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DECIMA EDIZIONE DEL PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA “GRADIVA” (2022)

 

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THE STATE UNIVERSITY OF NEW YORK AT STONY BROOK, LONG ISLAND

DECIMA EDIZIONE DEL PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA “GRADIVA” (2022)

 

Gradiva Publications bandisce la decima edizione del Premio Internazionale di Poesia “Gradiva”. Al Premio si concorre con un libro singolo di poesia in lingua italiana, pubblicato fra gennaio 2020 – aprile 2022. Sono escluse plaquettes e antologie che non contengano anche testi inediti. Alla partecipazione sono esclusi membri della Redazione della rivista «Gradiva».  I libri concorrenti non saranno restituiti. Non è prevista alcuna quota di partecipazione. I partecipanti possono facoltativamente sostenere, in forma di donazione spontanea e aperta, la non-profit Gradiva Publications, i cui intenti sono quelli di promuovere la poesia italiana nelle università dei Paesi anglofoni. *   Sito:  www.gradivapublications.com

 

Al vincitore sarà assegnato un premio di $1000 (mille dollari), il rimborso al 50% delle spese di viaggio relative unicamente al biglietto aereo in classe economica dalla città italiana di partenza al JFK  Airport, oppure in treno nel caso in cui la cerimonia di premiazione dovesse tenersi a Firenze.  Case editrici o singoli autori devono spedire una copia del loro libro ENTRO IL 30 APRILE 2022 (farà fede il timbro postale) a ciascuno dei membri della Giuria, sotto elencati, in ordine alfabetico, con l’indicazione dell’indirizzo, telefono e email di ogni partecipante al Premio.

Si prega NON spedire i libri per raccomandata.

ALESSANDRO CARRERA, Modern & Classical Languages, University of Houston, 3553 Cullen Blvd, Room 612, Houston, Texas 77204-3006, USA.

MAURIZIO CUCCHI, via De Amicis 57, 20123 Milano

LUIGI FONTANELLA, 303 Mountain Ridge Dr., Mt. Sinai, New York 11766, USA.

IRENE MARCHEGIANI, Department of European Languages, Literatures, and Cultures, Humanities Bldg.  Nicolls Rd, Stony Brook, New York 11794, USA.

ALESSANDRA PAGANARDI, Corso Lodi 37, 20135 Milano, Italia.

 

Presidente Onorario: Dr. Len Marino (senza diritto di voto a cui non va inviato il libro).

Segreteria del Premio: Irene Marchegiani :  gradivasunysb@gmail.com

Assistente editoriale: Lorenzo Abbatiello

 

La Giuria selezionerà i libri in concorso. Successive consultazioni determineranno la cinquina finalista. Un’ultima votazione determinerà il libro vincitore del Premio. La cerimonia di premiazione avrà luogo nel corso dell’autunno 2022 presso il Center for Italian Studies della State University di New York a Stony Brook, oppure a Firenze presso Palazzo Medici e sarà comunicata all’autrice/autore, con l’obbligo di presenziare alla cerimonia pena il decadimento pecuniario del Premio. Per ulteriori informazioni, contattare la segreteria via email: gradivasunysb@gmail.com  oppure il sito www.gradivapublications.com ove saranno pubblicati man mano gli esiti del Premio. La Giuria si riserva il diritto di non assegnare alcun premio, ove ritenesse non idoneo il materiale valutato, senza per questo essere oggetto di reclamo o denuncia.

 

* Per sostenere l’attività dell’editrice non-profit Gradiva Publications effettuare bonifico, come donazione spontanea, con spese bancarie a carico dell’ordinante, presso Banco BPM, Sede Firenze 1606, IBAN: IT55 T 05034 02813 000000010982, Swift: BAPPIT22, conto corrente intestato a Luigi Fontanella, che ne rende conto all’Amministrazione di Gradiva Publications.  Spedire la ricevuta scannerizzata, via email, all’indirizzo elettronico dell’editrice: gradivasunysb@gmail.com

 

 

Vincitori delle precedenti edizioni. 2013: Sauro Albisani; 2014: Maurizio Cucchi; 2015: Massimo Scrignoli; 2016: Milo De Angelis; 2017: Maria Attanasio; 2018: premio non assegnato; 2019: Alba Donati; 2020: Marco Vitale; 2021: premio non assegnato.

 

 

 

 

L’Indice dei Libri del Mese – N.6 – 2021

Sul numero di giugno de L’Indice dei Libri del Mese una mia recensione a ‘La Cosa’ di Gianluca Garrapa.

Nello stesso numero, tra l’altro, anche una recensione di Enzo Rega a Luigi Fontanella e tante altre belle cose, ossia bei libri.

recensione Garrapa
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A TU PER TU – Lucia Gaddo Zanovello

“Ha avuto un’impennata o è una buona penna, ha la penna facile, o della nomea del corvo, di quella del tordo, del merlo, del pappagallo, del pavone.
Ma in fondo la verità è che siamo tutti creature, se pure di diversa specie, da penna, da pelo o da pelle. Secondo me ogni creatura è in qualche modo persona, perché ciascun individuo manifesta un suo proprio carattere originario, mite e benigno o scontroso e perfino dispettoso; chiunque abbia percorso parte della sua vita in compagnia di un cane, di un gatto, ma anche con un uccellino, sa bene di cosa parlo. Delle persone che non amano gli altri esseri viventi diffido, esattamente come diffido delle persone che non amano e non rispettano le persone”.
Molto originale, schietta, diretta e nitidamente simbolica, è questa dichiarazione di Lucia Gaddo Zanovello.
È una specie di autoritratto fatto con uno specchio, con il vetro fragile e prezioso delle esistenze altrui, nello specifico con la vita degli animali.
“Secondo me ogni creatura è in qualche modo persona”, osserva. Non è una frase ad effetto, un mero orpello estetizzante. Il contesto e il modo con cui è scritta ne confermano l’autenticità. A qualcuno potrà sembrare fuori luogo, esagerata, eccessiva. Ma è proprio questo il bello: è un modo per generare un nitido posizionamento, una sorta di documento di identità che manifesti l’essenza reale, inequivocabile, di ciascuno.
Nella zona di confine che separa e unisce ipotesi e verità, si colloca il libro che l’autrice presenta nell’ambito di questa intervista, dedicato alla figura di Attilio Mlatsch. Scrive Lucia Gaddo: “Ho dovuto studiare e ristudiare i contesti storici delle notizie che avevo e degli eventi attraversati e in ultima analisi, ritrovando infine la figura di questo mio nonno”. Il valore aggiunto che si affianca all’attenta opera di ricostruzione è la conquista di una consapevolezza che deriva dalla conoscenza unita all’affetto, dalla “cognizione del dolore” e dalla vera condivisione. In questo contesto, il dialogo supera le barriere della Storia, del tempo e dello spazio.
“Devo riconoscere di avere fatto maggior luce in me stessa”, ci rivela l’autrice. Questa frase in apparenza lineare racchiude vasti orizzonti di senso, il valore della ricerca della verità e quell’istante di visione ulteriore in cui l’oggettività dei fatti viene sublimata dalla partecipazione emotiva. L’attimo in cui si smette di guardare e si inizia a vedere, ossia a percepire non solo con i sensi ma con qualcosa di indefinito, misterioso e salvifico che rappresenta il nucleo della verità e della natura umana in se stessa.
“L’analogia delle vicissitudini storiche forgia in qualche modo le personalità, restituendo alcune similitudini empatiche”, annota Lucia Gaddo Zanovello. Questa considerazione si adatta bene al suo romanzo, alla ricerca di una figura familiare che il tempo e la violenza non hanno cancellato dalla memoria. Si adatta tuttavia anche al contesto più ampio di quell’insieme di “persone” (includendo nella definizione tutti gli esseri viventi) che indagano con partecipazione e affetto sul senso del loro passaggio su questo esile e mirabile pianeta sospeso nel mistero delle galassie.
IM

A TU PER TU

UNA RETE DI VOCI

La vicenda umana di Attilio Mlatsch

5 domande

a

Lucia Gaddo Zanovello

 

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie mille a te per il gentile invito!

Sono contenta e ti sono grata di questa occasione di fermarmi un poco a riflettere sul mio più recente lavoro, sono opportunità che finiscono sempre per rimettere a fuoco un qualcosa di mai veramente compiuto.

Beh, per quanto riguarda il mio autoritratto, esso si fonda necessariamente sul mio vissuto in campagna per molta parte della primissima infanzia. In quel luogo ho sperimentato la solitudine più assoluta, essendo l’unica piccola in mezzo a tanti adulti, tutti costantemente indaffarati in diverse occupazioni, avevano difficoltà a trascorrere del tempo con una bambina.

Spesso in lacrime osservavo intorno a me e, incantandomi, smettevo di piangere. Devo riconoscere che la natura mi è stata Madre nel senso più vero del termine.

Sono cresciuta forse in un quadro di povertà affettiva, ma mescolando tuttavia a fragilità e sfiducia, caparbietà e tenacia, innamorata della terra, delle piante e degli animali. Osservavo l’attività dei topolini nel granaio, stupivo all’uscita dei pulcini dall’uovo, ma se dovessi specchiarmi in un autoritratto, vedrei un uccellino, forse un pettirosso.

Il volo, il nido, la muta (tutto ciò che si trasforma mi attrae, forse frutto anche questo delle mie osservazioni infantili pure sulle rane e sul baco da seta), il mondo dell’aria mi ispira da sempre, perché vedere le cose dall’alto aiuta a ridimensionarle, a farle rientrare nella loro misura reale, invogliano a credere in Dio e anche se le cadute, l’essere predati e le gabbie misurano le sventure, rigenerazioni e rinascite permangono fidenti dietro l’angolo.

La varietà delle specie alate, dei loro linguaggi, del loro affaccendarsi intorno ai nidi, alle migrazioni, seguendo l’istinto, e senza lasciare tracce, la loro filosofia di vita insomma è gaia e promettente. Anche per questa specie, nella quale si va dall’aquila al colibrì, è un po’ come per i cani, per i quali si va dal molosso al chiwawa. Straordinario. Come sono unici la potenza del cigno, la leggerezza della rondine, la domesticità della gallina e la fedeltà dei piccioni.

Per non parlare delle espressioni idiomatiche legate ai pennuti, si dice spesso ha avuto un’impennata o è una buona penna, ha la penna facile, o della nomea del corvo, di quella del tordo, del merlo, del pappagallo, del pavone.

Ma in fondo la verità è che siamo tutti creature, se pure di diversa specie, da penna, da pelo o da pelle. Secondo me ogni creatura è in qualche modo persona, perché ciascun individuo manifesta un suo proprio carattere originario, mite e benigno o scontroso e perfino dispettoso; chiunque abbia percorso parte della sua vita in compagnia di un cane, di un gatto, ma anche con un uccellino, sa bene di cosa parlo.

Delle persone che non amano gli altri esseri viventi diffido, esattamente come diffido delle persone che non amano e non rispettano le persone.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

La vicenda umana di Attilio Mlatsch. Una ricostruzione possibile fra ipotesi e verità, Nuova luce, 6, Macabor, 2018, è la mia ultima pubblicazione. Mi ero dedicata alla stesura di molti appunti su questo argomento nel corso di un paio di anni, a cominciare dal 2016, per fare luce su di una persona a me tanto vicina, ma fino ad allora troppo e troppo a lungo rimasta misteriosa, mio nonno materno. Adoperandomi per fare luce, ho dovuto studiare e ristudiare i contesti storici delle notizie che avevo e degli eventi attraversati e in ultima analisi, ritrovando infine la figura di questo mio nonno, devo riconoscere di avere fatto maggior luce in me stessa. Continua la lettura di A TU PER TU – Lucia Gaddo Zanovello

A TU PER TU – Bruno Di Pietro

“Sono napoletano, città in cui esercito la professione di avvocato, appassionato di poesia: non amo autodefinirmi poeta. Scrivo in versi e ho pubblicato più lavori. Di carattere normalmente sincero, dico sempre senza remore o timori reverenziali ciò che penso, ma sono anche incline all’ascolto pronto a cambiare idea se mi convinco della bontà della opinione altrui. Sono incline alla ironia, spesso esercitata come autoironia. Questo lo si trova anche nei miei versi. Non amo i Poteri (specie se detenuti senza alcun merito) né li temo. Non mi inchino davanti a niente e a nessuno”.
Un autoritratto schietto, sincero, che invita ad alcune considerazioni. La prima è quasi la conferma di una regola non scritta: spesso chi dichiara di non essere poeta in realtà lo è. Che poi sia vero non di rado anche il contrario è piuttosto probabile. Ai posteri l’ardua sentenza, anche se i contemporanei qualche idea se la sono già fatta. Tornando a Bruno Di Pietro emerge dunque dal suo caravaggesco ritratto che oltre ad essere poeta senza gridarlo in faccia al mondo, è persona autoironica e libera, anche in questo caso in modo concreto, mettendoci la faccia, non solo i proclami.
Il libro che presenta qui in questa sua intervista è Colpa del mare e altri poemetti. Ed è originale, felicemente fuori schema, quell’abbinare il mare alla colpa. Di solito il mare è esaltato, elogiato, incensato. Qui è associato a qualcosa che nessuno vorrebbe, ma potrebbe anche essere una forma di amore ulteriore, chissà. Se prima l’ardua sentenza era affidata ai posteri qui è riservata a chi vorrà leggere, scoprire, attraversare le onde e assaporare il sale dei versi. Di Pietro possiede una carnalità elegante, quasi una forma di spiritualità tattile. Un modo di esplorare perfino l’intangibile con i sensi. Non è un caso che anche il mezzo della scrittura, l’atto dello scrivere, diventi esperienza sensuale, in senso stretto prima ancora che metaforico: “Di personale posso dirti che Colpa del mare è la mia vita. Chi la conosce sa esattamente a cosa si fa riferimento in ogni singolo verso. Di intimo aggiungo che tutto è conservato nei miei quaderni di cui ho una cura maniacale. Amo scrivere a penna e matita. Su carta buona se non pregiata. E ho una bella serie di penne stilografiche e asticciuole e vecchi pennini. Inchiostrare è per me lussuria purissima”.
La curiosità del lettore è chiamata in causa, adeguatamente sedotta. Non resta che leggere, questa intervista e quel libro che parla di colpe e di onde sapide, come la poesia.
IM
 
A TU PER TU
UNA RETE DI VOCI

nuovo colpa del mare

5 domande

a

Bruno Di Pietro

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie a te, innanzitutto.

Un “autoritratto” chiesto a chi come me non sa fare nemmeno un selfie è una bella domanda. Un po’ mi imbarazza, un po’ per carattere direi tutti i difetti che ho trasformando la risposta in un “confiteor”. Ti dico che sono napoletano, città in cui esercito la professione di avvocato, appassionato di poesia: non amo autodefinirmi “poeta”. Scrivo in versi e ho pubblicato più lavori.

Di carattere normalmente sincero, dico sempre senza remore o timori reverenziali ciò che penso, ma sono anche incline all’ “ascolto” pronto a cambiare idea se mi convinco della bontà della opinione altrui. Sono incline alla ironia, spesso esercitata come “autoironia”. Questo lo si trova anche nei miei versi.

Non amo i Poteri (specie se detenuti senza alcun merito) né li temo. Non mi inchino davanti a niente e a nessuno.

In sintesi “non te la mando a dire”.  Questo vale per tutti. Non sono abituato, né mi piace , passare per la sagrestia : all’altare ci vado diritto.

 

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

 

Con Oèdipus Edizioni nel 2019 ho pubblicato “Baie”. Ma quello pubblicato con lo stesso editore nel 2018 (“Colpa del mare e altri poemetti”) è senz’altro il mio lavoro più importante. Molti lo hanno definito “raccolta” altri “antologia” ma tengo a dire che è un unico solo “libro” dalla prima all’ultima parola, segue un progetto ed ha un “senso” nella sua interezza. E copre il lavoro che va dal 1995 al 2012.

Si dà conto in esso della questione “aurorale” della filosofia occidentale: da un lato il pensiero di Parmenide (la “fissità” dell’Essere) dall’altro quello di Eraclito (il “divenire”, l’Esserci) detto in sintesi estrema e impropria. Non a caso l’esergo è un frammento di Eraclito, mentre il libro si apre con le “Dieci Eleatiche”. L’ “orgoglio della scienza” da un lato, “il “frutteto in rigoglio” dall’altra (come nel testo eponimo). Con una inclinazione verso l’affermazione che “L’Essere è l’Esistere” e che noi più che “Essere-gettati-nel-mondo” “Giaciamo-nel-mondo”.

E che fra “l’Inizio” e “la Fine” c’è un “nel frattempo” che è la nostra vita.

Continua la lettura di A TU PER TU – Bruno Di Pietro

A TU PER TU – Michele Nigro

Leggendo le risposte di Michele Nigro alle domande di A TU PER TU mi sono venute in mente in particolare due considerazioni. La prima riguarda l’atteggiamento dell’autore nei confronti di ciò che scrive. E la considerazione ha sia una valore specifico che più ampio. Nigro si definisce “un artigiano”, scrive libri intitolati “Pomeriggi perduti” e “Poesie minori. Pensieri minimi” e ha diretto la rivista letteraria “Nugae”, che, tradotto, equivale all’incirca a inezie, bagatelle, cose da poco. Qualcuno in modo più esplicito userebbe una parola con due zeta. Ebbene, a differenza di molti che si autoincensano e in realtà scrivono cose “con due zeta”, Nigro, che si esercita da anni nell’arte dell’understatement, ha una cura meticolosa e appassionata per la parola, mai banale, mai incolore e indolore. E poi, beh, c’è motivo di consolazione se anche gente come Catullo, Orazio e Petrarca hanno definito “nugae” alcuni loro scritti.  La seconda considerazione la introduco citando un passaggio di una delle risposte di Nigro: “Il termine poeta è stato confinato a identificare solo ed esclusivamente il componitore di versi, ma per fortuna non è così: poeta, nella sua accezione creativa, è anche il narratore”. Personalmente ho trovato questo spunto interessante, in grado di generare un potenziale dibattito tra chi concorda e chi dissente. Lo stesso vale anche per altre osservazioni di Nigro inserite nell’ambito delle risposte. L’invito è quello di sempre: leggete se avete tempo e modo l’intervista e chissà che non vi venga voglia di leggere anche altro.
Buone letture, IM
                          A TU PER TU
                       UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio. Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.
IM

5 domande

a

Michele Nigro

 

1) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Grazie a te per questa opportunità. Non mi sono mai fidato degli autoritratti: peccano di omissioni o di adulterazioni dell’io. Volendo autodefinirmi dal punto di vista prettamente letterario posso dire con onestà e serenità che, pur non essendo un letterato, credo di essere almeno un artigiano della parola, un cercatore di senso e di verità prima di tutto per me stesso e magari anche per uno sparuto gruppo di lettori. Se la narrativa breve mi ha fornito qualche piccola soddisfazione soprattutto in passato, è la ricerca poetica a piantare i veri paletti lungo il confine della mia terra interiore. Una ricerca in fieri che sicuramente sposterà questo confine verso altre direzioni creative.

 

2) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Il mio ultimo libro è una raccolta di poesie intitolata “Pomeriggi perduti” (ed. Kolibris, 2019) con la prefazione del poeta Stefano Serri. Avevo bisogno, come già accaduto con la prima raccolta “Nessuno nasce pulito” (ed. nugae 2.0, 2016), di materializzare i miei versi, di poterli toccare, di osservarli fissati su carta non per un effimero capriccio autoreferenziale, dopo essere stato (e lo sono ancora) un fautore della cosiddetta web poetry: importante e per certi versi rivoluzionario è stato l’approdo, non recente, della poesia in internet; molti lettori mainstream hanno scoperto poeti sconosciuti o di nicchia, molti poeti sconosciuti hanno potuto far veicolare i propri versi al di là di una cernita editoriale diventata poco credibile nelle intenzioni letterarie e più orientata verso esigenze commerciali o di “autorevolezza” di autori già affermati.

In questa seconda raccolta, a differenza della prima più didascalica e discorsiva, ho diluito con sobrietà e con una maggiore asciuttezza stilistica ricordi, eventi esistenziali, sensazioni estemporanee, persone e personaggi da immortalare, escursioni filosofiche nel quotidiano, verità interiori bisognose di essere fermate nel tempo, capisaldi della vita che andavano onorati, luoghi importanti che da sempre nutrono il corpo e l’anima; e poi la poesia, oggetto di se stessa.

Il concetto di aspettativa, soprattutto in poesia, dovrebbe essere abolito: è deleterio, consuma le energie genuine dell’autore, ne inquina gli intenti inizialmente puri, lo rende schiavo di idee malsane. Come scrivo proprio in una poesia della raccolta, Aspirazione: “Che le parole / dalla silloge di maggio / siano fortuiti guanciali / su cui riposare / senza fretta, / conforto alla vita / appigli regalati / a sconosciute anime. […]Balsami scritti / anche per uno solo / dei lettori raminghi, / parentesi tra gli orrori del mondo / oasi di riflessione per cuore di donna…”. Bisogna curare la propria creatura, promuoverla, ma senza creare catene con essa, ed è bello anche vedere i propri versi tradotti in altre lingue (come mi è capitato con alcuni componimenti tratti da questa raccolta e tradotti in inglese, spagnolo e portoghese): la sensazione di leggersi con altri suoni di linguaggi usati in luoghi diversi del mondo è liberatoria; si ha la consapevolezza che qualcosa di tuo, di intimo, appartenga a un territorio, non solo geografico, più vasto di quello a cui si è abituati; che quel qualcosa, come un figlio, se ne vada in giro per il pianeta.

Ho particolarmente apprezzato un passaggio in una recensione a “Pomeriggi perduti” che apparirà a dicembre su una giovane e interessante rivista letteraria, e del cui autore mi riservo di non fare il nome per una questione di correttezza nei confronti della testata che ci ospiterà: “… Risponde a un’eco classica la poesia che Nigro modula su filatrici moderne…”. Credo che in questa frase lapidaria – estrapolata da un lavoro critico ben più ampio – siano riassunti non solo la descrizione della mia ricerca poetica, che giustamente oscilla tra una tradizione che “condiziona” e inevitabilmente permea il testo, e l’evoluzione del linguaggio quotidiano – al di là di ogni vacuo sperimentalismo – che non può lasciare indifferente il poeta, ma anche il raggiungimento (inconsapevole?) di quello che potrebbe essere definito uno stile. Proprio, personalissimo, disorganizzato, non generalizzabile e non rappresentativo, sicuramente destinato a tramontare o quantomeno a diluirsi in un’epoca, a non lasciare traccia o a evolvere in qualcos’altro. Forse a ritornare nel flusso arcaico e immemore delle parole nate con il mondo.

 

3) Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe?

In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

Mi piacciono le contaminazioni (termine non molto amato in questo periodo!), non riuscirei a essere un purista coerente. In passato mi sono cimentato nella scrittura di racconti, anche di genere fantascientifico, e di tanto in tanto, come se mi assegnassi da solo un esercizio, li ri-edito, li rimastico, perché credo che la riscrittura, il rivedere con occhi evoluti le proprie parole, sia molto più importante che sfornare spasmodicamente nuovi testi. Lo stesso vale anche in poesia, ecco perché credo, sì, nella pubblicazione delle raccolte, senza per questo esasperarne gli obiettivi finali: spesso poesie di differenti sillogi convergono in un nuovo progetto che le accomuna, che le trasforma riassegnandole, donando al lettore attento un nuovo approccio, un rinnovato punto di vista sullo stesso componimento collocato in un contesto diverso.

In trascorse occasioni ho avuto modo di intercalare la poesia in flussi narrativi: occorreva farlo non solo per interrompere lo schema del testo, ma soprattutto per fornire liricità a una storia che non aveva intenzione di evolvere in maniera didascalica e descrittiva. Quando l’ho fatto in un contesto fantascientifico, compiendo certi innesti tra prosa e poesia, ho cominciato ad assaporare il significato di un ibridismo che per molti è sacrilegio.

In un futuro progetto riguardante la mia terra di origine – la Lucania -, che non so quando riuscirò a realizzare perché richiederà tempo e stanzialità (per titillare un genius loci senza il quale farei ben poco!), la commistione tra poesia e prosa sarà la regola, la struttura non casuale dell’intero edificio.

La specializzazione è una gran bella virtù, ma quando il purismo diventa fanatismo, allora vuol dire che è giunto il momento di prendere le distanze da certe posizioni. Il termine poeta è stato confinato a identificare solo ed esclusivamente il componitore di versi, ma per fortuna non è così: poeta, nella sua accezione creativa, è anche il narratore.

 

4) Quale rapporto hai con gli altri autori? Prediligi un percorso “individuale” oppure gli scambi ti sono utili anche come stimolo per la tua attività artistica personale?

Hai dei punti di riferimento, sia tra gli autori classici che tra quelli contemporanei?

Pur essendo un individualista in senso lato, non solo artisticamente, recentemente ho lanciato dal mio blog un’iniziativa intitolata “Scambiamoci i libri!” tendente a stimolare appunto uno scambio di testi editi tra autori di poesia; non solo uno scambio di recensioni, in una reciprocità obbligata, bensì un modo per conoscere e ri-conoscersi, per tastare il polso della poesia italiana contemporanea, almeno tra quelli che pur avendo superato il livello “esordiente” non hanno ancora raggiunto un certo tipo di visibilità automatica come accade a pochi eletti. Come motto avrei voluto usare “Leggiamoci da vivi!” ma temevo di risultare macabro e di ricevere uno scaramantico feedback negativo: il fatto è che la retorica dell’autore morto, e il fascino derivante dal trapasso che inesorabilmente determina la positiva rivalutazione d’ufficio dei suoi versi, è una sciagura per il poeta longevo.

Il rapporto con gli altri autori è altalenante e dipende dalla chimica che si viene a creare: con la maggior parte ci si ignora (anche se, grazie ai tanto vituperati social, le occasioni di interazione si sono moltiplicate), con altri si interagisce proficuamente in vista di una reciproca promozione; rari sono i casi in cui si verifica un’autentica e profonda compenetrazione tra le poetiche, stimolata da un reale interessamento per l’altro: quando questo avviene è meraviglioso e le parti ne escono arricchite.

Non amo le gang bang poetiche, sia quelle fisiche che le cartacee; non amo le “agende dei poeti” organizzate a fine anno in una sorta di martirologio letterario. In passato sono volontariamente caduto nel tranello di antologie concepite per spillare soldi, ma l’esperienza è ciò che ci permette di accantonare certi vissuti per non ripeterli. L’individualismo deve essere usato come un filtro qualitativo e non percepito come una condanna.

I miei punti di riferimento oscillano tra passato e presente: mi piace spulciare tra la storia, ma non resto prigioniero di alcun tempo: ho amato Edgar Lee Masters, Walt Whitman, Pablo Neruda… Non so quanto la lettura dei grandi del passato influisca sulla ricerca di una propria voce e francamente non m’interessa saperlo: a volte qualche recensore scorge sprazzi di somiglianza, individua piccole analogie con autori importanti, ma la cosa non mi eccita.

Il “difetto” dei contemporanei è sempre lo stesso: sono vivi. Riconoscerne l’influsso sul mio presente richiede sforzo, maturità, lavoro analitico onesto: doti che non sempre mi riconosco anche se le mie recensioni sono apprezzate. Ma è un’operazione che va svolta: per contrastare il solone che è in noi.

 

5) L’epidemia di Covid19 ha modificato abitudini, comportamenti e interazioni a livello globale.

Quali effetti ha avuto sul tuo modo di vivere, di pensare e di creare?

Ha limitato la tua produzione artistica o ha generato nuove forme espressive?

 

Da un punto di vista strettamente personale i vari lockdown non hanno cambiato più di tanto le mie abitudini, tranne per alcune libertà a cui ho dovuto rinunciare come tutti, e che con troppa superficialità davo per scontate: nel senso che conducevo già una vita piuttosto riservata, equilibrata, non bisognosa di eccessi, e avevo già attuato da anni un certo distanziamento culturale prim’ancora che fisico e sociale come esigono le disposizioni in materia di prevenzione. Per “culturale” non intendo il numero di libri letti, bensì certe scelte qualitative (più che quantitative) dal punto di vista esistenziale che non mi hanno fatto percepire alcuna deprivazione. Mi mancano i viaggi e le folle nei concerti rock, questo sì, lo ammetto: ma so che torneremo a spostarci liberamente e a rivalutare la qualità del nostro viaggiare, caso mai rispolverando un localismo per troppo tempo snobbato in nome della falsa filosofia delle grandi mete.

Le mancanze registrate dalla massa e i vari isterismi che ne sono conseguiti hanno interessato soprattutto chi aveva strutturato la propria esistenza su falsi valori e su esigenze effimere. Al netto delle morti e dei disagi economici che si stanno verificando purtroppo in quasi tutte le nazioni del pianeta, per me la quarantena è stata una vera e propria manna: ho letto e scritto di più (soprattutto in riferimento a elementi culturali che ben si amalgamavano con le vicende in corso), non ho ricevuto le visite di rompiscatole, ho ascoltato musica e visto film che aspettavano di essere visti, ho partecipato a eventi culturali via social, ho coltivato nel mio piccolo le cose che fino ad allora avevo trascurato… Certo, il prezzo di questa manna è stato ed è altissimo.

Forte e interessante è stato il dibattito scaturito all’indomani della pubblicazione su “Poliscritture” di un mio articolo intitolato Elogio del post apocalittico: alla maggioranza delle persone dà fastidio collocare quest’epoca storica difficile nell’ambito di un’evoluzione in atto, che lo si voglia o no; potrà sembrare cinico, ma chi è avvezzo alla fantascienza distopica è arrivato preparato all’appuntamento e ha avuto un approccio differente nei confronti della pandemia da Covid19: tutto quello che stiamo vivendo, e molto altro ancora che mi auguro di non vivere, è stato ampiamente “profetizzato”, analizzato e descritto dal punto di vista narrativo in numerosi romanzi di genere. Si tratta di “scenari noti”.

Quella che manca (ed è bastata un’estate di rilassamento per tornare a scatenarci come se nulla fosse accaduto) è una seria riflessione, sia personale che comunitaria, sull’evoluzione del nostro modus vivendi, sul non ritorno a quella parte di “normalità” deleteria. Non nutro troppe speranze sul cambiamento delle abitudini dell’umanità, se queste non sono incoraggiate da cambiamenti drastici derivanti da decisioni prese a monte: gli opportunismi del capitalismo sono alimentati dalla nostra pigrizia e ci nascondiamo dietro l’invenzione di “dittature sanitarie”; un mio articolo, pubblicato sul blog in piena quarantena, s’intitola proprio “Cast Away” e la retorica del saremo migliori. Una retorica che ha alimentato e sta alimentando un linguaggio pubblicitario speranzoso e mirante esclusivamente a un tornaconto economico: parole come “ricominciare”, “rinascita”, “resilienza”, “ritornare”, “riabbracciarsi”, “risollevarsi”, “rialzarsi”, espressioni come “ce la faremo”, “andrà tutto bene”, rappresentano i cavalli di battaglia di una neolingua post-pandemica di stampo commerciale che ci terrà compagnia per molto tempo.

Credo molto di più nei micro-cambiamenti individuali che diventano lentamente esempi diffusi o da diffondere. Che diventano cultura. L’ideale sarebbe evolvere senza esserne costretti da decreti o pandemie.

Sarò sincero: non credo molto nella qualità letteraria delle cose scritte sull’onda emotiva causata dalla pandemia; è un evento non metabolizzato perché ancora in atto, e non abbiamo la visione d’insieme, la distanza temporale necessaria a scriverne in maniera equilibrata. So che stanno nascendo antologie dedicate e molti autori prolifici sfornano romanzi ambientati nell’era covid come se fosse una pagina storica ormai superata e digerita. Io dico che sarebbe molto più onesto attendere, anche anni, far sedimentare gli eventi e lasciare che l’argomento penetri lentamente, senza nominarlo, nella nostra prosa e nella futura poetica.

Poesie da

Pomeriggi perduti

 

Privé

Quel vostro club privé

dopolavoro per manovali

vogliosi, poco spirituali

tantra occidentale,

con l’ingresso, lembi di un’inguaribile

ferita

a volte nascosto

da fitta vegetazione capigliata

altre ancora glabro come un glande

che accoglie tra

pioggia calma che bagna

senza giungere da nubi

il sentiero reso facile

al viandante eretto

ma non eretico.

Un ariete di carne e sangue

per sfondare porte

aperte, umide di

desiderio lasciato libero,

ed entrare nella

calda stanza

di una finta immortalità.

Al termine

di movenze mai spiegate

bianchi muezzin

dall’alto di minareti a tempo

annunceranno il segreto

della vita umana in questo mondo.

***

Caffè Albania

Ricordi il caffè degli albanesi,

l’angolo cieco e sicuro di Roma dove

s’intrecciavano le mani rassegnate

degli amanti

prima di un altro addio?

Quella dolce gioia dolorosa

poetica fonte di parole che

hanno scavato a lungo in noi

stanotte ha trovato conforto

non in nuove carezze di donna

come tu pensi

ma nel suono lieve di una fontana

lontana, circondata dal silenzio

del buio stellato e delle amicizie spente.

Attendevo da anni

di riscoprire quel rito giovanile

dell’acqua bevuta in città deserte

tornando dai goliardici viavai

che precedono l’alba

di rinnovate speranze.

***

Bisaccia

Era il tranquillo  fumo

di sospirati sigari lucani

che, fuggendo dalla città

mi accoglieva d’estate

disteso su balconi isolati.

Sul confine tra antiche terre

torno a respirare

un’aria filtrata dalla pietra,

all’ombra serale

del castello ducale.

In una casa bassa

aperta sul paese

strusciante di anime in altura

due vecchi senza più desideri

e stanchi di vita

con le spalle rivolte al mondo

guardano la tivvù.

Non li scalfiscono

le letture dei poeti.

Michele Nigro, nato nel 1971 in provincia di Napoli, vive a Battipaglia (Sa) dal 1978. Si diletta nella scrittura di racconti, poesie, brevi saggi, articoli per giornali e riviste. Ha diretto la rivista letteraria “Nugae – scritti autografi” fino al 2009. Ha partecipato in passato a numerosi concorsi letterari ed è presente con suoi scritti in antologie e periodici. Nel 2016 è uscita la sua prima raccolta poetica – che ama definire “raccolta di formazione” – intitolata “Nessuno nasce pulito” (edizioni nugae 2.0). Ha pubblicato “Esperimenti”, raccolta di racconti; il mini-saggio “La bistecca di Matrix”; nel 2013 la prima edizione del racconto lungo “Call Center”, nel 2018 la seconda edizione “Call Center – reloaded” e la raccolta “Poesie minori. Pensieri minimi”. Nel 2019, per i tipi delle Edizioni Kolibris, viene pubblicata la raccolta di poesie intitolata “Pomeriggi perduti” (collana di poesia italiana contemporanea “Chiara”), che è anche il nome del suo blog. È del 2020 il volume 2 della raccolta “Poesie minori. Pensieri minimi”. Alcune sue poesie sono state tradotte in portoghese, inglese e spagnolo.

A TU PER TU – Bruno Bartoletti

Le domande di A TU PER TU oggi sono rivolte a Bruno Bartoletti.
I due cardini, o meglio le due pietre miliari del percorso umano e artistico di Bartoletti sono la scuola e la poesia. Due percorsi paralleli che nel suo caso tuttavia spesso si sono affiancati fino al punto di intersecarsi, felicemente. La scuola, i giovani quindi, a cui Bartoletti ha insegnato per molti anni, ma da cui ha anche imparato, l’immediatezza, il rifiuto delle etichette e di eccessivi formalismi, e, soprattutto, la fedeltà assoluta e appassionata a ciò che più emoziona.
Nel caso di Bartoletti direi che la passione più grande è la poesia. Ad essa ha dedicato il proprio studio, le proprie ricerche, le presentazioni, le letture generose anche dei libri altrui e il Premio “Agostino Venanzio Reali” da lui presieduto.  Ha letto e scritto poesia con la stessa emozione, senza mai perdere il gusto fondamentale di stupirsi per l’incontro con la bellezza evocata dalle parole.
Buona lettura, IM
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.
Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.
Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.
Saranno volta per volta le stesse domande.
Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.

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5 domande

a

Bruno Bartoletti

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Buongiorno,

mi chiamo Bruno Bartoletti, sono nato a Sogliano al Rubicone, piccolo paese della Romagna così caro a Giovanni Pascoli, ho vissuto per oltre quarant’anni nella scuola, prima come insegnante poi come preside, da una decina d’anni ho raggiunto l’età della pensione che mi permette di coltivare e approfondire i miei interessi. Mi piace leggere, studiare e, quando è possibile, scrivere, seguire i giovani, ma non per insegnare poesia (la poesia non si insegna, si offre), tenere relazioni, parlare di poesia, leggere poesia. Mi sento soprattutto una persona di scuola e un insegnante che ha ancora voglia di imparare. Non so che cosa avrei fatto se non fossi stato un insegnante.

Ecco il punto fermo di chi nella scuola ha attraversato i suoi anni migliori. Ci penso spesso, e penso anche a cosa potevo fare di più e meglio. Ogni tanto mi fermo e guardo altrove, inseguendo piccoli segni con gli occhi persi. Inseguo delle immagini, ricordi, congetture, volti ancora vivi. Senza perdermi tra le carte, i programmi, i progetti, mi perdo in mezzo ai volti. Specialmente volti di ragazzi. E ancora ricordo, finché, a distanza di anni, tutto si cancellerà e si apriranno nuove strade per immergersi nel grande mare del sapere grazie agli innumerevoli autori e scrittori e critici e poeti.

Presiedo l’Associazione culturale “Agostino Venanzio Reali” e l’omonimo premio nazionale biennale di poesia.

2 ) Ci puoi parlare del tuo ultimo libro (o di un tuo lavoro recente che ti sta a cuore), indicando cosa lo ha ispirato, gli intenti, le motivazioni, le aspettative, le sensazioni?

Cita, eventualmente, qualche brano di critica che ha colto l’essenza del tuo libro e del tuo lavoro più in generale.

Particolarmente gradita sarebbe, inoltre, una tua breve nota personale sul libro (o sull’iniziativa artistica).

Qualche riga in cui ci parli del tuo rapporto più intimo con questa tua opera recente.

Il mio ultimo libro è uscito un mese fa, ma, causa covid-19, non ha potuto avere alcuna presentazione. Non ha importanza. Il titolo è rubato a un verso di L’aquilone di Giovanni Pascoli, eppur, felice te che al vento, edito da Youcanprint. Si incontrano in queste pagine amici, compagni che ho perduto, persone ritrovate, perché la morte non cancella, ma rende più uniti, più bisognosi gli uni degli altri. La poesia cerca di ricucire questi incontri mentre si attraversa la piazza della mia e vostra memoria. E intanto volano le rondini e tornano sempre allo stesso nido, con amore e pazienza.

L’ultimo libro è sempre il più caro, ma, se vogliamo indicare una sorta di viaggio tra le mie pubblicazioni, brevemente non posso tralasciare le seguenti: nel 2005 Il tempo dell’attesa, Società Editrice «Il Ponte Vecchio»; nel 2012 Sparire in silenzio ritrovando il vento delle strade, Youcanprint Self – Publishing; nel 2017 I volti non hanno più nome, Giuliano Ladolfi Editore.

Nel 2017 esce il saggio È sempre lunedì «Voglio ringraziarvi tutti per avermi concesso di insegnare», Youcanprint Self – Publishing; nel 2018 Ma i veri viaggiatori partono per partire, Youcanprint Self – Publishing. È il mio primo libro di narrativa, portato in scena nel 2019 dalla Compagnia teatrale “Samarcanda”, con la regia di Nais Aloisi. Continua la lettura di A TU PER TU – Bruno Bartoletti

Premio Internazionale GRADIVA (2020) – settima edizione

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STATE UNIVERSITY OF NEW YORK @ STONY BROOK
SETTIMA EDIZIONE DEL PREMIO INTERNAZIONALE GRADIVA (2020)
La casa editrice Gradiva Publications bandisce la settima edizione del Premio Internazionale Gradiva. Al Premio, sponsorizzato dall’editrice, dal Center for Italian Studies della Stony Brook University e da donazioni private, si concorre con un libro singolo di poesia in lingua italiana, pubblicato fra gennaio 2018 – aprile 2020. Sono escluse antologie e plaquettes.  Alla partecipazione sono esclusi membri della Direzione-Redazione della rivista “Gradiva”.   I libri concorrenti non saranno restituiti. Non è prevista alcuna quota di partecipazione. I partecipanti possono, se vogliono, facoltativamente sostenere in forma di donazione spontanea e aperta, la non-profit Gradiva Publications, i cui intenti sono quelli di promuovere e diffondere scolasticamente la poesia italiana nei Paesi anglofoni.  *
 
Al vincitore sarà assegnato un premio di $1000 (mille dollari), il rimborso al 50% delle spese di viaggio relative unicamente al biglietto aereo in classe economica dalla città italiana di partenza al Kennedy Airport, l’alloggio per due notti presso l’Hilton Garden Hotel della State University di N.Y. e il cenone finale.  Case editrici o singoli autori devono spedire una copia del loro libro ENTRO IL 15 APRILE 2020 (farà fede il timbro postale) a ciascuno dei membri della Giuria, sotto elencati, in ordine alfabetico, con l’indicazione dell’indirizzo, telefono e email di ogni partecipante al Premio.
Si prega NON spedire i libri per raccomandata.
 
ALESSANDRO CARRERA, Modern & Classical Languages, University of Houston, 3553 Cullen Blvd, Room 612, Houston, Texas 77204-3006, USA. 
MAURIZIO CUCCHI, via De Amicis 57, 20123 Milano
LUIGI FONTANELLA, Humanities Building, Room 2126, SUNY, 100 Nicolls Rd., Stony Brook, New York 11794, USA.
IRENE MARCHEGIANI, 303 Mountain Ridge Dr., Mt. Sinai, New York 11766, USA.
ALESSANDRA PAGANARDI, Corso Lodi 37, 20135 Milano, Italia.
 
Presidente Onorario: Dr. Len Marino (senza diritto di voto a cui non va inviato il libro).
Segreteria del Premio: Irene Marchegiani :  gradivasunysb@gmail.com
 
La Giuria selezionerà gradualmente i libri in concorso. Una successiva consultazione determinerà la cinquina finalista. Un’ultima votazione determinerà il libro vincitore del Premio. La cerimonia di premiazione avrà luogo durante il mese di ottobre del 2020, presso il Center for Italian Studies della State University di New York, con sede a Stony Brook, e sarà comunicata all’autrice/autore, con l’obbligo di presenziare alla cerimonia pena il decadimento pecuniario del Premio. Per ulteriori informazioni, si prega contattare la segreteria via email: gradivasunysb@gmail.com   
La Giuria si riserva il diritto di non assegnare alcun premio, ove ritenesse non meritorio o non idoneo il materiale valutato, senza per questo essere oggetto di reclamo o denuncia.
 
* Per sostenere l’attività dell’editrice non-profit Gradiva Publications effettuare bonifico, come donazione spontanea, con spese bancarie a carico dell’ordinante, presso Banco BPM, Sede Firenze 1606, IBAN: IT55 T 05034 02813 000000010982, Swift: BAPPIT22, conto corrente intestato a Luigi Fontanella, che ne rende conto all’Amministrazione di Gradiva Publications.  Spedire la ricevuta scannerizzata via email, oppure per via aerea all’indirizzo amministrativo del Premio: 303 Mountain Ridge Drive, Mt. Sinai, New York 11766, USA.
 
Vincitori delle precedenti edizioni: Sauro Albisani (2013); Maurizio Cucchi (2014); Massimo Scrignoli (2015); Milo De Angelis (2016); Maria Attanasio (2017); Alba Donati (2019). Nel 2018 il Premio non è stato assegnato.
 

 

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Tableaux Florentins alla libreria Todo Modo

Tableaux Florentins alla libreria Todo Modo

 

Incontro sui versi di Marguerite Yourcenar tradotti nel fascicolo 1/2018 della rivista “Gradiva”

Domani, martedì  8 gennaio, alla Libreria Todo Modo in via dei Fossi a Firenze, alle ore 18,30 ci sarà un importante evento letterario legato alla rivista GRADIVA.

Verrà presentata la traduzione in italiano (anteprima assoluta in Italia) dei celebri Tableaux Florentins della scrittrice Marguerite Yourcenar, a cura di Amalia Ciardi Duprè e Maria Francesca Gallifante usciti nel n. 53 della rivista GRADIVA.

L’attrice Anna Montinari leggerà i componimenti della Yourcenar.

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Libreria Todo Modo – Via de’ Fossi, 15 – Firenze

Evento Libreria Todo Modo

Gradiva – numero speciale

 

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In ottima compagnia, un mio testo di cronaca “sportivo-esistenziale” sul numero 50 di Gradiva.

È un numero speciale dedicato a: CINQUANTA POETI ITALIANI PER GRADIVA. Nel fascicolo, oltre ai testi dei vari autori, un editoriale del direttore Luigi Fontanella che percorre la storia della rivista.

* * * * *

Riporto qui sotto, per chi fosse interessato, alcune informazioni sulla rivista 

 

GRADIVA

International Journal of Italian Poetry

Editor-in-Chief: Luigi Fontanella ~ Associate Editor: Michael Palma

Quote di abbonamento: 2016 | 2017

«Gradiva» è una delle più longeve riviste di poesia italiana, dedicata in particolare allo studio e alla diffusione della poesia contemporanea. Rivolta a un pubblico internazionale, pubblica testi sia di poeti italiani (con o senza traduzione in inglese) che di poeti stranieri di origine italiana, saggi, note, traduzioni, recensioni e interviste. Oltre a sezioni dedicate a testi inediti e interventi critici, comprende rubriche specifiche curate da singoli studiosi e poeti. Arricchisce la rivista una «Fototeca», archivio fotografico che documenta i principali eventi della poesia italiana, passata e presente.

«Gradiva» is one of the oldest journals of Italian poetry, and is particularly devoted to the study and promotion of contemporary literature. Addressed to an international audience, it publishes texts by Italian poets (with or without accompanying English translations), or of Italian descent, as well as essays, notes, translations, reviews, and interviews. Beyond its regular sections, with original poems and critical contributions, it includes special sections developed by scholars and poets. Among the latest features of the journal is a «Fototeca», a photographic archive documenting the most important events of the Italian poetical scene.

Da questo fascicolo in poi la rivista «Gradiva» è pubblicata dalla casa editrice Leo S. Olschki in Firenze. Dopo questo numero, per ora ancora doppio, la rivista uscirà con cadenza semestrale. Sono molto grato a Daniele Olschki per aver accettato di pubblicare «Gradiva» che, nata nel lontano 1976, ha ormai alle spalle ben trentasette anni di vita, quasi un record per un periodico dedicato esclusivamente alla poesia e alla poetologia italiana. Questa novità trascina con sé anche un significato intensamente paradigmatico: quello di far ‘ritornare’ la nostra rivista al suo alveo materno, pur continuando a mantenere il carattere transnazionale che le è proprio. È, di fatto, a Firenze, con il suo amato/odiato concittadino Dante, che la poesia italiana trova il primo vero iniziatore, senza con questo voler disconoscere la rilevanza storica della Scuola Siciliana e di tanti altri importanti poeti toscani e non toscani che operarono prima e durante la grande stagione dantesca. Questo ritorno alle origini non è, dunque, senza un suo valore fortemente simbolico, che fra l’altro richiama alla mente due versi straordinariamente profetici di Hölderlin: «Difficilmente il suo luogo / abbandona ciò che abita vicino all’origine».
Luigi Fontanella, Premessa al volume 43/44

Prospetto illustrativo


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Ultimo fascicolo pubblicato • Last published issue
2016/2 n. 50


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