e dlirë
do të të japë sigurinë e trupit dhe të zemrës,
pa kërkuar asgjë më shumë, tani, nga rrahjet e tëmthave
dhe zjarrit të djersës,
do të kesh dhuratën më konkrete, thelbësore,
të një çasti: momentin e lehtë dhe  të dhunshëm,
në të cilin ndihesh i gjallë,
ndonëse i dobët, i pistë,
përjetësisht i papërshtatshëm .
 Gustav-Klimt-L-Attesa-3d-effect-donna-woman-albero-tree
Traduzione dall’italiano di Juljana Mehmeti
 Solli në shqip nga italishtja Juljana Mehmeti
 Risultato immagini per juliana mehmeti
 

LA LINEA DI CONDOTTA – Alcune osservazioni sulla politica

Pensando alla politica odierna, mi sono venuti in mente due scritti: uno su Jonesco, e uno sul tema specifico, che ho scritto anni fa. Ho optato per il secondo perché contiene citazioni di autori e politici ancora attualissime.
Anche se, soprattutto, mi è venuto in mente il monito del mio amico Paolo: mentre noi cerchiamo la parola bella senza fare altro loro… fanno esattamente quello che vogliono. (Sono stato abbastanza elegante). IM

I poveri e il denaro- Vincent Van Gogh

LA LINEA DI CONDOTTA

Alcune osservazioni sulla politica

In Diario d’antepace Max Frisch osserva: “Chi non si occupa di politica, ha già preso quella decisione politica che voleva risparmiarsi: serve il partito al potere”.
          André Malraux, invece, afferma che “Non si fa politica con la morale, ma nemmeno senza”. Questa frase andrebbe fatta scrivere sui banchi e sulle poltrone dei deputati. Ma sono convinto che, anche con tale monito stampato a colori sulla pelle, alcuni politici dall’ampio sorriso mi direbbero, seri e compìti, che non ho capito nulla della natura profonda della loro attività. Mi schiafferebbero contro, con parole loro, le frasi dello scrittore austriaco H. Behr, il quale, con sublime realismo sosteneva che: “La politica è giusto l’arte di intendersi tanto sul proprio vantaggio che su quello del prossimo e sfruttare questo per quello, e mentre ci si serve del prossimo far sì che egli debba pensare che lo si serve”.
          Qui, chiaramente, sarei al tappeto, in pieno KO. E qualcuno comincerebbe ad accendere gli stereo per cantare gli inni del bunga-bunga. Per rialzarmi, trovando forza e stimoli per riprendere il match, mi necessiterebbe un po’ di umorismo. Magari basato sul sentimento del contrario, per dirla con Pirandello.
Quando penso alla nazione in cui vivo, la quiete svanisce, prima, dopo e durante la tempesta. Non mi aiutano certo a recuperarla le parole tratte da La vita agra di Luciano Bianciardi: “La politica ha cessato da molto tempo di essere scienza del buon governo, ed è diventata invece arte della conquista e della conservazione del potere”. Tuttavia, in virtù di quel gusto amaro che c’è nella malinconia, o semplicemente per mettere in pratica l’esclamazione di Nanni Moretti, “andiamo avanti così, facciamoci del male”, proseguo con la lettura del libro di Bianciardi e arrivo a scovare la seguente ineludibile sentenza: “La bontà di un uomo politico non si misura sul bene che egli riesce a fare agli altri, ma sulla rapidità con cui arriva al vertice e sul tempo che vi si mantiene”. Qui, se si potesse rendere “multimediale” questo mio scritto, risuonerebbero le fatidiche note della Nona di Beethoven. E, all’unisono, comparirebbe la dentatura smagliante di qualche politico mediatico.

Continua la lettura di LA LINEA DI CONDOTTA – Alcune osservazioni sulla politica

A TU PER TU – Villa Dominica Balbinot

“Obiettivamente ostica incandescente urticante, magari pure scandalosa, addirittura probabilmente impoetica per eccellenza, anche per non finire a dare una visione falsamente idilliaca […] cosa quest’ultima per cui mi dichiaro apertamente ‘non adatta’, intellettualmente e ‘midollarmente’ non adatta. Quella che vado espressivamente rappresentando è la condizione umana ‘perenne'[…] io parlando della vita e della morte non posso essere contemporanea nel senso più tradizionalistico e forse riduttivistico del termine (come contingente) ma forse contemporanea perenne, perennemente attuale in un certo senso”.
Dal modo con cui le autrici e gli autori tracciano i contorni del proprio autoritratto si comprendono, per riflesso, molti aspetti del loro modo di rappresentare loro stessi in rapporto al mondo, anche attraverso la scrittura.
La mano di Villa Dominica Balbinot è allo stesso tempo passionale e riflessiva. Procede per scatti ed arresti, come se volesse sempre mantenere vivi, presenti e in primo piano, la forza e la riflessione, l’uragano e il chiarore. Un contrasto forte, in grado di generare dei chiaroscuri intensi. Uno specchio della vita, del tempo, degli eventi e dei mutamenti e di ciò che resta, come un infinito occhio del ciclone, a sovrastarci, a farci spalancare gli occhi di timore ma anche di sete, elettrizzati da quell’atmosfera in cui tutto il bene e tutto il male si scontrano generando scintille che illuminano a tratti il mistero dell’esistere.
Un percorso coerente, quello dell’autrice, che tra le righe delle risposte all’intervista ha inserito anche alcuni suoi versi, a testimonianza di una ricerca attualmente in corso sulla parola per renderla il più possibile vicina al suo progetto e alle motivazioni che la muovono, spingendola a creare meditando sulla “terribilezza” per usare un termine da lei coniato, quasi a voler andare oltre il più usuale vocabolo, ormai usurato dai tempi e della realtà.  “Ossessionata dalla mortalità che cerca in qualche modo di raggelare per poterne almeno parlare visto la sua tremenda ustionatezza al limite dell’indicibile”.
Una poesia di terra e di fuoco, quindi, sospesa tra il presente e un tempo ulteriore, tra costruzione e distruzione, a tratti anche sintattica, per giungere ad un livello di rappresentazione di una condizione umana che la Balbinot non considera più “cantabile” con sintonie ed accordi ma solo per sequenze di bagliori ustionanti.
IM
A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI

5 domande

a

Villa Dominica Balbinot

 QUEL LUOGO DELLE SABBIE di Villa Dominica Balbinot – nota di lettura Doris  Emilia Bragagnini – NeobarILMIOLIBRO - FEBBRE LESSICALE - Libro di VILLA DOMINICA BALBINOT

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Intendo dare espressione a quella che sono arrivata a considerare la assoluta tragicità perenne della condizione umana, di cui azzardo una rappresentazione espressiva, una fredda visione (forse in alcuni punti disagevole, respingente perfino senza sconti comunque per nessuno-compresa me stessa beninteso), divisi come sono – e dalla notte dei tempi – gli esseri umani tra vittime e carnefici in un mondo che davvero può essere desolato.

Mentre scrivo queste puntualizzazioni e mi vado rileggendo mi rendo conto una volta di più che la tematica che mi sono azzardata a voler rappresentare è senz’altro obiettivamente ostica incandescente urticante, magari pure scandalosa, addirittura probabilmente “impoetica” per eccellenza, anche se a mio parere volendo mettersi a parlare della condizione umana, della vita e della morte insomma nulla dovrebbe a priori essere tematicamente escluso e questo anche per non finire a dare una visione falsamente idilliaca [cosa quest’ultima per cui mi dichiaro apertamente “non adatta”, intellettualmente e “midollarmente” non adatta]. Quella che vado espressivamente rappresentando è quella che secondo me è la condizione umana “perenne” al di là del cambio generazionale e al di là dei cambiamenti storici che pur tuttavia gradualmente esistono (e meno male se no ancora peggio direi), io parlando della vita e della morte che sempre si ripete nella sostanza non posso essere contemporanea nel senso più tradizionalistico e forse riduttivistico del termine (come contingente) ma forse contemporanea perenne, perennemente attuale in un certo senso.
Io – complessivamente e riassuntivamente mi presenterei così: «astorica» (ma nel senso che ahimè vedo nella storia ripetersi stesse dinamiche di base), perturbante, ontologicamente ribelle, Villa DOMINICA BALBINOT assorta medita sulla “terribilezza”. Ossessionata dalla mortalità che cerca in qualche modo di raggelare per poterne almeno parlare visto la sua tremenda ustionatezza al limite dell’indicibile”.

Per meglio – e più esattamente-rappresentare in parole il mio sentire ho qui pensato di riportare alcuni versi che ho messo come estrapolazioni altamente indicative sulla copertina di miei tre libri, aggiungendo poi anche due intere poesie ad esempio del mio intendimento e anche in un certo modo della modalità in cui la mia espressione poetica viene a prendere forma.

Ecco:

  • ”…E certo terribilezza vi era, ma alta- e sul freddo versante…

[sulla copertina del secondo libro QUEL LUOGO DELLE SABBIE]

  • (L’immenso abbandono degli uomini era intorno a lei- e tutta quella ostinata vocazione alla assenza…cit.)

[sulla copertina del terzo libro “I fiori erano fermi- e lontani…]

 

  • “…al di sotto della pelle lei si sentiva scabra, straordinariamente netta…”

[ sulla copertina del 4 libro E tutti quegli azzurri fuochi…]

Riguardo alla “terribilezza”, una poesia recente incentrata sul tema:

E LA TERRA ANTICA – E TERRIBILE

(In questo mare della innocenza
dove nessuno è innocente
avrei abitato in una dimora
liscia compatta
color di malva – e dolce)

E sulla terra antica e terribile
( nel bisogno di assassinio di queste città)
nell’obliqua solarità del pomeriggio
– nella fioritura fuori stagione-
l’autunno perdeva un poco del suo mite calore
visto da vicino,
(e foglia dopo foglia)
con gli splendidi ingannevoli colori della morte,
nebbiosi sulle acque.
Nel -solo- lago spento,
come un santuario senza rumore,
tutte queste estati travolte,
là i campi di silenzio,
nelle ore della notte,
quel bianco bagliore,ottuso.

19/07/2020

 

E ecco le due poesie intere (facenti parte dei primissimi miei testi , e che compaiono entrambe come premessa sulla prima pagina del secondo libro “QUEL LUOGO DELLE SABBIE” e che trovo siano una vera dichiarazione di “poetica”, e dal punto di vista stilistico e dal punto di vista contenutistico.

 

 

FEBBRE LESSICALE

 

Incateno allora le parole

al canone impuro

di febbre lessicale

all’invisibile vaglio

di intendimento sotterraneo.

Poi le inanello

– decerebrate

e affossate come conche-

in nevrosi esangue,,

nella rassegnazione contemplativa

nel quietismo del sermone,

rivelatrici chimiche

di ipotesi congelata.

 

ABBAGLIANTE AZZARDO

 

Decrittazione

di una sfrontata sventatezza:

venire infine a patti

con l’Inconciliabile

della melmosa inconsistenza…

Estremistica temerarietà:

decifrare poi

senza affanno alcuno

lo scorticamento

– e il furor condannatorio.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

 

A dire la verità l’ultima mia opera definibile come recente risale al 2018 cioè vale a dire al quarto mio libro “E TUTTI QUEGLI AZZURRI FUOCHI”, naturalmente ho scritto da allora altre poesie sia nel 2019 sia nel 2020. Ma in questo ultimo periodo ho inviato miei testi in lettura a casa editrice professionale che si occupa di poesia e che spero dia risposta positiva per una pubblicazione  effettiva e susseguente riconoscimento autoriale. Devo dire pero che i miei testi hanno in tutto questo frattempo avuto molte recensioni e note di lettura da parte di diversi critici e intellettuali oltre che poeti in proprio: non posso che ringraziare per ciò che hanno scritto a proposito mie poesie, li ringrazio nel complesso e singolarmente, a uno a uno [per me tutti importanti, mi hanno permesso di conoscere la mia peculiare voce sempre più profondamente), ognuno mi ha dato una visione anche andando a scavare nei dettagli, anche partendo da angolature differenti posso  però dire che un punto generale da tutti riconosciuto e in definitiva per me essenziale e l’essere stata in grado di avere una mia propria voce .

Essendo state numerose le note di lettura ( che io cerco di mantenere aggiornate rimandando con appositi link a una pagina inserita nel mio blog di poesia https://inconcretifurori.wordpress.com qui ricordo le primissime ( riferite a FEBBRE LESSICALE) scritte da Augusto Benemeglio e Federica Galetto, perché oltre la ricchezza argomentativa e di complessità di analisi  hanno saputo offrirmi una spinta a non demordere, essendo oltretutto stato il mio tirocinio sui gruppi di scrittura alquanto accidentato per non dire altro. Io ho qui nominato le recensioni fatte all’inizio ma dovrei nominare ogni singolo autore che ha detto qualcosa, ma non è questo il posto adatto, torno a ripetere che ognuno di loro mi ha permesso di conoscere a fondo il mio stesso dire, e con questo sto a significare che è importantissimo lo sguardo esterno di persone esperte della materia e con grande background di conoscenze ( e pure preferibilmente di grande apertura mentale e disponibilità aggiungo, cosa quest’ultima non sempre e ogni volta presente soprattutto qualora domanda di lettura venga fatta da parte di quelli in qualche modo definibili come outsider, non strettamente curriculari, sbucati fuori all’improvviso da chissà dove (e questo lo si potrebbe un po’ ritenere il mio caso).

 

3 ) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

Io non mi considero- e non sono-strettamente purista, infatti accanto al blog di poesia  INCONCRETIFURORI ho anche un blog di racconti DELLAIDRAIRACCONTI dove ho postato alcuni scritti, se qualcuno avrà disponibilità e tempo per una qualche lettura si potrà accorgere che nel campo dello scritto in prosa io cerco strenuamente di porre molta attenzione allo stile, alla modalità stessa di cercare di dare sostanza allo stesso contenuto, magari partendo da avvenimenti anche apparentemente non definibili come straordinari, ma anzi di superficiale non valore, avvenimenti non rimarchevoli almeno a prima vista. Seguire (o almeno cercare di mantenere come obbiettivo) uno stile peculiare in prosa è alquanto difficile, per quanto riguarda la misura del racconto mi pare di essere abbastanza riuscita, ma ora che vorrei cimentarmi e portare a compimento un romanzo, visto anche la diversa lunghezza e anche struttura portante, mi sto accorgendo che dovrò rimodulare il tutto a partire dallo stile stesso che ho usato nella forma racconto. Questo mio prossimo obbiettivo: un vero romanzo, magari approfittando con qualche ulteriore accorgimento esistenziale sempre più di lockdown, sperabilmente autoimposto in quando favorirebbe esatta concentrazione cosa non pensabile interamente in caso di doloroso lockdown imposto da dura realtà esterna come in questo periodo .

 

4 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra i gli autori classici che tra quelli contemporanei?

 

Penso che l’attività di scrittura comporti di per sè un isolamento ambientale che permetta la massima concentrazione possibile, ma nel contempo sono convinta della necessità (direi della inevitabilità) di essere in continuo rapporto con altri autori, che spesso direttamente o implicitamente arricchiscono la propria ricerca e quindi la propria opera.

Io sono sempre stata una grande lettrice, appassionata e onnivora, senza preclusioni di sorta. Cominciando dallo studio dei grandi classici  non solo italiani ho però aggiornato continuamente le mie letture seguendo la contemporaneità, e non potrei citare gli scrittori o i poeti che anche subliminalmente mi hanno nel tempo donato qualcosa di importante, ognuno a suo modo, sia per quanto riguarda la visione della condizione umana e del mondo sottostante con tutta la sua complessità sia per la modalità di stile usato; se qualcuno mi dicesse quali grandi scrittori sono per me incancellabili e fossi costretta a fare due nomi soli io direi Dostoevskji e Celine .

Per ciò che riguarda la poesia mi attirano i grandi poeti russi, i poeti dell’espressionismo tedesco , e parecchi altri sia europei sia americani insomma leggo di tutto e di più, e sto cercando sempre più approfondire  studiare e leggere quelli italiani e a questo proposito sono contenta di potere venire in contatto con  numerosi poeti italiani,  conosciuti  e letti attraverso Facebook e che possono dare parecchi stimoli positivi sotto questo punto di vista, diventando per me un notevole arricchimento.

 

5 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

 

A mio parere personale le ricadute della pandemia sono appena intravedibili ora- e limitatamente e certo non a mente fredda, ma temo saranno sempre più massicce e dall’esito finale e materiale imprevedibili in ogni essere umano e in ogni campo dell’agire umano, compreso quello dell’espressione artistica. Io sto cercando di aggiungere volontariamente al lockdown imposto dall’esterno( estremamente disagevole e che va a incidere negativamente sulla propria libertà personale del resto imprescindibile e prioritaria)una nuova specie di massima concentrazione del lavoro di scrittura senza alibi o ritardi in modo tale da spremere ( se riuscirò naturalmente non è detto ci riesca)anche da questa terribile realtà un qualcosa di fattivo, pure nella inquietitudine massima che certo avrà – temo -conseguenze dal punto di vista stesso della necessaria concentrazione di chi debba scrivere, essendo necessaria una concentrazione non sovraccaricata troppo interiormente, situazione che potrebbe portare a uno scrivere non esatto e non libero, conseguenze di grande rilievo per chiunque si addentri nella scrittura.

Villa Dominica Balbinot | il giardino dei poeti

 

 Villa Dominica Balbinot di ascendenze emiliano-venete, ha vissuto gli anni fondamentali in Lombardia (provincia Milano) ora vive in duro ambiente rurale, in Emilia.
 Maturità classica e Corso di studi universitari in lettere. Ha incominciato a scrivere dal 2006 [un “esordio” da persona matura e improvviso, diciamo ex-abrupto) e cimentandosi inizialmente sui gruppi di scrittura presenti sul web (it.arti.poesia, it.arti.scrivere) e subito dopo creando i propri blog personali, uno di poesia (inconcretifurori.wordpress.com) il secondo di prosa e racconti (dell’idrairacconti), cercando poi di raccogliere il complesso delle proprie produzioni in quello che mano mano dovrà essere sempre più il blog totalizzante  https://villadominicabalbinot.wordpress.com
 Sin dal suo primo numero – e fino alla sua chiusura – ha collaborato al lit-blog viadelledonne.wordpress.com.
Febbre lessicale (2010) è la raccolta d’esordio (autoedita attraverso sito ilmiolibro.kataweb.it) e il secondo: Quel luogo delle sabbie (2015). Nel tempo ha autoedito altre due raccolte di poesie, I fiori erano fermi e lontani (2017), E tutti quelli azzurri fuochi 2018).
L’intera mia produzione poetica è raggruppata dalle primissime poesie alle più recenti nel blog: https://inconcretifurori.wordpress.com





	

A TU PER TU – Mario Fresa

L’ospite di oggi della rubrica A TU PER TU è Mario Fresa. Come avrete modo di rilevare dalle sue risposte all’intervista, il suo modo di concepire e vivere la scrittura è improntato all’azione di contrasto che porta avanti con assidua coerenza nei confronti della “dittatura dell’ordine raziocinante della cosiddetta realtà”. L’espressione è estrapolata dalla risposta riguardante il suo libro di recente uscita, Bestia divina, ma può essere letta anche in una prospettiva più ampia. Fresa spazia tra prosa, poesia e critica rifuggendo sempre le vie eccessivamente battute o i percorsi agevoli, lisci e “canonici”. Si definisce “un felice impuro, con la tendenza a una convinta disobbedienza verso tutte le categorie di forma assoluta”. Ciò gli ha consentito di ritagliarsi uno spazio proprio, una posizione ben definita, sia a livello di produzione che di ricezione, generando, cioè, pareri e reazioni mai neutri, mai anodini.
Anche in questo caso, l’invito è a cogliere attraverso le espressioni dell’autore, nel contesto più ampio e dettagliato delle sue risposte, i punti che ho accennato in questa introduzione.
Buona lettura, IM

 

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

Bestia divina copertina

5 domande

a

Mario Fresa

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Mi parrebbe imbarazzante un’autopresentazione. La biografia è un accidente e non è affatto interessante (se non è addirittura disturbante o deviante o respingente). Sicché preferirei glissare. Capisco, da questo punto di vista, l’Hassan di Alfred de Musset: «Il suo cuore era una casa priva di scale…».

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

No, non ho alcun rapporto intimo (cioè “personale”, sentimentale) con ciò che scrivo. O meglio: ciò che scrivo è in rapporto esclusivo con tutto quel che si oppone alla maschera dell’io (ha a che fare, dunque, con l’Es; ed è per questo profondamente autentico – poiché Adorno specifica che: «L’Es è l’io»). L’ultimo libro s’intitola Bestia divina; è stato pubblicato nel 2020 presso la Scuola di Pitagora editrice (su invito del direttore di collana). È un libro di poesia: dunque l’esternazione di un’allegra e crudele forma di nevrosi. È, forse, un romanzo la cui trama è stata violentemente stracciata, strappata. Ed è una favola nera con personaggi veri (sì, così tanto veri che sembrano tutti innaturali, o fantasmatici o inventati). Ma è soprattutto un luogo di diserzione dell’io. Un cruciverba privo di soluzioni (o con troppe soluzioni). Ed è, infine, un attestato di violenta fedeltà: fedeltà all’incongruo, al non dicibile, al nascosto (dunque, allo spirito della musica, suprema lingua dell’Essere). Ci sono anche varie prose: non anti-poesie, ma dolci spine senza rose, balletti che hanno presto dichiarato guerra alla croce del significato univoco, alla dittatura dell’ordine raziocinante della cosiddetta realtà.

Continua la lettura di A TU PER TU – Mario Fresa

Inadeguato all’eterno: lettera in prosa e versi

Ho esitato a lungo prima di pubblicare questa “lettera in prosa e versi” di Roberta Pelachin.
Mi sembrava che pubblicarla potesse sembrare “autoreferenziale”, un atto in qualche modo narcisistico.
Poi l’ho riletta e mi sono reso conto che non pubblicarla sarebbe stato un errore. Per prima cosa perché è splendidamente scritta e contiene riferimenti e citazioni di notevole bellezza e valore simbolico, sulla letteratura e sulla vita: Baudelaire, Hölderlin, Leopardi, Orwell, Wordsworth, Yeats, riferimenti a Goya e al neuroscienziato Antonio Damasio e versi di cui la stessa Pelachin è autrice.
La ragione principale per cui la pubblico (dopo aver consultato Roberta) però è un’altra:
serve a confermare che “il canto genera canto” ossia che la parola ha il potere di dare vita ad altre parole, altre sensazioni, altri mondi possibili.
Il mio libro Inadeguato all’eterno è stata l’occasione, la scintilla.
In realtà Roberta Pelachin ha dato vita, partendo dalle pagine del libro, al suo fuoco e al gelo della solitudine dovuta alla perdita di suo marito, compagno di molti anni di vita, Giulio Giorello.
Il mio libro ha dato il la, ma il canto è suo, ed è condiviso.
Ognuno secondo i suoi contrappunti, le analogie e i contrasti, le tonalità e i movimenti interni.
Con l’armonia autentica che nasce dalla varietà e verità di suggestioni e situazioni che trovano in un accordo la sintesi, la chiave di un mistero fatto di buio e di sete di luce. 
IM

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Roberta Pelachin

(considerazioni e suggestioni in forma di epistola
ispirate dalla lettura del libro Inadeguato all’eterno)

Nel mio tempo lo scarto si è riempito di una lontananza che incombe. La morte di Giulio. Non un’icona dell’amore, ma un uomo inquieto, a volte dolce e appassionato, a volte scabro e tagliente. Mentre era ricoverato in ospedale per il Covid, due mesi sono lunghi, espresse un desiderio: sposarmi. Per ricambiare il mio affetto e condividere il tempo a venire. Un dono inaspettato, gratuito, forse… è questo l’amore. Negli ultimi giorni della sua vita dormivo a frammenti. Mi svegliavo all’improvviso e mettevo una mano sul petto per sentirne il movimento, il respiro. Poi, le nostre dita si annodavano calde sopra un corpo immobile e fiacco. “Aiutami!”, mi sussurrava. Ma io che altro potevo? Quando un affetto ha fine non c’è differenza tra abbandono o morte. Rimane solo l’assenza. La nuda, gelida assenza. Il letto troppo grande, le stanze mute, la scrivania assettata.

E i tuoi versi che scorrono davanti a me, caro Ivano, leniscono la pena. Mi accorgo che “la tempesta “[…] ti lascia solo l’attimo, / lo scarto, fessura breve / di silenzio afferrato in controtempo: / ascoltare, lontano, / l’eco, il suono, la speranza: / una vana, vitale tempesta.” Sono i versi finali dell’ultima lirica. E spero anch’io che questa bufera, che mi lascia spossata contro rocce artigliate dal vento, si acquieti poco alla volta. E, se pur vana, rimanga vitale.

Così il mio vagare di verso in verso nei tuoi Canti addolcisce le ore. Il tempo lento… inadeguato all’eterno? Sappiamo che non esiste un tempo assoluto, eterno metro e misura dell’Universo intero, ma esiste quello mio, quello tuo, quello di ogni essere vivo che cammina, esita incerto, prosegue a saltelli, si strascica lungo il sentiero. E si lascia andare, ogni tanto, a gioie inattese.

E altre voci suggeriscono gorgheggi, fatti di ali e di piume. Qualcuno li ascoltò…

Il tordo era al sole, loro erano all’ombra.

Aprì le ali poi le richiuse piano, piano, chinò la testa per un attimo,

come per una specie di tributo al sole, e poi mise fuori,

senz’altro indugio, un torrente di canti…

Per chi, per che cosa cantava quell’uccello?

Nessun compagno, nessun rivale gli stava accanto…

Che cosa gli faceva rovesciare quella musica prodigiosa dentro al nulla?…

Era come se si sentisse inondato d’un qualche cosa di liquido,

mescolato alla luce del sole…

Winston smise di pensare e si preoccupò solo di sentire.

George Orwell

Lo spazio bianco tra riga e riga calma lo sguardo. Ristora la mente. Socchiudo gli occhi per centellinare parole, suoni, immagini, un amalgama magico che solo la poesia svela con parsimonia, con garbo. A volte graffia. Leggo ad alta voce. Solo la mia tra echi di una stanza sola. Ogni Canto è canto, e va ascoltato per impregnarsi della sonorità, dell’armonia delle parole.

Ricordo quando scrissi di

Sirene celesti, platoniche, arcane visioni

che intonavano una nota, una sola, ruotando

nel moto di fusi che reggevano delle orbite il volo.

La sorte a ognuna un suono aveva elargito,

così il Cosmo tutto irradiava di eufonie

e consonanze in lieta armonia.

A volte, le Sirene scendono nel mondo dalle sfere scintillanti, abbigliate di acqua e di aria, e ci ispirano Canti. Piccole chiose, le mie, per cantare con te, di te.

     Inadeguato all’eterno Un frangibile istante, “fragile, sporco, inadeguato all’eterno” appare e dispare come di porcellana, se pure all’amore si aggrappa, come roccia che affiora da marosi irrequieti. L’amore dove “le braccia spalancate / della ragazza nuda / avranno la pietà del miele selvatico”? Come un bagliore fende della notte il buio freddo, così “il suo sorriso / enigmatico, sconosciuto e impuro / ti darà la certezza del corpo / e del cuore, senza cercare / niente di più?”

Ma allora: l’eternità è un filamento infinito di perle lungo la collana del tempo? Ma dove trovare quelle perdute, cercate, sperate? Quegli istanti feriti dal mattino che i sogni cancella? Fermarsi, ogni tanto, per godere degli istanti donati dal tempo… è questa la via?

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A SCUOLA DENTRO

A scuola dentro - copertina
Susanna Barsotti, A scuola dentro, Edizioni DivinaFollia, 2020
nota di lettura di Ivano Mugnaini
Il “dentro” a cui fa riferimento il titolo del libro è il nucleo, ma anche lo snodo, il punto di connessione. Da lì si irradiano i vari volti, gli aspetti, i significati di questo testo. Andare a scuola dentro equivale ad una scelta che può essere letta in vari modi: portare l’insegnamento dentro, in qualità di docente, ma anche acquisire, attingere a sua volta, da quel luogo, conoscenza. Ciò va in direzione contraria rispetto al cosiddetto senso comune.
 “Li hanno messi dentro”, diciamo noi tutti quando commentiamo un arresto. È un modo semplice e sbrigativo per far sì che, dal punto linguistico, e quindi psicologico (e per estensione fisico) di snodi e di ponti non ce ne siamo più. “Li”, cioè “loro”, si contrappone in modo inequivocabile a “noi”. Loro da una parte e noi dall’altra; così come “dentro” è agli antipodi di “fuori”: c’è un muro, altissimo, di cemento, che separa un mondo non solo dalla consistenza fisica ma anche dall’idea dell’altro, dalla necessità e dalla volontà di immaginarlo come una realtà esistente.
Quel “dentro” è lo specchio, deformato, deformante, volutamente tenuto in stanze semibuie, delle nostre paure, delle debolezze, delle colpe, di quella parte della nostra umanità di cui pensiamo di doverci vergognare, un po’ come quei panni, anch’essi proverbiali, che non solo non laviamo in pubblico ma preferiamo lasciare nel fondo di qualche armadio accuratamente chiuso a chiave.  
«Quest’anno ho fatto la mia prima esperienza da insegnante presso il carcere Due Palazzi di Padova. Essendo ancora professionalmente immatura, sia in quanto docente, sia, a maggior ragione, in quanto docente nel contesto penitenziario, si è trattato di un’esperienza tanto faticosa, quanto formativa ed emozionante. Per questo ho deciso, ogni volta che tornavo dal lavoro, di raccogliere in un diario i ricordi, le riflessioni, i sedimenti umani che gli incontri mi lasciavano». 
Mi ha scritto queste informazioni, Susanna Barsotti in una mail alcuni mesi fa, e in un messaggio successivo ha aggiunto «il libro è cresciuto a dismisura e ha un taglio diaristico, dunque abbastanza autobiografico».
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