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IN-CHIOSTRO Giovedì di autori e di libri

 Un luogo bellissimo e molti libri di autori che spaziano tra vari generi e tematiche ma sono tutti accomunati dalla verve espressiva e dalla voglia di raccontare il mondo che osservano e immaginano.
Segnalo volentieri l’iniziativa a cura di Elisir, ideata e curata da Manuela Minelli e Vanna Alvaro.
Buona estate e buoni giovedì all’insegna della lettura e del dialogo. IM

LOCANDINA CON PROGRAMMA

             

IN-CHIOSTRO Giovedì di autori e di libri

Incontri letterari con autori e libri a Borgo Ripa, Lungotevere Ripa, 3 – Roma

 

Si terranno tutti i giovedì a partire da dopodomani 4 agosto e fino al 29 settembre, con due diversi appuntamenti (18.45 e 20.00) gli incontri con i libri e gli autori chiamati a raccolta da Elisir, in collaborazione con Mondrian Suite, all’interno della suggestiva location che è il chiostro di S. Francesca Romana, ex convento del 1400 sito in Trastevere, nel cuore di Roma.
Otto serate per un totale di venti incontri e trenta autori (l’ultima sera verrà presentato un libro corale realizzato da undici autori italiani), una rassegna culturale che vedrà in scena autori di diversi generi, proprio per offrire al pubblico un panorama letterario diversificato: fiabe e favole, narrativa sociale, romanzi di formazione, saggi, romanzi storici, racconti, poesie, romance, thriller e tanto altro.
Siamo arrivate emozionatissime e assai cariche ai blocchi di partenza – affermano le signore di Elisir, Manuela Minelli e Vanna Alvaro – Lavorando ormai da tanti anni nell’editoria, siamo spinte dalla profonda convinzione che ogni forma d’arte possa e debba essere portata al di fuori dai contesti istituzionali e accademici, per coinvolgere il più ampio pubblico e mettersi al servizio dello sviluppo culturale e della crescita individuale e collettiva della città. E questo luogo magico, nel cuore di Roma, nella Trastevere più genuina e più vera, è sicuramente il luogo migliore che mai potessimo desiderare per la nostra Rassegna In-Chiostro, giovedì di autori e di libri per la quale abbiamo lavorato molto intensamente, proprio per presentare una Rassegna Letteraria capace di dare espressione e visibilità ad autori provenienti da tutta Italia.
MANU Fiabe
Sono molto soddisfatto della collaborazione avviata con Elisir, l’agenzia di Servizi letterari di coloro che, dopo tanto lavorare insieme, sono diventate amiche preziose, Manuela e Vanna, e del programma della maratona editoriale presentato da Elisir – afferma Klaus MondrianE  saranno serate dense di cultura, in cui tanta bella gente arriverà a Borgo Ripa, e potrà  fermarsi a sorseggiare cocktail o anche gustare le nostre specialità gastronomiche, ascoltando poesia e letteratura – gli fanno eco i gestori della location.
Immersa in un vastissimo giardino del cuore di Roma, oggi Borgo Ripa è considerata la location più elegante della zona Trastevere. Ma facciamo qualche passo indietro…Nel 1640 proprio nel cuore di Trastevere, alle spalle di piazza S. Cecilia, sorge un borgo appartenente all’antica dinastia romana dei Doria Pamphilj, che vanta anche un Pontefice, Innocenzo X, conosciuto come gran benefattore. Il magnifico giardino che lambisce le sponde del Tevere, il famoso “Giardino delle delizie”, apparteneva a Donna Olimpia Maidalchini Pamphilj, già cognata del Papa, conosciuta anche per la sua sagacia e furbizia, e soprannominata la Pimpaccia e anche la Papessa, per il suo forte potere e la condotta di vita sopra le righe. Si narra che in quel giardino storico, proprio dove si terrà “In Chiostro, giovedì di autori e di libri”, Donna Olimpia coltivasse ciliegie, prugne e albicocche. Ancora oggi rigogliosi alberi di fico, di limoni, aranci e cespugli di lavanda riparano dal sole e profumano l’aria. Una vera “delizia”, immortalata anche nelle tele del Vanvitelli.
 
Le attrici Giorgia Locuratolo e Roberta Frascati, in più serate, daranno voce e volto ai personaggi dei libri degli autori, per offrire al pubblico un mini spettacolo teatrale nello … spettacolo letterario.
Tutte le serate saranno riprese da HTO.tv web.
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Cover libri in rassegna 2
Chiostro dell’ex convento S. Francesca Romana – Lungotevere Ripa, 3 – Roma – Ingresso gratuito
Info: elisirletterario@gmail.com
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“La creta indocile” e “Limbo minore” – letture e commenti

copertina
Ringrazio Giulia Sonnante, scrittrice e traduttrice, per la lettura attenta e per il commento, anche in questo caso assolutamente empatico e originale, sia di alcune poesie tratte da “La creta indocile” sia del romanzo “Limbo minore”.
Riporto qui di seguito le note critiche e le “variazioni sul tema” di Giulia, con un nuovo grazie. IM
lungarno-pisa
L’Aria del Lungarno e Altre Liriche: tra vita e poesia  
Non è una madeleine, inzuppata nel tè, a riportare alla memoria un ricordo e non siamo a Combray ma, a Pisa. Al centro della lirica: “L’aria del Lungarno”, di Ivano Mugnaini, in “La creta indocile” (Oèdipus, Salerno, 2018) è l’Arno, placido, forse ignaro di quella vitalità un po’ insensata che si respira tutt’intorno. Anzi, è, esso stesso, parte integrante della Poesia, la determina, e ad essa dà nome.
Uno sciame di ragazzi sgorga dalle stanze di studio come un ampio delta: è il tramonto che strizza l’occhio all’ora violetta di eliotiana memoria: “At the violet hour, when the eyes and back Turn upward from the desk, when the human engine waits Like a taxi throbbing waiting”. (Eliot, The Waste Land, 1922) Gli occhi e le schiene si levano dagli scrittoi e, come taxi, frementi, aspettano. Ed è proprio il palpitare, il pulsare della vita che “L’Aria di Lungarno” riesce efficacemente a cogliere. Così, l’autore, studente d’un tempo, s’incammina lungo la strada che costeggia il fiume; il passo, svelto, da principio, rallenta per divenire nostalgico man mano che il ricordo prende la mano. Non si lascia soffocare, l’aria del Lungarno, il traffico non la sfiora, da essa è fagocitato: “L’aria del Lungarno scorre tra tempo e memoria. / Il traffico non la soffoca, è un cappio di lamiere / che scorre e non la sfiora.”
Scorre, sornione, l’Arno, e quasi percepiamo le urla allegre dei ragazzi che finiscono in piccoli mulinelli d’acqua. Scorre l’Arno, quasi superando gli argini, i limiti stessi del verso. Sì, perché l’Aria del Lungarno è lirica che si fa racconto. L’urgenza dell’autore è quella di cogliere la realtà e poco importa se la poesia, poi, s’incarni in un verso o in una frase.
Non è soltanto il carattere narrativo ad impressionare, ma anche l’ironia che arriccia il verso, lo increspa ed è certamente anomala, se ravvisata in un cielo poetico. E così, punteremo il dito verso l’alto: “unidentified flying object!”, quando, sorridendo, leggeremo: “Si cammina, sul Lungarno, / soldati in libera uscita, studenti tra riso e terrore /in un fiume che appare anche lui fuori / corso”. Stile e forma qui stupiscono non poco: la parola poetica sgambetta, recalcitra: il verso sembra non compiere il suo senso, spezzandosi come pane tra le dita. Tuttavia, esso, tutto può ed è lo stesso autore ad affermarlo: “Lasciamo che il verso trovi / per sé e per noi la sua strada, il suo senso. / Tutto, perfino il nulla, ha corpo nella parola, / e la sua assenza di sostanza è pietà, / misericordia nella tortura che ci consuma, / il “foco che ci affina”. ( dalla lirica Con sollievo in La creta indocile)
L’autore spinge verso la vita nella sua essenza più pura: “nel sacco entrambe / le mani, in piena flagranza di reato, nell’atto doloso, / e recidivo, di essere ancora vivi, / ancora umani. (Quale amnistia) e pone una sola condizione al nostro esistere: l’umanità. Nulla, neppure la sofferenza può privarci del diritto ad una vita piena ed autentica. “Almeno allora uno sconto di pena alla pena  / dell’essere, una via di fuga, d’ingresso, d’uscita, / il lusso di un carcere aperto alla speranza” (Quale amnistia).  Ed ancora: Non c’è bellezza nel dolore, […] La sola vera morte / è il soffrire. Ed è già putrefatto, dentro, / chi lo loda, da qualunque pulpito,  /con qualsivoglia intenzione. ( da Il tempo salvato in La tempesta e La tregua e Altre Poesie, La Recherche, 2010) Corrono lungo una strada a strapiombo sul mare, questi versi, tragici, nel dolore che manifestano, ma illuminati nella loro parte più intima.
Ci chiediamo se la Poesia abbia un senso, se possa essere al cospetto della sofferenza. Come può la Poesia giocare alla pari col dolore? Dovrebbero depositare la penna, raccogliere tutti i fogli, i poeti? Con Auden diremmo: “The stars are not wanted now: put out every one; /Pack up the moon and dismantle the sun; /Pour away the ocean and sweep up the wood; /For nothing now can ever come to any good.” (Funeral Blues, 1938)
Ha polsi abbastanza forti per sollevarci, la Poesia? Ha spalle abbastanza ampie da sorreggere la sofferenza, come Anchise sulle spalle di Enea? Ne ha il diritto? In “Una danza di cose”, tratta da “La creta indocile”, una figura femminile si staglia altissima nel cielo poetico. Il corpo di Carmela è avvinto dal boia ma ella ride: “Ma Carmela Ride. / Piega occhi e bocca / come un fabbro rende docile l’acciaio, / e il lucernaio diventa guardabile, / percepibile senza vomitare […] porge fogli densi / di parole strappate al boia, ad ogni /giorno di gelo penetrato nelle fessure / e nel ferro delle chiavi. (Una danza di cose) I fogli densi di parole diventano l’appiglio, lo sperone di roccia a cui aggrapparsi, perché la parola non può restare in silenzio, essa le appartiene, è il suo sorriso, la speranza.
E la speranza è il dono in “La speranza di settembre”, lirica opaca, sospesa sul filo del tempo,  “fragile, imperfetto, / regolato da cronografi tarati male, ancora / soggetti a salti e arresti, orgogli e terrori “.  il poeta è alla ricerca di “una voce, una chiave / nelle ossa spezzate dei cani” (La speranza di settembre)”, come colui che si chiede quali siano le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono da macerie di pietra: “what are the roots that clutch, what branches grow / Out of this stony rubbish?” (T. S. Eliot, The Waste Land, 1922)” e, infine, trova soltanto un mucchio di immagini spezzate, “a heap of broken images”. Settembre, tuttavia, accende una luce, perché ogni fine racchiude in sé un nuovo inizio: “In my beginning is my end. In my end is my beginning” (T. S. Eliot, Four Quartets, 1943)
Riempiamo il vuoto che ci annienta, dunque, attraversiamo il dolore: “Sweat is dry and feet are in the sand”, non scorre, lieve, l’Arno, qui: “If there were water / And no rock / If there were rock/ And also water”. Facciamo ritorno alla vita, a Pisa, “sulla strada circolare che costeggia / il fiume, ciò che conta è ritrovare il respiro” E poi, “verso lo sbocco, le labbra rosa della Marina, laggiù, verso / Sud. (L’aria del Lungarno). Perché non c’è una risposta univoca, ognuno cerca il proprio senso, il risvolto chiaro, il suo passo, forse incerto. “Forse solo il gabbiano forestiero possiede / la risposta. Sorvola le pietre /della piazza e si nutre di istanti. Sorride, /con garbo, vira e si getta ad occhi chiusi / nella corrente d’aria che solo lui percepisce.” ( da “La certezza del mare” in La creta indocile)
Giulia Sonnante
Limbo minore
 “Limbo minore”: la coscienza d’un servo nel vivere quotidiano
 Profumo di letteratura promana dalle pagine di “Limbo minore” (Manni Ed. Lecce, 2000), romanzo di Ivano Mugnaini, come dal bocciolo d’una rosa selvatica.
Numerose sono le citazioni letterarie che si rincorrono libere come ragazzi dalla frangia lunga e ginocchia al vento: da Leopardi a Mallarmé, passando per Allen Ginsberg fino a Conrad. Ma qui, il narratore non è il marinaio Marlow, come in “Cuore di tenebra”, ma un personaggio altrettanto minore, un servo, tuttofare, una figura priva di ruolo definito, d’una vera identità. Così, egli si confessa: Io sono il servo. Io non ho un nome.
Riflettendo ancora sulla propria condizione di subalterno, dichiara: “Io sono un rebus privo di chiave. Una freddura cifrata in cui non sempre a numero uguale corrisponde lettera uguale. O forse sono solo un ombrello di tela scura. Uno di quelli che si finisce sempre per dimenticare, con intimo sollievo, dentro il vaso di terracotta di un bar o di una casa qualsiasi, dando poi, ipocritamente, la colpa alla memoria. Non me ne dispiace però.” Si commisera, forse, sembra giocare il ruolo della vittima tra le righe di una struggente malinconia, tuttavia, non tenta di mutare la propria condizione, la accetta, rivelandone i benefici.
Interessante è anche il passaggio in cui confessa d’essere stato sempre attratto dalla Barbie di turno, dalla “bambolina biondina di plastica ed aria compressa” a discapito della bruttina, ignorata da tutti al pari “d’una scatola anonima, un pacco postale privo di interesse posato in un angolo e lasciato lì, settimana dopo settimana.” Ed in seguito, quando, “per distrazione o per noia, per compensare la momentanea assenza della pupazza patinata, o magari per pura vanità e buffoneria, sono entrato nel suo raggio d’azione con apparente interesse, lei, appena superato lo sbalordimento, si è sempre dimostrata pronta ad aprirsi, disposta a tentare, nonostante tutto, dimenticando ere geologiche di rocciosa indifferenza. Il gioco si è concluso, puntualmente, al primo riapparire sulla scena della bella e impossibile corteggiata da mezzo mondo.” E qui, noi, lettrici, non possiamo che allontanarci per un attimo dal narratore per raggiungere la bruttina poiché siamo tutte dalla sua parte! Tuttavia, il servo riconosce subito d’aver sbagliato, cosicché, torniamo, con piacere, al suo fianco.
Non si tratta di un racconto ricco d’avventure, fitti intrecci o colpi di scena, ma d’un romanzo del quotidiano; il servo getta lo sguardo sulla realtà che lo circonda, disegnandola ora con sfrenata ironia, ora con intensa malinconia, quella “saudade”, capace di unire, in un fragile equilibrio, il dolore al desiderio, il cielo alla terra, la materia allo spirito.
Come nodi d’un cingolo francescano, si susseguono scene di vita quotidiana: la messa dominicale, una giornata al mare, il viaggetto a Roma in cui una saggia guida mescola fiato ad accenti romaneschi di belliana memoria, la festa di paese o il racconto di Ottavio, il fattore, che sopravvive al campo di concentramento, strappando misere radici alla fame.
Le parole si predispongono all’ascolto spingendosi come ignari soffioni nell’aria chiara dell’Estate.” Un silenzio che sfiata dalla calce, avanza a bocca spalancata e ingurgita sé stesso (…) Non è la pioggia ma ha un battito vivo e leggero. È il tocco ripetuto di una mano sul legno della porta di camera mia.” Risuonano, qui, echi poetici che troveranno vibrante pienezza nella poesia: “Grado zero”, in “La creta indocile”, dello stesso autore, (Oèdipus, Salerno, 2018) “Ma più colpevole e più tenace è / l’udito, fisso sul legno della porta, / inchiodato, crocifisso, appeso /ad un battito, un tocco ansioso, / incerto, furtivo: forse il tonfo, / l’incedere cieco del destino; / forse il calore, sincero di una mano.”
 Particolarmente toccanti, le pagine dedicate alla malattia del conte, accompagnato sino alla fine dal suo fedele servo; qui, mentre la morte ha già disteso una densa ombra sul corpo del malato, giunge una donna, l’unica che il conte abbia mai amato. Al suo capezzale si uniscono, in un disperato abbraccio, amore e morte a rappresentare uno straordinario topos letterario, perché l’amore è l’unico che valga ricordare, l’unico che risarcisca della morte. “Smette di parlare il conte, e abbandona le spalle alla soffice morsa del lenzuolo. Appare provato, ma gli occhi sono spalancati e lucenti. Fissi su di me. Cerca di captare in ogni gesto, in ogni minima contrazione muscolare, una reazione ed un verdetto.”
 Un romanzo che è una lunga confessione, sincero scandaglio dei sentimenti più celati, un racconto che sa di intimità e famiglia. E, di certo, qualcosa rimanda a Zeno per lo svelamento autentico della coscienza e per l’incedere brioso della scrittura.
Sereno, il narratore si congeda così: “All’esterno il panorama non è mutato. Il calderone della piazza è ancora pieno di aria bollente che trema, inorridita da impenetrabili trasparenze. Cammino a testa bassa nascondendo alle strie bianche del cielo un illogico sorriso. È giusto accontentarsi di uno sguardo condiviso, forse, per un breve istante? È logico sentirsi quasi felice per una parola affidata ad una carezza al pelo di un cane? È normale sentirsi bene con il dolore di un attimo che è già ricordo, e rimpianto, ombra trapassata ancora prima di prendere vita? ”In fondo, è la stessa luce che rischiara le pagine finali di Svevo:posso mettere un impiastro qui o là, ma il resto ha da moversi e battersi e mai indugiarsi nell’immobilità come gl’incancreniti. Dolore e amore, poi, la vita insomma, non può essere considerata quale una malattia perché duole.”.
 Giulia Sonnante

Figlie uniche

Una mia recensione al libro Figlie uniche,  di Claudia Marin.
Buona lettura, IM

Figlie uniche, copertina

Claudia Marin, Figlie uniche, Iride, 2021

Figlie uniche è fluido, scorrevole, divertente, ironico, in grado di sdrammatizzare in tutti i modi possibili le ferite della vita, the slings and arrows of outrageous fortune. Si legge con un sorriso, desiderosi di scoprire come procede, paragrafo dopo paragrafo, con rapida voracità. Ma, attenzione, qualcosa resta. Non scorre via anodino e indolore. Perché quell’acqua chiara, fresca, a tratti dolce e a tratti amara, si fa specchio di esistenze possibili, forse reali, forse del tutto inventate, ma di sicuro verosimili, umanissime. Parla simultaneamente di un universo circoscritto e dello spazio e del tempo che ciascuno vive dentro di sé, tra analogie e contrasti, nello scorrere ininterrotto che cambia e ci trasforma.
Costanza, la protagonista, avrebbe tutto per essere contenta di se stessa: la professione medica, il benessere finanziario, un marito devoto sempre presente nei momenti in cui c’è bisogno di lui. Ma il rapporto complesso e conflittuale con la madre la condiziona, la fa vivere con il freno a mano delle incertezze costantemente inserito.
L’accadimento che genera il mutamento mettendo in moto una progressiva “agnizione”, è la nascita della figlia di Costanza. La protagonista si rende conto, razionalmente e per istinto, che in seguito a quell’evento niente sarà più come prima. Dovrà abbandonare la rassicurante condizione di trentenne ancora protetta e viziata da moine adolescenziali e dovrà finalmente guardare negli occhi le sue debolezze, le malattie reali e quelle immaginarie, ma anche i punti di forza, le energie nascoste proprio nei luoghi che teme di attraversare, nelle verità che ha paura di cercare e di scoprire.
Lo specchio, è opportuno ribadirlo, è uno dei simboli più rilevanti della vicenda narrata. Una metafora lineare e stratificata, a livelli multipli, non di rado contrapposti. Sofia, la figlia di Costanza, è l’immagine della madre ma è al tempo stesso una proiezione anche di Celeste, sua nonna. È una sorta di ponte tibetano, danzante, inebriato e inebriante, complicato da attraversare, percorso da scosse e venti giovanili, da energie e cupezze, da intelligenza e ingenuità. Grazie a questo ponte, Costanza e Celeste troveranno modo di avvicinarsi, esitanti, ognuna con il suo passo, ognuna con i suoi testardissimi orgogli, con una sfida che volta dopo volta si rinnova.
Questo romanzo racchiude un microcosmo femminile. Un universo assolutamente intimo, fatto di gesti e di pensieri, di confessioni aspre e desideri di dolcezza. Il vetro riflettente, liscio e aspro, è il romanzo stesso. Una superficie in cui tre volti si sovrappongono ma in cui ogni lettrice (ma in fondo anche ogni lettore) può riconoscersi trovando qualcosa di sé, del suo presente e del suo passato, della difficoltà a ritagliarsi uno spazio autonomo nel mondo, in quello familiare e in quello esterno.
La malattia irrompe nella trama mettendo ulteriormente a nudo caratteri e rapporti personali. Costanza si ammala di melanoma. Allo stesso tempo deve pensare a proteggere sua figlia dai suoi dolori personali e da quelli che la malattia comporta. Celeste, in quei frangenti, senza rinnegare se stessa, rivela la parte più umana della sua personalità. Quella che era emersa dai racconti della sua infanzia trascorsa in un orfanotrofio, prima della fama che l’avrebbe portata di colpo in Francia, in compagnia di un amore che costituisce anche il nodo da sciogliere del romanzo, il mistero concernente l’identità del padre di Costanza. Sì, perché questo libro sembra nascere “in presa diretta” da dialoghi immediati e realistici, ma possiede anche una struttura interna ben curata ed elaborata in grado di condurre a progressive rivelazioni o anche, per scelta e necessità, a soluzioni aperte, ad altri sviluppi ancora da vivere e da immaginare.
Il romanzo, come detto, spazia tra presente e passato con un costante gioco di rimandi. A sua volta ricalca le rifrazioni da cui trae origine: i volti delle tre donne, le loro tre generazioni e personalità ben distinte, si scontrano, si respingono, si accostano in un bacio finalmente tenero, senza orgogli, per poi respingersi e cercarsi di nuovo. I tre personaggi principali, in eterno conflitto, a ben pensare e a ben sentire, non hanno misura, non hanno senso e non hanno amore, se non una nell’altra e per l’altra.
Ne deriva un duplice processo: in primo luogo la personalità della protagonista, Costanza, compressa tra orgogli e paure, tra la voglia di gettarsi nella vita come in una piscina, finalmente libera e coraggiosa, e, sul fronte opposto, il timore dell’ignoto, dell’imponderabile. Altra sfaccettatura, strettamente correlata alla prima, è la complessa coesistenza delle tre protagoniste, tre esseri fieramente autonomi, e, come suggerisce il titolo, unici.
Il finale del romanzo, ineluttabilmente aperto, offrirà un punto di vista per cogliere allo stesso tempo le singole parti e la figura d’insieme. Lasciando spazio ad ulteriori prospettive, ad altre ottiche, tra cui, determinante, quella del lettore, chiamato non solo a scegliere un proprio personale punto di osservazione ma anche ad entrare in prima persona all’interno della cornice, portando con sé le proprie paure e i propri desideri: le proprie, irrinunciabili, unicità.
  Ivano Mugnaini

 

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Claudia Marin

Napoletana con ascendenze venete, vive a Roma. Giornalista per il Quotidiano Nazionale, da sempre è ostaggio della follia della scrittura creativa. Fin dai banchi delle elementari, quando si inventava gli «amici immaginari», ha scritto, riscritto, sovrascritto e cancellato storie e racconti. Stavolta ha deciso di venire allo scoperto: ed ecco Figlie uniche.

 

Raccontare la poesia

Raccontare la poesia - cover
 
Luigi Fontanella, Raccontare la poesia (1970-2020). Saggi, ricordi, testimonianze critiche,
Moretti & Vitali, 2021, 760 pp., € 36,10
 
Molto è già stato detto del libro di Luigi Fontanella Raccontare la poesia. Già detto e detto bene, con passione, acutezza e brillantezza. Sono arrivato in ritardo. Quindi, brechtianamente, tocca sedersi di lato. Non dalla parte del torto, nel caso specifico, ma da prospettive asimmetriche, sperando di poter mettere in luce qualche aspetto non ancora esplorato. Cercando di compensare lo svantaggio cronologico con la possibilità di basarmi su materiali interessanti, in particolare sull’intervista rilasciata dallo stesso Fontanella a Francesco Capaldo per il quotidiano “Pickline”. Utili mi saranno anche alcuni dialoghi che ho avuto di persona con l’autore nel suo studio fiorentino di Via Guelfa, zeppo di libri, di ottimo tè e di sassi di svariate forme e colori, souvenir del suo amato mare greco.
Comincerei dal titolo. In apparenza è lineare, descrittivo. In realtà mi sembra racchiudere un accostamento di mondi, un allineamento tra pianeti, quasi un ossimoro, di forma, di linguaggio, di struttura. Questo libro in fondo è un romanzo in forma di saggio sulla poesia. Di un romanzo ha la diacronicità, il coinvolgimento costante dell’autore e il suo interagire con gli altri personaggi, affini o più distanti, alleati o antagonisti in un conflitto incruento ma costante che ha come scopo primo e come meta finale l’agnizione più significativa, quella che riguarda il volto autentico dell’eroina femminile, la poesia. Il tutto giocato su un piano reso ulteriormente complesso e multiforme dalla coesistenza del piano letterario con quello esistenziale, in senso stretto e in senso lato. Ossia, in poche parole, mi sembra che questo libro non parli della poesia tout court ma della poesia nella vita, o, meglio, della poesia della vita. Quest’ultima definizione non vuole essere un abbellimento estetizzante ma piuttosto un tentativo di definire la necessità, sia della materia trattata sia del progetto che ha condotto alla compilazione e alla pubblicazione del volume.

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Monte Stella: incontro con la poesia

Pubblico qui la registrazione del video riguardante l’incontro tra il professor Luigi Fontanella e Beatrice Stasi, professoressa e storica della letteratura.
Il dialogo, dal titolo, MONTE STELLA: INCONTRO CON LA POESIA, trae spunto dal libro di Luigi Fontanella edito da Passigli di cui riporto in calce i dati e uno stralcio della prefazione a cura di Sebastiano Aglieco.
Il dialogo, vivace ed empatico, spazia dal libro ad altri argomenti di assoluto interesse ed attualità.
Si può seguire a questo link:

https://www.facebook.com/plugins/video.php?height=314&href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Funiversitapopolare.avallone.3%2Fvideos%2F639004007072160%2F&show_text=false&width=560 Continua la lettura di Monte Stella: incontro con la poesia

Verso un altrove – recensione con intervista

Verso un Altrove

Cristina Lastri Verso un Altrove, Le Mezzalane, 2019

Recensione di Ivano Mugnaini
 
“In sana sommossa / verso l’isola che forse c’è”, scrive Cristina Lastri in una delle liriche di questo suo recente libro. I versi ci indicano una strada fatta di rettilinei e di curve oltre cui bisogna trovare il coraggio di andare. La sommossa, innanzitutto, è un momento di svolta, un deliberato scarto; ma il vocabolo si integra con quell’aggettivo “sana” fino a costituire un binomio inscindibile, un tutt’uno. La natura dell’aggettivo non modifica la forza e la schiettezza della rivolta. Anzi, semmai la rafforza. Una vera sommossa nasce da radici salde, dall’esperienza delle cose viste e percepite, perfino dagli errori, dagli sbagli di valutazione. Solo con quel bagaglio di esperienze si può intraprendere il viaggio verso la meta auspicata, quell’isola che, ribaltando un noto riferimento letterario, in questo caso c’è, esiste. Il libro è la sintesi dettagliata di un viaggio, un tragitto che, come ci indica il titolo, ci porta lontano.
Come ha sottolineato Cristina Lastri nell’intervista per la rubrica A TU PER TU, il timone idealmente è rivolto verso “un altrove”, non verso l’Altrove indistinto e assoluto.  Il cammino personale dell’autrice si estrinseca in varie “tappe” all’interno di questo libro.  Si può rilevare una prima forma di “evoluzione”, un mutamento di prospettiva, sia cronologico che “visivo”, per così dire, un differente punto di vista: “La sete di conoscenza mi ha permesso di emergere da una sorta di eremitaggio introspettivo e di rivolgere lo sguardo oltre, verso un fuori da sé”.  
        Il materiale di base con cui costruire l’imbarcazione per raggiungere l’auspicata isola è la conoscenza, ottenuta tramite la passione per i libri e per tutto ciò che arricchisce il bagaglio personale, non di nozioni ma di empatia, per il mondo, per il bene e il male, per i chiaroscuri la cui accettazione può condurre al prezioso senso dell’armonia con il cosmo. L’abbandono dell’eremitaggio permette di estendere il campo visivo e di favorire l’uscita da sé, ossia l’acquisizione di una dimensione interiore altra, situata in un altrove che più che un punto fermo è un processo graduale e costante di “simpatizzazione” con il mondo.
 La cura può avere luogo nel momento in cui la mente e il corpo dialogano sulle stesse frequenze e sulla stessa lunghezza d’onda. Non è un caso che a volte il solo modo di accelerare il passo, sul piano poetico e non solo, sia quello di rallentarlo, e non è un caso che questo libro faccia riferimento esplicito e costante alla pratica dello zen, alle strade che conducono a percorsi zen utili al perdersi e al ritrovarsi.

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L’arte di Santiago Ribeiro e i nostri tempi (articolo da 900letterario)

Su segnalazione di Annalina Grasso, curatrice del sito “900letterario”, pubblico l’articolo riguardante il video che promuove l’arte di Santiago Ribeiro invitandoci a riflettere sul senso (e sul ruolo dei sensi) di questo periodo complesso e tormentato.
Il link dell’articolo uscito su 90letterario è questo:
https://www.900letterario.it/altri-mondi/quando-larte-fa-riflettere-su-noi-e-il-covid-un-video-originale-per-celebrare-lartista-internazionale-santiago-ribeiro/

https://www.youtube.com/watch?v=c9Omtq7YheU&t=2s

 

L’Arte può essere divulgata in modo originale e divertente soprattutto in questo periodo così complicato. La tecnologia è fondamentale e in tal senso, tre italiani hanno deciso di promuovere l’arte surrealista di Santiago Ribeiro attraverso un video che spinge a guardare in modo diverso quello che sta accadendo riflettendo su tematiche fondamentali quali il significato dell’inconscio e il ruolo delle pulsioni quando ci trova private della propria libertà e delle proprie abitudini.

 

(da YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=c9Omtq7YheU&t=2s )

Omaggio all’artista internazionale Santiago Ribeiro, grazie alla pertecipazione speciale dell’attore Maurizio Bianucci interprete di film come Suburra, Fuorigioco, L’amore a domicilio e di diverse pieces teatrali e fiction RAI. Grazie infine alla Dott.ssa Annalina Grasso, giornalista e collaboratrice del prestigioso magazine d’arte Juliet, per il quale ha intervistato l’artista Santiago Ribeiro. Poesia “ Profluvi” di Vincenzo Calì La poetica di Ribeiro non si discosta da quella già annunciata nel Manifesto del Surrealismo di Breton: “Si crea partendo dal sogno, dalla condizione onirica, una dimensione temporale neutra, priva di progettualità passata o futura, si crea in questo stato, abitando la ragione come la abitano i matti. Con regole proprie, con visioni che ostracizzano il reale”. Si evita il consueto insomma, e lo fa anche Ribeiro intensificando gli automatismi psichici mostrandoli come parte fondante della Storia, costituita in parte da ossessioni, all’interno della quale gli uomini si muovono nudi e ciechi. Ribeiro, mentre crea, osserva le vocazioni e l’inconscio degli uomini a cui dà forma e colore, è uno spettatore consapevole della pericolosità della liberazione del proprio inconscio, delle pulsioni, del lato oscuro di sé e trova pacificazione sulla tela, rappresentando un mondo parallelo fatto di materia nitida, ma anche di coscienza ironica e critica. In tal senso Ribeiro più che a Salvador Dalí, si rifà a Max Ernst per quanto riguarda il concetto di arte come liberazione e gioco, un terreno dove compiere incursioni psichiche temporali, mostrando cosa si vedrebbe se l’uomo si liberasse della morale, dell’autocontrollo e, al contempo, illustrando le preoccupazioni, le manie e i disagi più profondi della società moderna e del suo comportamento collettivo. Le opere del pittore portoghese sono state esposte anche sugli schermi multimediali di Thomson Reuters e Nasdaq OMX Group, a Times Square a New York, la piazza multimediale più famosa del mondo. Il lavoro di Ribeiro è stato presentato presso l’Ambasciata degli Stati Uniti a Lisbona e su diverse importanti testate di arte e cultura. Critica di Annalina Grasso
“Profluvi” L’io si libra, inquieto è l’incanto, del certo è cieco, moralità annegate, lascio a vero impeto, conscio e inconscio fusi a metà. Onirica danza mi scuote, il derma vibrante dice se, la materia è eterea, spalanca i profluvi e al fine sento… Sottili linee d’echeggi ondulano, le ossessioni si affollano vive, spazio e tempo lascio a metà e il fine è certo… Vincenzo Calì
“Flows” The ego hovers restless is the charm, it is blind about certainty drowned morality, I leave a real impetus, conscious and unconscious merged in half. Dreamlike dance shakes me, the vibrating dermis says ‘if’, the matter is ethereal, it opens wide the floods and in the end I feel … Thin lines of echoes sway, obsessions crowd alive, space and time I leave in half and the end is certain too…
Vincenzo Calì

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ROSSOMETILE – intervista e presentazione del disco “Desdemona”

La rubrica A TU PER TU ospita oggi i ROSSOMETILE e il loro album “Desdemona”.
Nell’intervista ci parlano della loro musica,  ma anche del connubio tra realtà e dimensione onirica,  delle assonanze, etno, gothic, symphonic, di Poe e di  Hesse, di “Storie d’amore e di peste”, di “Narciso e Boccadoro” e di mille altre suggestioni rese musica e armonia.
Buona lettura e buon ascolto a tutte e a tutti, IM
                        A TU PER TU 
                      UNA RETE DI VOCI
L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.
Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine.
Le domande, in parte “personalizzate” e in parte ricorrenti, permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira.
Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica.    IM

Intervista

ai

Rossometile

Con particolare riferimento al disco Desdemona

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

La prima domanda è “di prassi”: potete fornire un vostro breve “autoritratto” ai lettori di Dedalus?

La band nasce a Salerno nel 1996 per iniziativa mia e di Rosario Runes Reina. Da subito la nostra idea è quella di fare inediti dalle sonorità metal contaminando il sound con altri generi musicali. Negli anni abbiamo avuto vari cambi di formazione cosa che ha influenzato la nostra discografia e che ci ha portato a realizzare album stilisticamente diversi tra loro. Nel 2010 entra a far parte della band Pasquale Pat Murino al basso e nel 2019 Ilaria Hela Bernardini diventa la nuova voce della band con la quale abbiamo realizzato Desdemona.La band nasce a Salerno nel 1996 per iniziativa mia e di Rosario Runes Reina. Da subito la nostra idea è quella di fare inediti dalle sonorità metal contaminando il sound con altri generi musicali. Negli anni abbiamo avuto vari cambi di formazione cosa che ha influenzato la nostra discografia e che ci ha portato a realizzare album stilisticamente diversi tra loro. Nel 2010 entra a far parte della band Pasquale Pat Murino al basso e nel 2019 Ilaria Hela Bernardini diventa la nuova voce della band con la quale abbiamo realizzato Desdemona.

(ha risposto Gennaro Rino Balletta)

 

2 ) Il nome del vostro gruppo da cosa nasce? Lo avete scelto per le suggestioni e le assonanze o anche per i significati che racchiude?

Il rosso di metile è un composto chimico, un indicatore di acidità. A un certo valore di pH il rosso di metile determina l’immediata colorazione rossa di una soluzione incolore. Pensammo che sarebbe stato originale immaginare di trasporre in musica il fenomeno cromatico che avviene in chimica col rosso di metile. E così unimmo le parole “rosso” e “metile” creando il nostro “rossometile”. 

(ha risposto Rosario Runes Reina) Continua la lettura di ROSSOMETILE – intervista e presentazione del disco “Desdemona”

Alice nel labirinto – intervista a Roberta De Tomi

Spazia con curiosità e fantasia, Roberta De Tomi,  in vari ambiti e tra vari generi. Ha scritto libri diversi l’uno dell’altro ma con il comun denominatore di una passione vivida, a tratti “speziata”, che la porta a cercare storie e argomenti in grado di suscitare a loro volta la curiosità, l’interesse e la passione del lettore, conducendolo in ambiti in cui realtà e dimensione onirica si incontrano, giocando a creare nuovi spazi, mondi possibili.
L’intervista qui pubblicata ci offre l’opportunità di approfondire la conoscenza con questa autrice vivace che opera attivamente anche in rete. Ci conduce inoltre a esplorare territori del panorama letterario che hanno molti appassionati lettori.
IM

2021Alice nel labirinto

                            A TU PER TU
                         UNA RETE DI VOCI
 L’obiettivo della rubrica A TU PER TU, rinnovata in un quest’epoca di contagi e di necessari riadattamenti di modi, tempi e relazioni, è, appunto, quella di costruire una rete, un insieme di nodi su cui fare leva, per attraversare la sensazione di vuoto impalpabile ritrovando punti di appoggio, sostegno, dialogo e scambio.Rivolgerò ad alcune autrici ed alcuni autori, del mondo letterario e non solo, italiani e di altre nazioni, un numero limitato di domande, il più possibile dirette ed essenziali, in tutte le accezioni del termine. Le domande permetteranno a ciascuna e a ciascuno di presentare se stessi e i cardini, gli snodi del proprio modo di essere e di fare arte: il proprio lavoro e ciò che lo nutre e lo ispira. Saranno volta per volta le stesse domande. Le risposte di artisti con background differenti e diversi stili e approcci, consentiranno, tramite analogie e contrasti, di avere un quadro il più possibile ampio e vario individuando i punti di appoggio di quella rete di voci, di volti e di espressioni a cui si è fatto cenno e a cui è ispirata questa rubrica. IM

 

5 domande

a

Roberta De Tomi

 

1 ) Il mio benvenuto, innanzitutto.

Puoi fornire un tuo breve “autoritratto” in forma di parole ai lettori di Dedalus?

Un saluto ai lettori e alle lettrici e un grazie per l’attenzione che mi dedichi. Non sarà un “autoritratto”… alla Dorian Gray, anche se sarebbe bello immortalare un pizzico di bellezza in questo momento storico così difficile. A parte questo, ho dipinto di colori diverse pagine che sono diventati racconti e romanzi. Ho iniziato in sordina, dopo essermi laureata al DAMS di Bologna, partecipando ad alcuni concorsi letterari, all’interno dei quali ho ottenuto buoni esiti. In parallelo ho iniziato un percorso lavorativo nella comunicazione che ha toccato diversi ambiti in maniera trasversale: dal giornalismo ai blog, passando per la gestione di eventi e uffici stampa. Parallelamente mi sono occupata anche di altre mansioni, ma sempre tenendo stretta la passione per la scrittura; passione che, dopo le prime prove, mi ha portato alla pubblicazione.
Ho vissuto e vivo con un certo travaglio la precarietà della mia generazione, tanto che ai tempi, con un blog e articoli dedicati, ho cercato di parlarne; ma mi rendo conto che certi argomenti sono spine che bruciano, vasi di cristallo da maneggiare con cura. Viviamo tempi complessi, sospesi, forse stiamo aspettando Godot; sinceramente io non riesco a stare ferma, in attesa di un miracolo salvifico. Non è nella mia indole, ho bisogno di creare, di fare qualcosa e di incuriosirmi. Creare è vivere.

  Continua la lettura di Alice nel labirinto – intervista a Roberta De Tomi

Sito e blog Dedalus – rubrica A TU PER TU

Nel 2020 le visualizzazioni sia del blog Dedalus che del mio sito sono molto cresciute.

(Almeno una cosa buona gliela devo riconoscere a quell’anno tanto “amato”)

Molto bene è andata anche la rubrica A TU PER TU. Ringrazio gli autori intervistati.

Se qualche altra autrice o qualche altro autore volesse parlare della sua attività o di un suo libro in particolare, mi contatti a questo indirizzo: ivanomugnaini@gmail.com

Screenshot_2021-01-04 Presentazione rubrica A TU PER TU - Ivano Mugnaini