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Esiti del Premio “Astrolabio 2022/23 – Sono nata per amare”

AstrolabioCultura mi ha inviato gli esiti delle varie sezioni del Premio “Astrolabio 2022/23 – Sono nata per amare”.
Riporto qui di seguito i risultati esprimendo le mie congratulazioni alle autrici e agli autori premiati e segnalati.

IM

  Comune Pisa

               Assessorato alla Cultura             

Caffè Ussero

Incontri Letterari al Caffè Storico dell’Ussero 

                  Relais

Incontri Letterari al Relais Storico di Villa Corliano

ASTROLABIOCULTURA

PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA

     “ASTROLABIO 2022/23”

In memoria di Renata Giambene
X edizione del Terzo Millennio

Presieduto e diretto da Valeria Serofilli

 Verbale di Giuria

 

In Giuria: Gianpaolo G. Mastropasqua, Ivano Mugnaini, Andrea Salvini, Antonio Spagnuolo, Alessandra Ulivieri

 

PRIMA SEZIONE :

VOLUME EDITO DI POESIA

1° Classificato

Rita Pacilio Così l’anima invoca un soffio di poesia. Poesie scelte (Marco Saya editore, 2023)

2° Classificato

Martin Palmadessa Tanta roba di me (Aletti, 2021)

3° Classificato Giancarmine Fiume Reliquiario carnale, (Fallone editore, 2022)

Premio alla carriera per la varietà del percorso espressivo

Nadia Cavalera, Chiamata ai giusti (da Casuals. Spoesie 2010-2015, ABEditore, 2016)

PREMIO ALLA MEMORIA
Luciano Fusi con riferimento al volume La poesia di Luciano Fusi, di Sauro Damiani (Campano editore, 2023)

PREMIO ALLA MEMORIA

Alfonsina Storni. Amore e libertà di Vincenzo Mazzoni (Ibiskos Ulivieri Editrice, 2023)

Premio Speciale per l’originalità del testo

Andrea Malaguti Identificativo con trattino ed altre poesie in A. Calanchi Un pianeta piccolo piccolo (Ventura edizioni, 2022)

Premio Speciale della Giuria

Riccardo Mazzamuto 13 giorni al rifugio (Eretica edizioni, 2022)

Premio Speciale per la forza espressiva del volume

Alessandro Russo Finché il sangue non ci separi (Leonida Edizioni, 2023)

Premio Sezione Sono nata per amare

Silvia Polidori Il soffio del vento – Poesie d’amore, Youcanprint edizioni

Finalisti in ordine di graduatoria

Roberto Tauro Testimone muto, Chiado books

Giovanna Santagati Passi, Youcanprint edizioni

Dario Gallo Il giardino dentro, Europa edizioni

Giancarlo Baroni I nomi delle cose, puntoacapo edizioni

Lorenzo Piccirillo L’ombra degli attimi, Leonida Edizioni

Ornella Fiorentini Fuoco e fede, Lupi editore

Virgilio Atz Vita asimmetrica, Carta e penna edizioni

Livio Bottani Elogio del disinganno, Aracne editore

Menzione d’onore

Rosaria Cicciarella Pennellate di idee (haiku, Albatros edizioni)

SECONDA SEZIONE: SILLOGE INEDITA

1° Classificato

Franco Casadei

“Ci vorrebbe un poeta in ogni strada”

2° Classificato

Paolo Panattoni “La vita è un prisma”

3° Classificato

Serenella Menichetti “Cogito ergo sum”

Premio per l’attualizzazione in chiave sociale del discorso poetico a “T’insegnerò l’attesa” di Vincenzo Mastropirro

Premio espressività Valentina Rosanna Lo Bello “Rossetto sbavato”

Premio per il dialogo internazionale all’insegna della poesia: Carmen Vascones, “Traza del amor”

Premio per il percorso poetico e le connessioni interdisciplinari: Franco Donatini, “Sotto il senso del vivere”

Finalisti ex aequo

Mauro Corona “Il pensiero nella sua luce”

Antonio Di Vincenzo “Viaggio di ritorno”

Giuliana Donzello “Alla foce dell’Archelòos”

Cesare Cuscianna “Elogio dell’impalpabile”

Adele Denza “L’autunno del cuore”

TERZA SEZIONE: POESIA SINGOLA

1° Classificato

Stefano Baldinu “Martina”

2° Classificato

Anita Napolitano “A mio padre”

3° Classificato

Antonella Iacoponi “La libertà di Sisifo”

Menzione d’Onore: Patrizia Nannetti “La zattera”

Sezione specifica a tema: Cristian Belloni, “L’amore”

Premio speciale per l’originalità del tema

Maria D’Ippolito “L’ imperfezione della rosa”

Premio speciale per la rappresentazione metaforica del reale in poesia

Licia Sansone “Scarpe strette”

Premio speciale per il valore etico sociale del testo

Francesca Rivolta “Missili”

Premio speciale del Presidente di Giuria

Cristina Coppini “Ravenna, Pineta di Classe”

Premio Speciale per la forza espressiva

Devid Bracaloni “I figli dei tablet”  

Premio Speciale della Giuria

Lucia Enedina Campus “Il lucernaio”

SEZIONE SPECIFICA A TEMA

Finalisti in ordine di graduatoria

Lorenzo Oggero

Francesco Palma

Roberto Casati

Giorgio Perizio

QUARTA SEZIONE:

100 PAROLE PER UN RACCONTO

1° Classificato Josè Berno “Bolle di sapone”

2° Classificato Roberto Maggi “Breve apologo zen”

3° Classificato Cristian Lorenzini “Lo sconosciuto”

Premio Speciale per la forza espressiva del testo

Omar Alfredo Lessi “Le parole che portano lontano”

Sezione speciale Sono nata per amare

Vilma Bertagna “Sono nata”

Finalisti ex aequo:

Giuseppe Raineri “L’ inchino”

Giusy De Vizia “La risata”

Monica Martinelli “Flash back”

Premio Astrolabio 2022/2023 – proroga scadenza

AstrolabioCultura mi segnala la proroga del Concorso “Astrolabio 2022/23 – Sono nata per amare”. Riporto qui di seguito il bando con le indicazioni riguardanti la nuova data di scadenza.

IM

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ASTROLABIOCULTURA – Su richiesta di numerosi autori che stanno ultimando le proprie opere per la partecipazione al Premio Astrolabio e anche per altri autori che fossero interessati alla partecipazione la Giuria del premio ha deciso di prorogare la data di scadenza al 24 giugno
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Premio Astrolabio – “La resilienza” – bando 2020 / 21 - Ivano Mugnaini

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Astrolabio Logo 2022

ASTROLABIOCULTURA

Premio Letterario

“Astrolabio 2022/23 – Sono nata per amare”

Premio Internazionale di Poesia e Microracconti (10a Edizione del Terzo Millennio) dedicato alla memoria di Giorgio Bárberi Squarotti e Renata Giambene
presieduto e diretto da Valeria Serofilli Presidente fondatrice di AstrolabioCultura

Bando di Concorso

AstrolabioCultura, con la collaborazione dell’Editrice Ibiskos Ulivieri, Editrice di Empoli, con il Gruppo Internazionale di Lettura (Presidente fondatrice Renata Giambene), con la Libera
Accademia Galileo Galilei di Pisa e con il patrocinio della Provincia di Pisa, istituisce la decima Edizione del Concorso Letterario Astrolabio allo scopo di promuovere la parola poetica e il componimento di fantasia e al fine di evidenziare nel panorama letterario attuale opere di autori degne di attenzione.
Oltre alle “classiche” quattro sezioni a tema libero, a cui si concorre con le modalità qui sotto specificate, gli autori potranno inviare lavori ispirati al tema: “Io, nell’ordine naturale, sono nata non per odiare, ma per amare”, tratto da Sofocle, Antigone, v. 523. Le autrici e gli autori che intendono concorrere a questa sezione dovranno specificarlo all’atto dell’invio dei loro componimenti.
SEZIONI A TEMA LIBERO
Prima sezione:
Volume edito di poesia per un’opera in versi pubblicata a partire dal 2010. Inviare due copie del volume di poesia. Solo una delle copie dovrà recare i dati completi dell’autore, assieme ad un breve curriculum biobibliografico e ad un indirizzo di posta elettronica.
Seconda sezione:
Silloge inedita (minimo 10 poesie – massimo 20) in due copie. Soltanto una delle copie dovrà recare il nome e l’indirizzo completo, comprensivo di indirizzo di posta elettronica dell’autore. È gradito un breve curriculum da allegare in busta chiusa.
Terza sezione:
Poesia singola a tema libero. Si partecipa inviando da una a tre poesie edite o inedite. È consentito inviare anche poesia già premiate in altri concorsi.
Inviare le poesie in 2 copie di cui solo una dovrà recare i dati completi dell’autore, un breve curriculum e un indirizzo di posta elettronica.
Quarta sezione:
100 parole per un racconto, riservata a un microracconto edito o inedito. Tema: libero.
Caratteristiche del testo: Word Times New Roman corpo 12, Lunghezza: non superiore a 100 parole.
La sezione è aperta agli autori di età superiore a 16 anni.
Inviare il testo in 2 copie di cui solo una dovrà recare i dati completi dell’autore, un breve curriculum e un indirizzo di posta elettronica.
Per inedito s’intende opera mai apparsa in volume individuale.
A partire da questa edizione, è consentito, per tutte le sezioni di concorso, anche optare per
INVIO DELLE OPERE CON POSTA ELETTRONICA.
Gli inediti, gli ebook e i PDF dei libri editi possono infatti essere inviati anche per posta elettronica al seguente indirizzo: premioastrolabio7@gmail.com
Per la partecipazione con lavori inediti è sufficiente inviare un file anonimo in formato Word .doc oppure PDF.
In un file a parte indicare le proprie generalità e i recapiti, indirizzo e posta elettronica.
I concorrenti che intendono inviare libri editi devono allegare alla mail anche un file con l’immagine di copertina, se non presente nel PDF, e specificare nel corpo della mail da quale casa editrice è stato pubblicato, o se si tratta di libro autopubblicato.
Per tutte le sezioni è inoltre richiesto l’invio, sempre nella stessa mail contenente il PDF del libro e l’immagine della copertina, della seguente
DOCUMENTAZIONE:
Scansione o fotografia chiara e ben leggibile di:
° Modulo di partecipazione compilato in ogni sua parte.
° Ricevuta di pagamento della quota di partecipazione
Giuria
Presidente Valeria Serofilli (Presidente fondatrice di AstrolabioCultura, poeta e critica letteraria). I Membri di Giuria saranno resi noti in sede di premiazione.
Comitato d’Onore
Pier Paolo Magnani (Assessore alla Cultura del comune di Pisa), Paolo Ruffilli( poeta). Regolamento
Le opere concorrenti, complete di copia del versamento, scheda di iscrizione (reperibile in calce al presente bando), curriculum dell’autore e breve sinossi dell’opera, vanno spedite (evitando l’invio tramite posta raccomandata) al seguente indirizzo:
Segreteria Premio Astrolabio, via Ciardi nr° 2F, 56017 Pontasserchio di San Giuliano Terme (PI)
entro e non oltre il 15 maggio 2023 (farà fede il timbro postale).

(scadenza prorogata al 24 giugno 2023 )

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Editi ed inediti

Se avete scritto delle poesie, oppure un romanzo, o dei racconti, inviatemi i file in lettura a:
ivanomugnaini@gmail.com.
Sarò lieto di leggerli per un’eventuale pubblicazione, se si tratta di inediti, o per una recensione nel caso di volumi già pubblicati.
Oppure per la traduzione in inglese di brani di prosa o poesie,  sillogi o interi libri o manoscritti. 

IM

IN-CHIOSTRO Giovedì di autori e di libri

 Un luogo bellissimo e molti libri di autori che spaziano tra vari generi e tematiche ma sono tutti accomunati dalla verve espressiva e dalla voglia di raccontare il mondo che osservano e immaginano.
Segnalo volentieri l’iniziativa a cura di Elisir, ideata e curata da Manuela Minelli e Vanna Alvaro.
Buona estate e buoni giovedì all’insegna della lettura e del dialogo. IM

LOCANDINA CON PROGRAMMA

             

IN-CHIOSTRO Giovedì di autori e di libri

Incontri letterari con autori e libri a Borgo Ripa, Lungotevere Ripa, 3 – Roma

 

Si terranno tutti i giovedì a partire da dopodomani 4 agosto e fino al 29 settembre, con due diversi appuntamenti (18.45 e 20.00) gli incontri con i libri e gli autori chiamati a raccolta da Elisir, in collaborazione con Mondrian Suite, all’interno della suggestiva location che è il chiostro di S. Francesca Romana, ex convento del 1400 sito in Trastevere, nel cuore di Roma.
Otto serate per un totale di venti incontri e trenta autori (l’ultima sera verrà presentato un libro corale realizzato da undici autori italiani), una rassegna culturale che vedrà in scena autori di diversi generi, proprio per offrire al pubblico un panorama letterario diversificato: fiabe e favole, narrativa sociale, romanzi di formazione, saggi, romanzi storici, racconti, poesie, romance, thriller e tanto altro.
Siamo arrivate emozionatissime e assai cariche ai blocchi di partenza – affermano le signore di Elisir, Manuela Minelli e Vanna Alvaro – Lavorando ormai da tanti anni nell’editoria, siamo spinte dalla profonda convinzione che ogni forma d’arte possa e debba essere portata al di fuori dai contesti istituzionali e accademici, per coinvolgere il più ampio pubblico e mettersi al servizio dello sviluppo culturale e della crescita individuale e collettiva della città. E questo luogo magico, nel cuore di Roma, nella Trastevere più genuina e più vera, è sicuramente il luogo migliore che mai potessimo desiderare per la nostra Rassegna In-Chiostro, giovedì di autori e di libri per la quale abbiamo lavorato molto intensamente, proprio per presentare una Rassegna Letteraria capace di dare espressione e visibilità ad autori provenienti da tutta Italia.
MANU Fiabe
Sono molto soddisfatto della collaborazione avviata con Elisir, l’agenzia di Servizi letterari di coloro che, dopo tanto lavorare insieme, sono diventate amiche preziose, Manuela e Vanna, e del programma della maratona editoriale presentato da Elisir – afferma Klaus MondrianE  saranno serate dense di cultura, in cui tanta bella gente arriverà a Borgo Ripa, e potrà  fermarsi a sorseggiare cocktail o anche gustare le nostre specialità gastronomiche, ascoltando poesia e letteratura – gli fanno eco i gestori della location.
Immersa in un vastissimo giardino del cuore di Roma, oggi Borgo Ripa è considerata la location più elegante della zona Trastevere. Ma facciamo qualche passo indietro…Nel 1640 proprio nel cuore di Trastevere, alle spalle di piazza S. Cecilia, sorge un borgo appartenente all’antica dinastia romana dei Doria Pamphilj, che vanta anche un Pontefice, Innocenzo X, conosciuto come gran benefattore. Il magnifico giardino che lambisce le sponde del Tevere, il famoso “Giardino delle delizie”, apparteneva a Donna Olimpia Maidalchini Pamphilj, già cognata del Papa, conosciuta anche per la sua sagacia e furbizia, e soprannominata la Pimpaccia e anche la Papessa, per il suo forte potere e la condotta di vita sopra le righe. Si narra che in quel giardino storico, proprio dove si terrà “In Chiostro, giovedì di autori e di libri”, Donna Olimpia coltivasse ciliegie, prugne e albicocche. Ancora oggi rigogliosi alberi di fico, di limoni, aranci e cespugli di lavanda riparano dal sole e profumano l’aria. Una vera “delizia”, immortalata anche nelle tele del Vanvitelli.
 
Le attrici Giorgia Locuratolo e Roberta Frascati, in più serate, daranno voce e volto ai personaggi dei libri degli autori, per offrire al pubblico un mini spettacolo teatrale nello … spettacolo letterario.
Tutte le serate saranno riprese da HTO.tv web.
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Cover libri in rassegna 2
Chiostro dell’ex convento S. Francesca Romana – Lungotevere Ripa, 3 – Roma – Ingresso gratuito
Info: elisirletterario@gmail.com
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inizio corso II livello di Scrittura Creativa Emozionale

Ricevo e volentieri condivido da Manuela Minelli e Vanna Alvaro la notizia riguardante questo corso di scrittura creativa emozionale. 
E l’aggettivo “emozionale” è sempre bello da leggere. Porta sempre buoni frutti.
Qui sotto la notizia che ho ricevuto da Manuela Minelli.
Chi fosse interessato a ricevere informazioni più dettagliate può contattare Manuela Minelli e Vanna Alvaro tramite Facebook oppure attraverso il sito Elisir Letterario:  https://elisirletterario.com/ oppure ai numeri riportati nella locandina qui sotto pubblicata.
Buone letture e buone scritture, IM

Locandina corso scrittura emozionale

Elisir di Parole - raccolta di racconti
Cari tutti/e condivido con voi la notizia dell’ inizio corso II livello di Scrittura Creativa Emozionale, delle cui classi precedenti io e l’ altra insegnante, Vanna Alvaro, andiamo super fiere ed orgogliose in quanto gli allievi hanno tirato fuori racconti appassionanti, fantasiosi e ben congegnati e ben 4 di loro hanno vinto premi letterari. Tanto che di tutto questo materiale letterario ne abbiamo fatto un libro di cui sono andare a ruba in un mese quasi 200 copie ( infatti il libro è in ristampa).
Chi volesse info su programmi, modalità di partecipazione, costi (irrisori, euro 400 pagabili in due tranche x circa 30 ore di lezioni totali) può telefonare ai numeri in locandina o scrivere alla mail che trovate sempre lì. 
 PS: lezioni vengono tutte registrate e inviate in automatico al gruppo Whatsapp-classe, per sopperire in caso di perdita lezione oppure per approfondire argomenti trattati.
 Abbiamo ancora 5 posti, le classi infatti sono a numero chiuso per permettere un più efficace svolgimento delle lezioni.

Manuela Minelli e Vanna Alvaro

Elisir Letterario

TI RACCONTO UNA CANZONE

Quando Massimiliano Nuzzolo e Eleonora Serino mi hanno chiesto di scegliere una canzone su cui scrivere un racconto per il libro TI RACCONTO UNA CANZONE me ne sono venute in mente trenta, o forse trecento.
 Ho optato per il più semplice, in apparenza, dei temi: l’amore. Che in realtà, è, puntualmente, il più complesso. 
Ma, per fortuna, esiste anche il ritmo.
Lo scrittore inglese W. H. Pater nel libro The Renaissance sostiene che “Ogni arte aspira alla condizione della musica”, alla sua possente, essenziale, sensualissima immediatezza.
Ho scritto così un racconto ispirato alla canzone Io che amo solo te di Sergio Endrigo.
Ne copio qui di seguito un brano.
L’invito è a dare un’occhiata al volume intero, edito da Arcana Edizioni.
Dare un’occhiata e magari comprarlo.
Perché l’idea è bellissima e perché le autrici e gli autori dei racconti hanno confermato che la ricchezza è nella varietà, nelle infinite variazioni sul tema.
IM

TI_RACCONTO_UNA_CANZONE_COVER

 
Uno stralcio

del racconto

IO CHE AMO SOLO TE
[…]

Cerco nella memoria, rovisto negli scaffali polverosi dei ricordi, per individuare il punto esatto in cui ho ascoltato quella canzone per la prima volta.
Mi viene in mente la piazza del mio paese. Quell'asfalto scuro e squamoso percorso da cani ossuti e vecchi orgogliosi su cui, giocando e cazzeggiando, ho lasciato vari strati di pelle delle ginocchia e dei gomiti.
Ma quella sera il piazzale era pieno di sedie e di luci e di un palco degno della Sanremo de noartri, il Festival delle Borgate.
Tre ragazzine battevano le dita sul microfono per scimmiottare Whitney Houston e gruppi di eredi degli eredi dei Beatles con capelli a schiaffo sulla fronte vuota urlavano in falsetto lasciando perplessi i piccioni schifati affacciati sul cornicione del campanile. Apatici al punto di non voler neppure effettuare la manovra per cui sono famigerati e temuti. Eppure, in quell’attimo di non vita, nel bel mezzo di un familiare non mondo, comparve chi non mi sarei mai aspettato. Lui, il quasi ergastolano, il silenzioso, il duro che passava con la sua macchina grigia e lo sguardo di Lee van Cleef nei film di Sergio Leone.
Proprio lui, el hombre, il gringo che mi aveva sempre inquietato, intimorito, irritato. Lui, l’antipatia fatta persona, era concorrente a tutti gli effetti, regolarmente iscritto alla gara canora.
Venne il suo turno. Salì sul palco con passi rapidi e furtivi degni di Diabolik. Impugnava il microfono come una pistola. Temevo ci avrebbe sparato. Una canzone esplosiva e il festival sarebbe approdato sui giornali. Non sulla pagina degli spettacoli ma nel bel mezzo della cronaca nera. Il borgo avrebbe finalmente acquisito una notorietà solida come il piombo.
Invece, con voce timida, quasi dolce, iniziò a cantare.
Guardava di lato verso la terza fila, dov’era seduta sua moglie.
Non gliene fregava niente del pubblico, né, tantomeno, della giuria. Tutto sommato non si curava neppure della band che cercava affannosamente di tenere il ritmo delle sue stonature.
Cantava per lei. Commosso, sincero, con gli occhi, con le mani, con il cuore.
“C'è gente che ama mille cose / e si perde per le strade del mondo. / Io che amo solo te, / io mi fermerò / e ti regalerò / quel che resta / della mia gioventù”.
Quel giorno ho imparato alcune cose.
Mai giudicare una persona dalla faccia che fa o che gli fanno fare.Mai giudicare una canzone dalla somma dei voti di una giuria che poi alla fine premiò un emulo improbabile di Julio Iglesias vestito con un doppio petto bianco da settecentomila lire senza IVA e con la tasca in cui infilare la mano collocata tra cuore e fegato, lì dove fa più scena.
Quel giorno ho imparato che il vero vizio del presunto puttaniere, giocatore d'azzardo, fumatore seriale, era amare.
Amare e avere il coraggio di cantarlo di fronte a duecento persone che lo odiavano con tutto il cuore e almeno tre quarti della milza e di tutti gli organi interni.
Lui, lì, quella sera, come sempre, cantava per lei e per l'amore.
E io, commosso e divertito, mi sentivo un coglione. Io avrei votato per lui. Senza alcuna esitazione.Ripenso oggi, ancora una volta, a quella sera e a quella canzone.
Tu non c'eri.
Non esistevi ancora per me.
Non c’eravamo ancora conosciuti, o “riconosciuti”, come dici tu.
E allora vorrei dirti... andiamo a cercare quella piazza.
È cambiata, ora è un parcheggio per SUV di casalinghe in carriera che fanno la spesa per fare una foto alla pastasciutta col pomodoro e con la mozzarella dietetica, quasi sintetica anch’essa.
Ma il Festival c'è ancora. E c'è ancora l’ormai storica Sagra ad esso legata.
Se te lo dicessi, alla prima sillaba della parola “sagra” saresti già pronta, già vestita, già con il cappellino da turista sulla testa al di sopra di un sorriso felice e autentico come quello di una bambina. Una bambina di cinquant’anni, molto più saggia di me.
Io invece mi sgomento già alla prima lettera, per il parcheggio, per le file, per le posate di plastica, per le urla etiliche dei vicini di panca, per le note malinconiche e le danze atletiche dei novantenni, i millennials del secolo scorso molto più vitali di me.
La Sagra non la nomino neppure.
Mangiamo anche stasera sulla nostra terrazza, nella nostra casa in Via dei Matti al numero zero, in un posto sperduto, al margine di una strada che non prosegue oltre se non nei prati di un'asina geniale dal nome Fiona, tra lucciole che danzano nel buio e tronchi di alberi caduti su cui sedere, quelli che tu chiami “alberi delle fate”. Ci sediamo sul terrazzo, nella semioscurità della tua lampada di sale, rosa ovviamente, perché a te danno noia le luci elettriche troppo nitide. E infatti le mie ginocchia conoscono alla perfezione tutti gli spigoli del letto. Ormai siamo molto più che amici. Fanno finta di non sentire le mie imprecazioni in dialetto e in italiano. Ma vale la pena sacrificare un residuo di un eroico menisco per giungere ad un tuo abbraccio. Metto su YouTube, sul tuo tablet che lagga molto meno del mio, Io che amo solo te, per vedere sul tuo viso, a sorpresa, la tua reazione.
Dopo qualche secondo mi dici: “È bella, ma è vecchia”.
Immediatamente cerchi Irama e Fred de Palma.
[…]

 Ti_racconto_una_canzone_scheda

 

 

 

PETITE SUITE – per ringraziare la pioggia del mattino

Claude Debussy / Paul Verlaine | Clair de Lune, 1869 | Tutt'Art@ | Pittura  • Scultura • Poesia • Musica
 

PETITE SUITE

PER RINGRAZIARE LA PIOGGIA DEL MATTINO

 

                                       “Così che il mondo

                                        si vede come socchiudendo gli occhi

                                        nuotar nel biondo”

                                                Eugenio Montale, MINSTRELS                                                                               da C.  Debussy,  in Ossi di  seppia, 1927

 
            Ritornello rimbalzi/ tra le vetrate d’afa dell’estate. / Acre groppo di note soffocate, / riso che non esplode / ma trapunge le ore vuote. / Musica senza rumore / che nasce dalle strade, / s’innalza a stento e ricade / e inumidisce gli occhi, così che il mondo / si vede come socchiudendo gli occhi / nuotar nel biondo”. Sono questi i versi che vorrei scrivere, se fossi un poeta. Un giorno qualcuno, ne sono certo, tramite queste parole darà forma e voce alle mie note. Aspre, acri, nuove. Come il pensiero di lei, timore e attrazione infinita per l’occhio di tigre in molli rotondità. Morte in artigli di rosa.
            La mia musica è modellata su di lei, l’immagine, la presenza in me di lei. L’essenza. Violenze travestite da delicatezze inaudite. Non cercate le colonne della costruzione. Le ho tolte. Il dolore è la regola. Il piacere è la regola. La musica è libera ed è dappertutto. A tratti anche sulla carta. Qualcuno, un mio amico, o nemico, non so, mi ha detto che la gente dovrebbe morire per la musica. La gente muore per un sacco di sciocchezze: capricci manicomiali di qualche potente, interessi biechi camuffati da ideali. Dovrebbe morire, la gente, per la musica. La musica salva molte più vite.
            Se dovessi ritrarla proverei a tracciare le curve di un arabesco. Il più spirituale dei disegni, ma anche il più sinuoso, il più avvolgente. Dà un senso di spavento e di fuga, di caduta, oppure di languore, in particolar modo sensuale. È inclinazione verso il basso, crollo, tuffo in abissi d’aria e d’acqua. Ad occhi chiusi, giù, verso il suolo, che poi è il solo modo di elevarsi, vedere il cielo in uno specchio umano. L’arabesco è mistero, ebbrezza lineare e arcana, come la musica di Bali e Giava.
            Quando si scrive musica, o poesia, credo, o qualsiasi altra forma di dannazione e salvezza tramite l’espressione del sé, non si può ascoltare i consigli di nessuno, se non quelli del vento che passa e ci racconta la storia del mondo. Nella storia di un individuo, nella storia di ciascun individuo. Come disse Cézanne, “Je travaille sur le motif”. Una cosa intima, personale, che rende vana qualsiasi analisi formale e teorica. L’intimità è segreta, insondabile. Resta celata, tenacemente. Il riso non esplode, non c’è ostentazione di rabbia, di gioia, di pena.
            I familiari e i conoscenti dicono che sono equilibrato, suadente, sorridente. Così mi descrivono. Mi vedono solare, libero di danzare sul sentiero dell’esistenza. Si sbagliano di grosso. Sono solo un servo. Il pianista di Madame von Meck. La megera che ha già vampirizzato prima delle mie le braccia esili di Ciajkovskij. Sono un pianista privato, certo. Privato della libertà. Insegnante e musicista tuttofare. Praticamente un maggiordomo, nulla di più. Insegno alle figlie ricche e sceme della mia patronne scale incerte e infinite, note e accordi ordinari, mentre loro pensano ai modi più originali per togliersi di dosso alla svelta i corpetti mentre sono con i fidanzati o con qualche chaperon d’occasione.
            Sogno L’après-midi d’un faune, l’ira, la furia, passione che lacera e sbava e crea e sfida a duello l’eterno. Ma sono qui, un impiegato qualunque, come mio padre, non di più. Di meno, semmai, senza seme, senza senso, fosse pure senso comune, senso della famiglia, senso di qualche senso possibile, giusto o sbagliato che sia.
            Tra le vetrate d’afa dell’estate, anche oggi risa e grida inesorabili. Chiudo le imposte della stanza senza neppure più il colpo di grancassa della rabbia che fa sentire con un sobbalzo la presenza del cuore. Serro con cura ammiccando furtivo agli occhi bruni del buio. Pochi attimi dopo, con un tempismo degno di Mozart, sento il suono di lei. I passi ritmati sul selciato. Due appoggi lievi ed un terzo più deciso, come un tacco sottile che trafigge il silenzio, lo beffa, lo irride. Poi, sotto la mia finestra, la voce. Come per caso, per capriccio, per destino, non ne ho idea. Al di là dei vetri e delle persiane sbarrate, la sua voce. Nel sole e nella pioggia, ogni giorno. Canta. E, ne sono certo, balla. Innocente e spietata Salomè. Vuole la mia testa, non c’è dubbio. In un certo senso l’ha già ottenuta. Calda, sanguinante, sopra il vassoio d’argento del pomeriggio. Ha già reciso i pensieri, le vene del collo, i respiri. Sono roba sua. Completamente. Il bello è che di lei invece non ho nulla. Canta, sicuro. Ma il resto è ipotesi, scommessa. Canta per me, mi dico. E un attimo dopo mi viene da ridere. Quale diritto ho di pensarlo? Forse canta per sé, per il volo di una tortora, per il bacio del sole, per regalare una manciata di vita ad un barbone. Per la musica. Per cantare.
            Vive di musica. Questo ho bisogno di crederlo, ne ho necessità. È una cantante, si nutre di note, come me. Cosa canta? Liriche sublimi o canzonette da tabarin? Se solo desse fiato ad una nota in più, capirei. Ma si ferma sempre sul bordo, con un piede sospeso nel vuoto. Si blocca ad un solo centimetro, un filo, un alito dalla comprensione, dalla scoperta.
            Che è? Forse è Bitilis, fanciulla e donna delusa dall’amore degli uomini votata al Circolo di Saffo a Mitilene, quindi esule, prostituta e ragazza sacra. Oppure è semplicemente una Cortigiana egizia, Pioggia del mattino, Danzatrice con i crotali, Tomba senza nome, Acqua pura di fonte. 
            L’ho ascoltata meglio. Nudo accanto alla finestra, l’orecchio teso, il petto che vibrava più silenzioso del respiro, ho catturato la chiave, l’ho stretta tra le dita. Come un padre individua nella folla le teste dei figli, come un amante percepisce con gli occhi e con il corpo i fianchi e il seno dell’amata.
            Canta note mie! La mia musica! Fonte e sbocco, fiume in un mare che da me nasce e a me ritorna. Canta me. Quindi è mia. Lo so, detto e concepito in questo modo suona come pazzia. Ma l’equilibrato, suadente e sorridente Claude Debussy non esiste. Non è mai esistito. Esiste il folle Debussy dalle finestre chiuse anche di giorno. Il servo del pentagramma e di se stesso necessita aria, carne rosa che freme.
            Si chiama Emma, come Madame Bovary. Languida e micidiale tessitrice di sogni. Mi appartiene, mi spetta. Se la follia possiede me, mi fa schiavo, mi fa vivere e mi uccide, anch’io, per contrappasso, ho diritti su di lei. Di vita e di morte.
            Jeux. Giochi. Quelli di cui è composta la materia dell’esistere. Giochi mortalmente seri. Ironici, e quindi belli, violenti, allegri, maestosi. Con ciò che abbiamo, molecole del tutto e del niente. Dolore, carezze, parole.
            Io, il vero me stesso, l’autentico Debussy, volevo essere un poeta. Era ed è il mio destino più vero l’esagerazione, avidità di voluttuose ferite, bocca spalancata verso un cielo assetato di pioggia e di miele. O sopra i seni sodi di una fanciulla in fiore.
            Sono qui invece, chino sul bianco e sul nero identici a loro stessi. Un lacchè in frac. Con l’immancabile inchino finale. Loro applaudono e io fremo, corro con la mente verso note altre, quelle che loro non capiranno, giudicheranno troppo vecchie o troppo moderne. La mia è una scrittura musicale ebbra e geometrica, se così posso dire. Sogno la trama impalpabile, la tela di ragno che divora il mondo e se stessa di Baudelaire, la malinconia lacerata di Rimbaud. Rifuggo con tutte le forze, con le pazzie che possiedo e mi possiedono, ciò che “blesse mon coeur d’une langueur monotone”.
            La mente, ecco, la mente. Erigere un monumento di note alla gabbia che può essere giardino, labirinto perduto di gioia e d’orrore. Ritrovarsi. Ritrovare lei. Le darò un altro nome, lo merita. Le parole corrono, spaziano dentro i suoi confini. La chiamerò Amaryllis. Un omaggio a Lycidas, il giovane reso immortale da Milton, il ragazzo morto povero di anni e infinitamente ricco di sogni. Forse un poeta. Nella sua terra ideale, lo spazio che nessuna onda salmastra, nessuna morte per acqua, potrà strappargli, Lycidas sognava di mettersi in viaggio verso il luogo in cui è possibile “to sport with Amaryllis in the shade”. Intrattenersi con Amaryllis nell’ombra. Non solo un contatto di corpi. Un connubio tra luce e oscurità, calore e gelo, creazione e distruzione. Rinnovamento. Vita giovane percorsa dal vento dell’ovest.
            Già, il vento, fame di respiro. Apro la finestra della mia stanza. Uno spiraglio dapprima, poi la spalanco del tutto. Non lo facevo da anni. Uscire. Dalla casa. Da me. Tra gli sguardi e le grida dei ragazzi che fuggono a frotte dalle scuole, spinte, sputi, bestemmie, risate.
Inseguirla. Al di là del portone del suo palazzo chiuso a metà. Spingerlo ascoltando il rumore delle scarpe sulla ghiaia e sul marmo. Come entrare in punta di piedi nella Città Proibita, l’Oriente che ho nel sangue, ricordo di qualcosa di sconosciuto custodito dentro da sempre. Oppure, semplicemente, entrare in un cortile che sa di basilico e gerani rossi sui davanzali. Corri amore, incontriamoci in un albergo di provincia/ con le persiane azzurre ed un balcone/ che sa di terra e fiori di campo,/ è questo l’attimo, è questo il momento,/ porta solo le tue labbra ed un’arancia;/ non esitare, vola sulle tue scarpe più belle/ quelle leggere, di tela rosa e bianca,/ incontriamoci adesso,  in un albergo di provincia/ anche senza il mare.
            Sono queste le parole che le dirò, se riuscirò a incontrarla. Lei le ascolterà in silenzio, bella e serena da fare paura. Dirà che le piacciono, forse, che suonano bene, come tasti ottimamente accordati. Mi offrirà la sua amicizia. Qualcosa di grande, di prezioso. Sorriderà benevola e si proclamerà mia amica. Un dono immenso. Che a me, adesso, fa orrore. Anche l’immenso è poco, a volte. Ora come non mai vorrei essere un poeta come il mio amico Verlaine per dirglielo, per farglielo capire, sentire nelle vene. Vorrei, ma so solo suonare. Dare fiato a note che spingono con i gomiti negli angoli della testa per scappare via. Da quando lei è dentro i pensieri, nelle voragini spalancate di ogni attimo, sento in me l’interminabile refrain del Preludio a L’après-midi d’un faune. Un violino che insiste, recide l’aria. Non c’è amicizia possibile per un fauno. Non esiste, non è concepibile. C’è solo amore, aspro, sublime, oltre, sopra, più forte della ragione, della logica, di se stesso. Claire de lune per dolcissimi licantropi. E la luna, si sa, è fascinosa, sfuggente.
            Per conquistare la luna, forse, bisogna essere più folli e più saggi di lei. Avere il coraggio della verità. La più estrema delle bugie. Dire parole nitide, cristalline, pioggia sulle foglie tenere di un giardino. Me lo ha detto lei stessa del resto, con uno sguardo prolungato, lanciato come per caso ma in realtà con un fine preciso. Con pazienza, come si insegna a un bambino a camminare: “Se ami qualcuno diglielo. Esporrai le mani e la faccia, ma potrai forse avere un bacio, contatto effimero di una vita intera. Sarai nudo di fronte all’ignoto, l’imperscrutabile, l’ineluttabile”.
            La realtà, l’incubo, la fantasia. Lago di cristallo in cui nuota un pesce dorato. Poisson d’or, libero, luccicante. Nuotare con la mente oltre il chiasso dei ricordi e delle paure. Sognare pesci d’oro, fabbricarli anticipando il tempo, sbalordendolo, stralunando la luna. Ancora lei. La danzatrice di Delfi, Il velo, Il vento sulla pianura, Suoni e profumi che ruotano nell’aria della sera, Lei che ha veduto il vento dell’ovest, La fanciulla dai capelli di lino, La serenata interrotta, La cattedrale inghiottita, La danza di Puck di questo mio sogno di mezza estate.
            Note mie. Le storie che ho provato a raccontare. Ora le appartengono. Tutto è suo ora. Condiviso fino a non distinguerlo più. Ho capito adesso che la musica più vera è la più semplice. La vita, la poesia. Incontriamoci in un albergo di provincia/ con le persiane azzurre ed un balcone/ che sa di terra e fiori di campo”. Ho compreso. O forse ho smesso di comprendere. Per iniziare a sentire. Accordi, arpeggi complessi, gradi cromatici, sonorità opposte.
            È una domenica particolare, questa. Nessuna carrozza in giro, poca gente, sguardi sfuggenti, labbra a metà tra terrore e beffa. Forse stanno attendendo tutti l’invasione di un esercito nemico, lo scoppio di un’epidemia di colera, una serie di sgomberi di case pericolanti. Sanno qualcosa ma tacciono, sornioni. Solo io procedo ignaro, a testa bassa verso la meta. Le mie mani sono troppo calde e troppo rapide. Ho timore di guardarle, vederle vecchie, sentirle vive. Il senso dell’esistenza è sgomento, coscienza di essere carne soggetta alle mandibole di un tarlo. Avanzo, c’è una sola direzione. Sguardi troppo diretti, insistenti. Progetto la più paradossale delle fughe, il ritorno. Ma il pensiero della mia stanza ora è stridore. Il pianoforte suona da solo, digrigna note affilate. Mi consentirà di accarezzarlo di nuovo solo se avrò nelle dita il tepore delle dita di lei.
            Proseguo ripetendomi una cantilena che mi stordisce e pungola: Sognare il proprio sogno/ come se fossi destinato soltanto/ a qualcosa di grande, / un abisso, un incanto. / Sognare…
            Ascolto. Dalla sua casa risuona ancora la mia musica. Pagata col sangue, la follia, esilio dalla gente, dall’esistenza. Vorrei che tacesse, che restasse muta in un silenzio da squarciare in due. Riprendere ognuno il proprio onirico moncherino e tornare al proprio mondo. Ma nel ritmo della sua voce c’è una stretta al cuore. Acciaio, lana, miele di labbra dischiuse. C’è aria di morte nelle strade, e afa, senza argini. In me c’è una forma di pace desiderosa di guerra.
            Spingo il portone. Entro. È buio, denso, più spesso e ostinato del mio. Vibra su frequenze che non conosco. Come una lama attraversa l’aria avida di sangue, di tessuti. Anche le sue finestre sono sbarrate. Forse un sarcastico omaggio a me, o magari un richiamo, una trappola, specchio per allodole a cui tranciare le ali. Sorrido, spossato, spalancando la bocca. La sensazione di non poter uscire mai più da qui si fa certezza, orrore esilarante. Le dita della Morte giocano a fare il solletico ai muscoli tesi. Come per effetto di un riflesso spontaneo, spalanco gli occhi. Un filo di luce penetra da una fessura della serranda. Illumina qualcosa di bianco, lucente. L’avorio di un pianoforte. Dita calde di sole lo sfiorano e danno vita anche ai tasti neri. La luce della notte ora non è più un ossimoro. È brivido reale che corre e squassa. Osservo le mani di lei, a lungo, per attimi sconfinati. Non se ne accorge. O forse mi lascia fare nascondendo nella fluidità ammaliante del ritmo il sussulto lieve dei sorrisi. Si sposta in avanti come per abbracciare lo strumento. La nudità del corpo toglie il fiato al buio. Muore, con me, nell’istante in cui sento nella carne l’urlo del sangue che vola lontano, più rapido di un trillo che spazia da lato a lato, dall’estremo all’estremo, dagli accordi più sottili ai più cupi, compromesso senza regole con il tempo, i codici della chimica e della genetica, pulviscolo puro e vitale che entra nei polmoni assieme al profumo di lei.
            Guardo i suoi fianchi e le mani. Non vedo più le mie, e le ritrovo. Affamate di pelle, silenzi, parole. Piove, adesso. L’afa è svanita, smarrita, divorata dalle mosche che nutre e da cui è generata. Piove. O forse è solo saliva, sudore, stille di linfa vitale. Non importa. La notte è un concerto a quattro mani su pentagrammi di odori, fruscii, dita e labbra sulle corde innumerevoli di un’arpa.
            Il tetto risuona davvero, adesso, della danza dell’acqua. Prosegue, negli abbracci, la Petite Suite. Preludio di un gioco crudele e sublime che ora ha un volto, un senso, la chiave di un accordo inseguito da sempre.
            La Pioggia del mattino, ora, è promessa d’infinito.
 

                                                                                                    Ivano Mugnaini

Clair de Lune' con lettere | Spartiti esclusivi per pianoforte |  Letter-Notes incluse | Piano With Kent

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

LIFE IS LIFE – L’albatros che danza

LIFE IS LIFE
Ho esitato a lungo prima di scrivere questo “ricordo”. Ho aspettato che fluisse la marea dei peana e delle invettive, delle esaltazioni enfatiche e delle accuse, dei sinceri e dei falsi, dei predicatori e degli invidiosi. Ho esitato più che ho potuto ma nonostante l’attesa so che questo ricordo non piacerà. Non piacerà a chi lo vuole dio perfetto e onnipotente e non piacerà a chi lo considera la personificazione del vizio e del male.
Non importa. Glielo devo. Lo devo scrivere. Per gratitudine. 
Lo devo a lui. Anzi all’idea di lui che ha saputo generare in me e in milioni di altre persone. Lo devo alla bellezza del calcio che Maradona ha saputo salvare. Da tutto, perfino dai meccanismi del mercato, perfino dalle assurdità strangolanti della vita. Perfino da sé stesso. 
Questo pezzo non parla di lui. Parla del sogno e parla della realtà, della bellezza del calcio generato da lui. 
Dopo il memorabile goal all’Inghilterra ai Mondiali del 1986 un commentatore argentino definì Maradona “aquilone cósmico”. Un altro cronista esclamò una mezza dozzina di volte “un poema de goal!”
Se si accosta Maradona alla poesia, mi viene in mente l’Albatros di Baudelaire: “Il Poeta principe delle nubi / sta con l’uragano e ride degli arcieri/ esule in terra […] con le sue ali di gigante”.

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Il bestiario delle bestiacce

Il titolo del recente libro di Annalisa Macchia è attraente. Incuriosisce. Invita a scrutare all’interno per vedere cosa spunta, cosa compare. Magari ci troveremo di fronte un animale tra il mitico e il reale, tra verità e invenzione fantastica.
Coerentemente con lo stile di Annalisa, il libro è serio e giocoso allo stesso tempo. Ma in maniera sincera e profonda, non di maniera. Annalisa gioca sempre con grande attenzione al senso, soprattutto a quello ulteriore, a ciò che non si vede ma c’è, e magari ci fa pensare, mentre sorridiamo.
La leggerezza di questo libro è consistente. Calvino approverebbe. Le Cosmicomiche qui diventano Le Bestiacomiche. Ma l’impressione è che ciascun animale sia, a bene vedere, al di là della pelle e delle squame, al di là dei colori camaleontici e cangianti, un’immagine della bestia per eccellenza, l’animale selvatico e sospettoso, che siamo, a tratti, noi tutti.
C’è molto metodo nell’apparente lievità del libro, come direbbe Amleto. Si percepisce un’accurata preparazione “a monte”, si nota un’accurata suddivisione speculare delle varie sezioni, saltano all’occhio analogie e contrapposizioni per niente casuali. Vengono in mente Esopo, Alice, i suoi specchi e i suoi animali parlanti e pensanti, si rammentano Trilussa e Rodari, ma soprattutto si beneficia di un libro che si legge volentieri, che fa tornare bambini senza scordarci il gusto agrodolce, ma necessario, di guardare il nostro volto riflesso nello specchio di bestiacce che, non di rado, sono molto meno bestiacce di noi.
IM

Annalisa Macchia, Il bestiario delle bestiacce, Pagine, Roma 2020
                          A TU PER TU
                       UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.
Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.Saranno volta per volta le stesse domande.Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.IM

 

5 domande

a

Annalisa Macchia

 
1 )Il mio benvenuto, innanzitutto.
Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?
 
     Certamente e grazie per questo invito. Mi chiamo Annalisa Macchia, abito a Firenze, dove vivo da tanti anni, ma sono nata a Lucca; ho studiato a Pisa (Lingue e Letterature straniere) e frequento da sempre l’area livornese, luogo d’origine della mia famiglia. Dunque sono d’identità toscana, seppure variegata, dettaglio non trascurabile, perché credo che la mia scrittura sia rimasta “contaminata” da tutte quante queste frequentazioni. Sono un’autrice tardiva, se mi passate il termine. Dopo gli studi universitari e una prima pubblicazione (Pinocchio in Francia, edito dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi di Pescia), ho dedicato molti anni alla cura della mia numerosa e onerosa famiglia, scoprendo solo alla fine quanto avessero reso preziosa la mia formazione di persona, anche se mi avevano apparentemente allontanato dalla scrittura. Prepotente è però tornata la voglia insopprimibile di comunicare con la parola scritta. Sono nati così i primi lavori, storie in rima per l’infanzia (con l’assurda speranza che le parole scritte fossero più efficaci di quelle dette a voce…). Da allora, però, lettori o non lettori, non ho più smesso, cercando di conciliare i miei impegni familiari e di insegnante  – ho insegnato lingua e letteratura francese in vari istituti fiorentini – con la mia nuova attività. Sono seguite raccolte poetiche e narrative, frequentemente dedicate all’infanzia, all’avviamento della parola poetica anche tra i più piccoli (un mondo a me familiare, dal momento che ho avuto quattro figli ed ora ho quattro nipotini), ma anche qualche testimonianza critica e traduzione. Attualmente collaboro con qualche racconto e soprattutto con recensioni, con la rivista “Erba d’Arno” e sono redattrice della rivista Gradiva, ammirevole ponte di poesia e letteratura tra l’Italia e gli Stati Uniti. Ho anche diretto una collana di poesia per l’infanzia con la casa editrice Poiein, occupazione purtroppo di breve durata per la prematura scomparsa del suo direttore Gianmario Lucini, un carissimo amico, a cui devo molto e che ancora oggi rimpiango. Nella città in cui vivo, compatibilmente con il mio tempo libero, ho cercato di seguire i movimenti letterari che l’hanno animata in questi ultimi anni. Con presentazioni di autori e varie attività collaboro strettamente con l’Associazione Pianeta Poesia (www.pianetapoesia.it ), a cura di Franco Manescalchi. Un’attività che ha contribuito non poco alla mia formazione, aprendomi a mondi poetici altri, talvolta d’insospettabile interesse e bellezza.
 

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Dacia Maraini legge “Un numero sul braccio” – Giornata della Memoria 2021

In occasione della Giornata della Memoria pubblico volentieri il link del video realizzato da Andrea Annessi Mecci in cui Dacia Maraini legge il racconto “Un numero sul braccio”, tratto da «Buio» (Rizzoli, 1999).
Lo stesso Annessi Mecci ha scritto un resoconto, anch’esso qui pubblicato, con le considerazioni e le emozioni legate all’incontro con Dacia Maraini e all’ascolto della lettura del racconto.
Un modo per riflettere tutti, grazie alla scrittura, alla lettura e al potere dell’immagine, sull’importanza di un ricordo vigile, presente, necessario.
IM
VIDEO – LINK PER VISIONE https://youtu.be/qvR1s0sP3h0
“Un numero sul braccio” [Dacia Maraini legge da Buio, Rizzoli, 1999. Il video a camera fissa la riprende in lettura seduta sulla poltrona di casa davanti la libreria. Durata video 8’. Qualità audio buona.]
 

TESTO
Giornata della memoria – 27 gennaio 2021

L’incontro virtuale nel salotto della signora Maraini – che ringrazio con cuore di aver concesso – è l’occasione per registrare la sua lettura del racconto “Un numero sul braccio”, tratto da «Buio» (Rizzoli, 1999). Premiato con lo Strega, questo volume raccoglie dodici storie che indagano il lato oscuro dell’animo umano tra abusi sessuali, prostituzione minorile, violenza domestica e femminicidio.
Queste violenze sono compiute ai danni di bambini e donne che assumono atteggiamenti differenti rispetto all’accaduto. Il clima di omertà e il senso di colpevolezza si ripresenta sistematicamente all’interno di tutta la raccolta, in cui la famiglia non appare più come un nido sicuro, ma porta d’ingresso per violenze e soprusi.

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