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Responsum – recensione del libro

Rosaria Mariagrazia Fiorentino, Responsum, Ladolfi editore, 2022
Recensione di Ivano Mugnaini

“Non porgere orecchio / a chi ti descriverà / come qualcosa di strano.” Questi versi perentori, accorati, si trovano all’inizio di una delle poesie più significative di Responsum, il libro di poesie di Rosaria Mariagrazia Fiorentino.
Si tratta di un’esortazione di notevole rilievo e sostanza, in quanto vale sia nel contesto specifico del dialogo in forma di versi tra i due innamorati che costituisce la struttura portante della raccolta, sia, a più ampio raggio, per il valore metaforico che spontaneamente assume.
Qualcosa di “strano” è, in primis, a ben riflettere, l’amore. Lo è sempre e comunque, in qualità di partita di poker a occhi chiusi, giocata senza neppure conoscere le proprie carte, non solo quelle dell’avversario. Una corsa controvento, e, non di rado, contro il mondo, contro la folla che avanza compatta come un muro in senso opposto alla marcia dei piani, dei sogni, delle necessità, dei desideri.
Qualcosa di strano è, in modo altrettanto evidente, la poesia. Lo è nella forma e nella natura profonda, nella capacità, anzi, nella necessità di sconvolgere e ribaltare le regole della sintassi, della logica, del modo ortodosso di vedere e di pensare.
La posta in palio, per chi si schiera dalla parte dell’amore e della poesia, è, in ogni caso, estremamente preziosa; seppure anch’essa complessa, multiforme. Il premio è la libertà di essere se stessi, di vivere emozioni autentiche, forti, non fittizie o di maniera.
Ho avuto il compito e il piacere di scrivere la prefazione di Responsum. In quell’occasione ho avuto modo di ribadire alcune delle caratteristiche della raccolta che mi avevano colpito in particolare sia sul piano dei contenuti che a livello di linguaggio; e le due dimensioni risultano nelle liriche della Fiorentino adeguatamente correlate.
I versi sono brevi, limati all’estremo, alla ricerca di una sintesi che generi solennità senza minare le basi dialogiche della raccolta, ossia l’alternarsi di cui si è detto tra le voci di due persone innamorate. Vengono tolti tutti i fronzoli e gli orpelli, di modo che resti l’urgenza del dire e del provare emozioni.
“Sacrifico / vita / salute / beni / felicità / posizione. / Io non voglio amare. / L’idea originale permane. / Lo considererai un malsano pensiero. / Ho conosciuto me in te. / Tu conoscesti te stesso / attraverso me / In realtà non ci conoscevamo. / Ma io non voglio riconoscermi così. / Gelosa / Invadente / Appassionata. / Sono una anima randagia / che fugge alle catene”.
Questa esternazione, affidata alla voce femminile, alla “Lei” che parla in prima persona, ci consente di rilevare ulteriormente ciò a cui si è fatto cenno: l’amore di cui parla il libro è “controcorrente”, avulso ai contesti ritenuti accettabili dalle convenzioni sociali. La voce femminile, tramite cui l’autrice esprime se stessa, si rende conto del peso del rapporto e lo manifesta con chiarezza e genuinità all’amato.
È interessante a mio avviso osservare come la Fiorentino non cerchi in alcun modo la “complicità” del lettore. Non vuole convincerlo di avere ragione, non vuole comprensione né sconti di pena, non cerca consensi e non teme condanne. La natura propria di questo libro è quella di un giornale di bordo in forma di versi, o meglio quella di un diario condiviso tra due amanti in cui ognuno vede il giorno, il mese, l’anno, il tempo, con occhi diversi, a seconda dei battiti dei cuori, dell’alternanza di desideri, necessità, rimpianti, paure.
Il contrappunto delle due voci, spesso come detto composto da versi brevi o brevissimi che a volte esondano come fiumi in frasi ampie, giunge progressivamente a quella che è una sorta di coincidenza degli opposti. Ossia, seppure da due fronti ormai necessariamente contrapposti, entrambi riconoscono all’Amore (quasi personificato, giudice che salva e condanna se stesso) il potere di dire sì o no, di avere la parola definitiva.
Ma, paradossalmente, la parola definitiva dell’amore è una sola: amore. Sì, ancora una volta lui, lui soltanto. Non si tratta di un gioco di parole ad effetto né di una tautologia. L’amore sa che, pur nel buio delle stanze, pur nella clandestinità imposta da regole che prescindono da lui, esiste, vive, sussurra, urla, tocca, divora, divora noi e se stesso.
I due amanti, nell’atto di affermare due istanze opposte, il desiderio di proseguire il rapporto da parte di lui e la necessità di concluderlo da parte di lei, in realtà affermano un’identica cosa. Dimostrano, non con teorie astratte, ma con la realtà dei loro abbracci e dei loro tormenti interiori, che il loro tempo insieme è stato (ed è) amore vero.
“Parlami, / portami / nel mondo dei tuoi sogni. / Il mondo / dove non c’è nessuno / tranne me e te / e il peccato”. Questi versi, affidati alla voce maschile, al “Lui” che interloquisce con la sua amata, contengono, forse, alcune delle chiavi della raccolta. La richiesta è quella di essere nuovamente accolto nel mondo dei sogni di lei. Tuttavia, nei versi successivi, tale mondo viene definito privo di gente esterna, e, a dispetto di ciò, dominato dal “peccato”.
La raccolta, pur essendo come detto, espressione diretta e in apparenza non filtrata di un dialogo quasi registrato “in presa diretta”, senza interventi autorali, in realtà, in modo indiretto e implicito (e proprio in virtù di questo credibile e coinvolgente), pone e propone alcune riflessioni fondamentali sui limiti e sui confini della libertà individuale, sulla linea di demarcazione tra dimensione onirica e dimensione fattuale e sulla distinzione fondamentale tra diritto alla libertà e possibilità di scavalcare le barriere e le demarcazioni sociali e morali.
Accade così che nelle poesie di questo libro, al di là di un linguaggio volutamente lineare, niente sia “a cuor leggero”. Di ogni espressione, di ciascun vocabolo, cogliamo sia la parte assolata sia il lato in ombra, il volto oscuro della luna.
Lui implora, grida di volerla ancora, di volere ancora i loro abbracci in stanze chiuse e protette da sguardi esterni. E mentre lo urla sa che otterrà un “no”. Così come sa che non si deve e non si può. Non più. Lei segue la ragione. Accoglie la riflessione matura che la porta a rifiutare un rapporto che la sta corrodendo dentro e fuori. Ma mentre cede il passo alla ragione, dentro di sé, nel profondo, percepisce ancora fortissimo il desiderio di lui e del loro amore.
“Il battito del mio cuore / sul tuo / lì in penombra. / Sentirsi noi. / Lì in penombra. / Incoercibile serenità / dell’attimo. / Attimo / lieve / gaio / dirompente / che ha portato via / l’infantile. / Attimo / di un gesto / di una risata / di un gemito / di una occhiata / lì in penombra”. Sulla base di quanto esposto qui in questa disamina, la logica vorrebbe che questa espressione di desiderio ancora vivissimo, di trasgressione che urla, fossero gridati a voce ancora più alta da lui. Scopriamo invece che è il contrario. È lei che li pronuncia, nitidi, nella parte conclusiva del libro, dopo avere detto e argomentato mille “No”, con la n maiuscola, motivati, spiegati nei dettagli, con la chiarezza sofferta di chi valuta il bene e il male di tutto e di ciascuno.
Responsum è un libro molto particolare, nutrito da mille ossimori, alcuni voluti e creati ad hoc dall’autrice, altri nati dalla sincerità con cui i dialoghi dei due amanti sono stati riportati, quasi avessimo di fronte la trascrizione puntuale da parte del dibattito in un’aula di tribunale o di un registratore acceso tra le mura di un’alcova.
È un libro lineare e complesso, tenero e aspro, agro come frutto acerbo e tagliente come spina di rosa. È un libro che appare come espressione di una vicenda assolutamente individuale. E tuttavia ognuno, ciascuna lettrice ciascun lettore, alla fine vi può ritrovare qualcosa di suo, un pensiero, uno stato d’animo, un’incoercibile contraddizione esistenziale.
È un libro in cui l’amore, ammettendo le sue colpe, manifestando la propria imperfezione e fragilità, in realtà conferma, sornione, con occhio da angelo e da diavolo, la propria incontrastabile predominanza, la consapevolezza di possedere e di dare il solo bene e il solo male del mondo. Tutto il bene e tutto il male che gli esseri umani possono vivere, sentire, soffrire, desiderare, divorando ed essendo divorati.
Questo libro è un diario, ma anche un Bildungsroman, un romanzo di formazione scritto in versi, e un saggio filosofico travestito da frasi in apparenza semplici che parlano di abbracci nel buio, nella penombra sospesa tra la necessità umana di dare se stessi a chi veramente si ama e la consapevolezza altrettanto possente dell’autodistruzione.
In amore ci si annienta, sembra dirci l’autrice. Ma con altrettanta vividezza ci conferma che senza amore si è già morti molto prima di essere effettivamente defunti. Responsum è un processo all’amore, che, di riflesso, diventa un dibattimento sul confine tra libertà e regole, sul discrimine tra bene e male, tra osservanza del giusto e abbandono cerebrale e sensuale al peccato.
Alla fine di tutto però, in virtù del coraggio della sincerità che Rosaria Mariagrazia Fiorentino ha saputo mettere nero su bianco, viene fuori dalla lettura un verdetto, uno solo, incurante della ragione e della canonica coercizione: per un essere umano degno di tale nome, il solo autentico “peccato” è non avere amato e non amare.

Ivano Mugnaini

L’albergo dei morti – libro di Fabio Dainotti – Manni, 2023

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Fabio Dainotti, L’albergo dei morti,

Manni, 2023

Il titolo del libro di questo libro è ineludibile. Impone una riflessione e una risposta emotiva. Il riferimento alla morte, quel nitido memento mori, dovrebbe generare tristezza. Ma il vocabolo “albergo” ha assonanze differenti. Si vive con la morte accanto, in un luogo che non abbiamo scelto; ma si tratta pur sempre di una “vacanza”, seppure a tratti in una struttura che è a volte caserma, a volte ospedale, a volte istituto di pena. Ma è un albergo. Di morti vivi. Che sanno sognare. Che hanno conosciuto la poesia, la bellezza. Che hanno il privilegio di ore d’aria in cui possono creare e dialogare con poeti passati o moderni. I poeti vivono sempre nelle loro poesie. E ci sono modi di rendere migliore il soggiorno: donne giovani o piene di tempo, di primavere, di anni, ma anche di frutti succosi. “Sulle foglie del melo l’amarena / del tramonto: la vecchia signora / ce la offriva in giardino”.

Questa poesia, nitida e suasiva, è preceduta da una dedica, “A Gina”, ed è seguita da un luogo e da una data, “Brescia, 1965”. Questo breve e intenso componimento, possiede, come tutte le liriche di questo libro, la concretezza del vissuto, e, in modo spontaneo, l’offerta sincera di quel dono, oggetto concreto e simbolo, compendio di un tempo che, qui ed ora, rievoca se stesso con dolcezza aspra, autentica.

Continua la lettura di L’albergo dei morti – libro di Fabio Dainotti – Manni, 2023

Tutte le cose che chiudono gli occhi

Facendo un’operazione di sintesi estrema, leggendo il materiale che ho ricevuto da Annalisa Ciampalini mi soffermerei su alcune parole, tratte dalla nota personale dell’autrice e dalla recensione di Giancarlo Sissa. L’autrice, parlando del suo libro, osserva: “sentivo che un succedersi troppo veloce e prevedibile degli eventi mi impediva di viverli pienamente, di riconoscerli, di ascoltarli, di averne cura”. Avere cura degli eventi è un’espressione che sfugge agli schemi. In genere ci si preoccupa di affrontarli, gli eventi, di ottimizzarli, di organizzarli e mille altre azioni pratiche e utilitaristiche. Annalisa Ciampalini si ripropone di ascoltarli e riconoscerli. Gli eventi come persone. Forse perché ogni accadimento, ogni attimo che viviamo, ogni passo che percorriamo e che ci percorre, è fatto del pensiero di persone, presenti o assenti, fragili ed effimere e allo stesso tempo assolutamente indelebili.
C’è in questo libro della Ciampalini una sincerità che traspare. Non c’è sfoggio né volontà di stupire. C’è una necessità vera di avere cura per potere ricevere cura. Dagli altri, ma anche dai fatti della vita, dal bene e dal male, dagli occhi dolci e da quelli feroci, dalle cose, dai passi sull’erba ma anche sul fango, sulle rocce, sui rovi.
Alle parole della Ciampalini fa eco adeguata la nota critica di Sissa, anch’essa da leggere nella sua totalità, nella sua struttura completa, organica. Tenendo fede alla promessa della sintesi, propongo, tra i tanti passaggi interessanti della recensione, questo estratto:
 “La stanza condivisa, secondo la definizione di Annalisa: «il luogo dove più luoghi coincidono, stanza di comunità, stanze d’aspetto di reparti difficili, ospizi, talora anche un’aula di scuola », ipotesi insomma comunitaria, ipotesi d’amore e di pietas partecipata, esposta e raccolta al tempo stesso, restituita al mondo e ai suoi soggetti secondo una grammatica anche spirituale ma inedita, da scoprire, da imparare, da far propria con la dovuta attenzione («Ci vollero giorni per capire i compiti che ci erano stati assegnati.») perché l’attenzione all’altro – e a se stessi – esclude ogni infingimento e impone regole severe, atte a testimoniare:
Nessuno di noi
può sostare nei pressi della parete più esposta.
Oltre quel muro
risiedono i malati veri
coloro che per le continue febbri
disertano le lezioni mattutine.
Le menti illuminate
che fissano un punto fuori campo
e colgono nel segno.
In questo brano, seguito da alcuni versi di Annalisa, Sissa individua “ipotesi d’amore e di pietas partecipata”. L’utilizzo della parola “ipotesi” ci conduce su un terreno simile a quello precedentemente accennato. Non ci sono certezze, non c’è un sentiero asfaltato su cui avanzare baldanzosi. L’amore è una scommessa. Non di rado persa. Così come altrettanto di sovente gli eventi di cui cerchiamo di avere cura ci strangolano senza neppure concederci una parola ulteriore. Eppure, ed è qui il percorso che combacia con la meta, esiste quella pietas, quell’atteggiamento difficile da definire e da inquadrare in termini logici, razionali. Forse, la direzione da seguire è quella dello sguardo dei malati veri, dei fragili, dei non integrati né integrabili. Gli occhi che fissano un punto fuori campo e colgono nel segno.
Potrebbe non essere casuale, allora, il titolo del libro, Tutte le cose che chiudono gli occhi. Non è escluso che per avere cura, per ricevere cura, per giungere alla pietas autentica, davvero condivisa, gli occhi si debbano chiudere invece che spalancare. Oppure, ma un’ipotesi non esclude l’altra, che si debba essere fragili, al punto di farsi buio, cecità quasi letale, per potere cogliere il riflesso autentico della luce, quello che, a tratti, risana anche il corpo.
Anche in questa occasione il mio intento è quello di stimolare la curiosità dei lettori. Queste mie succinte note spero possano incuriosire e indurre a cercare e leggere il libro di Annalisa Ciampalini, scritto senza paillettes e senza il photoshop. Con l’autenticità di chi si mette a nudo, non per esporsi in vetrina ma per fuggire lungo un dirupo boschivo. Senza tuttavia smettere di pensare e sentire, continuando ad avere cura di quella parte di mondo e di tempo, di fragilità e di bellezza, che ognuno, a dispetto di tutto, ospita dentro di sé. 
IM
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 ESTRATTI DALLA RECENSIONE DI GIANCARLO SISSA
“Quarta raccolta dopo L’istante si dilata (2008), L’assenza (2014) e Le distrazioni del viaggio (2018), Tutte le cose che chiudono gli occhi (2022), rispettato l’intervallo di quattro anni che separa un libro dall’altro – e che testimonia di una scrittura governata dalla cura e dalla ponderatezza e avulsa dunque da frette e smanie – ci consegna il punto d’arrivo, provvisorio ma certo, di una scrittura in versi di elegante compostezza e di serena severità anche formale. L’estrema pulizia del dettato poetico di Annalisa Ciampalini è infatti senza dubbio il più corretto strumento, oltre che il più affidabile posizionarsi rispetto alle possibilità stilistiche (….)
 
È questa l’ora del fuoco
in un tempo deciso oltre il cielo.
Rendi caldo il mio posto liquido
infondi l’idea del grano,
dell’impasto che poi sarà pane.
Il tuo mezzogiorno ampio
in questa luce di fondale.
come già lasciava presagire l’esergo da un’altra poetessa grande e di nitida pronuncia quale Silvia Bre:
Come quando in una qualche stagione
spicca l’istante che la farà nostra. “
“Ruota peraltro, questa raccolta, attorno a due sezioni che a me paiono fondanti di quello che si può considerare sia il punto d’arrivo – provvisorio – della poesia di Ciampalini, sia il luogo dal quale ripartire per nuove ipotesi di scrittura. Mi riferisco a Il posto (la terza dopo Stagioni in prestito e Forme del tempo) e a La stanza condivisa (la quarta, prima della conclusiva Viaggi). La sezione Il posto si apre con una prosa di straordinaria resa onirica caratterizzata da un’aura diffusa d’incantesimo, di cosa che non si vuole scordare.”
“La stanza condivisa, secondo la definizione di Annalisa: «il luogo dove più luoghi coincidono, stanza di comunità, stanze d’aspetto di reparti difficili, ospizi, talora anche un’aula di scuola », ipotesi insomma comunitaria, ipotesi d’amore e di pietas partecipata, esposta e raccolta al tempo stesso, restituita al mondo e ai suoi soggetti secondo una grammatica anche spirituale ma inedita, da scoprire, da imparare, da far propria con la dovuta attenzione («Ci vollero giorni per capire i compiti che ci erano stati assegnati.») perché l’attenzione all’altro – e a se stessi – esclude ogni infingimento e impone regole severe, atte a testimoniare:
Nessuno di noi
può sostare nei pressi della parete più esposta.
Oltre quel muro
risiedono i malati veri
coloro che per le continue febbri
disertano le lezioni mattutine.
Le menti illuminate
che fissano un punto fuori campo
e colgono nel segno.
Nella stanza condivisa
i posti vuoti
creano il luogo di un amore cresciuto a dismisura
la forma sensuale dei corpi
tramutati in assenza.”
Giancarlo Sissa
**************
 
Annalisa Ciampalini
Tutte le cose che chiudono gli occhi
Prefazione
di Valeria Serofilli
 
È coerente il percorso di Annalisa Ciampalini, la strada espressiva intrapresa e condotta con costanza. Si muove tra visione e riflessione, buio e ricerca di luce, corporeità e nitidezza. Non è casuale il titolo di questa sua raccolta: “Tutte le cose che chiudono gli occhi”. È adeguato allo specifico dei testi che compongono la silloge e anche al percorso più ampio a cui si è fatto cenno in precedenza. La chiusura degli occhi è un gesto in apparenza minimo, quasi impercettibile, eppure in grado di contenere vasti orizzonti di significati e di simboli. In primo luogo il punto che separa ed unisce la veglia dal sonno (e quindi dal sogno) e la morte dalla vita. In quel gesto minimo è racchiuso il tutto. È anche un gesto di estrema dolcezza e delicatezza, che tuttavia esprime anche la forza di una necessità che è altresì, potenzialmente, una scelta. Chiudere gli occhi vuole poter dire anche schierarsi altrove, scegliere di non vedere, non guardare, rifugiarsi in un mondo altro, differente.
L’esergo, tratto dai versi di Silvia Bre, contribuisce anch’esso a determinare l’atmosfera, l’approccio, il punto di vista: “Come quando in una qualche stagione / spicca l’istante che la farà nostra”. Il libro della Ciampalini parla della ricerca di quell’attimo, di quella stagione, di quel tempo che si distingue perché rivela ciò che veramente siamo, l’essenza. A tutto ciò si collega anche l’inizio del libro, la lirica iniziale: “I nostri corpi complementari / il tuo chiarore / la mia esile oscurità. / Tua è la pietra dell’inverno / il seme dormiente nel giaciglio scuro / le mani che sanno dove premere. / A me resta l’albero lontano / il bianco che si accumula piano / il fiore pallido / esitante tra le dita”.
La cito nella sua totalità perché contiene in sé molte parole chiave, molti spunti utili ed illuminanti. Prima di tutto una diversità che però risulta essere “complementare”. Tutto ciò ci riporta ai contrasti fondamentali a cui si è fatto cenno all’inizio di questa disanima. Dicotomie che costituiscono il filo rosso dell’intera raccolta. Chiarore e oscurità, innanzitutto, che fa pensare anche a quegli occhi, a quelle palpebre aperte e chiuse evocate nel titolo. La poetessa si descrive di riflesso, per contrasto, appunto.
Nei confronti di un destinatario reale, un “tu” a cui si rivolge, un compagno di viaggio, o forse di vita. Ma quell’essere in carne e ossa potrebbe essere anche a sua volta un simbolo, una metafora: potrebbe essere la vita stessa, o forse la poesia, o forse il doppio che ciascuno di noi ospita dentro di sé, la controparte della propria luce e del proprio buio. La complementarietà che è necessaria per definire noi stessi in rapporto al mondo.
Non sono mai puramente descrittivi i riferimenti della Ciampalini. Il giaciglio scuro, l’albero lontano il fiore pallido, non sono richiami estetici o un contorno. Si tratta dell’essenza, del punto di confine che allo stessopunto separa ed unisce due modi di essere e di vedere. La silloge si muove tra gli estremi del tempo, inteso come sequenza cronologica ma anche come susseguirsi di calore e gelo, buio e oscurità. Ancora una voltaquesto contrasto è essenziale: il buio si distingue dalla luce e ognuno concede all’altro senso e significato. Ci sono varie poesie in questo libro dedicate all’inverno, alla stagione che attende inesorabile. Sappiamo che arriverà, ma non è un caso che la poetessa sottolinei più volte l’impossibilità di farsi trovare pronti, preparati.
L’inverno non è solo la controparte dell’estate. È una condizione più ampia, una stagione interiore. Interessante, è giusto confermarlo, è l’intreccio che si crea nelle liriche di questa raccolta tra il clima meteorologico e lo scorrere del tempo umano. Tra i colori del cielo e gli stati d’animo.
“La fragilità sta nel verso che non dura / scriverlo su carta / voltarsi per leggerlo di nuovo / e il segno muore. / Il verso frontale volitivo e pieno / la parola stretta sotto la palpebra che duole / e poi il vuoto”.
Questi versi riassumono bene l’intento, l’approccio a cui si è fatto riferimento: la caducità di ogni cosa umana, ribadita, confermata. Ma, accanto ad essa, la volontà e la necessità di scrivere su carta quella fragilità che è punto di partenza e di arrivo allo stesso tempo. Così come la stessa palpebra che muore ma conferma di essere stata viva con l’atto stesso di provare dolore.
Per trovare nelle liriche della Ciampalini un chiarore di speranza, bisogna attendere una lunga, adeguata riflessione sul contrasto fondamentale. “La luce sulla soglia / è promessa di futuro / un sogno bisbigliato all’orecchio. / Un’alba che vince / la sua stessa agonia”.
La luce non è certezza, è promessa. Non è una realtà conseguita e assoluta. È un sogno. Ma è un sogno essenziale alla vita stessa. Proprio perché nasce dalla certezza reale del dolore ma sa andare oltre. Nonostante tutto. A dispetto di tutto.
Una silloge matura, consapevole, questa di Annalisa Ciampalini. Percorsa con attenzione al dettaglio, alla sfumatura. Mai distratta da frasi roboanti ma vuote. L’autrice si muove all’interno di simboli costanti e fondamentali esplorando un’ampia gamma di richiami e di rimandi. Il dolore è alimento di tutti i versi, e la conquista di una stagione di luce, anzi di un istante di luce, passa attraverso una lunga serie di immagini di fragilità e di oscurità, il processo necessario per acquisire una visione nitida, accurata: “Le parole – poche, solo d’annuncio / si dispongono a contorno della scena. / Luce condivisa, forma circolare di un’idea. / Perfetta, mai pronunciata aderenza”. Alla fine della silloge e della strada espressiva da essa percorsa, resta una ferita che non si cuce. Ma il libro della Ciampalini è una interessante e sincera testimonianza in versi della volontà della poesia di aprire le palpebre sul dolore individuale e sul buio del mondo, trattenendo, nel riflesso, la scommessa della luce.
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NOTA PERSONALE
 di Annalisa Ciampalini
 SULLA RACCOLTA
 
Nonostante volessi scrivere di ciò che mi stava attorno, sentivo forte il desiderio di riposo e di distanza dal tumulto della vita. Sentivo che un succedersi troppo veloce e prevedibile degli eventi mi impediva di viverli pienamente, di riconoscerli, di ascoltarli, di averne cura. Durante la composizione della silloge è sorta la necessità di una condivisione con altre persone: di costruire, o anche solo individuare una meta comune, un punto di ritrovo, un sentimento che fossero significativi per me e per quanti percepivo vicini.
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Nota biobibliografica di Annalisa Ciampalini
Annalisa Ciampalini è nata a Firenze nel 1968 e lavora a Empoli, dove risiede. Ama da sempre la poesia e la matematica, la musica e la natura. Nel 2008 ha pubblicato la raccolta “L’istante si dilata” con Ibiskos Editrice, nel 2014 la raccolta “L’assenza” edita da Ladolfi Editore. Nel 2018 pubblica “Le distrazioni del viaggio” con Samuele editore, libro tradotto in spagnolo da Antonio Nazzaro. Suoi contributi appaiono su diverse antologie edite da Fara editore. Insieme a Giancarlo Stoccoro ha contribuito al libro Pierino Porcospino e l’analista selvaggio (ADV Publishing House 2016) volume che raccoglie testi di diversi autori.
Nell’aprile 2022 pubblica “Tutte le cose che chiudono gli occhi” (peQuod, collana portosepolto diretta da Luca Pizzolitto)
Dal 2017 frequenta la scuola “La poesia è di tutti” diretta da Massimiliano Bardotti.

“Crisalidi”, di Giuliana Donzello

“Il vero viaggio della scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. La frase è di Proust, ma ben si addice al senso e alla direzione del percorso letterario di Giuliana Donzello. Lei stessa la cita, appropriatamente, nel sincero e dettagliato resoconto che mi ha inviato per descrivere le tappe che l’hanno condotta a scrivere il libro di poesie Crisalidi.
Segnalo volentieri il libro di Giuliana, e consiglio a chi leggerà questo post di dare un’attenta occhiata anche alla nota in cui l’autrice parla del suo volume. Per le informazioni che contiene, utili ad una comprensione partecipata delle tematiche e delle simbologie, ma anche per il rispetto sincero nei confronti della poesia che l’ha condotta ad avvicinarsi gradualmente al mondo dei versi, senza fretta, senza approssimazioni ed improvvisazioni.
“La crisalide è uno stato di quiescenza, in cui l’insetto completa la metamorfosi con una serie di cambiamenti morfologici che trasformano il bruco in farfalla. Il ricorso metaforico alle crisalidi del titolo doveva indicare il mio stato iniziale di poetessa. Mi sono sentita bruco, ma doveva essere benaugurante della mia metamorfosi in farfalla”, scrive la Donzello.
In un mondo caratterizzato da frettolose prosopopee, è bello osservare la solenne e progressiva sacralità di questo passaggio compiuto con la cura e l’eleganza di un rito orientale.
Il risultato è un libro maturo e consapevole, ma, per fortuna dell’autrice e dei lettori, i versi sono pervasi anche dall’immediatezza di uno stupore sincero (torna con frequenza questo aggettivo chiave perché costante è l’impressione di genuinità non forzata e non di maniera che traspare dalle pagine).
Come sempre accade in questo spazio riservato alla segnalazioni di libri, mi limito volutamente ad accennare ad alcuni punti cardine.
È giusto ed è bello che sia il lettore a scoprire i momenti in cui la crisalide muta il suo aspetto in farfalla. E il modo in cui accade, nel mondo della scrittura, è sia forma che sostanza.
Il consiglio è quello di sempre: cercare il libro, magari anche contattando l’autrice o l’editore, e leggendolo confrontare le proprie impressioni con le coordinate fornite qui succintamente, ma anche in maniera più diffusa nella prefazione che pubblico integralmente in questo stesso post.
Da parte mia, confermando il mio consiglio di lettura, e, auspicando per tutti i “dedalonauti” un favorevole ritorno alle attività dopo la pausa vacanziera, aggiungo solo un altro breve ma luminoso dettaglio tratto anche in questo caso dalla nota dell’autrice:
“Dalla memoria affiora il ricordo che consente un viaggio dalle diverse connotazioni e fedeli al dualismo di Henri Bergson sono le liriche affidate a due diverse sezioni: “presenze e desideri”, affidate ad un linguaggio volutamente più lirico; “mancanze e assenze” dove il linguaggio si fa introspettivo della realtà”.
Nel momento in cui “de-sidera” e percepisce il senso del pieno e del vuoto il bruco è già farfalla.
IM
Crisalidi, G.Donzello
Crisalidi – Nota dell’autrice 
Il libro nasce da un atto di consapevolezza. Per molti anni ho fatto della prosa poetica il mio stile, perché consideravo la poesia così alta e destinata ad essere privilegio di pochi eletti, da considerare ancora immaturo e maldestro il mio approccio. Eppure in tutto ciò che scrivevo la poesia si rivelava. Determinante per me è stato il percepire imminente e necessario un mutamento.
La crisalide è uno stato di quiescenza, in cui l’insetto completa la metamorfosi con una serie di cambiamenti morfologici che trasformano il “bruco” in farfalla. Il ricorso metaforico alle “crisalidi” del titolo doveva indicare il mio stato “iniziale” di poetessa. Mi sono sentita “bruco”, ma doveva essere benaugurante della mia metamorfosi in “farfalla”.
Per scelta i testi sono brevi ed essenziali, risultato di un lavoro di limatura condotto soprattutto sul ritmo, le sonorità delle parole e le immagini a cui esse aprono attraverso l’uso delle metafore, lasciando al lettore libertà di lettura e di immedesimazione. Sullo sfondo della ricerca c’è sempre il rapporto tra la realtà dello spirito e la realtà della materia, come insegna Bergson.

Continua la lettura di “Crisalidi”, di Giuliana Donzello

Figlie uniche

Una mia recensione al libro Figlie uniche,  di Claudia Marin.
Buona lettura, IM

Figlie uniche, copertina

Claudia Marin, Figlie uniche, Iride, 2021

Figlie uniche è fluido, scorrevole, divertente, ironico, in grado di sdrammatizzare in tutti i modi possibili le ferite della vita, the slings and arrows of outrageous fortune. Si legge con un sorriso, desiderosi di scoprire come procede, paragrafo dopo paragrafo, con rapida voracità. Ma, attenzione, qualcosa resta. Non scorre via anodino e indolore. Perché quell’acqua chiara, fresca, a tratti dolce e a tratti amara, si fa specchio di esistenze possibili, forse reali, forse del tutto inventate, ma di sicuro verosimili, umanissime. Parla simultaneamente di un universo circoscritto e dello spazio e del tempo che ciascuno vive dentro di sé, tra analogie e contrasti, nello scorrere ininterrotto che cambia e ci trasforma.
Costanza, la protagonista, avrebbe tutto per essere contenta di se stessa: la professione medica, il benessere finanziario, un marito devoto sempre presente nei momenti in cui c’è bisogno di lui. Ma il rapporto complesso e conflittuale con la madre la condiziona, la fa vivere con il freno a mano delle incertezze costantemente inserito.
L’accadimento che genera il mutamento mettendo in moto una progressiva “agnizione”, è la nascita della figlia di Costanza. La protagonista si rende conto, razionalmente e per istinto, che in seguito a quell’evento niente sarà più come prima. Dovrà abbandonare la rassicurante condizione di trentenne ancora protetta e viziata da moine adolescenziali e dovrà finalmente guardare negli occhi le sue debolezze, le malattie reali e quelle immaginarie, ma anche i punti di forza, le energie nascoste proprio nei luoghi che teme di attraversare, nelle verità che ha paura di cercare e di scoprire.
Lo specchio, è opportuno ribadirlo, è uno dei simboli più rilevanti della vicenda narrata. Una metafora lineare e stratificata, a livelli multipli, non di rado contrapposti. Sofia, la figlia di Costanza, è l’immagine della madre ma è al tempo stesso una proiezione anche di Celeste, sua nonna. È una sorta di ponte tibetano, danzante, inebriato e inebriante, complicato da attraversare, percorso da scosse e venti giovanili, da energie e cupezze, da intelligenza e ingenuità. Grazie a questo ponte, Costanza e Celeste troveranno modo di avvicinarsi, esitanti, ognuna con il suo passo, ognuna con i suoi testardissimi orgogli, con una sfida che volta dopo volta si rinnova.
Questo romanzo racchiude un microcosmo femminile. Un universo assolutamente intimo, fatto di gesti e di pensieri, di confessioni aspre e desideri di dolcezza. Il vetro riflettente, liscio e aspro, è il romanzo stesso. Una superficie in cui tre volti si sovrappongono ma in cui ogni lettrice (ma in fondo anche ogni lettore) può riconoscersi trovando qualcosa di sé, del suo presente e del suo passato, della difficoltà a ritagliarsi uno spazio autonomo nel mondo, in quello familiare e in quello esterno.
La malattia irrompe nella trama mettendo ulteriormente a nudo caratteri e rapporti personali. Costanza si ammala di melanoma. Allo stesso tempo deve pensare a proteggere sua figlia dai suoi dolori personali e da quelli che la malattia comporta. Celeste, in quei frangenti, senza rinnegare se stessa, rivela la parte più umana della sua personalità. Quella che era emersa dai racconti della sua infanzia trascorsa in un orfanotrofio, prima della fama che l’avrebbe portata di colpo in Francia, in compagnia di un amore che costituisce anche il nodo da sciogliere del romanzo, il mistero concernente l’identità del padre di Costanza. Sì, perché questo libro sembra nascere “in presa diretta” da dialoghi immediati e realistici, ma possiede anche una struttura interna ben curata ed elaborata in grado di condurre a progressive rivelazioni o anche, per scelta e necessità, a soluzioni aperte, ad altri sviluppi ancora da vivere e da immaginare.
Il romanzo, come detto, spazia tra presente e passato con un costante gioco di rimandi. A sua volta ricalca le rifrazioni da cui trae origine: i volti delle tre donne, le loro tre generazioni e personalità ben distinte, si scontrano, si respingono, si accostano in un bacio finalmente tenero, senza orgogli, per poi respingersi e cercarsi di nuovo. I tre personaggi principali, in eterno conflitto, a ben pensare e a ben sentire, non hanno misura, non hanno senso e non hanno amore, se non una nell’altra e per l’altra.
Ne deriva un duplice processo: in primo luogo la personalità della protagonista, Costanza, compressa tra orgogli e paure, tra la voglia di gettarsi nella vita come in una piscina, finalmente libera e coraggiosa, e, sul fronte opposto, il timore dell’ignoto, dell’imponderabile. Altra sfaccettatura, strettamente correlata alla prima, è la complessa coesistenza delle tre protagoniste, tre esseri fieramente autonomi, e, come suggerisce il titolo, unici.
Il finale del romanzo, ineluttabilmente aperto, offrirà un punto di vista per cogliere allo stesso tempo le singole parti e la figura d’insieme. Lasciando spazio ad ulteriori prospettive, ad altre ottiche, tra cui, determinante, quella del lettore, chiamato non solo a scegliere un proprio personale punto di osservazione ma anche ad entrare in prima persona all’interno della cornice, portando con sé le proprie paure e i propri desideri: le proprie, irrinunciabili, unicità.
  Ivano Mugnaini

 

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Claudia Marin

Napoletana con ascendenze venete, vive a Roma. Giornalista per il Quotidiano Nazionale, da sempre è ostaggio della follia della scrittura creativa. Fin dai banchi delle elementari, quando si inventava gli «amici immaginari», ha scritto, riscritto, sovrascritto e cancellato storie e racconti. Stavolta ha deciso di venire allo scoperto: ed ecco Figlie uniche.

 

Il diavolo veste Gaga

Chiara Zanetti, poliedrica autrice e redattrice, mi ha segnalato uno dei libri di cui cura la promozione tramite l’Agenzia Aletheia. Si tratta di Il diavolo veste Gaga di Andrea Biscaro. Chiara sintetizza l’essenza del volume osservando che l’autore ha colto “la sfrontata ambiguità di intenti dell’Arte di questa diva mondiale, vista nella sua infinita purezza come nella sua totale trasgressione”.
Sulla base di questa accattivante premessa, e conoscendo la passione autentica di Chiara per Lady Gaga di cui ha tradotto tra l’altro l’intera discografia, ho accettato volentieri di porre ad Andrea Biscaro alcune domande sul suo “innamoramento” per Lady Gaga e sul libro che è frutto dell’intenso “colpo di fulmine”.
IM

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5 domande a

 Andrea Biscaro:

autore del libro

Il diavolo veste Gaga.

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” ai lettori di Dedalus?

Un giornalista qualche anno fa mi ha definito “scrittore multitasking”. Credo sia vero. La scrittura è la mia vita e mi muovo su decine di binari paralleli: narrativa, canzoni, fumetti, libri per bambini, sceneggiature. Ma non solo. Sono anche un ghostwriter. Mi piace immedesimarmi nella vita degli altri.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo rapporto più intimo con questo tuo recente lavoro, indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

È stata la visione di “A star is born” a innescare in me il desiderio di approfondire la conoscenza di Gaga. Dopo il film mi sono inabissato nella sua opera. Un’opera, anche in questo caso, “multitasking”. Adoro chi sa muoversi su più piani. Gaga è un vulcano, un genio. Qualunque medium tocchi, questo diventa oro. Ho deciso di scrivere un libro su di lei, perché era l’unico modo per incanalare l’esplosione di sensazioni che mi scatenava la sua opera, per darle un ordine. Mi è sembrato assurdo, anzi, che non esistessero libri, saggi, studi su di lei. Manca un bibliografia su Gaga. Forse ho colmato una lacuna.

 

3 ) Il titolo del tuo libro richiama in modo immediato un noto film. Ma è anche una sintesi efficace dei contrasti e delle tensioni tra gli estremi opposti di cui si nutre (e ci nutre) l’artista di cui parli.

A tuo avviso quanto è concesso alla scrittura di esplorare la realtà e quanto invece si muove essa stessa nell’ambito dell’immaginazione? Per dirla con Amleto, in che misura siamo all’interno di un sogno e quanto invece ci è dato di cogliere della “verità”, fosse pure la verità della trasgressione?

Scrivere è un giano bifronte: da una parte dà forma e senso al reale, dall’altra quella stessa realtà la destruttura, fino a distruggerla, fino a trasformarla in un sogno, in una visione. D’altronde parliamo di arte. Nulla è più reale di ciò che è irreale. Scrivere di Gaga, poi, è un doppio sogno: onirica e psichedelica, pur con radici antichissime conficcate al suolo, Lady G. racconta di verità terrene e arcane. “Il Diavolo veste Gaga” cerca di far luce nel suo buio, e di far buio nella sua luce.

 

4 ) Hai rivelato in un’intervista che il libro nasce da un innamoramento, o meglio da un colpo di fulmine.

In che modo hai conciliato la passione irrazionale con il necessario rigore logico della scrittura?

La scrittura dà forma all’amore. Scrivo per dare ordine al caos dell’amore. E forse anche per allungarne l’effetto inebriante. Per capirlo, anche.

5 ) Quali sono stati i momenti più esaltanti durante la realizzazione del libro, e, qualora ci siano stati, quelli più frustranti e duri da affrontare?

Credo nel potere rivelatorio della scrittura. L’atto stesso dello scrivere fa affiorare verità nascoste. Gaga scrive e canta attraverso codici e simboli, soprattutto nei primi album e nei primi video. È stato esaltante capire i suoi messaggi in filigrana. Penso a “Paparazzi”, “Alejandro”, “Bad Romance”, “Telephone” in particolare.

Devo dire che non ci sono stati momenti frustranti da affrontare.

6 ) Dopo questo libro, dopo questa ampia e documentata dichiarazione d’amore, il tuo rapporto di passione e attrazione per Lady Gaga è rimasto lo stesso o si è in qualche misura modificato?

Scrivere un libro è come vivere intensamente un rapporto d’amore. Quando finisci di scriverlo, in qualche modo si esaurisce quella carica erotica iniziale. Si esaurisce perché tutta quella passione, tutto quel sentimento galvanizzante, l’hai travasato nel libro. Diciamo che adesso il mio “rapporto” con Gaga è più sereno, meno psichedelico. Più quieto e razionale, ecco.

7 ) Quali sono le vie, non solo artistiche ma anche esistenziali, che a tuo avviso Lady Gaga indica, senza volerlo magari, con il suo percorso biografico di persona, di essere umano dotato di grande fragilità e altrettanto grande forza, prima ancora che di cantante?

Rispondo a questa domanda citandoti un brano del mio libro:

Quante cicatrici ci stanno sulla superficie di un cuore?

Quanto ha sopportato per arrivare dov’è adesso?

Nel brano “Free Woman”, dall’ultimo splendido album “Chromatica”, canta:

Questo è il mio dancefloor

ho combattuto per conquistarlo

Su quante macerie di se stessi sorgono le fondamenta di un successo come il suo?

Quanta forza serve per conservare, vivere e sviluppare una fama come la sua?

Lady Gaga ha detto che la sua forza è la sua capacità di amare.

Crede che avere una voce forte sia essenziale per amare il mondo.

«Io amo tantissimo il mondo, ecco perché la mia voce è così forte» ha detto in un’intervista. Alla domanda: «Ti ricordi il momento in cui hai scoperto per la prima volta la tua voce?» ha risposto: «Credo che una persona scopra la sua voce quando scopre se stessa».

8 ) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra gli autori classici che tra i contemporanei?

Sono un lettore onnivoro, da sempre. E come tutti gli autori, ho avuto i miei maestri. Te ne cito alcuni, in ordine sparso: Bret Easton Ellis, Bukowski, Lovecraft, Poe, Tiziano Sclavi, Dino Buzzati, Pasolini, Thoreau, Cioran.

Non amo confrontarmi con i miei colleghi. Gli scrittori sono noiosi, parlano solo di se stessi. Gli autori contemporanei? In Italia l’unica vera grande scrittrice è Isabella Santacroce, una sublime outsider, un genio che ha scardinato le “buone” regole della narrazione. Adoro gli artisti fuori dal coro, quelli che sanno giocare e smontare i giochi.

9 ) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

Vivo su un’isola da 15 anni, in una sorta di lockdown volontario. Per me non è cambiato molto, devo dire. Artisticamente, forse, sono cambiate le richieste, i temi. Meno thriller, ad esempio. La gente ha meno voglia di brividi. Editori e committenti in questi ultimi anni hanno più voglia di storie d’amore. Meglio se vere, autentiche. Il mondo ha bisogno di conforto, anche dall’arte.

10 ) Concludo con un’ipotesi, uno scenario immaginario più che una domanda: se avessi modo di incontrare di persona Lady Gaga, quale sarebbe la prima cosa che le diresti, e, quale sarebbe invece, eventualmente, la frase che non le diresti mai, pur sentendola o pensandola?

Credo che non le direi niente, se non: “Grazie, Stefani!”.

Mi piacerebbe abbracciarla e basta.

E penserei per lei il migliore dei miei sorrisi.

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                    COMUNICATO STAMPA
 Il diavolo veste Gaga: l’ultima pubblicazione di Andrea Biscaro
 IL LIBRO
Proprio in concomitanza con l’uscita nelle sale cinematografiche di “House of Gucci”, Andrea Biscaro pubblica con Officina di Hank il libro “Il diavolo veste Gaga”, disponibile nei negozi e negli store online dal 13 dicembre 2021.
Lady Gaga è Arte in ogni sua manifestazione, questa la tesi dell’autore, il cui testo rappresenta un tentativo di afferrare, smembrare e analizzare il corpo dell'opera di una grande artista, dell'ultima grande diva mondiale, le cui canzoni non sono che la punta di un iceberg. Gaga, infatti, percorre a un tempo musica, moda, cinema, pubblicità, politica, ribaltando il concetto di PopArt. Non è più l'arte ad essere al servizio della cultura di massa, ma la cultura di massa a porsi a servizio dell'arte; ArtPop, quindi, come recita il titolo del terzo album della cantautrice statunitense, pubblicato a novembre 2013.
Ogni passo, ogni apparizione, ogni album di Lady Gaga è una rivoluzione culturale e di costume. Scandalosa, eccessiva, “Mother Monster” è diventata il simbolo di un’orgogliosa diversità, così come il suo brano “Born This Way”, cantato in occasione dell’Europride di Roma 2011.
Inafferrabile e iconica, Gaga gioca con la sua molteplice personalità, esibendo le mille facce del suo cuore messo a nudo, alla stregua di ciò che scriveva nel suo omonimo testo Charles Baudelaire:
“Si possono fondare imperi gloriosi sul delitto, e nobili religioni sull'impostura.”
Come un veggente travestito da esteta, l'autore-dandy svelava in questo modo al lettore la verità in tutta la sua nudità perturbante, la stessa operazione eseguita dalla diva analizzata da Andrea Biscaro.
Angelo e demone, Lady Gaga sa offrirsi come la ragazza acqua e sapone di “A star is born” e nello stesso tempo come la diabolica Contessa assetata di sangue di “American Horror Story”.
Un libro multiforme e camaleontico, proprio come il soggetto narrato e, in ultima analisi, come la verità dell’essere umano.
UN ESTRATTO DAL TESTO
“Quante cicatrici ci stanno sulla superficie di un cuore?
Quanto ha sopportato per arrivare dov'è adesso?
Nel brano “Free Woman”, dall'ultimo splendido album “Chromatica”, canta:
 Questo è il mio dancefloor
ho combattuto per conquistarlo
 Su quante macerie di se stessi sorgono le fondamenta di un successo come il suo?
Quanta forza serve per conservare, vivere e sviluppare una fama come la sua?
Lady Gaga ha detto che la sua forza è la sua capacità di amare.
Crede che avere una voce forte sia essenziale per amare il mondo.
«Io amo tantissimo il mondo, ecco perché la mia voce è così forte» ha detto in un'intervista. Alla domanda: «Ti ricordi il momento in cui hai scoperto per la prima volta la tua voce?» ha risposto: «Credo che una persona scopra la sua voce quando scopre se stessa».”
 NOTE D’AUTORE
Andrea Biscaro è nato a Ferrara nel 1979. Vive e lavora all'Isola del Giglio. Romanziere, cantautore, poeta e ghostwriter è considerato dalla critica una delle voci più interessanti e poliedriche del panorama letterario italiano.
Tra le numerose pubblicazioni ricordiamo: la biografia rock “Io sono il Nirvana – la storia di Kurt Cobain” (Caissa 2018), il libro-cd “Ballate della notte scura” scritto a quattro mani con il padre di Dylan Dog, Tiziano Sclavi (Squilibri 2013, Repubblica XL 2013), il graphic novel “Pornopoema” (Eretica 2020), “La foresteria delle tre sorelle” (Segreti in giallo 2020), “Un cuore pulsante di medusa su uno sfondo rosa” (Nulla Die 2021).
L’EDITORE
Officina di Hank è il marchio editoriale che dal giugno 2020 contraddistingue i prodotti di HC S.r.l., società attiva in campo editoriale dal 2006. La casa editrice ha da sempre come tratto fondamentale quello di raccontare storie dal mondo della musica, e il suo catalogo, in cui spicca quest’anno l’autobiografia di Mark Lanegan, ne è testimonianza diretta. Al di là della musica, il rock fra le righe dell’Officina di Hank si esprime con l’impegno in progetti come la collana “La Raccolta”, nata per diffondere il pensiero antiproibizionista e rinnovare la percezione del pubblico sul tema della cannabis e dintorni.
www.officinadihank.com

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Distanze obliterate

Distanze obliterate è un bel titolo. Proprio in virtù della sua natura quasi ossimorica: se viene obliterata la distanza non è più tale, muta nome e sostanza, diventa dialogo, avvicinamento, fertile commistione. Perché tutto ciò che è ibrido, polimorfo, è fertile per natura e per definizione.
Non è solo un titolo e non è solo un libro. Distanze obliterate è anche un progetto, anzi una realtà. È portata avanti da Alma Poesia con il sostegno di puntoacapo Editrice. È frutto delle idee di un gruppo di giovani competenti e appassionati ed è un interessante viaggio nel tempo e nello spazio, tra varie generazioni di autori e tra le diverse regioni italiane, percorse sulle onde di Internet, ma anche sui binari delle Ferrovie dello Stato, soprattutto da Alessandra Corbetta che sta accompagnando la sua creatura cartacea per paesi e città, con grande affetto e grande cura.
Il progetto di Distanze obliterate è illustrato qui di seguito nei dettagli, tramite la pagina che ho ricavato dal sito di puntoacapo Editrice.
Copio anche dalla pagina Facebook di Alessandra Corbetta alcune foto della presentazione del libro che si è tenuta a Pisa sabato scorso. Pubblico inoltre la locandina della presentazione che avrà luogo domenica prossima, 17 ottobre, a Livorno; e un riferimento al programma “Poème électronique” previsto a Genova il 16 ottobre.
Buona partecipazione agli eventi, a chi potrà e vorrà, e buona lettura di Distanze obliterate.
IM
In che modo la velocità della Rete, gli effetti del mediashock e tutte le affascinanti promesse del web – come accorciare le distanze o ridurre i tempi di comunicazione – hanno cambiato il modo di fare poesia e hanno influito sul senso di identità e di relazione di ciascuno? I testi raccolti in questo volume, scritti da poeti nati tra il 1940 e il 1999, provano a tracciare alcune possibili traiettorie di senso per rispondere a questa domanda e fare nascere altre quesiti capaci di alimentare consapevolmente il dibattito intorno a poesia e Rete. Il volume si articola in due sezioni: la prima è dedicata agli omaggi di poeti affermati che hanno concesso alcuni contributi inediti sul tema; la seconda ospita invece gli inediti di poeti che hanno risposto alla call per la composizione del volume e che sono stati ritenuti meritevoli di farne parte dal comitato editoriale di Alma Poesia, che si è occupato anche della stesura di commenti critici che intervallano i testi delle autrici e degli autori proposti. Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete, in un viaggio tra le generazioni, prova a riassumere in sé le diverse accezioni del rapporto poesia-Rete e a restituirle nella forma organica di questo volume, con l’auspicio che possa essere da stimolo e da supporto a studi successivi del fenomeno.

La curatela:
Alma Poesia è un blog di poesia, nato il 4 aprile 2020, fondato e diretto da Alessandra Corbetta; si configura come un progetto editoriale articolato, che si avvale di una redazione composta da persone con percorsi di studio e ruoli professionali differenti, e dell’integrazione con gli strumenti comunicativi offerti dalla Rete. A oggi Alma Poesia, oltre che di Corbetta, si compone della Crew costituita da Valentina Demuro, Francesco Destro, Luca Gamberini, Emanuele Andrea Spano e dei Contributors Alessia Bronico, Giuseppe Cavaleri, Sara Serenelli, Martina Toppi e Sara Vergari. (www.almapoesia.it)

Il caffè letterario Volta Pagina di Pisa, ieri sera ha sentito le voci delle distanze obliterate: voci di generazioni diverse, ognuna con la propria idea di cosa rappresenti la Rete e cosa la Poesia, ognuna pronta a mettersi in ascolto di quella degli altri per crescere, confrontarsi, ampliarsi.
Grazie, quindi, agli autori che hanno reso possibile tutto questo: Fernando LenaJonathan RizzoMarco Bini e Massimo Del Prete.
A Jonathan un ulteriore ringraziamento per avere organizzato questa bellissima serata con sincero altruismo e al Caffè Volta Pagina per l’attenta ospitalità❗️❤

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 5 persone, tra cui Alessandra Corbetta e Jonathan Rizzo e spazio al chiuso

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 4 persone, tra cui Jonathan Rizzo, persone sedute e spazio al chiuso

Potrebbe essere un'immagine raffigurante una o più persone e il seguente testo "Reading e presentazione del volume, DISTANZE OBLITERATE (PUNTOACAPO EDITRICE 2021) a cura di Alma Poesia DOMENICA 17/10, ORE 21.00, C/O CAFFE LETTERARIO LE CICALE OPEROSE, C.SO AMEDEO 101- LIVORNO- Interverranno Alessandra Corbetta, Sara Vergari, Francesca Del Moro,Jonathan Rizzo."

“Distanze obliterate” (Puntoacapo Editrice 2021) continua il suo viaggio:
 sabato 16 ottobre, ore 20.30, sarà a Genova, all’interno del programma di “Poème électronique”: ne parleranno l’editrice Cristina Daglio insieme a Emanuele Andrea Spano e Roberto Chiapparoli, con un focus sulle nuove tecnologie e la necessità di studiarle in relazione alle forme comunicative, comprese quelle della poesia;
 domenica 17 ottobre, ore 21.00, arriva invece a Livorno, presso il Caffè Letterario Le Cicale Operose: con me e Sara Vergari ci saranno gli autori Francesca Del Moro e Jonathan Rizzo.
Ringraziamo Ksenja Laginja, Federico Tortora e Maristella Diotaiuti per l’attenzione e l’accoglienza al nostro progetto.
E vi aspettiamo❗❤

Raccontare la poesia

Raccontare la poesia - cover
 
Luigi Fontanella, Raccontare la poesia (1970-2020). Saggi, ricordi, testimonianze critiche,
Moretti & Vitali, 2021, 760 pp., € 36,10
 
Molto è già stato detto del libro di Luigi Fontanella Raccontare la poesia. Già detto e detto bene, con passione, acutezza e brillantezza. Sono arrivato in ritardo. Quindi, brechtianamente, tocca sedersi di lato. Non dalla parte del torto, nel caso specifico, ma da prospettive asimmetriche, sperando di poter mettere in luce qualche aspetto non ancora esplorato. Cercando di compensare lo svantaggio cronologico con la possibilità di basarmi su materiali interessanti, in particolare sull’intervista rilasciata dallo stesso Fontanella a Francesco Capaldo per il quotidiano “Pickline”. Utili mi saranno anche alcuni dialoghi che ho avuto di persona con l’autore nel suo studio fiorentino di Via Guelfa, zeppo di libri, di ottimo tè e di sassi di svariate forme e colori, souvenir del suo amato mare greco.
Comincerei dal titolo. In apparenza è lineare, descrittivo. In realtà mi sembra racchiudere un accostamento di mondi, un allineamento tra pianeti, quasi un ossimoro, di forma, di linguaggio, di struttura. Questo libro in fondo è un romanzo in forma di saggio sulla poesia. Di un romanzo ha la diacronicità, il coinvolgimento costante dell’autore e il suo interagire con gli altri personaggi, affini o più distanti, alleati o antagonisti in un conflitto incruento ma costante che ha come scopo primo e come meta finale l’agnizione più significativa, quella che riguarda il volto autentico dell’eroina femminile, la poesia. Il tutto giocato su un piano reso ulteriormente complesso e multiforme dalla coesistenza del piano letterario con quello esistenziale, in senso stretto e in senso lato. Ossia, in poche parole, mi sembra che questo libro non parli della poesia tout court ma della poesia nella vita, o, meglio, della poesia della vita. Quest’ultima definizione non vuole essere un abbellimento estetizzante ma piuttosto un tentativo di definire la necessità, sia della materia trattata sia del progetto che ha condotto alla compilazione e alla pubblicazione del volume.

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Verso un altrove – recensione con intervista

Verso un Altrove

Cristina Lastri Verso un Altrove, Le Mezzalane, 2019

Recensione di Ivano Mugnaini
 
“In sana sommossa / verso l’isola che forse c’è”, scrive Cristina Lastri in una delle liriche di questo suo recente libro. I versi ci indicano una strada fatta di rettilinei e di curve oltre cui bisogna trovare il coraggio di andare. La sommossa, innanzitutto, è un momento di svolta, un deliberato scarto; ma il vocabolo si integra con quell’aggettivo “sana” fino a costituire un binomio inscindibile, un tutt’uno. La natura dell’aggettivo non modifica la forza e la schiettezza della rivolta. Anzi, semmai la rafforza. Una vera sommossa nasce da radici salde, dall’esperienza delle cose viste e percepite, perfino dagli errori, dagli sbagli di valutazione. Solo con quel bagaglio di esperienze si può intraprendere il viaggio verso la meta auspicata, quell’isola che, ribaltando un noto riferimento letterario, in questo caso c’è, esiste. Il libro è la sintesi dettagliata di un viaggio, un tragitto che, come ci indica il titolo, ci porta lontano.
Come ha sottolineato Cristina Lastri nell’intervista per la rubrica A TU PER TU, il timone idealmente è rivolto verso “un altrove”, non verso l’Altrove indistinto e assoluto.  Il cammino personale dell’autrice si estrinseca in varie “tappe” all’interno di questo libro.  Si può rilevare una prima forma di “evoluzione”, un mutamento di prospettiva, sia cronologico che “visivo”, per così dire, un differente punto di vista: “La sete di conoscenza mi ha permesso di emergere da una sorta di eremitaggio introspettivo e di rivolgere lo sguardo oltre, verso un fuori da sé”.  
        Il materiale di base con cui costruire l’imbarcazione per raggiungere l’auspicata isola è la conoscenza, ottenuta tramite la passione per i libri e per tutto ciò che arricchisce il bagaglio personale, non di nozioni ma di empatia, per il mondo, per il bene e il male, per i chiaroscuri la cui accettazione può condurre al prezioso senso dell’armonia con il cosmo. L’abbandono dell’eremitaggio permette di estendere il campo visivo e di favorire l’uscita da sé, ossia l’acquisizione di una dimensione interiore altra, situata in un altrove che più che un punto fermo è un processo graduale e costante di “simpatizzazione” con il mondo.
 La cura può avere luogo nel momento in cui la mente e il corpo dialogano sulle stesse frequenze e sulla stessa lunghezza d’onda. Non è un caso che a volte il solo modo di accelerare il passo, sul piano poetico e non solo, sia quello di rallentarlo, e non è un caso che questo libro faccia riferimento esplicito e costante alla pratica dello zen, alle strade che conducono a percorsi zen utili al perdersi e al ritrovarsi.

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Alice nel labirinto – intervista a Roberta De Tomi

Spazia con curiosità e fantasia, Roberta De Tomi,  in vari ambiti e tra vari generi. Ha scritto libri diversi l’uno dell’altro ma con il comun denominatore di una passione vivida, a tratti “speziata”, che la porta a cercare storie e argomenti in grado di suscitare a loro volta la curiosità, l’interesse e la passione del lettore, conducendolo in ambiti in cui realtà e dimensione onirica si incontrano, giocando a creare nuovi spazi, mondi possibili.
L’intervista qui pubblicata ci offre l’opportunità di approfondire la conoscenza con questa autrice vivace che opera attivamente anche in rete. Ci conduce inoltre a esplorare territori del panorama letterario che hanno molti appassionati lettori.
IM

2021Alice nel labirinto

                            A TU PER TU
                         UNA RETE DI VOCI
 L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica. IM

 

5 domande

a

Roberta De Tomi

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Un saluto ai lettori e alle lettrici e un grazie per l’attenzione che mi dedichi. Non sarà un “autoritratto”… alla Dorian Gray, anche se sarebbe bello immortalare un pizzico di bellezza in questo momento storico così difficile. A parte questo, ho dipinto di colori diverse pagine che sono diventati racconti e romanzi. Ho iniziato in sordina, dopo essermi laureata al DAMS di Bologna, partecipando ad alcuni concorsi letterari, all’interno dei quali ho ottenuto buoni esiti. In parallelo ho iniziato un percorso lavorativo nella comunicazione che ha toccato diversi ambiti in maniera trasversale: dal giornalismo ai blog, passando per la gestione di eventi e uffici stampa. Parallelamente mi sono occupata anche di altre mansioni, ma sempre tenendo stretta la passione per la scrittura; passione che, dopo le prime prove, mi ha portato alla pubblicazione.
Ho vissuto e vivo con un certo travaglio la precarietà della mia generazione, tanto che ai tempi, con un blog e articoli dedicati, ho cercato di parlarne; ma mi rendo conto che certi argomenti sono spine che bruciano, vasi di cristallo da maneggiare con cura. Viviamo tempi complessi, sospesi, forse stiamo aspettando Godot; sinceramente io non riesco a stare ferma, in attesa di un miracolo salvifico. Non è nella mia indole, ho bisogno di creare, di fare qualcosa e di incuriosirmi. Creare è vivere.

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